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La marcia della democrazia

Se in passato si riteneva che la fine della Guerra fredda avrebbe significato la vittoria finale del sistema democratico375, oggi, sostengono gli autori, assistiamo a una crisi senza precedenti del concetto stesso di

373

Ibidem. 374 Ivi, p. 255. 375

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democrazia376. In molte parti del mondo le istituzioni democratiche, a partire dai sistemi elettorali su cui si fondano, sono messe quotidianamente in discussione.

Per gran parte della seconda metà del XX secolo, secondo Hardt e Negri, l'idea di democrazia si è legata all' ideologia della Guerra fredda: perché sul fronte dell'Occidente, la democrazia, sinonimo del mondo

libero, era completamente assimilata con

l'anticomunismo. “Il termine democrazia aveva così

perso qualsiasi rapporto con una determinata forma di governo: qualunque Stato che facesse parte del baluardo contro il cosiddetto totalitarismo comunista

poteva essere classificato come democratico,

indipendentemente dal grado della sua effettiva democraticità377”.

Se nel mondo del post Guerra fredda, il concetto di democrazia è andato alla deriva, oggi ci sono speranze di restituirlo al suo più corretto significato originario.

La crisi attuale della democrazia non nasce solo dalla corruzione o dalle carenze delle istituzioni, ma anche dall'idea democratica in quanto tale, dall'incerto significato che questo termine può avere nel contesto di un mondo globalizzato: “Un primo indice della crisi può essere tratto dalla voluminosa letteratura

376 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 267. 377

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scientifica sulla natura della globalizzazione e sul rapporto tra democrazia e guerra globale378”.

In particolare è oggetto di discussione se la forma attuale della globalizzazione promuova e incoraggi o meno i poteri e le possibilità della democrazia nel mondo. Con l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre si ha una cesura fondamentale, perché con l'avvio della guerra al terrorismo, l'opinione pubblica si è nettamente divisa. Da una parte i fautori dei principi intangibili della libertà democratica, dall'altra i sostenitori delle ragioni della sicurezza e della stabilità, pronti a sacrificare a esse le garanzie acquisite. “Cerchiamo di classificare queste posizioni in base a quanto sostengono riguardo ai benefici che la globalizzazione porta alla democrazia e in base ai loro orientamenti politici generali. Ne risultano quattro diverse categorie e distinguono chi pensa che la globalizzazione favorisca la democrazia da quelli che invece ritengono che sia un ostacolo379”.

La posizione socialdemocratica insiste sui pericoli e sulle minacce alla democrazia380. In tal senso, gli Stati nazionali non dovrebbero sostenere le forze della globalizzazione, la cui ideologia contribuisce a paralizzare le strategie politiche democratiche a livello

378

Ibidem. 379

Ivi, p. 269.

380 Uno degli esempi più influenti di questa posizione socialdemocratica è quello di P. Hirst e G. Thompson, La globalizzazione dell'economia, trad. it. di M. Ramazzotti, Editori Riuniti, Roma, 1997.

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nazionale. Secondo i socialdemocratici “la

globalizzazione è in realtà un mito.[…] Le imprese transnazionali sono ancora poche e la maggior parte del commercio internazionale non è realmente globale ma è circoscritto agli scambi tra il Nord America, l'Europa e il Giappone.[…] Il mito dell'inesorabilità della globalizzazione è utilizzato per ostacolare i tentativi di regolazione dell'economia portata avanti dagli Stati nazionali e per facilitare l'approvazione dei programmi di privatizzazioni neoliberali, la distruzione del welfare e così via381”.I socialdemocratici ritengono che gli Stati debbano invece esercitare un maggior controllo sull'economia a livello sia nazionale che sopranazionale: secondo una strategia capace di risanare le funzioni democratiche che sono state corrose in materia di rappresentanza e di politiche

sociali. La verità è che una simile posizione

socialdemocratica è stata quella più indebolita dagli eventi succedutisi dopo l'11 settembre 2001: lo stato di guerra globale sembra infatti aver avvalorato la tesi dell'irreversibilità della globalizzazione.

