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Il 30 settembre 1954, Gastone Silvano Spinetti invia una lunga lettera a Raimondo Manzini, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nella quale chiede formalmente di essere sollevato dall'incarico di direttore del Centro Documentazione108. A motivo della sua richiesta di dimissioni,

108ASSR, Fondo Rumor, Direzione Centrale, Organizzazione e uffici, b. 28, f. 194, Democrazia Cristiana:

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Spinetti lamenta la perdurante assenza di requisiti minimi per svolgere un adeguato lavoro di propaganda a favore del governo. Oltre a fugare ogni dubbio su quelli che sono i reali scopi della divisione, il funzionario ne denuncia apertamente le inefficienze congenite sotto il profilo procedurale e burocratico. Prima di scendere nei dettagli, si dilunga però in un'articolata premessa in cui espone la sua peculiare visione della congiuntura italiana e internazionale.

Secondo Spinetti, sarebbe in atto nel mondo una “rivoluzione sostanziale” che potrebbe condurre al tracollo definitivo della “civiltà individualistica” ad economia capitalista, ossia l'Occidente. La causa remota di ciò – afferma Spinetti – consiste nella sovrapposizione in toto dei valori dell'economia di mercato con quelli della civiltà occidentale e solo l'affermazione di una nuova civiltà, che superi il materialismo bolscevico così come quello capitalistico, può scongiurare un esito nefasto. La necessità di riformare l'ordine sociale e rendere più sociale l'ordine economico è avvertita in tutto il mondo, in particolare nelle aree dove più pronunciato è il problema della carestia. Mentre il grande capitale – dimostrando la più completa insensibilità – si organizza per perpetuare il suo dominio, le masse popolari e gli “uomini di azione” si avvicinano al blocco comunista non tanto perché ritengono che i principi marxisti siano validi ma in quanto, non ravvisando alternative, confidano che il bolscevismo si possa umanizzare all'indomani della sua affermazione. In Italia, il social-comunismo progredisce non solo per la più unitaria e intelligente propaganda del Partito comunista, ma anche perché, tendendo a soddisfare “abusivamente” le più alte necessità vitali, conquista proletari, ceti medi e intellettuali. Spinetti si dice convinto che ciò non potrebbe accadere se vi fosse un partito cattolico che attuasse integralmente la dottrina della Chiesa, senza indulgere né con i dettami della destra nazionalista né con quelli del liberalismo – che in Italia reputa subalterno ai desiderata della Confindustria – e del marxismo.

A indurlo a mettere per iscritto tali riflessioni non è tanto la volontà di profetizzare un'imminente vittoria elettorale del Pci, quanto quella di addebitare la sua eventuale conquista del potere alla condotta di coloro i quali permettono che la civiltà cristiana sia non solo identificabile con quella occidentale ma venga addirittura fatta coincidere con quella capitalista, esimendosi dall'attuare una rivoluzione spirituale portatrice di una trasformazione radicale di presupposti, mentalità e istituti. La Democrazia cristiana, in questa contingenza, si trova a giocare una partita difficile a causa dell'infiltrazione di “cellule confindustriali” e conservatrici in tutti i partiti democratici e in tutti gli organi dello Stato. Malgrado il peso di questi condizionamenti, non vi è possibilità effettiva di contrastare il comunismo se non per mezzo di una contro-propaganda che non abbia solo caratteri conservatori ma che offra istanze di rinnovamento sostanziale. In questo senso, l'anticomunismo non può che essere un solo aspetto, dal momento che non ha presa su chi vive al di sotto della soglia di povertà e non vede altri sistemi per superare il capitalismo. Allo stato presente, il comunismo

