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B) Prospetto del Servizio Informazioni e Ufficio della Proprietà Letteraria, Artistica e Scientifica

II.6 La normalizzazione del centro-sinistra

Gli accorgimenti suggeriti da Dichter, e adattati dalla Spes per essere recepiti in maniera rassicurante, non valgono, però, a frenare il calo di consensi cui nel 1963 va incontro la Dc, che registra una flessione del 4%. Invero, anche alla luce dei risultati conseguiti dalle altre formazioni politiche, le premesse per l’avvio di un governo di centro-sinistra appaiono poco incoraggianti. Dando segno di una fiera avversione per ogni ipotesi di apertura a sinistra, l'elettorato più conservatore abbandona il partito cattolico e viene assorbito di misura dal Partito liberale, che passa dal 3,5% al 7% e raddoppia i propri voti rispetto alle ultime elezioni. Il Psi ottiene un risultato alquanto modesto (13,8%) e il lieve calo che registra è inoltre accresciuto dall’avanzata (25,3) del Pci, che guadagna quasi tre punti percentuali (omogeneamente distribuiti su tutto il territorio nazionale e con significativi apici nei principali centri urbani). In maniera speculare a quelli di destra, gli elettori orientati a sinistra sembrano giudicare un’alleanza con la Dc come un compromesso al ribasso e, di conseguenza, preferiscono accordare ai comunisti la propria fiducia. Data la situazione, segue, inevitabilmente, una complessa fase iniziale di assestamento e trattative durante la quale lo stallo amministrativo è evitato da un esecutivo monocolore provvisorio retto da Giovanni Leone. Ridefiniti i termini dell’alleanza, il 4 dicembre 1963 viene infine varato il primo governo Moro, una coalizione composta da social-democratici, repubblicani e appunto socialisti83.

La collaborazione fra democristiani e socialisti si rivela piuttosto tortuosa, i risultati si pongono al di sotto delle aspettative e nel breve volgere di appena tre anni si susseguono altrettanti esecutivi, tutti presieduti da Moro (che, all'inizio del 1964, ha ceduto a Rumor la carica di segretario della Dc). I due principali contraenti dell’alleanza di centro-sinistra attribuiscono ad essa un significato molto diverso: per i democristiani si tratta di attuare una serie di riforme moderatamente progressiste e conseguire una maggiore equità sociale, obbiettivi per i quali occorre il sostegno di un partner politico che abbia un qualche seguito nel mondo del lavoro salariato e che garantisca affidabilità. Lo scopo di questo disegno è l’ampliamento della base consensuale della Dc attraverso l’integrazione delle classi lavoratrici, ma avendo sempre la cautela di non suscitare ansie nei settori legati al mondo economico e produttivo. Il fine dei socialisti, invece, è sia quello di ultimare il proprio percorso di emancipazione dal condizionamento comunista sia quello di sperimentare un piano di programmazione economica finalizzato a gettare le fondamenta di una compiuta socialdemocrazia in Italia.

Al di là degli equilibri politici e parlamentari che vedono i socialisti in una posizione di svantaggio,

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acuita ulteriormente da varie scissioni e confluenze al loro interno, a indebolire fin dal principio il centro-sinistra è la concomitanza con la fine della crescita economica del quinquennio 1958-1963. Questa nuova fase recessiva, che perdura fino al 1965, non permette di realizzare le auspicate riforme e sul piano dei diritti sociali dei lavoratori si registrano anzi alcuni passi indietro. Le lotte dei primi anni sessanta hanno avuto come risultato un significativo aumento dei salari, che ha di poi determinato un aumento reddituale delle classi lavoratrici e quindi dei loro consumi. Per compensare il più alto costo del lavoro, le aziende decidono però di maggiorare i prezzi, quel che provoca contraccolpi significativi soprattutto nel commercio con l’estero. Dal momento che anche la stabilità della lira ne risente, vengono prese misure deflattive d’emergenza che innescano però una dinamica nella quale gli investimenti si interrompono e la produzione industriale rallenta, provocando una contrazione notevole dell’occupazione. Se il contenimento dei salari, unito a una razionalizzazione dei processi produttivi, consente di ridare slancio alle esportazioni e di superare questa congiuntura di crisi, peggiora al contempo le condizioni dei lavoratori e pone i presupposti per la nuova ondata di rivendicazioni che caratterizza la fine del decennio e l’inizio del successivo84.

