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Con il saggio Proletari e Stato, Negri inizia a discutere le ipotesi e la pratica del compromesso storico. Punto centrale della polemica è dunque l'analisi delle classi, come condizione affinché al sostanziale interclassismo, sul quale si è appoggiato la politica del compromesso storico, si contrapponga un'indagine che riesca ad individuare il processo di trasformazione che sta avvenendo entro la classe operaia62.

Lungo l'arco degli anni Settanta, Negri è impegnato a delineare la figura dell' operaio sociale, che prende il posto dell'operaio-massa degli anni Sessanta63.

L'evoluzione da operaio-massa a operaio sociale enfatizza la disconnessione avvenuta fra “lo sviluppo

62 A. Negri, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 5-9.

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Ecco come, in Proletari e Stato, del 1976, Negri delinea il passaggio dal tramonto dell'operaio-massa all'alba dell'operaio sociale: “[….] la categoria classe operaia va in crisi ma continua a produrre tutti gli effetti che gli sono propri sul terreno sociale intero.[….]Dopo che il proletariato si era fatto operaio, ora il processo è inverso: l'operaio si fa operaio terziario, operaio sociale, operaio proletario”.(Ivi, cit., p.15). Nel teorizzare il passaggio dall'operaio-massa all'operaio sociale, l'intento di Negri di avvalersi del metodo operaista delineato in Operai e Capitale è evidente. Ma allora che cosa emerge nell'operaio sociale di così radicalmente divergente dalla precedente analisi operaista della composizione di classe? É il termine stesso “operaio sociale”, come del resto anche “fabbrica sociale”, che lo spiega: è un ossimoro, sosterrebbe Tronti, per il quale la classe operaia e la fabbrica si oppongono radicalmente ad ogni dimensione sociale e a ogni possibile assorbimento nella società. “Per Tronti la società è la dimensione dell'ideologia borghese che neutralizza il conflitto e l'antagonismo. Magari anche Tronti ha riconosciuto il dissolversi della fabbrica nella società, ma a differenza di Negri, vi ha visto il tramonto definitivo della classe operaia e non, con la sua proletarizzazione, una nuova potenzialità politica. [....] La politica si poteva fare nella fabbrica in quanto luogo in cui si concretizzava la contrapposizione amico-nemico, ma non nella società che invece è esattamente il suo opposto, ovvero il non-luogo”. (Gentili, op. cit., p. 72).

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della ricchezza generale” e “il plusvalore della massa”, anzi richiama l'attenzione - come scrive Marx - sul fatto che “il furto del tempo di lavoro altrui, su cui riposa la ricchezza odierna, appaia una base miserabile rispetto a questa nuova base che è stata sviluppata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande sorgente della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio [la misura] del valore d'uso64”.

Facendo riferimento al Capitolo VI inedito del I libro del Capitale di Marx, Negri interpreta il nesso tra la fabbrica e la società in chiave di estensione della cooperazione produttiva, di formazione di un lavoratore collettivo che fa venire meno la distinzione

tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo 65 .

Sottolinea cioè che, quando il comando d’impresa si estende alla società e il lavoro produttivo si identifica con il lavoro salariato, sorge la fabbrica diffusa ed emerge la figura dell’operaio sociale: in reazione alla caduta del saggio di profitto, il capitale è costretto a diffondere il processo di valorizzazione alla società, anche se questa valorizzazione non può ristabilire

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K. Marx, Frammento sulle macchine, in “Quaderni Rossi”, 4 ,1964, p. 298; è la traduzione (a cura di R. Solmi) dei Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, proposta a Renato Solmi da Raniero Panzieri, che nello stesso numero interviene a commento dei Grundisse. Il testo è stato richiamato anche da R. Mordenti, L'Università struccata. Il movimento dell'Onda tra Marx, Antonio Negri e il prof. Perotti, Punto Rosso, Milano, 2010, p. 124.

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margini adeguati di profitto, perché la diffusione del comando di impresa è anticipata dall’estensione dei

comportamenti antagonisti dell’operaio-massa.