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«sventola il vessillo del progresso, della giustizia sociale e della moralità», cosa che sarebbe più consona a un movimento cattolico veramente aderente ai presupposti della dottrina di Cristo. La propaganda anticomunista deve quindi essere costruttiva e innovatrice, mentre quella praticata in Italia, con il suo carattere derisorio e discontinuo, è più utile che dannosa alla causa bolscevica. Due sono le strade percorribili: o l'instaurazione una di “dittatura in difesa della democrazia” che potrebbe però degenerare in una difesa del capitalismo, o l'attuazione di un'autentica rivoluzione cristiana. Dopo aver fornito questo inquadramento generale, Spinetti si sofferma a enunciare i tratti salienti delle differenti tipologie propagandistiche del Partito comunista, dei partiti di maggioranza e del governo. La propaganda comunista è una forza palingenetica e utopista, non fa leva sul timore del peggio bensì prospetta un avvenire migliore e corrisponde a un piano organico di azione per riuscire a penetrare in tutti i campi. I comunisti si sforzano di orientare gli stati d'animo in via di formazione nella società italiana – desiderio di libertà nella cultura, desiderio di una maggiore moralità nella politica e desiderio di una piena giustizia sociale nel mondo del lavoro – e si dimostrano abili a individuare i punti deboli dell'avversario e ad adattarsi al sentire popolare. La loro stampa periodica non solo si presenta in modo attraente ma viene impostata secondo linee differenti per adeguarsi alla mentalità dei vari ceti sociali, e notevole è l'impegno profuso nell'influenzare le politiche culturali delle più importanti case editrici come Einaudi, Laterza e perfino Mondadori. I comunisti hanno compreso che tanto più facilmente possono ottenere il potere se, sfruttando gli errori altrui, si presentano come forza di pace e progresso anziché di oppressione e dittatura. Infine, hanno compreso che devono indirizzare la loro azione propagandistica specialmente nel Meridione, dove Spinetti sostiene essere più forte l'oppressione delle masse contadine, più diffusa la cultura umanistica e più vivo desiderio di libertà e moralità.

Alquanto severo è il giudizio sulla propaganda dei partiti della maggioranza – Democrazia cristiana

in primis – e delle altre forze affini come i Comitati civici. Spinetti ritiene infatti che, pur potendo

disporre di mezzi ingenti, riesca a condurre solo un'insufficiente azione di disturbo nei confronti di quella unitaria e più capillare dei comunisti, senza riuscire a orientare favorevolmente l'opinione pubblica nei confronti dei programmi del governo. Se i quotidiani e i periodici dei partiti democratici sono perlopiù sciatti e maggiormente inclini a compiacere i propri referenti politici che ad attrarre nuovi lettori a causa del loro taglio eccessivamente settoriale e specialistico, la stampa indipendente è totalmente asservita alla Confindustria e pertanto appoggia il governo solo se quest'ultimo ne sposa gli interessi, da essa non può provenire un sincero appoggio a una rivoluzione cristiana né una difesa della democrazia che non sia allo stesso tempo una difesa del capitalismo. Tuttavia, il problema di fondo rimane la scelta del male minore quale motivo retorico-persuasivo dominante, quel che certo non può suscitare entusiasmo nelle fasce più indigenti della popolazione.

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Da ultimo, Spinetti riferisce i deficit della propaganda governativa e ne spiega le ragioni. A distanza di tre anni essa mantiene, nelle diverse declinazioni editoriali e audiovisive, una finalità esclusivamente informativa, limitandosi a documentare in fatti e in cifre le realizzazioni compiute. L'azione svolta, seppure ingente, è del tutto priva di una dimensione formativa che possa orientare proficuamente l'opinione pubblica, e per tanto si pone al di sotto sia delle necessità che delle possibilità. La fornitura di dati aggiornati ai propagandisti politici dei partiti di maggioranza è, di fatto, l'unica esigenza soddisfatta dal Centro Documentazione, mentre non è stato conseguito alcun risultato apprezzabile nei termini di una maggiore diffusione dei principi democratici e di un'accresciuta abitudine a documentarsi fra le masse popolari così come in quelli di un più razionale coordinamento delle attività, nel medesimo settore, dei vari ministeri e enti pubblici. Se il bilancio del Centro Documentazione appare a tal punto scarso, il motivo va ricercato nei suoi organici in sotto- numero, nella scarsa collaborazione degli altri uffici stampa ministeriali e nell'atteggiamento risentito degli impiegati «quasi offes(i) dal fatto che il Governo abbia costituito una Direzione Generale dello Spettacolo, Sport e Turismo e non una Direzione Generale della Documentazione con mezzi, locali e personale adeguati».

La conclusione è riservata alla pars costruens del ragionamento di Spinetti: la propaganda – da accompagnare a una più attiva politica in campo economico e sociale e a un'azione di valorizzazione ideale e culturale di quanto viene fatto per creare un clima favorevole al governo – va organizzata secondo un'unica direttiva stabilita dal Sottosegretario alle Informazioni. Quella ipotizzata da Spinetti, però, non è un'azione interamente istituzionale, dal momento che contempla l'affidamento di specifiche mansioni ad associazioni fiancheggiatrici. La campagna anticomunista è delegata infatti a «Pace e Libertà» sotto la guida del “Dott. Franchi” (pseudonimo di Edgardo Sogno), mentre il contrasto quotidiano della propaganda ad opera delle altre forze politiche di opposizione agli uffici stampa dei partiti di governo e ai Comitati civici. Nella conduzione di questa offensiva contro la propaganda avversaria, Spinetti invita a non indulgere in toni eccessivamente irrisori e denigratori, ritenendo preferibili le denunce puntuali e documentate (o che, quantomeno, così si presentino agli occhi degli italiani). Al rinnovato e potenziato Centro Documentazione, coadiuvato da un più funzionale Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, compete invece la formazione della coscienza dei cittadini e la documentazione delle realizzazioni governative, da effettuarsi nella forma (apparentemente) più neutra possibile per non prestare il fianco a prevedibili critiche, dal momento che evidenti ragioni di opportunità impongono che, in una democrazia liberale, la propaganda esplicitamente politica rimanga esterna agli organi dello Stato. Cautela che, tuttavia, non deve indurre la classe dirigente a sottovalutare la gravità del frangente storico, poiché «a rivoluzione si contrappone rivoluzione». Poche righe, quasi estemporanee, sono infine dedicate al cinema e alla sua potenzialità

