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S ION , UNA NECESSARIA SINTESI TRA IDEALE E REALE

III. I L RITORNO A S ION DALLA SECOLARIZZAZIONE MESSIANICA ALLA SACRALIZZAZIONE POLITICA

1. S ION , UNA NECESSARIA SINTESI TRA IDEALE E REALE

Sebbene Nordau, al pari di Herzl, fosse un degno rappresentante della classe media intellettuale ebraica in occidente, tuttavia, laddove egli affrontò il tema del messianismo ebraico, si dimostrò piuttosto in linea con i suoi predecessori (Smolenskin e Birnbaum), sposando la tesi di matrice ebraico-orientale dell'idea messianica come ideale futuro necessario e indispensabile alla rigenerazione dell'ebraismo. Con piglio positivista e con un certo disincanto, Nordau sosteneva che il messianismo, lungi dal costituire un «nodo metafisico», rappresentava invece un «nodo storico» imprescindibile per gli ebrei, in quanto tale ideale aveva loro permesso di sopravvivere in diaspora, coltivando pazientemente quella speranza di riunirsi come popolo in un futuro più o meno lontano, dopo la dispersione14. Nell'ottica dell’autore il sionismo non poteva dunque rinunciare a tale «idea centrale», come avevano tentato di fare i riformatori rabbini tedeschi, rigettando Sion. A simile questione è dedicato un suo emblematico articolo, Das unentbehrliche Ideal (1898), uscito su «Ha- Tzevi» [La gazzella], il giornale fondato da Ben Yehuda nel 1884 a Gerusalemme15. A detta di Nordau, «la promessa messianica» era ciò che aveva permesso agli ebrei di vivere in diaspora senza scomparire dalla storia, fornendo loro «una speranza, un ideale»16. In ciò risiedeva il segreto dell'immortalità del popolo ebraico [das Geheimnis der Unsterblichkeit des jüdischen Volkes]17. Senza un ideale, continuava, nessun popolo poteva sopravvivere alla storia. Il pensiero implicito dell'autore era che gli ebrei avevano potuto vivere per tanti secoli in diaspora, in assenza di un territorio, di una lingua e di strutture politiche comuni, proprio in quanto li aveva da sempre tenuti assieme la condivisa speranza messianica in una futura rinascita nazionale.

Fino a questo punto l'analisi di Nordau era in linea con la filosofia della storia ebraica del filosofo galiziano Krochmal e con le idee di Smolenskin. Tuttavia, subito dopo Nordau introduceva nel suo discorso uno scarto significativo, legato alla funzione svolta dall'idea

13 M.NORDAU, Ecrits sionistes, Lipschutz, Paris, 1936, p. 51. 14 Ivi, p. 54.

15 M.NORDAU, Das unentbehrliche Ideal, in ID., Zionistische Schriften, pp. 282-8. Per informazioni maggiori

su «Ha-Tzevi» vedi: G.KRESSEL, Guide to the Hebrew Press, Inter Documentation Company, Zug, 1979, pp. 70-1.

