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I L SIONISMO COME RELIGIONE SECOLARE E CIVILE

A partire dagli anni Ottanta fino agli ultimi anni della sua vita, lo storico George Mosse avviò una serie di riflessioni disseminate tra articoli e conferenze incentrate sulla lunga «storia dell'incontro tra ebraismo e modernità», recuperando così alcune intuizioni di Talmon e alcune tesi di Katz, storici entrambi noti a Mosse176. Questo incontro tra ebraismo e modernità individuava una storia iniziata per Mosse con l'emancipazione ebraica, la quale dette poi origine all'ebraismo riformato tedesco, alla Wissenschaft des Judentums, fino a giungere al dialogo ebraico-tedesco. Una storia che si sviluppò lungo tutto l'Ottocento e che si consumò alla fine tra le religioni secolari del Novecento.

Sebbene l'interesse di Mosse sembri essersi sviluppato soprattutto a partire dagli anni Ottanta, dobbiamo tuttavia ricordare che un suo primo accostamento alla storia ebraica moderna era già avvenuto con la pubblicazione del volume Germans and Jews, the Right, the

176 Sappiamo che Mosse conosceva il lavoro storiografico di Katz. Nel 1980 gli venne infatti chiesto dalla rivista «Commentary» di recensire il libro From prejudice to destruction: Antisemitism 1700-1933, richiesta che egli accettò di buon grado. Vedi: G.L.MOSSE, Katz, Jacob: From Prejudice to Destruction: Anti-

Semitism 1700-1933, «Commentary» n. 6 (1980), pp. 72-5. Inoltre recensì l'autobiografia di Katz in J. FRANKEL (ed.), Studies in contemporary Jewry - The Fate of European Jews 1939-1945. Continuity or Contingence? An Annual XIII 1997, Oxford University Press, New-York-Oxford, 1997, pp. 337-9. Per l'autobiografia di Katz vedi: J.KATZ, With my own eyes: a Historian's Autobiography, Brandeis University

Left and the Search of the Third Force in Pre-Nazi Germany (1970)177. Questo permette di chiarire l'importanza che ebbero gli anni Settanta nello sviluppo del suo interesse verso la storia dell'ebraismo più recente, che emerse poi in tarda età negli ultimi due decenni del suo lavoro. L'interessamento verso le proprie origini ebraico-tedesche, verso la sua personale provenienza da una famiglia benestante berlinese e verso il generale panorama culturale e intellettuale che contraddistinse il dialogo ebraico-tedesco si sviluppò parallelamente ai suoi soggiorni di studio e di insegnamento in Israele178. Dal 1970 in avanti, Mosse iniziò infatti a insegnare storia dell'antisemitismo e del razzismo presso l'Institute of Contemporary Jewry dell'università ebraica di Gerusalemme in qualità di visiting professor, mentre nel 1979 divenne titolare della Koebner Chair in storia tedesca presso la medesima università. Sempre negli anni Settanta Mosse ebbe inoltre modo di insegnare in diversi istituti educativi destinati ai giovani sionisti, come l'Habonim, Young Judaea e il World Union of Jewish Students, attraverso delle lezioni che non volevano essere di propaganda, ma che semmai, come egli stesse riconobbe, miravano a fornire una «certa profondità storica all'impegno»179. Riteniamo dunque che l'interesse di Mosse per la storia ebraica degli ultimi due secoli e la sua particolare visione del sionismo siano da inquadrare all'interno di queste sue esperienze biografiche.

