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La mobilitazione del comune

“Tutte le volte che si entra in una regione dove sta nascendo una grande rivolta, si è sempre colpiti dalle forme comuni del vestire, dagli stessi gesti e dai

364 Ivi, p. 230.

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medesimi modi di rapportarsi e di comunicare366”. I due autori definiscono questi elementi di stile sintomi esteriori dei sogni e dei desideri comuni, di un potenziale comune che viene mobilitato nel movimento. La mobilitazione conferisce al comune una nuova intensità e il conflitto diretto con il potere porta poi ad un livello ancora più alto: dalle lotte emerge una nuova umanità367.

Inoltre il comune è mobilitato nella comunicazione tra una rivolta e l'altra. L'espansione geografica dei movimenti viene a prendere la forma di un “circuito

internazionale di lotte”, in cui queste ultime si

propagano da un contesto locale all'altro attraverso la condivisione delle pratiche e dei desideri comuni.

Gli autori prendono come esempio le rivolte degli operai di fabbrica dilagate in Europa e in Nord America tra il XIX e il XX secolo e le guerriglie e le lotte anticoloniali che sono esplose in Asia, in Africa e in America Latina intorno alla metà del XX secolo368.

Non dovrebbe essere motivo di sorpresa il fatto che “l'eccedenza” espressa da ogni ciclo di lotte possa apparire come qualcosa di terrificante, specialmente a chi detiene le redini del potere. “I governatori e i capitani dell'espansione britannica del XVII e del

366 Ivi, p. 248. 367 Ibidem. 368 Ivi, p. 249.

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XVIII secolo, descrivevano il ciclo delle rivolte dei marinai e degli schiavi ricorrendo al mito di Ercole e dell'Idra dalle cento teste. Le ribellioni apparivano mostruose e non appena si riusciva a reprimerne una, ne sorgevano almeno altre due. Ogni ciclo di lotte distrugge i corpi sociali e politici tradizionali e crea al loro posto qualcosa di nuovo e di aberrante, un mostro369”.

Dopo l'esplosione generale delle proteste degli operai di fabbrica, degli studenti nel '68, sono passati molti anni senza che avvenisse un nuovo ciclo internazionale di lotte. In questo intervallo ci sono state parecchie rivolte, alcune delle quali molto violente, come l'Intifada palestinese, il movimento femminista, le lotte contro l'apartheid in Sud Africa. Tuttavia nessuna di queste ha mai acceso un ciclo in grado di mobilitare il comune a livello globale.

Solo alla fine degli anni Novanta, è finalmente iniziato una nuova fase di lotte mondiali che hanno ad oggetto le tematiche della globalizzazione. L'incipit è nelle manifestazioni di protesta contro il Summit del

Wto a Seattle nel 1999: manifestazioni che non soltanto

hanno avuto seguito nelle proteste in occasione di molti meeting tenutisi negli anni successivi in America del Nord e in Europa, ma hanno anche rivelato le vere origini delle lotte che si erano già verificate nel Sud del

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mondo contro le politiche del Fmi, della Banca mondiale e del Nafta. Un ciclo di rivolte che si è consolidato insomma in occasione degli incontri annuali del World Social Forum, dove le Ong e gli intellettuali si incontrano per scambiare le loro opinioni sui problemi attuali della globalizzazione.

Il culmine di questo ciclo si è raggiunto il 15 febbraio 2003 con le manifestazioni di opposizione alla guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq: quel giorno milioni di persone hanno marciato in centinaia di città sparse in tutto il mondo. E in effetti “la guerra contro l'Iraq rappresentava l'ultimo esempio concreto della natura di quel potere globale contro cui si era costituito il ciclo di lotte; sono state le strutture organizzative e la comunicazione messe in piedi grazie alle lotte che hanno reso possibile una mobilitazione massiccia e coordinata contro la guerra370”.

Ciò che viene sottolineato da Negri e Hardt è che il nuovo modello della moltitudine trascende i vecchi paradigmi dei movimenti antagonistici, o meglio, più che negarli, dà loro nuova vita e una forma differente. “Durante le manifestazioni del 1999 a Seattle ciò che sconcertava gli osservatori era il fatto che i gruppi che si riteneva fossero in aspro contrasto tra loro – i sindacalisti e gli ambientalisti, i gruppi religiosi e gli anarchici e così via - agivano insieme senza alcun

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bisogno di una struttura centrale unificante che subordinasse le loro peculiarità o che li costringesse a metterle da parte371”. La moltitudine sostituisce la dicotomia tra identità e differenza con la coppia comune-singolarità, i cui termini non sono in

contraddizione, ma sono invece assolutamente

complementari.

Superfluo dire che questo ciclo globale di lotte appare inevitabilmente “mostruoso” agli occhi di molti, dal momento che mobilita il comune, mette in pericolo i corpi politici e sociali convenzionali e crea delle alternative. Subito dopo l'11 settembre, in molti hanno equiparato la mostruosità delle manifestazioni e dei movimenti antiglobal a quella degli attacchi terroristici: entrambi avrebbero fatto ricorso alla violenza per attaccare le strutture mondiali dominanti. Per Hardt e Negri ciò è assurdo, come assurdo è “accomunare la rottura delle vetrine del McDonald's nel corso di una manifestazione con l'assassinio di quasi 3.000 persone372”.

Il nuovo ciclo globale di lotte assume la forma di una rete molecolare e aperta, in cui non c'è alcun centro che eserciti il controllo. “Gli esperti di terrorismo dicono che anche Al Qaeda è una rete, e tuttavia dalle caratteristiche completamente opposte: una struttura

371 Ivi, p. 253.

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clandestina con una rigida organizzazione gerarchica e una figura centrale di comando.[…] Al Qaeda attacca il comando politico globale per resuscitare corpi politici e sociali regionali antidiluviani e sotto il controllo delle autorità religiose, mentre le lotte della globalizzazione sfidano il corpo politico globale per creare un nuovo mondo più libero e democratico. È evidente che tutti i mostri non sono uguali373”.

La mobilitazione del comune e il progetto politico della creazione della moltitudine devono essere però estesi in una dimensione molto più ampia, attraverso tutta la società. La democrazia è l'unico strumento in grado di consolidare il potere della moltitudine e a sua

volta la moltitudine fornisce una forma di

organizzazione che rende possibile realizzare la democrazia374.