16 NORDAU, Das unentbehrliche Ideal, p. 284.

messianica nella storia ebraica e frutto della sua mentalità secolare e delle finalità politiche del suo pensiero. Secondo l'autore, un ideale politico, affinché potesse preservare inalterata tutta la sua forza, non doveva essere troppo facile da realizzarsi18. Il messianismo aveva permesso agli ebrei nel corso dei lunghi secoli della diaspora di resistere di epoca in epoca, di generazione in generazione, forti e fiduciosi nell'attesa dell'adempimento di quella promessa. Una promessa che Nordau sosteneva essere irrealizzabile. In tale inattuabilità risiedeva per l'autore la forza del messianismo ebraico, che in quanto irrealizzabile non era dunque «esposto ad alcun cambiamento, né ad alcuna distruzione»19. Questo era il segreto della longevità ebraica. E questo era il grande punto debole degli ideali popolari, i quali si prefiggevano sempre degli obiettivi politici possibili, realizzabili. Ecco il punto dove Nordau voleva arrivare: la realizzazione di un ideale promesso e posto al centro di un'ideologia politica determina da sempre la fine dell'ideologia stessa, nel momento in cui vengono raggiunti gli obiettivi prefissati: «non c'è nulla di più grave, di più dannoso per un popolo che la scomparsa del suo ideale per effetto della sua realizzazione»20. Con una simile affermazione l'autore attesta l'avvenuto trapasso tra i precedenti discorsi letterari e filosofici, già frutto della secolarizzazione del pensiero collettivo ebraico, e un nuovo pensiero politico. Per quanto, infatti, il suo discorso affondi le radici nella filosofia della storia ebraica, tracciata da Krochmal, il ragionamento politico sotteso segna un decisivo cambio di mentalità e di pensiero. Secondo il filosofo galiziano, la realizzazione terrena dell'ideale messianico con la costituzione di un nuovo Regno rientrava all'interno di un ciclo generativo di nascita, maturazione e declino delle nazioni, destinato a ripetersi nel tempo. L'ideale messianico era eterno, in quanto trascendente, le sue realizzazioni terrene non lo potevano essere, in quanto storiche, prodotto dell'uomo. Nordau, la sua generazione e i successivi pensatori sionisti non operarono più una simile distinzione concettuale tra l'eternità della trascendenza religiosa e la temporaneità delle istituzioni politiche umane, in quanto, sulla scia del nazionalismo moderno europeo, essi ricercarono un'«immortalità nazionale», secondo cui non soltanto l'ideale messianico si eternava nella storia, ma anche la nazione e il popolo ebraico avrebbero dovuto perseguire una sorte affine.

Come avrebbe tuttavia potuto un'istituzione politica e temporale, come uno stato, raggiungere tale statuto di «immortalità»? Secondo Nordau, ciò era possibile proprio sfruttando l'ideale messianico quale concetto politico irrealizzabile, in quanto di matrice

18 Ivi, p. 286.

19 Ibid. 20 Ivi, p. 288.

religiosa: «il nostro ideale messianico è elevato e lontano come una stella. È eterno come una stella. Per il credente è una speranza vivente. Per chi non crede, ma comprende, esso è un simbolo fiero, ancor più forte per il suo essere irrealizzabile»21. Questo è il segreto di cui parlava all'inizio del suo articolo, da cui dipendeva la vitale perseveranza del popolo ebraico nel suo lungo e sofferto esilio22. Si spiega così anche il suo titolo, secondo cui l'ideale messianico era unentbehrliche, indispensabile al movimento sionista, in quanto fonte della

Lebenszähigkeit e della Unsterblichkeit del popolo ebraico. Per il laico Nordau l'ideale

messianico non aveva più alcuna valenza religiosa. Era un semplice strumento politico, da sfruttare per dare forza e vigore agli sforzi sionisti. Se il sionismo, dunque, avesse voluto prosperare ed eternarsi nella storia dei popoli tra le altre nazioni, esso avrebbe dovuto avvalersi dell'ideale messianico, il quale, seppur in forma laicizzata, avrebbe infuso al movimento la stessa tenacia, perseveranza e vitalità di cui godette l'ebraismo nei secoli della diaspora.