Da storico Mosse trattò sempre il nazionalismo in termini negativi, in quanto movimento politico di massa dalle connotazioni sciovinistiche e autoritarie. In un'intervista del 1979 egli dichiarò esplicitamente quale fosse la sua posizione verso il nazionalismo: «credo che tutti i nazionalismi siano cattivi. Tutti i miei libri sono stati scritti contro il nazionalismo»180. Eppure, nonostante un simile giudizio critico verso il nazionalismo in sé, il suo giudizio sul sionismo non fu mai altrettanto di condanna. Tale divergente trattamento, sintomo di un certo coinvolgimento emotivo, più che politico verso le sorti di Israele, lo indusse a considerare il nazionalismo sotto due aspetti: quello aggressivo e sciovinistico, ben

177 G.L. MOSSE, Germans and Jews, the Right, the Left and the Search of the Third Force in Pre-Nazi Germany, H. Fertig, New York, 1970. Oltre a tale lavoro va ricordata la sua stretta collaborazione e amicizia con il noto storico del sionismo Walter Laqueur, assieme al quale curò il volume Historians in Politics (Sage Publication, London, 1974). Inoltre, sempre nello stesso anno, pubblicò un altro libro assieme a Bela Vago che testimoniava questo suo crescente interesse verso la moderna storia dell'ebraismo: G.L. MOSSE;B.VAGO (eds.), Jews and Non-Jews in Eastern Europe, 1918-1945, John Wiley and Sons, New

York, 1974.

178 Vedi: G.L.MOSSE, Confronting History. A memoir, The University of Wisconsin Press, Madison, 2000.

179 K. PLESSINI, From Machiavellism to the Holocaust The Ethical-Political Historiography of George L.

Mosse, Inauguraldissertation der Philosophisch-historischen Fakultät der Universität Bern, Akademisches Jahr 2008/2009, Hauptgutachterin: Prof. Dr. Marina Cattaruzza Zweitgutachter: Prof. Dr. Emilio Gentile, p. 190.

rappresentato dai fascismi novecenteschi e quello patriottico e umanitario, prefigurato da alcuni sionisti illuminati come Martin Buber e Hans Kohn. Un esempio di tale duplice lettura del nazionalismo la ritroviamo nel libro Masses and Man. Nationalist and Fascist

Perceptions of Reality (1980). In tale lavoro Mosse volle spiegare quale fosse la forza dei

nazionalismi europei, in particolare quello tedesco, una forza tale da saldare assieme aspirazioni individuali e finalità politiche, riducendo così la singolarità dell'uomo a massa. «Il nazionalismo si presentava come una forza immutabile e sacra che adoperava la storia e la natura per dimostrare la grandezza della nazione. La brama di interezza e di immutabilità favorì l'integrazione dell'uomo con le masse»181. Affinché tale processo di integrazione tra uomo e massa potesse darsi, il nazionalismo ricorse a miti e simboli, preferendo l'immagine alla parola. Essi servirono così «a interiorizzare la realtà e a trasfonderle i timori, i desideri e le speranze dell'uomo»182. Questo nazionalismo era definito da Mosse «radicale» e «pericoloso per la libertà umana», in quanto sostituiva le masse all'individuo, eliminandone la singolarità, e in quanto si era dimostrato in fin dei conti «disastroso nel creare false collettività»183.

A fronte di tale nazionalismo dagli esiti disastrosi, lo storico introdusse un altro tipo di nazionalismo, un nazionalismo che non prevalse e fallì, ma che, non per questo, si dimostrò ai suoi occhi meno interessante. Egli aveva individuato questo “nazionalismo alternativo” proprio nella storia del sionismo, nella sua corrente culturale: «Martin Buber e Robert Weltsch in qualità di capi sionisti esortarono i loro seguaci a concentrare l'attenzione sullo sviluppo interno della nazione ebraica, sulla sua eredità culturale»184. Questa versione alternativa del nazionalismo si differenziava da quella pericolosa e radicale che si espresse nei fascismi europei, in quanto «sosteneva la dignità umana invece di una cieca sottomissione alla collettività»185. Secondo tali pensatori sionisti, seppure minoritari, la nazione era soltanto un momento di passaggio, necessario all'emancipazione di tutta l'umanità. Nazionalismo e umanesimo potevano dunque lavorare assieme in vista di tale obiettivo. Questa sintesi, tipica espressione del sionismo culturale di Buber e di alcuni intellettuali dell'associazione Brit Shalom, sembrò aver affascinato a tal punto Mosse da determinare il suo ambivalente giudizio verso il nazionalismo, specialmente verso quello sionista. L'interesse dello storico era motivato, del resto, da una preoccupazione intellettuale