Sta di fatto che, con l’estensione della relazione salariale a tutta la società, viene meno la contrapposizione tra essa e la fabbrica: la società non è più il luogo della passività e della disgregazione, ma diventa il terreno privilegiato del conflitto.

La compenetrazione tra struttura e sovrastruttura nell’analisi di Negri diventa totale, la sfera della circolazione e quella della produzione si unificano nella dimensione della riproduzione. Lo scontro prefigurato in Operai e Capitale tra fabbrica e società capitalistica si ridisegna come scontro tra il lavoro sociale e lo Stato rappresentante del capitalista collettivo. Il comando d’impresa, sganciato dal valore, diventa mero rapporto di forza, disegno soggettivo e arbitrario di dominio; il capitale è considerato volontà di potere, autonomia del politico. Questa è perciò la convinzione di Negri, che “la critica dell’economia politica è immediatamente critica dell’amministrazione, della Costituzione, dello Stato66”: un passaggio che dimostra fino a che punto egli, a distanza di anni, continui ad avere in Tronti un indiscusso punto di riferimento.

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A. Negri, La forma Stato. Per la critica dell’economia politica della Costituzione, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 18.

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Intervenendo nel ’72 ad un seminario di Scienze Politiche presso l’Università di Torino, Tronti precisava che, dopo l’esperienza del New Deal e la nascita del partito di massa, i rapporti di produzione si erano politicizzati e lo schema di sviluppo dall’economico al politico, dalla fabbrica allo Stato, non funzionava più67. Denunciava dunque l’assenza di una teoria marxista della politica, confinando il pensiero di Marx in un’epoca di capitalismo “liberale” ormai superato e proponendo un rinnovamento delle strategie e dei compiti del movimento operaio attraverso l’indagine di un nuovo oggetto specifico: l’autonomia del potere nei confronti della società.

“Quando allo sviluppo succede la crisi, lo Stato e il partito sostituiscono la fabbrica come terreno espressivo della potenza politica operaia e il dualismo di potere riguarda il rapporto tra la società e lo Stato piuttosto che il rapporto tra la fabbrica e la società68”. Deriva direttamente da qui la tesi negriana della fine di ogni distinzione possibile fra i luoghi della produzione e i luoghi della riproduzione, fra fabbrica, università e metropoli capitalistica. “Investite dal lavoro materiale e

67 M. Tronti, Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano, 1977, pp. 38-40. R. Mordenti, in L'Università struccata, op. cit., p. 125, fa l'ipotesi che al fordismo-taylorismo sia succeduto un modo di produzione che abbia costituito un'epoca nuova, quella del capitalismo cognitivo. Secondo Mordenti, qui verrebbero messe a valore non più la forza lavorativa muscolare o nervosa degli operai, ma delle generiche capacità relazionali, comunicative, organizzative, per le quali viene anche evocato il concetto foucaltiano di bio-politica. La forza produttiva insomma sarebbe diventata sempre più immateriale, quando non fosse ormai puramente intellettuale.

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cognitivo, attraversate da correnti tecnologiche e finanziarie, le città si sono trasformate in luoghi di produzione: flussi di conoscenza e di sapere che ci si accumulano e costituiscono un bene comune69”.

Quando nel ’73 il segretario del PCI Berlinguer lancia la proposta del compromesso storico tra il Pci e la Democrazia Cristiana, la risposta di Negri è che in quella scelta c'è la rinuncia alla lotta per la conquista del potere che aveva caratterizzato gli esordi del partito comunista d'Italia guidato da Gramsci negli anni '20.

“Sulla scala del progetto capitalistico di

ristrutturazione dei rapporti di produzione, il compromesso sembra infatti progetto subalterno e inefficace70”. Secondo Negri, rispetto ai bisogni del proletariato e alla richiesta di comunismo da parte delle masse, parlare di compromesso storico è “recedere dalla storia alla preistoria71”: un passo indietro che sembra rifarsi alla “svolta di Salerno” di togliattiana memoria.

Gli obiettivi politici dichiarati da questo patto politico sono tre.

