• Non ci sono risultati.

S IONISMO E RELIGIONE NELLO SCONTRO TRA B UBER E C OHEN

III. I L RITORNO A S ION DALLA SECOLARIZZAZIONE MESSIANICA ALLA SACRALIZZAZIONE POLITICA

5. S IONISMO E RELIGIONE NELLO SCONTRO TRA B UBER E C OHEN

Se la questione della secolarizzazione dell'idea messianica sfuggì al giurista Valensi, specialmente nella sua discussione con Naquet, così non avvenne in occasione di un’altra ben più famosa polemica, quella tra Hermann Cohen (1842-1918) e Martin Buber (1878- 1965) svoltasi nell'estate del 1916. Il tema era sempre lo stesso la convergenza tra sionismo e messianismo, negativa agli occhi del filosofo Cohen, sostenitore della simbiosi ebraico- tedesca, positiva nell'ottica sionista di Buber.

149 A. VALENSI, Le Sionisme, in ID., Sion et liberté, pp. 7- 39. 150 Ivi, p. 8.

151 Ibid. 152 Ivi, p. 9.

Hermann Cohen, filosofo neokantiano della scuola di Marburgo, fu uno tra i più importanti esponenti dell'ebraismo tedesco e strenuo difensore della simbiosi ebraico- tedesca, il cui testo più noto e rappresentativo è probabilmente lo scritto Deutschtum und

Judentum (1915). Il testo ebbe ben tre edizioni per un totale di 10.000 copie vendute e

sollevò diverse polemiche, soprattutto poiché venne recepito come un'apologia della Germania nel corso della Prima guerra mondiale153. Il suo pensiero si inseriva in continuità con la tradizione liberale ebraico-tedesca, sviluppatasi nell'Ottocento sotto l'impulso della Haskalah. In linea con questa tradizione, nei suoi lavori Cohen ricercò costantemente un connubio possibile tra gli ideali dell’educazione ebraica e il modello della Bildung tedesca, fiducioso a tal punto in una sintesi tra Deutschtum e Judentum da riconoscere nella Germania la «madre patria dell'anima»154. Tuttavia, questa fiducia da parte di Cohen non fu mai miope di fronte al crescente antisemitismo tedesco. Già nell'articolo Zwei Vorschläge zur Sicherung

unseres Fortbestandes (1907) Cohen riconosceva il drastico peggioramento delle condizioni

di vita degli ebrei nella Germania guglielmina: «ciò che vi è di nuovo oggi nella nostra condizione è che i nostri avversari, per quanto possa apparire incredibile, contano sul nostro annientamento, da realizzarsi in tempi relativamente brevi»155. Una convinzione, proseguiva il filosofo, che non era diffusa soltanto tra gli antisemiti dichiarati, ma anche tra le più estese cerchie della popolazione liberale tedesca.

Tale fede nella possibilità di un dialogo ebraico-tedesco fu uno dei principali motivi di scontro con il sionismo nei confronti del quale prese pubblicamente le distanze in due occasioni: la prima risale al febbraio del 1914, quando sottoscrisse la dura «Dichiarazione» contro il movimento, accusato di voler fomentare uno sciovinismo nazionalista ebraico. Il documento raccolse all'incirca trecento firmatari, tra cui diversi membri della Central-Verein

deutscher Staatsbürger jüdischen Glaubens, e comparve su diversi giornali, ebraici e non,

153 Vedi: H. COHEN, Deutschtum und Judentum, Topelmann, 1915; F. ROSENZWEIG, Deutschtum und

Judentum, scritto nel 1915, ma pubblicato nel 1937 in ID., Der Mensch und sein Werk. Gessammelte Schriften, vol. III, Dordrecht, 1984, pp. 169-75; G.SCHOLEM, Juden und Deutsche (1966), in Judaica,

Frankfurt am Maim, 1970, pp. 47-58. Vedi inoltre: R.DE PAZ (a cura di), Ebraicità e germanicità, Thalassa, Milano, 1999.

154 H.COHEN, Germanicità ed ebraicità, in DE PAZ (a cura di), Ebraicità e germanicità, p. 57. Vedi G.L.

Mosse, Il dialogo ebraico-tedesco. Da Goethe a Hitler, Giuntina, Firenze, 1995.