181 MOSSE, L'uomo e le masse nelle ideologie nazionalistiche, p. 14.

182 Ivi, p. 16. 183 Ibid. 184 Ivi, p. 19. 185 Ibid.

e politica di fondo, molto concreta, che egli espresse chiaramente nei seguenti termini: «poiché il nazionalismo si rifiuta di andarsene, poiché tutte le minoranze seguitano a cercare la loro identità nazionale, il compito di dare un volto umano al nazionalismo si fa sempre più incalzante»186. Questa fu la sua preoccupazione e la sua speranza insieme, «un giorno si scriverà la storia di questo nazionalismo umanitario, perché bisogna riprenderne la storia per mostrare le possibilità non attuate insite nell'aspetto positivo del nazionalismo»187. Tali posizioni dello storico ritornarono anche in altri suoi lavori successivi, motivo per cui riteniamo che il suo interesse sulla storia ebraica degli ultimi due secoli e i suoi studi sul sionismo abbiano avuto come punto di partenza l'idea di rintracciare la storia di questo «nazionalismo dal volto umano».

Mosse iniziò a riflettere sulla questione della secolarizzazione ebraica in uno scritto intitolato The Secularization of Jewish Theology (1980)188. Attraverso questo studio egli voleva analizzare la prima secolarizzazione che il mondo ebraico europeo conobbe in seguito all'emancipazione e all'uscita dal ghetto. Come Katz, anche Mosse concordava nel far risalire la prima secolarizzazione ebraica all'età dei Lumi, con la diffusione delle idee illuministiche sulla cui scia si era poi avviato il movimento dell'ebraismo riformato e la Wissenschaft des

Judentums189. Fu soltanto a seguito del fallimento di questa prima secolarizzazione culturale che subentrò poi quella politica.

La secolarizzazione della teologia ebraica si verificò quando la percezione della "modernità" da parte di quella generazione degli ebrei fu assorbita entro l'edificio della devozione ebraica – cosa che si compì adattando la liturgia e il pensiero religiosi in modo tale da comprendervi le nuove tendenze culturali e politiche dell'epoca. Così l'Illuminismo, il nazionalismo, il romanticismo e i valori della classe media giunsero fin proprio al nucleo della religiosità ebraica e alla fine servirono a darle carattere190.

Questi ritocchi all'edificio religioso miravano a cercare un possibile accordo tra modernità e

186 Ivi, p. 20. Il corsivo è nostro. 187 Ibid.

188 G.L. MOSSE, The secularization of Jewish Theology in ID., Masses and Man:Nationalist and Fascist Perceptions of Reality, Howard Fertig, New York, 1980; tr. it. La secolarizzazione della teologia ebraica in

ID., Ebrei in Germania fra assimilazione e antisemitismo, Giuntina, Firenze, 1991, pp. 27-43. Seguiamo l'edizione italiana.

189 In The Forerunners of Zionism (1978) Katz sosteneva che i primi embrionali barlumi del nascente nazionalismo dovevano essere fatti risalire proprio all'epoca dell'illuminismo, «che era solitamente visto come l'antitesi del movimento nazionalistico» (KATZ, The Forerunners of Zionism, p. 106).