Questo pensiero venne ribadito da Nordau in Der Zionismus (1902). «Il sionismo è una nuova parola per una cosa molto vecchia, in quanto esso esprime semplicemente il nostalgico desiderio [Sehnsucht] del popolo ebraico per Sion»23. Il termine tedesco

Sehnsucht, di difficile resa, è un termine decisivo che indicava il desiderio sionista di

ritornare a Sion e che ricorre in diversi scritti sia sionisti, che pre-sionisti, come ad esempio in Die jüdische Frage in der orientalischen Frage (1877). Accanto a tale termine Nordau utilizzò anche neologismi come Zionssehnsucht e Zionshoffnung, che iniziavano a circolare in quegli anni sulla stampa sionista e attraverso cui il desiderio nostalgico di Sion, la speranza messianica e gli obiettivi sionisti trovavano un'ottima sintesi. Tuttavia, per quanto tale Sehnsucht rappresentasse un elemento perenne e costante nella storia ebraica, in quanto «un ideale, un desiderio, una speranza», esisteva una differenza sostanziale tra il

messianische Zionismus e il neue Zionismus che Nordau distingueva24. «Il nuovo sionismo, detto politico, si distingue dall'antico, religioso, messianico sionismo, per aver rinnegato tutto il misticismo, per non identificarsi più nel messianismo; il ritorno in Palestina non è più legato all'attesa di un miracolo, ma è preparato attraverso gli sforzi personali»25. Tale scarto,

individuato da Nordau tra messianische Zionismus e neue Zionismus, è sintomatico del processo di secolarizzazione dell'idea messianica, ormai giunto a compimento. È all'interno

21 Ibid.

22 Ibid.

23 M. NORDAU, Der Zionismus, in ID., Zionistische Schriften, p. 19. La traduzione dei passi citati è nostra. 24 Ivi, p. 22.

di questo rapporto tra vecchio e nuovo messianismo che Nordau e il movimento politico concepirono il rapporto evolutivo tra ebraismo e sionismo. Entrambi i discorsi condividevano lo stesso ideale, lo stesso desiderio di Sion, lo stesso Sehnsucht. Solo che, mentre in passato tale desiderio era rimasto appannaggio del discorso religioso, conservatosi nella credenza dell'arrivo del Messia, ora l'attesa del miracolo era stata sostituita dall'obiettivo politico di ritornare a Sion26.

Speranza di una rinascita nazionale, senso nostalgico, desiderio di ritornare a Sion erano queste le parole d'ordine, cresciute nel grembo dell'intellighenzia ebraica orientale e travasatesi poi nel contesto occidentale tramite i discorsi dei primi sionisti, molti dei quali emigrati dall’est all’ovest europeo. Due furono i fattori decisivi di questa circolazione di idee e concetti: la forte migrazione ebraica dai paesi dell'est europeo a quelli più emancipati e liberali dell'ovest e la buona conoscenza delle lingue moderne europee. Se la migrazione dipese da cause esterne, legate principalmente alla ricerca di migliori condizioni socio- economiche, lo studio delle lingue europee fu, invece, un effetto interno alle classi intellettuali prodotto dalla ricezione della Haskalah. Sono molteplici gli esempi di intellettuali ebrei provenienti dal contesto orientale e trasferitisi poi in Svizzera, in Francia, in Inghilterra o in Germania che si avvicinarono al sionismo, favorendo quel travaso di idee e concetti che permise al movimento politico di istituirsi nel tempo nei termini di una religione secolare.

Il caso della giornalista Ilia Grünberg (1878-1956) è in tal senso un esempio indicativo. Non sono molte le informazioni sull'autrice in nostro possesso: di origini estoni, trasferitasi poi a Ginevra in Svizzera, Grünberg divenne attiva giornalista, scrivendo articoli per il «Journal de Genève». Il suo interesse per il giornalismo la portò a fondare a Ginevra l'importante agenzia informativa di stampa internazionale, la «Argus der Presse AG»27, tutt'oggi attiva, e, due anni più tardi, a partecipare in qualità di capo redattore all'impresa avviata con la «Gazette des éphémeridophiles», sotto la direzione di un certo Gabriel Parisot, un organo internazionale di giornalisti e di collezionisti di giornali, interessati alle scienze giornalistiche, fondato nel 189828. Sul piano politico, invece, sempre nello stesso anno, Grünberg si impegnò nella fondazione della prima società sionista svizzera, mostrandosi vicina alle posizioni di Theodor Herzl. Trattasi della «Société littéraire israélite», con una

26 Ivi, p. 19. Segnaliamo che proprio questo passaggio di Nordau venne citato da Valensi, suo allievo, nell'articolo dedicato al sionismo. A.VALENSI, Le sionisme, «Revue politique et parlamentaire» (1906), p. 568.