155 H. COHEN, Zwei Vorschläge zur Sicherung unseres Fortbestandes, «Bericht der Großloge für

Deutschland» n. 2 (1907), pp. 9-12; tr. it. Due proposte per assicurare la nostra sopravvivenza, in ID., La

fede d'Israele è la speranza. Interventi sulle questioni ebraiche (1880-1916), Giuntina, Firenze, 2000, p. 178. Ricordiamo solo che le preoccupazioni espresse da Cohen in tale testo erano prevalentemente di carattere culturale e religioso. Egli temeva cioè la sopravvivenza dell'ebraismo come identità culturale e religiosa.

all'inizio del febbraio 1914156. La seconda occasione fu con l’articolo Zionismus und

Religion. Ein Wort an meine Kommilitonen jüdischen Glaubens157, un breve pamphlet uscito nel maggio del 1916 presso «K. C. Blätter. Monatsschrift», una rivista che faceva parte dell'associazione studentesca Central-Verein deutscher Staatsbürger jüdischen Glaubens158. Fu a seguito di questo articolo che si sollevò la polemica tra Cohen e Buber159. In questo articolo Cohen riprese le argomentazioni che aveva esposto l'anno precedente in Deutschtum

und Judentum a proposito della differenza sostanziale tra i concetti di «stato», «nazionalità»

e «nazione». In Germanicità ed ebraismo Cohen scriveva infatti che la simbiosi ebraico- tedesca era possibile a patto di chiarire le differenze tra suddetti concetti. Secondo l'autore, «stato e nazionalità» non erano nozioni identiche, come invece lo erano «stato e nazione»160. Ne conseguiva che uno stato poteva riunire in sé «la pluralità di nazionalità» senza per questo compromettere l’unità della nazione161. In questo modo le minoranze etnico-religiose sarebbero potute coesistere l'una accanto all'altra senza che le loro specificità nazionali fossero di ostacolo o motivo di fedeltà verso la Patria e lo Stato. Nell'ottica liberale di Cohen, solo così gli ebrei avrebbero potuto restare cittadini tedeschi di nazionalità ebraica, senza dover rinunciare né all'una, né all'altra.

Queste argomentazioni ritornarono nell’articolo critico contro il sionismo dell’anno successivo. In esso Cohen scriveva che la nazionalità aveva fornito agli ebrei il collante necessario per sopravvivere in diaspora all'interno dei vari stati nazionali europei in via di formazione. Essa, tuttavia, non rappresentava un concetto politico, ma era semmai «uno

156 Sulla vicenda vedi: H.WIEDEBACH, Die Bedeutung del Nationalität für Hermann Cohen, Georg Olms

Verlag, Hildesheim, 1997, p. 12.

157 H.COHEN, Zionismus und Religion. Ein Wort an meine Kommilitonen jüdischen Glaubens, «K. C. Blätter. Monatsschrift der im Kartell-Convent vereinigten Korporationen» H. 11 (1916), pp. 643-6. L'articolo in questione venne ripubblicato separatamente lo stesso anno, inserendo però alcune modifiche rispetto alla prima versione dell'articolo (ID., Religion und Zionismus. Ein Wort an meine Kommilitonen jüdischen

Glaubens, K. C. Blätter, Crefeld, 1916). Utilizzeremo qui l'edizione italiana: ID., Sionismo e religione, in

ID., La fede d'Israele è la speranza. Interventi sulle questioni ebraiche (1880-1916), op. cit. Per ulteriori informazioni vedi: E. FRIESEL, The Political and Ideological Development of the Centralverein before 1914, «Leo Baeck Institute Yearbook» n. 31 (1986), pp. 121-46; J. TOURY, Organizational Problems of German Jewry. Steps towards the Establishment of a Central Organization (1893-1920), «Leo Baeck Institute Yearbook» n. 13 (1968), pp. 57-90; J. REINHARZ, Fatherland or Promised Land. The Dilemma of the German Jew 1893-1914, University of Michigan Press, Ann Arbor, 1975.

