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L A SECOLARIZZAZIONE EBRAICA E LA QUESTIONE TEOCRATICA

Le posizioni esaminate finora convergono su un punto semplice, ma importante: il sionismo favorì il processo di secolarizzazione, cercando di ridefinire vita e pensiero ebraici nel mondo moderno non più su base religiosa, bensì politico-nazionale. Per farlo, come lascia intendere Kohn e come confermano le fonti sioniste, ci si avvalse della laicizzazione della tradizione biblica e della secolarizzazione dell'idea messianica, premessa indispensabile per parlare di sionismo come religione secolare del Novecento. Le riflessioni sul nesso tra religione e politica nel movimento sionista iniziarono a svilupparsi soprattutto a partire dalla proclamazione dello stato di Israele nel 1948. Trattasi principalmente di riflessioni critiche, tutte impegnate a tenere distinta la politica sionista dello stato israeliano dal messianismo

103 Ivi, pp. 36-7.

secolarizzato. Alcuni avanzarono tale distinzione per voler ripristinare un primato della religione sulla politica, come il filosofo Lévinas, altri per timore di una degenerazione del sionismo in forme autoritarie e aggressive, sotto le spinte del messianismo politico, come nel caso di alcuni docenti dell'università ebraica di Gerusalemme. Così, a partire dagli anni Cinquanta questi posizionamenti diedero vita alle prime riflessioni, ancora embrionali, sul nesso tra politica sionista e messianismo. Il problema di fondo in queste analisi sembra essere prevalentemente uno: una volta realizzatosi nella storia il ritorno a Sion, come salvare il sionismo da se stesso? Come evitare che anche la politica ebraica, in quanto nazionalismo moderno, non subisca le stesse degenerazioni degli altri movimenti politici europei? Sembra che tutti i tentativi fatti di disgiungere religione e politica a partire dai primi anni di vita dello stato israeliano furono animati dalla volontà di salvare l'esperimento sionista da se stesso, evitando derive sciovinistiche, e al tempo stesso di preservare la religione ebraica da un progressivo indebolimento.

Vanno in quest'ultima direzione le riflessioni sulla politica ebraica avanzate dal filosofo lituano naturalizzato francese Emmanuel Lévinas (1906-1995), il quale tornò più volte a riflettere sul rapporto tra religione e politica nell'ebraismo contemporaneo. Se le critiche mosse al neonato stato di Israele andavano nella direzione di una normalizzazione necessaria, secondo cui Israele doveva diventare una nazione come tutte le altre, abbandonando qualsivoglia richiamo religioso o biblico a giustificazione della sua esistenza, per Lévinas Israele non era e non doveva diventare uno stato secolare come gli altri, non doveva cioè eliminare il suo profondo significato religioso. Questa fu la posizione del filosofo in diversi suoi articoli, usciti tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Nell'articolo Etat

d'Israel et religion d'Israel (1951)105, Lévinas iniziò a riflettere sulla condizione dell'uomo moderno all'interno dello Stato, in qualità di cittadino. Tale condizione assicura all'uomo piena libertà, egli può agire in termini assoluti: «tempo libero, sicurezza, democrazia: tutto segnala il ribaltamento di una condizione, l'inizio di un essere libero»106. Tale libertà permette così all'uomo di raggiungere la propria natura spirituale, chiosava Lévinas. In tal modo, lo stato moderno favoriva la riconciliazione tra vita politica e vita spirituale, possibile grazie a un'emancipazione dell’uomo dalla religione e dal sacro. Eppure, proseguiva il filosofo, tale riconciliazione tra politica e spirito non doveva essere interpretata come una

105 E. LÉVINAS, Etat d'Israel et religion d'Israel, «Evidence» n. 9/10 (1951), pp.4-6; raccolto poi in ID., Difficile Liberté, Editions Albin Michel, Paris, 1976, pp.302-8; tr. it. Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, Jaca Book, Milano, 2004, pp. 269-74. Seguiamo l'edizione italiana.

sacralizzazione della politica negli stati moderni. «Solo una grossolana analogia», scriveva l'autore, avrebbe potuto far credere che «gli uomini, dimenticando Dio» avessero semplicemente cambiato divinità107. In questo modo Lévinas si schierava apertamente contro l'idea della permanenza del sacro nel mondo moderno e dunque contro il concetto di religione secolare.

