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L'attuale stato di guerra non è minaccia solo di morte, ma comanda la nostra vita dominando la riproduzione di tutti gli aspetti del sociale. “È tempo di

passare dal biopotere alla produzione biopolitica.[...]

Il biopotere sovrasta la società e impone il proprio

306 Ivi, p. 50.

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ordine come un'autorità sovrana. La produzione biopolitica anima le interazioni e la totalità del sociale con la cooperazione tra le forme del lavoro. La produzione biopolitica ci fornirà il contenuto della nostra ricerca sulla democrazia e ci svelerà la base sociale sulla quale oggi può essere avviato il progetto della moltitudine308”.

Hardt e Negri affermano che la moltitudine, concepita come una molteplicità irriducibile, una rete aperta e in espansione in cui tutte le differenze possono liberamente esprimersi, va distinta dalle nozioni rappresentative di altri soggetti sociali, come il popolo, le masse e la classe operaia309.

“Del popolo si è sempre avuta una concezione unitaria. La moltitudine invece è intrinsecamente molteplice e costituita da un complesso di singolarità. Essa è composta da differenze di cultura, etnia, genere, stili di vita, che non possono essere mai ridotte a un'unità310”. Per Negri il destino del popolo è stato

308

Ivi, p. 119. “Il termine moltitudine è stato usato per la prima volta in Europa, sembra, dal filosofo tedesco Spinoza. Il suo sinonimo, “gente comune”, usato nelle città dell'Ancien Régime, privava del potere e della partecipazione politica (riservata alla monarchia e all’aristocrazia), del potere economico (riservato alla proprietà feudale e alla nascente finanza, collocata sia in città che in campagna) e del potere sociale (riservato alla Chiesa e al clero)”. (Amin, op. cit.,p. 3)

309

Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 12. 310

Ibidem. Per Negri l'Uno, differente dal concetto di Unità inteso come processo di unificazione, è il principio della negazione di tutte le singolarità, di tutto ciò che è plurale. “Quando l'Unità viene intesa come un'azione diviene una pratica ontologica. L'Unità […] è un processo il quale implica un linguaggio, […] una molteplicità e […] una comunanza”. L'Uno invece è il nemico assoluto poiché cancella le differenze e distrugge le singolarità: “[…] è la matrice di ogni alienazione ed è essenzialmente negazione. La negazione non è azione, è un vuoto, uno iato, un niente, un principio di sottrazione”. (Negri, Il ritorno, cit., p. 200).

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quello di rappresentare, nel corso della modernità, una

riduzione ipostatica della moltitudine. In particolare, la

sovranità ha riconosciuto nel popolo la sua base e ci ha

trasferito la sua immagine 311 .“L'inganno della

rappresentanza politica è stato tramato attraverso i concetti di rappresentanza e di popolo. Ma dov'è mai finito il popolo sovrano? Si è perduto nelle nebbie dell'Impero; la sua composizione è stata annullata dalla corruzione della rappresentanza. Davanti a noi non c'è altro che la moltitudine312”.

Da parte loro, anche le masse si differenziano dalla moltitudine, in quanto possono essere ridotte a un'identità sola. Esse assorbono le differenze e sono capaci di muoversi all'unisono perché formano un agglomerato uniforme e indistinto, mentre nella moltitudine le differenze sociali restano differenze313.

Allo stesso modo, infine, occorre distinguere la moltitudine anche dalla classe operaia, perché “con

quest'ultima vengono identificati i lavoratori

dell'industria, a esclusione di tutte le altre classi lavoratrici. La moltitudine invece è un concetto aperto e inclusivo: è potenzialmente composta da tutte le

differenti figure della produzione sociale 314 ”.

311

Negri, Il ritorno, cit., p. 140. 312

Ibidem.

313 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 12. 314

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Se, del resto, nel XIX e XX secolo si riteneva che la classe operaia fosse l'unico soggetto in grado di lottare contro il capitale, tutte le forme del lavoro sono oggi socialmente produttive e possiedono un'uguale opportunità di resistenza al dominio del capitale. “La moltitudine fa sì che il concetto di proletariato guadagni la sua definizione più piena, comprendendo tutti coloro che lavorano e producono sotto il comando del capitale315”.