158 L'associazione venne fondata a Berlino il 23 marzo 1893 in opposizione al crescente antisemitismo tedesco da un gruppo di intellettuali ebrei, decisi a lottare in difesa dalla loro cittadinanza, dei loro diritti e per mantenere aperta la possibilità di un dialogo ebraico-tedesco che l'antisemitismo stava rendendo di fatto impossibile. La rivista, espressione di tali ideali, fu attiva dal 1910 al 1933, cioè fino all'avvento del partito nazionalsocialista al potere. Dopo tale data, l'associazione resistette ancora qualche anno, cambiando più volte nome, finché non venne proibita nel 1938, dopo la Kristallnacht. Durante gli anni di attività, dunque, la rivista ebbe una tendenza chiaramente anti-sionista e si accordò con le posizioni del filosofo Cohen. 159 COHEN,Sionismo e religione, p. 225.

160 COHEN, Germanicità ed ebraicità, p. 57.

strumento antropologico per il perpetuarsi della religione»162. A partire da queste posizioni, Cohen criticò il sionismo di realizzare una sintesi illegittima tra nazionalismo e religione all'interno della sua propaganda. L'autore non voleva negare l'esistenza di una connessione tra nazionalità e religione, dal momento che la nazionalità avrebbe permesso alla religione di perdurare. La questione riguardava piuttosto la triade sionista, costruita dall'intreccio tra nazione, nazionalità e religione, che condusse i sionisti all'idea di fondare uno stato ebraico. Da ebreo tedesco Cohen non poteva accettare tale sovrapposizione che andava a intaccare il cuore della costruzione ideologica su cui si fondava il dialogo ebraico-tedesco.

In risposta all'articolo di Buber, Begriffe und Wirklichkeit, uscito su «Der Jude» nell'estate del 1916, seguì un ulteriore scritto di Cohen Antwort auf das offene Schreiben des

Herrn Dr. Martin Buber an Hermann Cohen163, in cui l'autore precisò ulteriormente il nodo centrale dell'intera polemica, la quale verteva «non tanto sul popolo ebraico, quanto piuttosto sullo stato ebraico»164. Se per il sionismo di Buber «solo in Palestina giungerà a compimento il tentativo di portare avanti l'ebraismo»165, per l'autore invece «la realizzazione dell'ebraismo» era connessa all'esilio e alla dispersione degli ebrei tra gli altri popoli della terra. «Questa dispersione è oggi la nostra realtà storica», scriveva Cohen166. L'esilio, l'attesa paziente della redenzione e la speranza riposta in tale attesa, così strenuamente difese da Cohen in quanto pilastri della religione ebraica, costituivano da sempre un evidente ostacolo alla causa sionista, impegnata a forzare l'attesa, sostituendo la speranza messianica con una laica utopia finalizzata a edificare una nuova Sion e a forgiare un nuovo ebraismo. Queste erano posizioni inaccettabili agli occhi di Cohen, secondo il quale sostenere, come faceva Buber nel suo articolo, il superamento dell'ebraismo passato, in quanto non più vitale, in vista di uno nuovo era una vera e propria mistificazione. «L'intera storia ebraica fino ad oggi

162 COHEN, Sionismo e religione, p. 226.

163 H. COHEN, Antwort auf das offene Schreiben des Herrn Dr. Martin Buber an Hermann Cohen, «K. C. Blätter. Monatsschrift der im Kartell-Convent vereinigten Korporationen» H. 12 (1916). Utilizziamo qui l'edizione italiana: ID., Risposta alla lettera aperta del signor Dr. Martin Buber a Hermann Cohen, in ID.,

La fede d'Israele è la speranza, p. 260.

164 Ivi, p. 254. Qui l'ingenuità del filosofo che non nel parlare di popolo ebraico, così come già aveva fatto lo storico Graetz, apriva, pur senza volerlo, le porte alle categorie politiche del nazionalismo.