L'interpretazione liberal cosmopolita ritiene al contrario che la globalizzazione alimenti la democrazia382. “Con ciò non vogliamo dire che gli

381

Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 269. 382

Per un'esemplificazione del cosmopolitismo liberale centrato sulla dimensione economica, si veda il libro in cui M. Moore ricostruisce il periodo in cui ha rivestito la carica di direttore generale del Wto: A World Without Walls: Freedom, Development, Free Trade and Global Governance, Cambridge University Press, Cambridge, 2003. Esempi di cosmopolitismo libero centrato sull'aspetto politico

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autori che si riconoscono in questa linea non avanzino nessuna critica alle forme oggi assunte dalla globalizzazione: ne avanzano senz'altro.[...] Non si tratta però di una presa di posizione contro la globalizzazione capitalistica in quanto tale, bensì dell'auspicio di una migliore regolazione istituzionale e politica dell'economia383”. Secondo questa concezione, la globalizzazione ha effetti positivi sul piano economico e su quello politico e offre gli strumenti per affrontare il problema dello stato di guerra globale: oltre a un maggiore sviluppo economico, i liberal-

cosmopoliti sostengono che la globalizzazione favorisca anche un grande potenziale democratico, uno spazio libero dal dominio degli stati nazionali. Ciò secondo Hardt e Negri è particolarmente vero per la questione dei diritti umani, la cui importanza negli ultimi sessant'anni è effettivamente aumentata. “Lo stato di guerra globale ha dato al liberal-

cosmopolitismo una posizione politica di primissimo

piano, tanto che oggi sembra essere l'unica alternativa percorribile al controllo globale degli Stati Uniti.[....] Il multilateralismo rappresenta il metodo irrinunciabile della politica cosmopolita e le Nazioni Unite il suo strumento principale384”.

sono invece M. Kaldor, L'Altra Potenza. La società civile globale: la risposta al terrore, trad. it. di M. Mangialaio, Università Bocconi Editore, Milano, 2004; U. Bech, Che cos'è la globalizzazione: rischi e prospettive della società planetaria, trad. it. di E. Cafagna e C. Sandrelli, Carocci, Roma, 1999.

383 Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 270. 384 Ivi, p. 271.

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Qualcosa di questa concezione della sinistra

liberal-cosmopolita, e in particolare la conclusione che

la globalizzazione contribuisce alla diffusione della democrazia, si ritrova anche in una certa letteratura di destra, che pur sostiene la necessità dell'egemonia

globale americana385. Alla sua stregua, sono infatti questa egemonia e l'espansione del comando del capitale che giovano all'espansione democratica.

In particolare “alcuni sostengono che il comando del capitale sarebbe intrinsecamente democratico, pertanto, la globalizzazione del capitale e la globalizzazione della democrazia sono la stessa cosa; altri invece ritengono che il sistema politico statunitense e l'American way of life sono sinonimi di democrazia, e dunque l'espansione dell'egemonia americana e quella della democrazia sono la stessa cosa; il più delle volte questi due modi di vedere diventano perciò le due facce di una stessa medaglia386”. Lo stato di guerra globale ha regalato a queste posizioni una nuova

piattaforma politica: la cosiddetta ideologia

neoconservatrice, incarnata dai neocon, i nuovi

conservatori americani.

L'ultimo gruppo che Hardt e Negri descrivono è quello dei conservatori tradizionalisti, i quali,

385

Un’opera importante che si sofferma sulla connessione tra la democrazia capitalista e l'egemonia statunitense è T. Friedman, Le radici del futuro: la sfida tra la Lexus e l'ulivo, trad. it. di P. Canton, Mondadori, Milano, 2001.

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criticando i neocon, sostengono che la globalizzazione

ostacolerebbe la democrazia, perché essa

rappresenterebbe una minaccia per gli assetti tradizionali387. Lo sarebbe, in verità, per motivi diversi. Al di fuori degli Usa, infatti, gli intellettuali

conservatori, convinti che la globalizzazione sia la

forma più radicale di espansione dell'egemonia americana, sostengono, con i socialdemocratici, che il mercato abbia necessità di un regolamento statale e che la stabilità economica sia messa alla prova dall'anarchia delle forze globali388. Non solo, ma quegli intellettuali ritengono che la società americana sia così corrotta da non avere la forza politica o l'autorità morale necessarie per sottomettere altri paesi389. Al contrario, all'interno degli USA, “i conservatori tradizionalisti valutano il crescente coinvolgimento degli Stati Uniti nella globalizzazione e il comando di un capitale sempre meno regolato, come un danno inferto alla vita morale e ai valori tradizionali che hanno fatto grande l'America390”.

Il commento di Moltitudine è che lo stato di guerra

globale ha trasformato il conservatorismo

387

Si veda J. Gray, Alba bugiarda: il mito del capitalismo globale e il suo fallimento, trad.it. di C. Ranchetti, Ponte alle Grazie, Milano, 1998; E. Todd, Dopo l'Impero, trad.it. di G. Amaducci, Tropea, Milano, 2003; P. Buchanan, A Republic, Not an Empire, Regnery Publishing, Washington, DC, 1999. 388

Negri, Hardt, Moltitudine, cit., p. 272. 389

C. Prestowitz, Stato canaglia: la follia dell'unilateralismo americano, trad. it. a cura di I. Floriani, Fazi, Roma, 2003.