tradizione assecondando il cambiamento dei tempi (shinui haitim): gli ebrei illuminati, i cosiddetti maskilim, iniziarono a dichiararsi devoti cittadini e patrioti tedeschi di fede ebraica191. Fu proprio questa strategia, a detta di Mosse, ad aprire le porte alla fase successiva, quella che vide l'irrompere del sionismo, configuratosi nei termini di una «religione secolare». Precisiamo fin da subito che lo storico non parlò esplicitamente di diverse fasi della secolarizzazione ebraica. Egli predilesse piuttosto il termine, forse un po' troppo ambiguo, «modernità» che utilizzò però come sinonimo di secolarizzazione. Seguendo il suo discorso a proposito di “varie modernità ebraiche”, possiamo ricavarne l'individuazione di differenti fasi di sviluppo della secolarizzazione. Secondo lo storico, esisteva un parallelismo tra secolarizzazione ebraica e quella europea cristiana. Esso si basava sul medesimo processo di assorbimento delle «tendenze più recenti dell'epoca entro una devozione generalizzata». In ciò consisteva «la vera storia della secolarizzazione»192, che aveva traslato miti, simboli e concetti di matrice religiosa in concetti politici.

Il rischio connesso alla secolarizzazione della teologia ebraica promossa dai riformatori rabbini era direttamente legato agli esiti di tale “attualizzazione”. Una questione che Mosse formulava nel modo seguente: «una volta che una “modernità” era stata assorbita poteva venir messa da parte quando sarebbe arrivata una successiva “modernità”?»193. Domanda dalla risposta scontata. Una volta incamminatisi sulla strada della modernità, una volta secolarizzato il patrimonio religioso attraverso la commistione di nuovi valori sociali e politici come si sarebbe potuti tornare indietro? Ciò non era possibile e Mosse ne era ben consapevole. In virtù dell'irreversibilità del processo di secolarizzazione religiosa, «molti giovani ebrei tedeschi nel xx secolo si volsero verso le “religioni secolari”, più vicine ai loro desideri, quali il sionismo e il socialismo»194. Il problema individuato dallo storico era dunque il seguente: nell'evoluzione dell'establishment religioso ebraico si era progressivamente creato un vuoto che il discorso religioso non era stato più in grado di colmare. Il sentimento di appartenenza al Volk ebraico fu il sintomo evidente di tale “vuoto”, prodotto dalla prima secolarizzazione della teologia ebraica. Secondo Mosse, dal momento

191 Vedi anche quanto scrive David Goldberg: «determinati a proteggere e a estendere le libertà appena conquistate, gli ebrei erano instancabili nelle loro dichiarazioni di lealtà e patriottismo, soprattutto in Germania, dove gli ortodossi, i riformisti e i laici competevano nel negare le caratteristiche nazionali e razziali del giudaismo e nel rassicurare i cauti organi legislativi che, nel cuore degli ebrei, la patria tedesca aveva da lungo tempo sostituito il luogo di nascita della loro fede» (D.J.GOLDBERG, Verso la Terra

promessa. Storia del pensiero sionista, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 16-7). 192 MOSSE, La secolarizzazione della teologia ebraica, p. 28.

193 Ibid. 194 Ibid.

che «il legame con la tradizione, con la religione popolare» era stato interrotto e secolarizzato dall'establishment religioso, sembra che «il suo finale ristabilimento sulla base del mito e della comunità» avesse esercitato «un forte richiamo sulla generazione del XX

secolo». Non tanto, proseguiva lo storico, a seguito di una mutata composizione sociale degli ebrei, quanto piuttosto a causa di «una intensa aspirazione alla comunità che la riforma religiosa ebraica non poteva più soddisfare»195. Questa «intensa aspirazione alla comunità» era chiaramente cresciuta con le dichiarazioni di fedeltà e di patriottismo verso il nascente stato tedesco. Proprio per ciò andava tenuto presente un fatto importante. La tradizione religiosa non poteva rispondere a tale nuovo bisogno di partecipazione politica e civile, un bisogno che la modernità con l'emancipazione aveva inevitabilmente introdotto nel pensiero collettivo ebraico. Gli ebrei non sentivano più l'esigenza di far parte di una comunità religiosa. Essi volevano piuttosto partecipare alla comunità politica delle società europee, in quanto cittadini. Così tale intensa aspirazione alla comunità si inserì lentamente nella sintesi tra la nuova cittadinanza acquisita e l'antica confessione israelitica, separandole.

