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Nella parte finale del saggio Hardt e Negri, confermando la loro attenzione alle moltitudini dei «vinti», aprono una finestra di riflessione su «nuovi mondi possibili», forme alternative e antagoniste nei confronti della società del controllo con particolare riferimento al tema della militanza e a San Francesco d'Assisi. Contro la corruzione e la violenza del potere,

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essi propongono infatti un comunismo contemporaneo di tipo francescano; al principio negativo di morte e di ferocia del capitalismo contemporaneo oppongono la gioia della resistenza della moltitudine dei poveri e degli sfruttati.

Il militante di oggi non ha nulla a che vedere con lo “stile dell'agente triste e ascetico della Terza Internazionale, la cui anima era profondamente influenzata dalla ragion di stato sovietica276”: piuttosto si ispira a una figura di combattente comunista e liberatore sul modello degli intellettuali perseguitati ed esiliati durante il fascismo, i repubblicani della guerra civile spagnola, i membri della resistenza antifascista e coloro che lottarono per la libertà nelle guerre anticolonialiste e antimperialiste.

“Oggi, la militanza è una pratica positiva, costruttiva e innovatrice. I militanti resistono al comando dell’Impero creativamente 277 ”. Di qui il confronto con San Francesco: questi infatti denunciò e nel contempo adottò la povertà della moltitudine del suo tempo come regola del suo ordine mendicante, indicando in esso la potenza ontologica di una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso nel momento in cui identifica nella condizione comune della moltitudine la sua ragione di vita. “Francesco rifiutava

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Ivi, p. 380. 277

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ogni disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne, egli contrapponeva una vita gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura. Nella postmodernità, ci troviamo ancora nella situazione di Francesco, a contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere278”.

278 Ivi, p. 382. Una conclusione, questa, che ai critici più radicali di Negri è apparso un risultato deludente. “L’involontaria accettazione dell’idea secondo cui il sistema è almeno per il momento invincibile”. (Boron, op. cit., p. 118). Da parte sua Terry Eagleton, critico letterario inglese, interpreta Impero come una forma di “pessimismo libertario”. Pessimismo perché il sistema appare come onnipotente e dominatore, libertario perché consente comunque di sognare, senza che questo implichi agenti in carne ed ossa capaci di mettere in pratica tali illusioni. “Il sistema si trova ovunque e cancella la distinzione tra fuori e dentro: ciò che sta dentro fa parte dei suoi ingranaggi ed è complice; ciò che sta fuori è importante per piegarlo”. (T. Eagleton, “Where do postmodernists come from?”, in E. Meiksins Wood e J. Bellamy Foster, in Defense of History, Monthly Review Press, New York, 1997, p. 1). Le forze dell'ordine e della conservazione sarebbero più potenti ed efficaci di quelle che sarebbero chiamate a demolire l'Impero: contro il potere delle bombe e del denaro, si alza l'eroe terzomondista. “Le classi e il popolo, categorie d'inclusione dell'epoca in cui probabilmente esistevano ancora un capitalismo nazionale e lo stato-nazione, si volatilizzano nell'opera di H&N e lasciano spazio alla negatività ricca di speranze della moltitudine”. (Ivi, p. 21).

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MOLTITUDINE

“La possibilità di una democrazia globale sta emergendo solo oggi per la prima volta. Questo libro verte su questa possibilità, che chiamiamo progetto della moltitudine279”. Così comincia la nuova opera di Antonio Negri e Michael Hardt, Moltitudine, guerra e

democrazia nel nuovo ordine imperiale, descritta come

il seguito di Impero.

Impero era stato salutato come il nuovo tentativo di

interpretazione dell'epoca moderna, per la visione di un mondo in cui il sistema degli stati-nazione ha ceduto la sua egemonia a una rete di potere che comprende i principali stati nazionali, le istituzioni come Banca mondiale e Fondo monetario e le maggiori imprese capitalistiche.

In Moltitudine Hardt e Negri suggeriscono che gli individui, che vivono nel mercato globale e ne subiscono le ineguaglianze - la moltitudine come l'alternativa vivente che cresce all'interno dell'Impero - possono trarre vantaggio dalle trasformazioni apportate dall'Impero per sovvertirlo. La globalizzazione, infatti, ha due volti: uno è quello dell'ordine imperiale, delle sue gerarchie, dell'omologazione; l'altro è la possibilità di nuovi circuiti di informazione e collaborazione che

279 A. Negri, M. Hardt, Moltitudine: guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, trad. it. di A. Pandolfi, Rizzoli, Milano, 2004, p. 9.

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attraversano le nazioni e i continenti, facilitando un illimitato numero di incontri280. Sul cammino della democrazia, tuttavia, c'è un ostacolo imminente: la guerra, in forma permanente, globale e inevitabile, che lo Stato usa come forma di dominio.

Moltitudine è stato scritto, in gran parte, tra l'11

settembre 2001 e il conflitto in Iraq del 2003: per questo la prima sezione è tutta dedicata all'esame della guerra postmoderna e delle sue contraddizioni. La sezione centrale illustra la natura della nuova classe globale che si sta costituendo, cioè la moltitudine. L'ultima parte sconfina nell'utopia, o piuttosto nell'immaginario del futuro possibile, la democrazia: la quale, ancorché possa apparire una prospettiva remota, è la sola risposta alle questioni più pressanti del presente, l'unica via d'uscita dall'angoscia della guerra perpetua281.

Così Negri e Hardt descrivono appunto il loro itinerario di ricerca: “Sarebbe impossibile iniziare il nostro libro dal progetto della moltitudine e dalle possibilità della democrazia. Dobbiamo invece prendere le mosse dall'attuale stato di guerra e dal conflitto globale in corso, che è l'ostacolo più insormontabile sul cammino della democrazia e della liberazione.[…]Nostra responsabilità sarà quella di

280 Ivi, p. 11.

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convincere i lettori che la democrazia della moltitudine non è soltanto necessaria, ma è anche possibile282”.