Come osservano Flores e De Bernardi «il progetto riformista sul quale Moro riuscì ad attestare la stragrande maggioranza del gruppo dirigente democristiano […] era subordinato […] al mantenimento dell’unità interna della Dc e al consolidamento della sua configurazione di partito-stato, al centro del sistema politico e delle istituzioni»85. Tenendo conto di questa premessa ben si comprende, allora, la fragilità endemica dei governi della quarta legislatura e, più in generale, della formula del centro- sinistra. Soprattutto nella prima fase, le divergenze fra i due partiti non sembrano essere componibili e la caduta del primo governo Moro, nel 1964, sembra segnare la prematura fine del centro-sinistra. A “salvare” l’alleanza interviene però un fattore esterno, ossia il disegno golpista elaborato dal generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, il quale vorrebbe approfittare della crisi per imprimere una marcata svolta autoritaria alla democrazia italiana. Oltre a gettare luci inquietanti sulle pulsioni reazionarie presenti negli apparati dello Stato, l’episodio – che verrà reso pubblico soltanto dopo diversi anni e manterrà diversi punti oscuri – induce Moro e Nenni a trovare rapidamente un accordo e a costituire un nuovo governo onde evitare evoluzioni spiacevoli86.

Se è del tutto pacifico che la Spes faccia calare un velo di rimozione sugli aspetti più spinosi di questa stagione, è però interessante constatare come l’armamentario retorico utilizzato per normalizzare questa stagione rimanga sostanzialmente immutato rispetto agli anni precedenti. Una guida stabile e

84 A. Graziani, Op. cit., pp. 84-90.

85 M. Flores – A. De Bernardi, Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 157.

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sicura87 (1964) e La D.C. e la rinascita italiana88 (1966) ritraggono un paese ormai prosperoso e pacificato, sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Nel primo, l'unica ombra che sembra realmente impensierire gli italiani è un eventuale avvento del comunismo, ancorché in questa occasione venga indicata come una minaccia remota; nel secondo, invece, ogni possibile critica dell’attualità è silenziata preventivamente dalla ricapitolazione del cammino dell’Italia dal dopoguerra in avanti. In questa cornice, la centralità della Democrazia cristiana è ormai presentata in tutto e per tutto come un elemento costitutivo dell’architettura nazionale e il ricorso alla storia sottintende in realtà una banalizzazione della medesima. Lo stesso schema precostituito viene replicato in altri cortometraggi di questo periodo, che si limitano semplicemente a declinarlo in ambito locale. Il futuro nelle nostre

mani89 (1965) e Vent'anni di autonomia90(1967) propongono, rispettivamente, uno scorcio su Sardegna e Sicilia teso a parificare la realtà delle due isole a quella del resto d’Italia, enfatizzando gli elementi più appariscenti della modernizzazione. Ieri oggi domani91 (datazione incerta) e Problemi romani92 (1966), invece, seguono lo sviluppo urbanistico impetuoso cui è andata incontro la Capitale negli ultimi anni, sviluppo di cui non vengono celate le problematiche ma che sembra essere sotto il pieno controllo della Dc romana.

Nella seconda metà degli anni sessanta, i contenuti della narrazione democristiana, ormai pienamente canonica, rimangono uguali a sé stessi. Per certi versi, le aspettative disattese del centro- sinistra sembrano riflettersi in una certa stanchezza creativa da parte della propaganda democristiana, che si limita a riciclare i soliti luoghi comuni costituiti da una visione entusiastica del presente e da un costante paragone con il passato. Con tutta probabilità, questa modalità lascia insoddisfatti i suoi stessi artefici e questo spiega il parziale cambio di paradigma in occasione delle elezioni del 1968 che, se non mette in discussione la retorica di fondo, individua quanto meno nuovi target cui proporre i consueti contenuti tramite contenitori parzialmente rinnovati.