Il primo è il passaggio senza lotte o scontri al socialismo, inserendo le rappresentanze popolari nello Stato per controllare i movimenti di classe, cioè

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A. Negri, Metropoli e moltitudine, in Dalla fabbrica alla metropoli, Saggi politici, Roma, 2008, p. 9. 70 Negri,Proletari e Stato, cit., p. 25.

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riconoscendo al sindacato un importante ruolo di controllo del meccanismo di produzione. In secondo luogo, quello di organizzare, attraverso il partito, gli enti locali e territoriali per riorganizzare i rapporti di produzione. Per ultimo, quello di ridistribuire non tanto i redditi, quanto la capacità produttiva a favore della parte pubblica e del ceto politico-economico amministratore del sistema statale72.

Niente di tutto ciò è in realtà possibile, perché non si può più parlare di operaio professionale, né tantomeno di un'applicazione della sua logica produttiva o dei suoi valori – programma che il

compromesso storico, in maniera del tutto

anacronistica, si propone di portare avanti. “Il socialismo - se fosse possibile - sarebbe oggi

patrimonio dei padroni, crisma della produttività sociale del capitale. Di fatto il socialismo è stato distrutto come possibilità dello sviluppo capitalistico nel suo violento interscambio con la lotta di classe operaia, e quindi è stato tolto dal novero delle opportunità di ristrutturazione73”.

Dunque, il modello proposto dall'ideologia del compromesso storico è lo stesso dello Stato-piano, nel quale gli operai partecipano al proprio sfruttamento: paradigma che la lotta proletaria è riuscita a

72 Ivi, pp. 25-26.

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sconfiggere nei paesi a capitalismo avanzato nei quarant'anni precedenti74. È un fatto peraltro che, dopo la proposta del compromesso storico, i successi elettorali del ’75 e del ’7675

sembrano indicare nel più forte partito comunista occidentale il destinatario privilegiato della domanda di cambiamento che sale dal ciclo di lotte operaie e studentesche.

L'Operaismo di destra riformula in termini più spregiudicati, decisionisti ed elitari il primato togliattiano della politica. “Tronti progetta la costruzione di una teoria operaia della politica adeguata ad una fase di crisi dello sviluppo e di protagonismo dello Stato. Cacciari desidera ricavare dalla distruzione di ogni ordine logico, il primato di una decisione politica sempre più sganciata dai rapporti sociali di produzione. Asor Rosa riscopre le virtù della

politica rappresentativa, rivaluta le divisioni

tradizionali del lavoro e del sapere, riabilita la figura dell’intellettuale specialista. Se la politica è borghese, come la cultura, va concepita come competizione fra élite, gioco di potere nella sfera delle istituzioni rappresentative76”.

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Ivi, p. 27. 75

Nelle elezioni politiche del 1976 infatti il Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer, sfiora il sorpasso ai danni della Democrazia Cristiana con il risultato più alto della storia (34,37% di voti contro il 38,71%). Dati del Ministero dell’ Interno reperibili seguendo il link: http://elezionistorico.interno.it/index.phptpel=C&dtel=20/06/1976&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0= 0&es0=S&ms=S.

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Secondo Negri invece, lo Stato contemporaneo è l'avversario, anzi il nemico più forte della lotta della classe operaia, poiché nello Stato è insito il capitale stesso e del capitale lo Stato porta avanti le istanze, facendo sì che la lotta di classe operaia divenga lotta contro lo Stato. Questa è la “nuova forma della contraddizione marxiana fondamentale77”.

Non solo, ma un altro aspetto della lotta della classe operaia è cambiato. Secondo l'autore, già dal 1963 è in atto in Italia un processo di ristrutturazione produttiva, che si è accelerato dopo l'ondata di lotte del 1969. Questo processo mira ad incrementare la forza del comando capitalistico, aumentando la flessibilità della forza-lavoro: in tal senso si rivelano fondamentali provvedimenti quali l’aumento del peso del settore di beni strumentali (motori, tecnologia, cibernetizzazione) o la riorganizzazione interna dell'industria (processi di decentramento delle lavorazioni, ecc.). In definitiva, la ristrutturazione in corso pone tre obiettivi principali: la socializzazione, la terziarizzazione e la flessibilità (decentramento) del lavoro industriale78. L'impatto sulla condizione lavoratrice è destinato a farsi sempre più evidente nella crisi, a cominciare dalla distruzione dell'immagine dell'identità operaia. “Separazione fra operai occupati e disoccupati, fra operai delle grandi e