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tradizionalista in una sorta di “scetticismo antiglobalizzazione”, scettico anche e soprattutto per quanto riguarda i vantaggi che l'egemonia statunitense apporterebbe alle altre nazioni e al mondo intero.

Secondo Hardt e Negri però, nessuna di queste quattro posizioni, pur con tutte le sfumature del caso, sembra adeguata per affrontare la questione del

rapporto tra globalizzazione e democrazia.

“La crisi della democrazia, si badi, è stata proclamata

più volte nel corso dei secoli, soprattutto

dall'aristocrazia di orientamento liberale timorosa dell'anarchia del potere popolare o dai tecnocrati irritati dal disordine del sistema parlamentare. Oggi il nostro problema è ben diverso. La democrazia deve fare i conti con un “salto di scala” che viene a disancorarla dai significati e dalle pratiche della modernità391”. E proprio in ciò sta il limite delle quattro posizioni descritte: esse non esaminano specificatamente l'attuale “scala della crisi” della democrazia. “Una ragione dell’inadeguatezza di questi argomenti è che, anche quando parlano di democrazia, di fatto le tolgono la terra sotto i piedi o la rinviano all'infinito392”.

Hardt e Negri sottolineano come le proteste contro gli aspetti politici ed economici del sistema abbiano messo in chiaro che la democrazia non può essere

391 Ibidem.

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imposta dall'alto: non è la forma politica del capitalismo, né il comando delle élites burocratiche e neppure qualcosa da far valere con interventi militari o con i cambi di regime. Il senso dei tanti movimenti sociali radicali successivi alle rivolte del '68 è chiaro. “La democrazia può venire solo dal basso393”.

Da parte dei critici di Hardt e Negri, c'è peraltro la convinzione che tale rappresentazione del rapporto tra capitalismo e democrazia sia di maniera. La realtà è che il capitalismo accetta e incoraggia la democrazia quando giova al capitale per gestire la società, mentre ricorre ad altri mezzi, anche fascisti, in circostanze opposte.

È questo il caso della polemica di Amin: “Mi riferisco al ritorno del fascismo sulla scena in questo momento di crisi del capitalismo e dei monopoli generalizzati. Hardt e Negri accettano il dogma del discorso, ormai di moda, sulla società civile, che rende possibile il proprio accreditamento nei confronti del potere- la resistenza e le battaglie per emergere dalla “moltitudine”- con un enorme, determinata e unilaterale contrattazione che non possiedono394”.

Amin sottolinea come il proletariato spesso accetti il compromesso utile allo stesso capitalismo, interiorizzando le esigenze di quest'ultimo, e di

393 Ivi, p. 274.

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conseguenza diventando una forza funzionale alla logica del sistema. Questa forma di alienazione ritarda la maturazione della coscienza anti – capitalistica necessaria per andare oltre. “Il capitale riesce a formare il movimento e guidare il suo orientamento. Abbiamo spesso visto la moltitudine supportare il fascismo395”. Non solo, ma Hardt e Negri accetterebbero troppo semplicemente “l’ideologica fascinazione” che viene utilizzata per nascondere che “l’altra arma usata dagli Stati Uniti per irrobustire il proprio dominio è l’uso ancora quasi esclusivo del suo dollaro come moneta

internazionale 396 ”. Ricorrerebbe insomma nelle

riflessioni di Hardt e Negri, il “discorso di moda”, diffuso da Foreign Affairs secondo cui l’intervento degli Stati Uniti, con armi o dollari, sia favorevole al progresso della democrazia. “Bisogna essere completamente ingenui per dare fiducia ad una analisi di questo tipo. Possiamo dimenticare le continue bugie alle quali fanno ricorso continuamente i presidenti degli Stati Uniti per giustificare gli attacchi, ieri contro l’Iraq, e oggi contro la Siria e la Russia?397”.

Nella sua autobiografia, Negri è sembrato peraltro anticipare le risposte a tali critiche, affermando che la moltitudine diviene fascista quando viene svuotata della sua specificità e ricondotta allo stato di massa.

395 Ivi, p. 13. 396 Ivi, p. 14. 397 Ibidem.

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“Il fascismo è sempre una negazione della potenza, una sottrazione dall'essere comune. Suscita l'odio per l'altro, santifica la violenza come rimedio contro i vizi del mondo, oblitera le differenze.[…] Reagisce in modo distruttivo al movimento della vita, alla gioia e alla molteplicità con cui esso si inventa di continuo398”.