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L' EDIFICAZIONE DI UNA NUOVA S ION : UN PROBLEMA TEOCRATICO ?

III. I L RITORNO A S ION DALLA SECOLARIZZAZIONE MESSIANICA ALLA SACRALIZZAZIONE POLITICA

4. L' EDIFICAZIONE DI UNA NUOVA S ION : UN PROBLEMA TEOCRATICO ?

Le critiche di Dubnow e Fresco al sionismo come nuova forma di messianismo andavano a toccare un punto centrale dell'intera questione: il ritorno a Sion e la fondazione di uno stato ebraico sollevavano dubbi sulla pretesa laicità del movimento. Quale forma avrebbe dovuto

120 Ivi, p. 14.

121 Ibid. 122 Ibid. 123 Ivi, p. 15

assumere tale stato? Lo stato ebraico avrebbe dovuto configurarsi come uno stato moderno europeo, scegliendo come forma di governo una monarchia conservatrice, una repubblica democratica, oppure avrebbe dovuto recuperare la forma di governo teocratica, in linea con l'idea di istituire una nuova Respublica hebraeorum? A partire da Spinoza e con l'illuminismo poi, il problema della teocrazia era stato accantonato da tempo in Europa125. Tuttavia, la nascita del sionismo e le speranze di ricostruire uno stato ebraico in terra palestinese avevano riattualizzato l'obsoleto dibattito attorno alla teocrazia. Bisogna a questo punto chiarire il falso problema teocratico che la costruzione di uno stato ebraico poneva.

Dal momento che il sionismo nacque e si sviluppò all'interno del processo di secolarizzazione ebraica, l'edificazione di Sion da parte dei dirigenti sionisti non ebbe mai alcuna finalità religiosa. I sionisti come Herzl e Nordau, in quanto laici, non auspicarono mai alla fondazione dello stato ebraico in quanto realizzazione o preparazione terrena del Regno di Dio. Come aveva ben chiaro David Fresco, i sionisti compresero che la riattivazione dell'antica speranza messianica era un buon modo «per trarre un personale profitto da questa speranza ispirata alle masse»126. Il sionismo, in quanto religione secolare, non correva il rischio di una deriva teocratica, fatto che avrebbe smentito la secolarizzazione stessa. Semmai, come sostenne Leibowitz in una conferenza a Gerusalemme nel 1975, esso pose un problema teologico-politico: «il problema del significato religioso dello stato di Israele è un problema teologico-politico»127. Con tale affermazione Leibowitz intendeva sottolineare la natura esclusivamente secolare dello stato di Israele, così come di qualsiasi stato moderno.

In Potere e salvezza l'egittologo Jan Assmann sostiene che la teocrazia comporta di fatto «la subordinazione fino all'eliminazione della guida politica a favore di una pura dominazione divina»128. Se il discorso sulla teocrazia aveva un significato preciso nell'ebraismo antico e nella sua tradizione religiosa (ricordiamo infatti che il concetto di teocrazia venne coniato da Giuseppe Flavio nel secondo volume del suo Contra Apionem), in età moderna la teocrazia come possibile forma di governo statale era stata progressivamente accantonata dai pensatori politici europei. Pensiamo solo al caso di Spinoza, il quale nel

Trattato teologico-politico negò l'applicabilità pratica della forma teocratica della Respublica

125 Vedi: I.A.RICHICHI, La teocrazia. Crisi e trasformazione di un modello politico nell'Europa del XVIII

secolo, Firenze University Press, Firenze, 2017. Vedi anche: D.DI CESARE, De Republica Hebraeorum. Spinoza e la teocrazia, «Teoria» n. 2 (2012), pp. 213-28.

126 FRESCO, Le Sionisme religieux et le sionisme politique moderne, p. 15.

127 Y.LEIBOWITZ, The religious Significance of the State of Israel (1975), in Id., Judaism, human values and the Jewish State, Harvard University Press, Cambridge, 1992, p. 215.

128 J. ASSMANN, Potere e salvezza. Teologia politica nell'antico Egitto, in Israele e in Europa, Einaudi,

hebraeorum, sostenendo che non era «né possibile né consigliabile ad alcuno di imitarne la