Questo «uomo moderno», «l'uomo dell'umanesimo» liberato dalla religione diventava per Lévinas un vero e proprio nemico all'interno dello stato di Israele, dove la secolarizzazione non era più letta nei termini di liberazione, bensì vista come minaccia. «L'uomo moderno, l'uomo dell'umanesimo è un uomo in uno Stato ed è, al di là delle meschinità un poco volgari, il vero antagonista della religione nello Stato di Israele»108. La secolarizzazione, fenomeno storico incontestabile, aveva comportato il declino delle «religioni istituzionalizzatesi in chiese». Un declino connesso esattamente con l'avvento degli stati moderni. Fin qui l'analisi di Lévinas coincide con quella di Kohn. A fronte di tale generale processo, l'avvento del sionismo aveva posto un argine, un freno alla secolarizzazione nel mondo ebraico, dal momento che con la fondazione di Israele «il popolo ebraico» aveva realizzato «uno Stato il cui prestigio appartiene alla religione che la vita politica soppianta»109. La separazione dunque tra religione e politica, presente negli altri stati moderni, non era per Lévinas una strada percorribile, in quanto il prevalere della dimensione politica e laica avrebbe col tempo eroso le fondamenta religiose sulle quali lo stato ebraico si era potuto fondare. Sotto la spinta di tali preoccupazioni di carattere religioso, il filosofo difendeva l'idea di uno Stato di Israele religioso, dunque teocratico: «lo Stato di Israele sarà religioso per l'intelligenza dei suoi grandi libri che non è libero di dimenticare. Sarà religioso a motivo dell'atto stesso che lo impone come Stato. Sarà religioso oppure non sarà affatto»110. Non si trattava per Lévinas di realizzare un'antica promessa, né di assicurarsi una condizione di sicurezza materiale, secondo l'ottica sionista. Per l'autore Israele forniva invece la possibilità «di realizzare la legge sociale del giudaismo»111. In ciò consisteva la «contraddizione insolubile» dello Stato di Israele, dove religione e politica dovevano paradossalmente convergere.

Ostile al processo di secolarizzazione, Lévinas sponsorizzò così l'idea di uno stato

107 Ibid. 108 Ibid. 109 Ivi, p. 271. 110 Ivi, p. 273. 111 Ivi, p. 272.

ebraico di tipo teocratico. In L'assimilation aujourd'hui (1954)112, il filosofo affrontò apertamente la questione, attraverso una riflessione sugli esiti dell'assimilazione e sul rapporto dell'ebraismo con il mondo occidentale. Per Lévinas, la creazione dello stato di Israele aveva messo in luce due aspetti: la profondità del legame tra ebrei e paesi occidentali e la consapevolezza della realtà dell'assimilazione. Ormai era evidente un fatto: l'assimilazione aveva fallito. Essa, scrive Lévinas, non aveva «messo fine alla lacerazione dell'anima ebraica»113, né all'antisemitismo, nonostante fossero state grandi le ambizioni dei suoi promotori . Tale fallimento, a detta dell'autore, attestò «la fragilità della filosofia che la guidava, l'imprecisione dei suoi concetti», insita in quella che egli definisce «l'ignoranza delle forme secolarizzate della vita religiosa negli stessi stati laici», ovvero il «vizio principale della filosofia dell'assimilazione»114.

A questo livello si posiziona Lévinas e la sua critica verso l'assimilazione, colpevole di aver favorito una secolarizzazione ancora più forte rispetto a quella che si ebbe in Europa. Come abbiamo già visto con Salo Baron, la critica in un certo senso era legittima, se consideriamo il divario tra mondo europeo occidentale già secolarizzato e mondo ebraico, appena uscito dal ghetto. Sembra che per il filosofo fu tale divario a determinare l'accelerazione, cavalcata dall'assimilazione, e severamente criticata.

Ci si deve chiedere se la disaffezione degli individui verso le credenze religiose abbia realmente intaccato il carattere cristiano della società in cui viviamo, e se la filosofia dell'assimilazione che separava ordini politico e religioso non abbia colpito la religione ebraica più profondamente di quanto la non credenza generale del mondo abbia fatto con le chiese115.