27 Informazioni reperite presso HelveticArchives NB-Biokat – Grünberg, Ilia – 1 (1956).

sede a Ginevra e un'altra a Zurigo che fin dalla sua fondazione contava una cinquantina di iscritti29. A queste date risale l'articolo di Grünberg Le sionnisme (1898) un articolo pubblicato sul «Journal de Genève» e dedicato al neonato movimento sionista30. In questo scritto Grünberg individuava una continuità tra il passato ebraismo tradizionale e il nascente sionismo. Come già Herzl nell’incipit di Der Judenstaat, l'autrice scriveva che il sionismo non era affatto una novità nell'ebraismo. Anzi. Esso era noto fin dai tempi dell'esilio babilonese: «il movimento che ci interessa non è nuovo che per coloro che non sono al corrente delle aspirazioni e dell'animo dell'antico popolo eletto. Gli ebrei seduti sulle rive dei fiumi di Babilonia piangevano il ricordo di Sion; questo fu il primo inizio del sionismo»31. Per Grünberg ricordo e pianto, racchiusi nei salmi biblici, erano di per sé un'evidente espressione dell'amore nazionale dal quale nel XIX secolo era poi sorto il sionismo32. Non

c'era stata dunque alcuna discontinuità col passato. Non c'era stata alcuna rottura con la tradizione. Si trattò semmai di un'evoluzione che dal biblico pianto portò all'«amore per Sion» tipico della poesia e della letteratura moderna ebraica. Il sionismo, sembrava arguire l'autrice, era sorto all'interno di tale processo “evolutivo” dell'ebraismo, iniziato con l'età dell'emancipazione. Un processo che non comportò soltanto un superamento del passato religioso, ma altresì una sua riattivazione a fini politici. Il termine evoluzione usato dall’autrice sembra riferirsi alla secolarizzazione in atto nel mondo ebraico.

In un altro scritto dell’anno successivo, Grünberg si confrontò in modo ben più diretto con tale riattivazione politica promossa dal sionismo. Trattasi di Le sionisme et les colonies

juives en Palestine (1899) un articolo che uscì come pubblicazione a se stante e che qualche

anno dopo venne edito dalla stampa sionista italiana sulle pagine di «L'idea sionista» (1901), organo ufficiale della federazione sionista italiana33. In tale scritto l'autrice riconosceva fin da subito il legame diretto tra la colonizzazione della Palestina e il sionismo, aggiungendo anche qualcosa in più. Scriveva: «il principale fattore della colonizzazione ebraica in

29 Notizia reperita dalla stessa Grünberg in: I.GRÜNBERG, Le sionnisme, «Journal de Genève» (3.05.1898); poi

stampato in un'edizione a se stante: EAD., Le sionnisme, Weber, Genève, 1899. I passi citati sono tratti da

tale edizione. Riguardo agli scopi della società, più culturali che politici, l'autrice scriveva che essa aveva due scopi principali: il primo «occuparsi in maniera generale della storia e della letteratura ebraica, così come della situazione politica, religiosa, economica, sociale etc. del popolo ebraico ovunque esso si trovi; secondo, prestare un appoggio morale al comitato di iniziativa nominato dal congresso di Basilea 1897, per la colonizzazione ebraica e per propagare questa idea» (ivi, p. 7).

30 Per una disamina dei congressi sionisti vedi: G.KRESSEL, Les congres sionistes, Tel Aviv, 1949. 31 GRÜNBERG, Le sionnisme, p. 1.