struttura»129. In tal modo Spinoza aveva archiviato il modello teocratico ebraico, studiato con un certo interesse dai primi teorici politici del Cinquecento, quale potenziale modello politico alternativo alla forma-stato. La forma di governo teocratica avrebbe infatti comportato un patto tra gli uomini e Dio, scriveva Spinoza. Un'opzione che se per Spinoza era ancora e soltanto sconsigliabile, per gli intellettuali moderni del primo Novecento, laici e disincantati, risultava del tutto impensabile. Se pertanto nell'antichità era concepibile che la guida politica fosse subordinata al discorso religioso, con l'età moderna e l'indebolirsi del potere religioso nella società europee la situazione si era rovesciata nel suo opposto: erano ormai i principi religiosi a essere sfruttati dal potere politico al fine di rafforzarsi e di legittimarsi in una data società ed epoca. In virtù di tale rovesciamento, esito del processo di secolarizzazione, la teocrazia non poteva più trovare spazio nel mondo moderno, se non in forma distorta. La secolarizzazione di concetti religiosi a opera delle moderne ideologie di massa ha alterato il senso comune che anticamente la teocrazia aveva, determinando piuttosto degenerazioni e confusioni tra sfera religiosa e sfera politica, all'interno delle quali sono sorte le religioni secolari del Novecento. Parlare dunque in età moderna e contemporanea di teocrazia rischia di essere una forma di misconoscimento di processi di secolarizzazione avvenuti che hanno profondamente mutato le società e il pensiero comune degli individui. Tuttavia, come vedremo nelle utopie di Sion, tali visioni future prefigurano uno stato laico e teocratico, insieme.

Nei primi decenni del Novecento fu il giurista ebreo-tunisino Alfred Valensi (1878- 1944), molto vicino a Max Nordau, a sostenere le ragioni della laicità del movimento contro le accuse di teocrazia rivolte dai alcuni suoi detrattori. La famiglia Valensi di origini sefardite faceva parte della comunità portoghese di Tunisi da diverse generazioni130. Laureatosi in legge all'università francese di Montpellier nel 1905, Valensi ritornò a Tunisi, dove, avvicinatosi alle idee di Herzl e Nordau, divenne il fondatore di Agudat Sion, primo movimento sionista della città. Nel giugno 1906 egli pubblicò un lungo saggio sul movimento politico da lui sponsorizzato sulla rivista parigina «Revue politique et parlamentaire»131. Nel 1911 scrisse un'incisiva difesa al sionismo in risposta alle critiche del socialista francese Alfred Naquet, proseguendo poi la sua attività giornalistica e politica con ulteriori articoli e saggi sul movimento e collaborando con la rivista parigina di Nahum

129 B.SPINOZA, Trattato teologico-politico, Bompiani, Milano, 2001, p. 687.

130 E.BOCCARA, La comunità portoghese di Tunisi, «La rassegna mensile di Israel», n. 2 (2000), p. 55.

Slouschz «Revue hébraïque, littéraire, historique». Pienamente addentro alle questioni sioniste, nel 1920 partecipò alla fondazione dell'Histadrut tunisino132, per poi trasferirsi a Parigi nel 1926, periodo in cui si avvicinò alle posizioni revisioniste di Jabotinsky, entrando nel Partito Revisionista e diventando membro del consiglio governativo. Durante la Seconda guerra mondiale, Valensi fu arrestato dai nazisti, deportato ad Auschwitz dove morì nel 1944133.

L'interesse per gli scritti di Valensi sul sionismo è legato specialmente alla prospettiva laica e secolare dell'autore. Egli sostenne infatti in più occasioni la modernità e la laicità del movimento politico. Per Valensi, qualsivoglia processo di modernizzazione presupponeva una necessaria separazione tra discorso politico e religioso. Il sionismo, a suo dire, non faceva eccezione, in quanto era a tutti gli effetti un prodotto del pensiero europeo moderno. Un esempio emblematico delle sue posizioni intellettuali e politiche è fornita dalla disputa intercorsa nel 1911 con l'esponente socialista Alfred Naquet (1834-1916) in merito al rapporto tra sionismo e religione. Naquet fu un uomo politico francese con tendenze anarchico-socialiste. Egli era noto soprattutto per le sue idee liberali in materia di divorzio, sostenitore della separazione tra Stato e Chiesa e di una futura solidarietà internazionalista134. Molto attivo nei dibattiti dell'epoca, nel gennaio 1911 Naquet scrisse un articolo intitolato Le sionisme su «La Societé Nouvelle»135, a seguito della recente rilettura della conferenza Le nationalism juif (1898) di Bernard Lazare (1865-1903). Naquet riconosceva la nobiltà delle intenzioni e le tendenze progressiste che avevano animato pensatori come Lazare, Nordau e Valensi, i quali si erano impegnati attivamente per risolvere la condizione degli ebrei oppressi a cui era stato negato il diritto di vivere136. Tuttavia, c'era un aspetto centrale che, a detta di Naquet, declassava l'intero sionismo alla

132 L'Histadrut è l'organizzazione sindacale dei lavoratori ebrei in terra di Israele (in ebr.: Ha-histadrout haklalit shel ha'ovdim be'Eretz Yisra'el), fondata ad Haifa nel dicembre del 1920 a partire da David Ben Gurion e lo scrittore Joseph Haim Brenner. Sulla storia dell'organizzazione vedi: Z. TZAHOR, The

Histadrut: From Marginal Organization to “State-in-the-Making”, in J.REINHARZ;A.SHAPIRA, Essential

papers on Zionism, New York University Press, New York, 1996, pp. 473-509.