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di orientare positivamente l'opinione pubblica: anche in questo caso, il direttore raccomanda di rifuggire dall'agiografia religiosa così come dal becero anticomunismo in favore dell'esaltazione degli ideali civili tramite «vicende umanissime e ordinarie». Ancorché smussato degli elementi di critica sociale e riadattato a esigenze propagandistiche, il modello proposto sembra ricalcare le forme del neorealismo ma risulta poco chiaro quale peso Spinetti intenda attribuire allo Stato nel predeterminare le tendenze della cinematografia nazionale.

In calce a questa disamina, Spinetti emette il suo ultimatum: o al Centro Documentazione vengono apportate quanto prima le migliorie da lui elencate o si vede costretto a rassegnare le dimissioni «lasciandolo in balia di quelli che lo screditano definendolo nuovo Minculpop». Non più rinviabili, a suo avviso, sono soprattutto la costituzione di una Direzione Generale per le Informazioni e la Documentazione e il conseguente aumento retributivo dei dipendenti impegnati in un così rilevante ufficio (progetto inderogabile seppure osteggiato su diversi fronti, per il quale si rende necessaria una dura battaglia parlamentare che il direttore esorta a condurre con la dovuta determinazione). Nonostante una presa di posizione tanto accorata, come si è visto Spinetti non dà poi seguito concreto alle sue minacce e rimane al vertice del Centro Documentazione sino al 1956, quando la struttura conosce una riorganizzazione che muove in una direzione diametralmente opposta a quella auspicata dal direttore, essendo disciolto e riassorbito da due nuove divisioni del Siuplas.

Il tenore della lettera – di cui molti passaggi, indubbiamente inusitati, vanno contestualizzati entro il percorso intellettuale di Spinetti109 – rivela una precoce sfiducia in merito alla capacità del governo di esercitare una reale influenza. La Democrazia cristiana rimane l'attore politico principale di tutti i governi che si susseguono nel periodo qui preso in esame, ma emettere un giudizio sull'apporto offerto dal Siuplas alla costruzione del suo consenso rimane problematico. Fatti salvi i molteplici i fattori sociali che determinano questo consenso, e concentrandosi solo sulla dimensione mediatica, assai più determinante si rivela l'influenza che il partito può esercitare, in virtù della sua posizione, sulla programmazione del palinsesto RAI. Intuendo il potenziale del mezzo televisivo, sempre più diffuso nelle case degli italiani, la Democrazia cristiana ne fa uno strumento di educazione civica e culturale, nonché di legittimazione politica tramite un meticoloso controllo dell'informazione. Questo disegno si compie grazie a figure come il direttore generale Ettore Bernabei, che, soprattutto negli anni, fa dell'emittente statale un vero e proprio laboratorio per la costruzione di un'identità nazionale condivisa, nella quale i valori antichi della tradizione cristiana convivono, apparentemente senza conflitti, con quelli nuovi propri della società dei consumi. Naturalmente, questo processo di omogeneizzazione culturale non è privo di discontinuità e non si può certo considerare pienamente raggiunto, nondimeno la televisione fornisce agli italiani modelli di lettura e interpretazione della

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realtà politica e sociale che, per una parte significativa di essi, finisce per condizionarne gli orientamenti elettorali110.

