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U NA DUPLICE MINACCIA : ANTISEMITISMO E SECOLARIZZAZIONE

In We refugees (1943) Arendt ritornò sul tema dell'assimilazione: «con noi dalla Germania la parola “assimilazione” ha ricevuto un “profondo” significato filosofico. È difficile rendersi conto della serietà con cui abbiamo affrontato questo tema»70. Innumerevoli furono i tentativi fatti per convincere gli stati europei del patriottismo e della fedeltà ebraica: si sono scritti «grossi volumi per dimostrarlo», si è pagato «un'intera burocrazia per indagare il passato», si sono scritte «dissertazioni filosofiche sull'armonia predestinata tra ebrei e francesi, ebrei e tedeschi, tra ebrei e ungheresi»71. Trattasi dunque di una storia molto lunga, durata per ben centocinquanta anni. Eppure, chiosava Arendt, nonostante la filosofia dell'assimilazione si sia prodigata in questa impresa senza precedenti, non è stata in grado di superare l'ostacolo posto dall'antisemitismo, per cui gli assimilazionisti «nonostante abbiano sempre dimostrato la loro non-ebraicità, sono ugualmente riusciti a restare ebrei»72. Un'affermazione carica di una certa ironia, ma che definisce molto nitidamente per Arendt il dramma degli ebrei emancipati europei che, pur riconoscendosi pienamente cittadini tedeschi, francesi o ungheresi, pur definendosi patriotti, pur partecipando in massa alla Prima guerra mondiale in qualità di soldati, capitani o ufficiali, a guerra conclusa si sentirono ancora, nonostante tutto, trattati e discriminati in quanto ebrei. Questa storia rivelava, a detta di Arendt, «la tristezza senza speranza di chi sostiene l'assimilazione»73. Per la filosofa, l'antisemitismo infranse le speranze ebraiche di emancipazione sociale e politica nel contesto europeo. Con la nascita del nazionalsocialismo tedesco si decretò infine il fallimento dei progetti di riforma e di integrazione. A fronte della crisi dell'establishment religioso ottocentesco e del dialogo ebraico-tedesco, una crisi iniziata ben prima dell'epoca nazista alle classi intellettuali ebraiche restarono due strade percorribili per poter perseguire l’ideale di emancipazione. Lo abbiamo già detto: emigrare altrove o fondare un proprio movimento politico74. Il sionismo perseguì questa seconda strada.

70 H.ARENDT, We refuges, «The Menorah Journal» n. 31 (1943), poi raccolto in EAD., The Jewish Writings, pp. 264-74; tr. it. Noi profughi, in EAD., Ebraismo e modernità, p. 45. Seguiamo qui l'edizione italiana.

71 Ivi, p. 46. 72 Ibid. 73 Ivi, p. 45.

74 Non dobbiamo dimenticare che solo un'esigua minoranza di ebrei aderì al nazionalismo, mentre una buona parte dell'ebraismo rispose al duplice problema di antisemitismo e secolarizzazione con l'emigrazione negli Stati Uniti e con la riconfigurazione di un nuovo e vivace ebraismo diasporico, sfaccettato in diverse correnti religiose. A tal proposito vedi: EISENSTADT, Civiltà ebraica, pp. 137-61. Inoltre secondo Jacob Bernard Agus, rabbino appartenente al movimento statunitense del conservativ judaism, nel suo libro The Meaning of Jewish History (1963) scrive che «la massiccia rinascita dell'ebraismo americano» era la comprova della forza perseverante dell'ebraismo e della religione ebraica al di là di qualsivoglia

Se le analisi di Arendt hanno il merito di evidenziare l'impasse delle tesi assimilazioniste a fronte dell'antisemitismo europeo, incentrate sulla sintesi illuminista di stampo mendelssohniano secondo il cui motto bisognava diventare “cittadini per strada ed ebrei in casa”, le riflessioni dello scrittore polacco Israel Joshua Singer (1893-1944) sul fallimento di tale sintesi, in bilico tra razionalismo e religione, permettono di aggiungere un ulteriore tassello alla nostra discussione, dirimente nelle utopie di Sion. Anche per Singer, in fuga dal nazionalsocialismo, le vicende storiche del suo tempo avevano decretato il fallimento del dialogo ebraico-tedesco e del sistema culturale e religioso che lo aveva promosso. Egli espresse questo pensiero in La famiglia Karnowski (1943), ultimo suo romanzo, scritto in yiddish e pubblicato a New York un anno prima della morte dell'autore. Leggiamo:

David sospira sconsolato. Forse avevano ragione i hassidim quando si scagliavano contro l'illuminismo berlinese, dice timidamente. Adesso si vede bene dove ha portato l'insegnamento di rabbi Moses. Reb Efraim respinge il suo argomento con un gesto della mano irrigidita. «La vita è burlona, rabbi Karnowski, ama giocarci qualche tiro mancino. Volevamo essere ebrei in casa e uomini in strada, la vita è arrivata e ha messo tutto sottosopra: siamo goyim in casa ed ebrei in strada75.