133 Per le informazioni bibliografiche sulla vita di Valensi vedi: H.SAADOUN, Alfred Valensi, in Encyclopedia

of Jews in Islamic World, vol. IV, pp. 590-1. Vedi anche: ID., Les relations entre la Tunisie et la Terre d’Israël au XIXe siècle, in D. COHEN-TANNOUDJI (sous la dir.), Entre orient et occident. Juifs et

Musulmans en Tunisie, Edition de l'Eclat, Paris, 2007, pp. 321-31. Segnaliamo inoltre che Haim Saadoun pubblicò il suo lavoro di tesi dottorale sul sionismo tunisino: H.SAADOUN, Zionism in Tunisi 1918-1948, Hebrew University, Jerusalem, 1993.

134 Vedi: A.NAQUET, L'humanité et la Patrie, Stock, Paris, 1901; ID., La loi de divorce, Fresquelle, Paris,

1903.

135 A.NAQUET, Le sionisme, «La societé nouvelle. Revue internationale sociologie, arts, sciences, lettres» n. 7 (1911), pp. 567-91.

stregua di un «movimento retrogrado». La questione riguardava la religione ebraica, la quale era «alla base della nazionalità ebraica», un fatto che per l'autore era sufficiente per «respingere il sionismo in quanto contaminato di religiosità»137, nonostante un suo promotore come Alfred Valensi sostenesse che il movimento fosse composto per la maggior parte da antireligiosi e da liberi pensatori. Per Naquet la semplice dichiarazione di Lazare, secondo cui l'ebraismo rappresentava «una religione nazionale», era sufficiente a connotare l'intero movimento in termini religiosi138. Non era concepibile, proseguiva Naquet, «un regno ebraico» all'interno del quale «la Chiesa fosse separata dallo Stato» e in cui «a fianco degli ebrei israeliti» coesistessero «ebrei cattolici, protestanti o antireligiosi»139. Inoltre, incalzava l'autore, «il regno di Gerusalemme ricostruita» non avrebbe offerto dei larghi orizzonti di emancipazione e di evoluzione del pensiero. Il contesto medio-orientale non avrebbe infatti aiutato la causa sionista nell'opera di separare politica e religione, temporale e spirituale, una separazione che era alla base di qualsivoglia progresso e pensiero moderno. «In Palestina – scriveva – gli ebrei farebbero presto ritorno alla legislazione religiosa esclusiva che si ritrova presso le popolazioni ancora arretrate nello stadio di civilizzazione. Elemento di progresso e di rivoluzione in Europa e in America, essi sarebbero in Palestina un elemento di stagnazione e di regressione»140. Infine, Naquet chiudeva il suo discorso, ricollegandosi alle sue idee di solidarietà internazionale e di costruzione di una «federazione planetaria». Il nazionalismo era ormai entrato in una fase di involuzione storica, non rappresentando più la volontà dei popoli. Per Naquet bisognava dunque superare il nazionalismo e lottare per una «Repubblica mondiale» di tipo federativo. La «terra promessa» non si trovava infatti in un angolo sperduto della Palestina, bensì in una «rivoluzione universale» che avrebbe eliminato le differenze di razza e di classe141.

Sentendosi chiamato in causa, Valensi non accettò in silenzio le critiche di Naquet e nell'agosto dello stesso anno replicò con l'articolo Sionisme et socialisme142. Il giurista riconosceva al suo critico che il «patriottismo ebraico», come qualsivoglia forma di patriottismo dell'antichità, era strettamente legato alla dimensione religiosa143. Tuttavia, aggiungeva Valensi, «lo sviluppo del razionalismo alla fine del XVIII secolo» aveva liberato 137 Ivi, p. 27. 138 Ibid. 139 Ibid. 140 Ivi, p. 28. 141 Ivi, p. 32.