Non essendo tema d'indagine in questa sede, mi limito a riferire un aneddoto che può aiutare a comprendere la supremazia della televisione su tutto il dispiegamento di forze messo in campo dal Siuplas. L'11 giugno del 1967, il produttore cinematografico Dino De Laurentiis scrive una lettera al segretario della Dc Mariano Rumor, nella quale avanza una proposta per una trasmissione televisiva111. L'obbiettivo è indubbiamente ambizioso: raccontare agli italiani gli ultimi vent'anni della vita nazionale. De Laurentiis ritiene che a riguardo vi sia, nel paese, un deficit conoscitivo diffuso di cui è facile spiegare il motivo: «Chi si è mai preoccupato di spiegare agli italiani i momenti storici che essi hanno vissuto illuminando dall'interno i grandi personaggi che hanno fatto la storia, dandone la motivazione psicologica e morale, la dimensione umana?». Quello che il produttore sembra avere in mente è un grande spettacolo popolare, rivolto soprattutto alle generazioni nate del dopoguerra e vede nella televisione un veicolo più valido del cinema per raggiungere un pubblico più ampio possibile. Nonostante il progetto sia a una fase di sviluppo embrionale, De Laurentiis precisa con chiarezza quali debbano essere i punti fermi nel rievocare il cammino dell'Italia dalle macerie alla prosperità, ossia “personaggi” e “trame” in cui gli spettatori possano immedesimarsi. Gli italiani devono, infatti, sentirsi protagonisti della storia narrata e della Storia, sullo schermo devono vedersi vivere:

Non è certo la prima volta che si tenta di riepilogare gli avvenimenti postbellici per arrivare a una sorta di bilancio dello stato democratico. Quasi sempre però si è finito col mettere in fila una serie di opere, di realizzazioni, di impegni, staccati dal contesto sociologico. Come se fossero sempre esistite due storie parallele e distinte: la storia ufficiale e la storia ufficiosa; la storia maggiore e la storia minore; la storia dei partiti, delle idee, dei programmi, dei governi e dell'apparato statale da una parte, e la storia degli italiani dall'altra.

Piuttosto vaghe, sotto il profilo produttivo, risultano le indicazioni relative a format e numero di puntate, De Laurentiis si limita a ipotizzare una galleria di ritratti di gente comune e esponenti del governo, in un montaggio alternato di materiali di repertorio e riprese originali. Ma forse, questi sono dettagli di cui non gli preme dare conto al suo interlocutore, preferendo richiamarne l'attenzione su altri aspetti quali la necessità di intrattenere lo spettatore di modo che sia «portato così a certe conclusioni politiche automaticamente e piacevolmente, senza accorgersene». Lo sguardo, infatti, non si rivolge esclusivamente al passato e la memoria deve essere la base per interpretare la realtà perché «la conquista della democrazia è un processo che non si conclude mai».

110 G. Guazzaloca, Una e divisibile. La RAI e i partiti negli anni del monopolio pubblico (1954-1975), Firenze, Le

Monnier, 2011.

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L'ipotetica data di messa in onda non viene specificata, è però facilmente intuibile che tale operazione venga intrapresa in previsione delle elezioni politiche del 1968. Diversi mesi dopo, De Laurentiis scrive nuovamente a Rumor112, confermando la sua disponibilità a ideare e produrre un programma televisivo per la primavera. In luogo del precedente progetto, accantonato in quanto troppo complesso per essere realizzato in tempi ristretti, propone una serie di short sul modello di «Carosello» nei quali, sfruttando la brevità della durata per potenziare l'efficacia messaggio, un volto noto – viene fatto il nome di Alberto Sordi – orienta, direttamente o indirettamente, lo spettatore. Onde prevenire obiezioni circa l'inattuabilità della sua proposta, De Laurentiis invita addirittura a prendere in considerazione l'idea di modificare il regolamento televisivo.

Non è dato sapere se si tratta di una iniziativa personale del noto produttore o se tragga invece origine da una sollecitazione proveniente da ambienti politici, così come rimangono ignoti i motivi per i quali poi, nei fatti, non si concretizza113. Più che per la disinvoltura con la quale De Laurentiis elabora un'operazione di propaganda per una precisa parte politica sulla rete televisiva pubblica, l'episodio è interessante perché rivela un sostanziale disconoscimento dell'impegno che il governo ha profuso da almeno quindici anni nella comunicazione pubblica per mezzo del Siuplas. Nella sua valutazione, certo appena abbozzata, De Laurentiis si sofferma soltanto sugli aspetti formali, individuando il problema maggiore nella sovrabbondanza espositiva di dati e nell'assenza di una narrazione forte. Si tratta di una critica non priva di fondamento, ancorché eccessivamente severa, ma più che spiegare le cause descrive una delle conseguenze. Come si è visto, a monte vi è la perdurante difficoltà, e forse l'impossibilità, di riformulare un apparato che eredita le proprie attribuzioni da un precedente dicastero fascista, rendendolo realmente efficace nel nuovo scenario politico.

Appendice

Evoluzioni strutturali del Servizio Informazioni