In questo articolo Mosse dimostra di aver colto un punto problematico e storicamente pregnante dell'evolversi della storia ebraica verso le religioni secolari del Novecento. Se a partire dalla Haskalah l'ebraismo riformato tedesco aveva creduto possibile “rimanere ebrei in casa e diventare cittadini per strada”, la secolarizzazione smentì tale presupposto su cui l'intero dialogo ebraico-tedesco si reggeva. Una volta venuta meno la laica fede illuministica, a fronte dell'emergere dell'antisemitismo che imponeva etichette e stereotipi, laddove ci si era tanto prodigati a rimuoverli, quella «intensa aspirazione alla comunità» dovette trovare altri sentieri, non interrotti, per potersi realizzare. Il sionismo non fu altro che una risposta concreta, sebbene altrettanto ideologica, che alcuni intellettuali ebrei assimilati di fine Ottocento elaborarono. Non si sarebbe potuti giungere all'emersione di una politica ebraica senza esser passati attraverso la riforma religiosa che si attuò in Germania e contro cui poi i sionisti si scontrarono. Una considerazione che sembra essere implicita nel discorso di Mosse. Se la prima risposta ebraica al cambiamento dei tempi fu quella di conservare l'ebraismo nell'alveo della religione, ritenuta un edificio stabile e incrollabile, la seconda risposta alla secolarizzazione si indirizzò verso un altro pensiero, fino allora sconosciuto al mondo ebraico: il pensiero politico. Alla religione i sionisti preferirono un'inedita politica ebraica. Influenzati dalle società europee circostanti, abbracciarono anch'essi il patriottismo,

195 Ivi, pp. 42-3. Il corsivo è nostro.

ma in altro modo, istituendo un nazionalismo specificatamente ebraico196.

Una volta tracciato il nesso tra sionismo e religione secolare, il problema principale rimase per Mosse quello espresso in Man and Masses: come poter preservare il nazionalismo dalle sue inevitabili derive scioviniste ed esclusiviste? A ben guardare, questo problema era lo stesso che si erano posti prima di lui gli storici Kohn e Talmon. Recuperando le riflessioni di Kohn sul nesso tra nazionalismo e umanesimo, di matrice buberiana, Mosse si interrogò sulla storia del sionismo, volendo indagare la fallita sintesi del Nationalhumanismus, in quanto esempio di un possibile «nazionalismo dal volto umano». Mosse riconobbe allo storico Hans Kohn di essere stato il primo ad affrontare la questione da una prospettiva storiografica. Come già analizzato, Kohn prefigurava come unica soluzione possibile, per evitare il nazionalismo esclusivista, una futura spoliticizzazione del nazionalismo stesso, così come era già avvenuto per la religione in età moderna. Mosse recuperò in molti suoi scritti le tesi di Kohn, chiedendosi se vi fosse un'altra strada percorribile per salvare il nazionalismo da se stesso, senza per questo dover uscire dalla dimensione politica, come invece Kohn lasciava intendere197.

Su tali questioni è incentrata la conferenza Nationhood and diaspora198, che lo storico

tenne a Cape Town in Sud Africa nel 1980. Durante questa occasione Mosse ritornò nuovamente sul problema di un nazionalismo dal volto umano, analizzando la questione da una prospettiva squisitamente ebraica. Per gli ebrei, scriveva, «la ricerca di un'identità nazionale fu la ricerca di una dignità, lontana dalla degradazione delle associazioni stereotipate dell'antisemitismo199. Inoltre, essa sembrava sempre più necessaria per evitare di ritrovarsi nella condizione di essere «un popolo senza uno stato» e una «nazione diaspora», citando il caso degli armeni200. Come il massacro degli armeni e l'Olocausto avevano