77 Negri, Proletari e Stato, cit., p. 32. 78

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delle piccole fabbriche, ulteriore selvaggia

proletarizzazione di strati sociali del lavoro.[...]Ricatto e obbligo del lavoro industriale si articolano in forma terroristica: un blocco omogeneo di forze politiche ripropone, attraverso la ristrutturazione, la coercizione al lavoro salariato79”.

É vero peraltro che la ristrutturazione e la crisi hanno agito anche positivamente, aumentando il processo dell'autonomia proletaria. Negri porta ad esempio la cassa integrazione, che mostra all'operaio la comunanza di interessi con un disoccupato; o il decentramento, che assimila l'operaio della grande fabbrica all'operaio della piccola; le divisioni per sesso, età o razza, che hanno fatto comprendere alle donne, ai giovani e a tutte le minoranze l'illusorietà e l'inganno del progetto capitalistico e hanno spinto l'intero proletariato alla ribellione80.

Dunque, la coscienza politica di classe non nasce più solo dall'antagonismo, ma anche dalla esigenza di emancipazione e di affrancamento. Nelle parole di Negri, “finalmente la lotta di classe operaia si mostra sempre più come lotta di liberazione81”.

Resta il fatto che il processo di ristrutturazione è fallito: soprattutto, è in difficoltà il progetto

79 Ivi, p. 35. 80 Ivi, pp. 36-37. 81 Ivi, p. 38.

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capitalistico di controllo del mercato mondiale.

“Nei paesi capitalistici intermedi la crisi è stata, se si vuole, ancora più pesantemente fallimentare.[...] Nei paesi guida del terzo mondo la spinta proletaria non solo non accenna a placarsi ma insiste continuamente sulla rottura della qualificazione moderata del riformismo. Infine nei paesi emarginati[...]si cercano urgentemente vie d'uscita, con un continuo rilancio di ipotesi rivoluzionarie e di accordi politici[…]: qui la risposta è solo la dittatura, la distruzione e fame82”.

Posta questa premessa, qual è per il Negri del periodo dell'Autonomia la prospettiva generale del progetto rivoluzionario?

Egli è convinto che concetti come la

riappropriazione operaia e proletaria delle forze produttive e il sistema di lotta nella conquista del potere siano fondamentali in questo passaggio 83 , nonché che tutto ciò sia in continuità con la lezione di Marx, poiché i medesimi concetti sono trattati nei

Lineamenti e nei volumi de Il Capitale. Una volta realizzata la rivoluzione, sconfitti al tempo stesso comando del capitale e miseria proletaria, la classe operaia si riappropria delle forze produttive della ricchezza sociale84. Lo stesso concetto di dittatura del

82 Ivi, pp. 60-61. 83 Ivi, p. 50. 84 Ivi, p. 51.

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significato, se ad esso fosse sottratto il rapporto con la riappropriazione diretta.

Il compromesso storico distrugge tutto questo ed è estraneo al lessico e alla logica marxista: “[…] perché non si vuole la dittatura del proletariato, cioè l'appropriazione diretta da parte operaia delle forze produttive,[...] il trasferimento dai partiti agli organi di democrazia proletaria della legittimazione materiale alla gestione del potere85”. Tale rifiuto della dittatura del proletariato ha messo in contrapposizione forze del

compromesso storico e forze proletarie. Dopo la

stagione di lotte del '68-'69, la volontà di riappropriazione è divenuta parte integrante della condotta delle masse, un assetto fondamentale della classe operaia86. “Pensare a un passaggio diverso è pura illusione, rischio di sconfitta, quando non sia mistificazione e tradimento. È socialfascismo puro e semplice87”. 85 Ivi, pp. 51-52. 86 Ivi, p. 52. 87 Ibidem.

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