Lévinas solleva qui un problema centrale sull'incidenza della secolarizzazione sul mondo ebraico che fu recuperato dallo storico Katz. Nel corso dell'età moderna il progressivo indebolirsi delle strutture religiose cristiane fu compensato dall'avvento di monarchie e stati, cosicché l'irreligiosità crescente si attuò pur sempre all'interno di una forma statale. Tali forme statali, seppure laiche, permisero la conservazione «nella sostanza secolarizzata» delle

112 E. LÉVINAS, L'assimilation aujourd'hui, «Information Juive» n. 6 (1954), pp.3-4; raccolto poi in ID.,

Difficile Liberté, cit., pp. 354-8; tr. it. Difficile libertà, pp. 317-20. 113 Ivi, p. 318.

114 Ibid. 115 Ibid.

«forme della vita religiosa»116. A fronte di tali riflessioni, Lévinas si chiedeva dunque quale conservazione della tradizione religiosa ebraica, per quanto in forma secolarizzata, sarebbe mai stata possibile in assenza di uno stato ebraico? Questo sembrava essere l'implicita questione sollevata da Lévinas, il quale, tuttavia, non arrivò a porre in modo così diretto la questione, come invece fece successivamente Jacob Katz117.

La strada della politica fu per il filosofo l'unica opzione percorribile per conservare la religione in un mondo sempre più laico e irreligioso. Motivo per cui «la realtà dell'elemento mezzo razionale e mezzo religioso» poteva garantire «una permanenza religiosa presso il popolo israeliano», sebbene gli individui si fossero ormai affrancati «da ogni regola rituale e da ogni credenza»118. È importante comprendere ora la posizione da cui scriveva Lévinas. Il suo interesse era religioso. Ciò va tenuto presente. Egli si interrogava su come poter preservare la religione ebraica a fronte della secolarizzazione. Come vedremo, siffatta problematica ritorna anche nelle utopie di Sion che analizzeremo nella seconda parte del presente lavoro.

Infine, in Judaisme et temps present (1960)119 Lévinas affrontò nuovamente il tema della secolarizzazione, la quale non incideva solo materialmente sulla vita quotidiana, non più scandita dalle prescrizioni religiose, ma influiva altresì sulla vita interiore, scarnificandola, annichilendola. Opporsi alla secolarizzazione per arrestare simile erosione della sfera religiosa implicava avanzare una critica anche allo stato israeliano, il quale si era configurato come una religione secolare, sfruttando il messianismo a scopi politici. Seguendo il ragionamento del filosofo, sembra che il sionismo a dispetto dell’emancipazione aveva permesso con la fondazione di uno stato ebraico di preservare meglio i contenuti religiosi secolarizzandoli. Tuttavia, una volta operato tale processo, bisognava porre un freno alla secolarizzazione, riportando l'ingresso sionista nella storia profana nell'alveo della storia sacra. A detta di Lévinas non bisognava dunque assecondare nessuna forma di messianismo secolarizzato, dal momento che esso aveva animato tutti i nazionalismi: «tutti i nazionalismi

116 Ibid.

117 Lo storico Katz sollevò dubbi analoghi, parlando dell'eventualità, abbastanza concreta, di un assorbimento della religione minore (ebraismo) all'interno di quella dominante (cristianesimo) nel contesto delle società europee laiche. Vedi: J.KATZ, Judaism and Christianity agaist the background of Modern Secularism, «Judaism» n. 3 (1968), pp. 299-315; raccolto poi in ID., Emancipation and Assimilation. Studies in Modern

Jewish History, Gregg International Publisher, Westmead, 1972, pp. 111-27. 118 LÉVINAS, L'assimilazione oggi, p. 319.

119 E.LÉVINAS, Judaisme et temps present, «L'Arché» n. 8\9 (1960), pp. 32-6; raccolto poi in ID., Difficile

ormai sono messianici e tutte le nazioni sono elette»120. Lévinas si dimostrò sempre ostile alla formazione di religione secolari, in quanto esse avevano progressivamente eroso la sfera religiosa. Tale discorso valeva anche per il sionismo e per Israele. Criticando «le premature pretese messianiche» di cui i movimenti politici moderni si erano ammantati, Lévinas riconosceva, seppur indirettamente, le moderne pretese messianiche anche nello stato israeliano, che avrebbe dovuto invece intraprendere la strada opposta, quella teocratica di una politicizzazione del religioso.