32 Probabilmente Grünberg faceva riferimento al Salmo 137, 1-2: «sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre».

33I.GRÜNBERG, Le sionisme et les colonies juives en Palestine, in Bibliothèque universelle et revue suisse, Tome XVI,Bureau de la Bibliothèque universelle, Genève, 1899. Vedi anche: EAD., Il sionismo e le colonie

Palestina è certamente il movimento che sta emergendo tra il popolo ebraico da una quindicina d'anni e che ha preso il nome di sionismo, derivato da Sion»34. Come aveva notato anche Laqueur, dall'appello di Pinsker (1882) al primo congresso sionista (1897) erano trascorsi una quindicina d'anni, nel corso dei quali il movimento aveva già iniziato a muovere i suoi primi passi verso la Palestina. Per quanto emigrata in Svizzera quand'era ancora molto giovane, Grünberg dimostra qui di conoscere i movimenti culturali e politici che erano da tempo sorti nei territori dell'Europa orientale. Ne è una conferma ulteriore il suo giudizio nei confronti della conferenza di Kattowiz dell'autunno 1884, che, secondo Grünberg, aveva segnato una data decisiva nella storia del movimento, al punto da definirla come la «prima conferenza dei sionisti»35.

Secondo l'autrice, i primi passi del sionismo andavano legati agli obiettivi che fin da subito il movimento si era proposto, ovvero la colonizzazione della Palestina. Ma, altresì, il sionismo non poteva separarsi dall'idea da cui aveva tratto il nome: Sion. Qui Grünberg sembrò recuperare il discorso di Birnbaum, in Die Prinzipien der Zionismus (1892), sulla provenienza del nome sionismo dal termine Sion36. Scriveva infatti Grünberg: «in origine, la parola Sion indica qualcosa di superiore, brillante ed eccellente. Più tardi, essa diventa un nome proprio adoperato per una regione, di cui non si è ancora potuto stabilire la situazione esatta da parte degli scienziati»37. Secondo l'autrice, era difficile risolvere questo carattere ambivalente contenuto nella parola Sion, in quanto sommava in sé tanto un'idea di natura trascendente, quanto una mera indicazione geografica. Motivo per cui il termine Sion era «troppo ideale per essere preso in senso strettamente reale» e «troppo reale per indicare solo

34GRÜNBERG, Le sionisme et les colonies juives en Palestine, p. 71. Il corsivo è del testo.

35 La conferenza era stata voluta dall'organizzazione Hibbat Zion [L'amore di Sion] e contò 36 delegati che elessero Leon Pinsker loro presidente. Scrive Laqueur che in tale sede si decise la creazione di due comitati centrali, l'uno a Varsavia, di breve durata, l'altro ad Odessa, città molto attiva culturalmente che divenne il centro principale delle attività sioniste in Russia fino alla Prima guerra mondiale. A detta dello storico, «il congresso di Kattowitz costituì negli annali della storia del sionismo una delle sue più importanti pietre miliari», confermando così il giudizio di Grünberg. (LAQUEUR, Histoire du sionisme, pp. 123-4). Del resto

in un articolo uscito nello stesso anno sul quotidiano francese «Le Siécle», intitolato Le sionisme et l'antisemitisme (1899), anche Nordau aveva riconosciuto la paternità del movimento all'ebraismo orientale, sostenendo che «il movimento sionista» non era stato inventato dagli ebrei emancipati dell'ovest. Il sionismo «era nato tra gli ebrei dei paesi arretrati», i quali avevano lanciato le loro grida di soccorso e ai quali gli ebrei occidentali avevano risposto, organizzando la loro massa caotica, fornendo loro delle «lingue civilizzate» e riformulando le loro «vaghe aspirazioni» (M.NORDAU, Le sionisme et l'antisemitisme, «Le Siécle» 9 juillet 1899). La provenienza dal contesto ebraico-orientale preservò molto probabilmente Grünberg dall'utilizzare espressioni simili a quelle di Nordau che lasciavano trapelare quel tipico senso di superiorità degli ebrei occidentali verso quelli orientali, riconoscendo piuttosto gli elementi positivi che tale ebraismo apportò al movimento politico.