196 Tale lettura di Mosse pare condivisa anche dallo storico francese George Bensoussan, secondo cui: «il nazionalismo soppianta progressivamente la religione come criterio decisivo di appartenenza al mondo ebraico. È in quelle terre ancora poco segnate dall'emancipazione che il fenomeno religioso si sgretola, per lasciare spazio a norme secolari. Il sionismo diventa identità sostitutiva, al posto della religione; esso ovvia ai fallimenti del mondo tradizionale» (G.BENSOUSSAN, Il sionismo, Una storia politica e intellettuale, Einaudi, Torino, 2007, vol. II, p. 776). Il corsivo è nostro.

197 L'interesse per Mosse verso un salvataggio del nazionalismo non sembra legata a convinzioni ideologiche e politiche dell'autore, come invece emerge dalle posizioni di storici come Katz, Talmon, Scholem. Il sospetto è che dietro il tentativo di salvare il nazionalismo e dietro l'interesse per la storia del sionismo risiedesse la riflessione su un altro grande fallimento storico-politico del Novecento: quello comunista.

198 G.L. MOSSE, Nationhood and Diaspora, conferenza 1980, dattiloscritto inedito, in George L. Mosse

Collection; AR 25137; box 18; folder 27; LBI-New York. L'occasione della conferenza fu data dall'inaugurazione del Isaac and Jessie Kaplan Centre for Jewish Studies and Research, avvenuta nel 1980 a Cape Town in Sud Africa.

199 MOSSE, Nationhood and Diaspora, p. 4.

dimostrato, simili situazioni rappresentavano un pericolo concreto. Se, dunque, la nazionalità era un requisito necessario in epoca contemporanea, come si potevano evitare le derive esclusiviste a cui ogni nazionalismo conduceva? Questo era il quesito che tormentava Mosse e che lo portava ad avere uno specifico approccio alla storia del sionismo, in cui le tendenze a umanizzare il nazionalismo emersero in modo evidente e pressoché unico rispetto agli altri movimenti nazionalistici europei. A detta di Mosse, questa fu una caratteristica peculiare del nazionalismo ebraico, come già per Talmon prima di lui. Una caratteristica che purtroppo il sionismo perse nel tempo. A conti fatti, l'inedita sintesi tra nazionalismo e umanesimo, sponsorizzata da Buber, Weltsch e altri intellettuali sionisti, fallì. Quale fu il motivo di questo fallimento? Perché, si chiedeva Mosse, non si riuscì a far prevalere questa sintesi positiva, che avrebbe condotto a un nazionalismo non aggressivo e più salutare? «Perché non si riuscì a combinare l'eredità della diaspora, dell'assimilazione con la consapevolezza nazionale?»201.

Negli stessi anni in cui Mosse rifletteva su simili questioni, in Israele due studiosi Charles S. Liebman e Eliezer Don-Yehiya iniziarono a lavorare assieme attorno all'idea di sionismo come religione civile, pubblicando Civil Religion in Israel (1983), in concomitanza con alcuni articoli accademici, raccolti poi in Religion and Politic in Israel (1984)202. Tali lavori sembrano esser stati promossi soprattutto dall'interesse di Liebman, il quale da lungo tempo si occupava dei rapporti tra religione e politica. Addottoratosi in scienze politiche all'Università dell'Illinois, egli era rimasto negli Stati Uniti fino al 1969, anno in cui decise di trasferirsi in Israele, dove fondò il dipartimento di scienze politiche della Bar-Ilan University. Fin dagli anni Settanta Liebman aveva iniziato a riflettere sul rapporto tra ebraismo statunitense e società americana, con alcuni interessanti studi in merito, come The

Ambivalence of American Jew (1973), secondo le cui conclusioni un'integrazione completa

per gli ebrei nella società americana era impossibile. Lo studio verso credenze, miti e simboli