Proprio per ciò il concetto di moltitudine è stato visto come un passo avanti rispetto alla tradizione marxista, l'abbandono di un’espressione obsoleta, che non riesce ad abbracciare interamente la complessità dell'esperienza sociale contemporanea, con riguardo a coloro che si oppongono alla ricchezza e alla

potenza 316 : la moltitudine come una sorta di

popolazione gramscianamente subalterna “che non

possiede unità, ma che è l'insieme della forza creativa del lavoro.[….] Se questa forza lavoro non è più una classe, essa è tuttavia una potenza produttiva poderosa. La lotta della classe operaia non funziona più granché,

315

Ivi, p. 131. 316

F. Fukuyama, An antidote to Empire, in “The New York Times”, 25.7.2004. Contro l'uso del termine moltitudine si schiera invece Samir Amin: “Questo termine diventa pericolosamente ingannevole. Per quanto mi riguarda ho proposto una interpretazione differente da quella dei due filosofi, che ho chiamato proletarizzazione generalizzata del mondo contemporaneo […] Una quota sempre crescente di lavoratori non sono altro che venditori della propria forza lavoro, sia direttamente, quando sono dipendenti della società, o indirettamente, quando sono ridotti al rango di subappaltatori. Numerose imprese producono prodotti e servizi con lavoratori che di fatto appartengono al proletariato generalizzato. Oggi tutti i lavoratori vendono il loro potere, incluso quello cognitivo se necessario”. (Amin, op. cit.,pp. 2- 3).

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ma la moltitudine ne ha ricevuto l'eredità e si presenta ora come il soggetto attuale della lotta di classe: per essere tale, la moltitudine sa di essere il soggetto più produttivo che ci sia mai stato317”.

La folla, la plebe e la massa possono produrre effetti sociali ma, non riuscendo a coordinarsi e ad agire accordandosi di loro iniziativa, sono facilmente condizionabili dall'esterno.

Al contrario, la moltitudine opera sulla base di ciò che le singolarità hanno in comune: in sfida a quello che è il luogo comune della sovranità, ossia che qualsiasi potere sovrano si struttura necessariamente come un corpo politico, con solo una testa al comando e gli altri che obbediscono. La moltitudine infatti è in grado di agire in comune e autogovernarsi ed è l'unico soggetto sociale capace di attuare la democrazia, il potere di tutti esercitato da tutti. Essa incarna un dispositivo capace di potenziare il desiderio e di trasformare il mondo. “Vuole creare il mondo a sua immagine e somiglianza come un vasto orizzonte di soggettività che si esprimono liberamente e che costituiscono una comunità di persone libere318”.

Nella prospettiva socio-economica319 a cui l'analisi di Hardt e Negri si ispira, è destino che il capitale

317 Negri, Il ritorno, cit., p. 140. 318

Ivi, p. 141. 319

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cerchi di ridurre la moltitudine a un'unità organica e allo stesso modo che lo Stato cerchi di trasformarla in un popolo. Così emerge la figura biopolitica della

moltitudine. “Quando la moltitudine è imprigionata e

poi trasformata nel corpo del capitale globale, essa si ritrova dentro e, al contempo, contro i processi della globalizzazione capitalistica. La produzione biopolitica della moltitudine tende a mobilitare quello che condivide e che produce in comune contro il potere imperiale del capitale globale. Col tempo la moltitudine può attraversare l'Impero per giungere a esprimersi autonomamente e ad autogovernarsi320”.

C'è in queste conclusioni il segno di un forte coinvolgimento ideologico che non può essere apprezzato da chi, pur riconoscendo ai suoi autori non solo il merito di aver svecchiato il linguaggio politico ma anche la capacità di aver anticipato, ben prima dell'11 settembre e della guerra in Iraq, l’idea della formazione di un “Impero moderno”, ritiene che in fondo, nel loro approccio alla politica e all’economia,

nulla cambia rispetto alla dottrina marxista. Vi è pertanto dell'utopismo, nella concezione che le

gerarchie dovrebbero essere abolite a favore di una rappresentazione dei vari network, nei quali si riflettono al contempo la comunanza e le singole peculiarità della moltitudine. “Il progresso deve essere

320

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raggiunto non con un sogno utopico, ma con una lunga marcia attraverso le istituzioni 321 ”. Questa, per Fukuyama, la via pragmatica di un compromesso che

miri ad eliminare le disuguaglianze della

globalizzazione partendo dal rafforzamento degli stati- nazione.