In poche battute Singer tramite il personaggio di Reb Efraim sembra alludere al fallimento del dialogo ebraico-tedesco, legandolo al rovesciamento dei due termini in gioco nella sintesi mendelssohniana76. Un rovesciamento prodotto da due fattori concomitanti, uno endogeno, l'altro esogeno: la secolarizzazione, che determinò un progressivo indebolimento e distacco dalla tradizione religiosa ebraica, e l'antisemitismo, che stigmatizzò invece una precisa immagine dell'essere ebreo. Di certo, i maskilim con la loro fede nella ragione e nella religione non avrebbero potuto prevedere un tale rovesciamento, co-determinato da secolarizzazione e antisemitismo insieme. Alla fede nell'uomo, negli ideali rivoluzionari di libertà, giustizia e uguaglianza corrispose per molti ebrei assimilati la sicurezza nella stabilità delle istituzioni religiose, seppur opportunamente riformate. Tale pensiero si

secolarizzazione (J.B.AGUS, The Meaning of Jewish History, vol. I, Abelard-Schuman, New York, 1963, p. 9). Ci limitiamo solo a segnalare che non possiamo fin in fondo sapere se tale potere rigenerante dell'ebraismo americano sarebbe stato altrettanto perseverante anche in assenza della fondazione di uno stato.

75 I.J. SINGER, Di mishpohe Karnovski, Farlag Matones, New York, 1943; tr. it. La famiglia Karnowski,

Adelphi, Milano, 2013, pp. 201-2.

76 Pur riferendosi a Mendelssohn, Singer sembra aver recuperato qui le parole del poeta russo Judah Leib Gordon (1831-1892) e del suo noto Svegliati, mio popolo! (1863). Rinviamo al dettagliato lavoro monografico sul poeta Gordon di Stanislawski: M. STANISLAWSKI, For whom do I toil? Judah Leib Gordon

cristallizzò in una nuova fede nel corso dell'Ottocento, una fiducia nel processo emancipativo dell’uomo e degli ebrei77. Sulla scia dell'emancipazione le classi intellettuali ebraiche orientali credettero nella possibile sintesi tra un'apertura all'universalismo della cittadinanza e la conservazione della specificità ebraica nella religione, aggiornata in base alle trasformazioni sociali dell'epoca, ovvero lo shinui haitim. Il cambiamento dei tempi. La formula “cittadini tedeschi, francesi, italiani ecc. di confessione israelitica” ben rappresentò il primo tentativo di sintesi tra universalismo e particolarismo in risposta alla secolarizzazione. Tuttavia l'antisemitismo minò nelle sue stesse fondamenta la possibilità di una simile sintesi. Inoltre, per quanto i riformatori tedeschi avessero accettato l'idea di trasformare la religione in seguito alle metamorfosi subite dalla vita ebraica, prendendo così atto di un processo di secolarizzazione in corso, questo non fu tuttavia sufficiente ad arginare l'indebolimento della religione e a rispondere al bisogno di partecipazione sociale che gli ebrei iniziarono a manifestare78. Tale evoluzione comportò dunque quel rovesciamento intuito da Singer nel suo romanzo. La forza dell'antisemitismo crebbe in proporzione all'indebolimento della religione, dal momento che i nazionalismi europei si proposero come validi sostituti delle religioni tradizionali, riempiendone il vuoto e rispondendo al bisogno di fede e partecipazione dei nuovi cittadini e delle masse. Ciò avvenne per i tedeschi, per i francesi, per gli italiani, così come per gli ebrei, alcuni dei quali iniziarono a preferire lo stato alla sinagoga. Il passaggio degli ebrei dal patriottismo tedesco o italiano, o dal repubblicanesimo nazionale francese a un proprio nazionalismo fu solo questione di tempo. Esso venne esternamente stimolato dall'antisemitismo, figlio di quello stesso patriottismo, abbracciato dagli ebrei assimilati.

L'establishment sionista dimostrò un certo realismo politico, di fronte a questi processi, elaborando una soluzione tanto di fronte alla secolarizzazione, quanto contro l'antisemitismo. Le nascenti classi politiche sioniste si scontrarono infatti con questi due fattori che divennero le due minacce contro cui lottare79. Il movimento politico sionista non si propose soltanto il

77 Vedi: D.SORKIN, The Transformation of German Jewry 1780-1840, Oxford University Press, New York,

1987.

78 L'ideologia dell'assimilazione fu miope non soltanto di fronte all'antisemitismo, minimizzandone la portata, ma lo fu anche di fronte al progressivo indebolimento delle religioni tradizionali. Credere infatti di poter conservare l'intera cultura ebraica nell'alveo della religione, senza tener conto di questo indebolimento, insinuatosi anche nel mondo ebraico, una volta aperte le porte del ghetto e una volta entrato in contatto con quelle società europee in cui tale processo era già da tempo in atto, fu di certo l'errore più grave commesso dalle élite ebraiche emancipate.

79 Scrive Agus: «se il sionismo fosse stato solo una reazione [all'antisemitismo europeo], esso non avrebbe potuto riconfigurare le fondamenta della vita ebraica e non avrebbe potuto costruire una madrepatria» (AGUS, The Meaning of Jewish History, vol. II, p. 434).

compito di tutelare le comunità ebraiche dall'antisemitismo dilagante in Europa, ma anche di proseguire da sé lungo la strada aperta dall'emancipazione ebraica, tramite una propria parola d'ordine: auto-emancipazione. In tal modo il sionismo volle fondare un nuovo ebraismo sulla base dalla nazionalità ebraica e non solo della religione, configurandosi dunque come una nuova risposta alla secolarizzazione ebraica80.