142 A.VALENSI, Sionisme et socialisme, in ID., Sion et liberté, Finzi, Tunisi, 1919, pp. 47- 59.

«la nazionalità ebraica dalle sue incrostazioni mistiche». Si era cioè avviato un processo di secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica, com’era stato definito da Dubnow. Tale fenomeno rendeva dunque impossibile agli occhi di Valensi «sostenere che la nazionalità ebraica» fosse «una nazionalità teocratica»144. A partire dall'età dell'emancipazione, dunque, gli ebrei si erano sempre più allontanati dai dogmi mosaici, rigettando «tutte le credenze religiose, senza cessare per questo di sentirsi ebrei, di dichiararsi tali e di affermare la loro solidarietà ebraica»145. Per Valensi la secolarizzazione aveva compiuto il suo corso anche nell'ebraismo, dove «la separazione tra spirituale e temporale era definitivamente avvenuta», come di fatto testimoniavano la letteratura e la stampa ebraica dell'epoca146, dove era «l'idea laica» a dominare «la letteratura ebraica contemporanea», autentica espressione dello spirito ebraico e dell'anima di Israele147.

La risposta di Valensi toccava un punto decisivo: c'era stato un processo di secolarizzazione anche nel mondo ebraico e il sionismo in quanto esito di tale processo non poteva essere considerato alla stregua di un movimento religioso. Ribadendo la laicità del sionismo, tuttavia, Valensi eludeva il problema che Naquet aveva cercato di sollevare. Egli non aveva criticato il sionismo di avere una deriva teocratica, ma di essersi posto nei termini di una «religione nazionale», per usare le parole di Lazare. Tale «religione nazionale» era una traccia sintomatica della tipica sovrapposizione tra nazionalismo e religione, presente nelle religioni secolari come il sionismo. Le critiche di Naquet toccavano così un nodo scoperto, essendo rivolte a questa sovrapposizione tra religione e politica, la quale non intaccava l'impianto laico e la natura secolare del movimento. Dal momento in cui il sionismo si propose come principale obiettivo politico un fine messianico, come quello di riconquistare la perduta Sion, difficilmente avrebbe potuto poi rinunciare al sostrato religioso da cui pure cercava di emanciparsi. Il rischio insito dietro tale emancipazione dal sacro – abbandonando di conseguenza espressioni come religione nazionale, ritorno a Sion, martiri nazionali ecc. – sarebbe stato lo stesso indicato dallo storico Dubnow, per cui la secolarizzare dell'idea nazionale avrebbe finito per cancellare definitivamente la religione ebraica e dunque la base storico-culturale dell'ebraismo148. In tale frangente, lo sguardo

eccessivamente ottimista e laico di Valensi gli fece sfuggire il punto dirimente attorno cui ruotava l'intera questione politico-religiosa legata al sionismo.

144 Ibid.

145 Ibid. 146 Ivi, p. 49. 147 Ibid.

Tale miopia dell'autore è evidente anche in un altro articolo, Le Sionisme (1913) uscito su «La vie internationale»149. Il sionismo, scriveva Valensi, avendo come scopo l'obiettivo di «assicurare al popolo ebraico un'autonomia politica nella loro antica patria, la Palestina», non si differenziava in nulla dagli altri moderni nazionalismi europei. Inoltre, aggiungeva, «nella sua essenza il sionismo» non era affatto «qualcosa di nuovo presso gli ebrei», dal momento che «il desiderio di una vita libera e indipendente» e «la speranza di riconquistare la patria perduta» non li aveva mai abbandonati nel corso dei secoli di dispersione150. Tale «ardente speranza», che Valensi interpretava in termini meramente politici, si era tuttavia rivestita di un «carattere mistico e religioso», finendo per essere neutralizzata dal discorso rabbinico151. Soltanto l'età dell'emancipazione e del razionalismo permise agli ebrei di liberare «i sentimenti patriottici» ebraici dalla sfera religiosa e dalle sue «incrostazioni mistiche». Recuperando le tesi del suo maestro Nordau, Valensi ribadiva così che solo «la speranza di ritorno a Sion» poté apparire quale «prodotto degli sforzi personali del popolo ebraico»152. Trattasi di una lettura tipicamente sionista che mirava a racchiudere quasi duemila anni di storia ebraica all'interno di una spoliticizzazione dell'idea messianica operata dal pensiero rabbinico. Ri-politicizzare questo ideale era ciò Nordau e i primi sionisti si erano proposti di fare. Troppo distante dal contesto ebraico-orientale all'interno del quale la secolarizzazione dell'idea messianica era stata prodotta, Valensi recuperava tali posizioni sioniste di Nordau, dimostrando tuttavia che gli sfuggiva qualcosa di essenziale dell'intero processo. Per il giurista di origini sefardite, il ritorno a Sion aveva un valore meramente politico. Non era un'utopia, non era un mito o una leggenda ebraica. Era un preciso obiettivo politico: edificare una nuova Sion.