36 BIRNBAUM, Die Prinzipien der Zionismus, «Selbst-Emancipation» n. 4-6 (1892). 37 GRÜNBERG, Le sionisme et les colonies juives en Palestine, p. 72.

un ideale»38. Per alcuni, proseguiva, Sion rappresentava la nazione ebraica, per altri la sua religione. Tale ambivalenza non poteva essere risolta. Non poteva esserci un aut-aut: Sion «in fondo non è né l'una, né l'altra cosa, ma l'una e l'altra insieme, e ancor di più: è il popolo e il paese, il reale e l'ideale, la nazione e la religione ebraica»39. In tal modo Grünberg non soltanto si allineava alle posizioni laiche del primo Birnbaum e di Nordau, ma iniziava già a problematizzarle, rendendosi conto della difficoltà presente nel voler separare l'elemento religioso da quello politico, dal momento che il sentimento nostalgico per Sion, quel

Sehnsucht, pur essendo stato secolarizzato nel corso dell'Ottocento, conservava ancora un

legame con la sua origine religiosa. Senza questo legame, senza questa ambivalenza, il ritorno in Palestina, fondato sulla nostalgia nazionale e religiosa per Sion, avrebbe perso di senso e di forza, come ben sapeva Nordau.

L'idea di una evoluzione interna al pensiero collettivo ebraico e dunque di una linea di continuità tra sionismo ed ebraismo che emerge chiaramente da queste prime fonti sioniste sembra essere un’evidente traccia del processo di secolarizzazione in corso. Nell'ottica di Grünberg, come in quella di Nordau, non c'era stata alcuna discontinuità con il passato. Non c'era stata alcuna rottura, prodottasi dall'emergere di una politica ebraica, come invece gli anti-sionisti iniziavano a sostenere. Si trattò semmai di un’evoluzione storica, fondata sull'idea di progresso e civilizzazione di matrice europea. Tale processo, secondo l'autrice, era iniziato in modo intermittente con la nascita della moderna letteratura ebraica. La genesi di una politica ebraica andava ricercata nelle poesie, nei romanzi e in altre opere letterarie, in cui una nuova ed emancipata classe intellettuale aveva iniziato a riscoprire un laico amore per Sion.

Se ci domandassero precisazioni, diremmo che il nazionalismo ebraico, nell'incontro con l'ebraismo religioso, si è affermato in modo intermittente attraverso poesie, romanzi e altre opere, abbastanza poco lette, in cui si intravedeva la speranza di una restaurazione del popolo ebraico in Palestina40.

In tal modo, secondo Grünberg la politica fu preceduta dalla poesia. Prima del nazionalismo vi fu la rinascita di una moderna letteratura ebraica. Una letteratura che testimoniava il progressivo distacco dagli ambienti del mondo tradizionale, che mirava alla riscoperta e al

38 Ibid.

39 Ibid.

potenziamento della lingua ebraica, per dissociarla dalla liturgia e farne così la lingua della nuova letteratura. A distanza di parecchi anni, l'intimo legame tra letteratura moderna ebraica e sionismo venne ribadito anche da un teorico della letteratura, nonché poeta: Simon Halkin (1898-1987). Secondo Halkin, in Modern Hebrew Literature (1950) «nessuna adeguata comprensione dell'esplosione vulcanica nella vita ebraica», che aveva condotto alla fondazione dello stato di Israele, era possibile «senza uno studio delle moderne lettere ebraiche»41. Analoghe considerazioni si ritrovano infine in Jacob Katz, il quale, ragionando come Halkin sul processo di secolarizzazione ebraica, aveva individuato i primi bagliori del