165 Ivi, p. 261.

166 Ivi, p. 263. Il tentativo sionista di “portare avanti l'ebraismo” diventa ancora più evidente se passiamo da Buber a Scholem, laddove egli in un suo scritto politico del 1931 asseriva senza mezzi termini che il fine ultimo del sionismo era la ricerca di un'immortalità nazionale. Scrive Scholem: «non vi è alcun dubbio che il sionismo abbia avuto l'intenzione di cambiare la base instabile dell'esistenza di un popolo che, precedentemente, si trasmetteva di generazione in generazione [...] il sionismo volle cambiare questo stato di cose: assicurare, una volta per tutte, attraverso uno sforzo storico straordinario, l'esistenza di un popolo [...] dunque il suo scopo era la creazione di un'immortalità nazionale» (G. SCHOLEM, Qui sont les

viene qui snaturata a pura ideologia», tuonava il filosofo167. Nel corso di tale controversia emergeva piuttosto chiaramente che l'idea sionista di ritornare a Sion si fronteggiava con la condizione dell'esilio e la speranza verso una redenzione futura: la laica «utopia messianica» promossa dal sionismo, come intuito da Dubnow e Fresco, non poteva che scontrarsi con il principio di speranza messianica, preservata nell'alveo della religione ebraica e qui difesa da Cohen168. In assenza di una secolarizzazione dell'idea messianica, tradotta dal sionismo in un'utopia politica, questo scontro non avrebbe avuto luogo. Non è un caso che Cohen, nel polemizzare contro il sionismo, si fosse richiamato alla speranza messianica che animava la fede ebraica, sostenendo che essa soltanto assicurava «la nostra realtà»169. Quello che Cohen non accettava era proprio il processo di secolarizzazione dell'idea messianica che il sionismo aveva abbracciato, incamminandosi verso la configurazione a religione secolare170.

Alle critiche di Cohen, Buber replicò con due articoli, pubblicati su «Der Jude» nell'estate dello stesso anno: il primo intitolato Begriffe und Wirklichkeit, il secondo Zion,

Der Staat und die Menschheit171. Tra i vari punti sollevati dal filosofo, Buber si soffermò soprattutto sulla correlazione tra sionismo e messianismo.

Lei rimprovera appunto che la letteratura sionista «si lascia andare a frivole derisioni dell'idea suprema della religione ebraica», il messianismo. Dove e quando vi si è lasciata andare? Credo di conoscere la letteratura sionista; non riesco a ricordare un passo per il quale la Sua affermazione si dimostri esatta. Al contrario, da Moses Hess fino ai miei stessi scritti (per scegliere un ovvio esempio della generazione presente), il messianismo è rappresentato in essa come l'idea guida dell'ebraismo172.

167 COHEN, Risposta alla lettera aperta del signor Dr. Martin Buber a Hermann Cohen, p. 257. Scriveva Buber nella sua prima risposta a Cohen: «liberare l'ebraismo sepolto. Questa è la via del sionismo. Questo tentativo, che solo può portare a un ebraismo nuovo e intero, si compirà soltanto in Palestina, nelle forme nazionali di quell'aspirazione sovranazionale di cui ho parlato» (M. BUBER, Concetti e realtà, in ID., Risorgimento ebraico, p. 305). Seguiremo l'edizione italiana del testo.

168 Pensiamo, ad esempio, al testo Die Messiasidee, testo di una conferenza, probabilmente redatto nel 1892, in cui Cohen difese l'identità tra messianismo e speranza: «l'idea del Messia è la speranza nel futuro dell'umanità» ( H. COHEN, L'idea del Messia, in ID., La fede d'Israele è speranza, p. 74.)

169 COHEN, Risposta alla lettera aperta del signor Dr. Martin Buber a Hermann Cohen, p. 259.

170 «È questo mondo rinnovato la nostra Gerusalemme, non il territorio circoscritto al quale vorrebbe invece nuovamente confinarci un moderno movimento, il cui errore consiste, in una parola, nello svendere la nostra missione religiosa nella storia universale per una miseria o un'opportunità di ordine politico» (COHEN, L'idea del Messia, p. 83).

171 Per gli articoli in tedesco vedi: M.BUBER, Begriffe und Wirklichkeit, «Der Jude» H. 5 (1916), pp. 281-9;

ID., Zion, der Staat und die Menschheit. Bemerkungen zu Hermann Cohen «Antwort», «Der Jude» H. 7

(1916), pp. 425-33. Le due risposte di Buber vennero successivamente raccolte in un'edizione indipendente, edita sotto un altro titolo l'anno successivo. Vedi: ID., Völker, Staaten und Zion. Ein Brief an Hermann Cohen und Bemerkungen zu seine Antwort, Löwith, Wien, 1917. Seguiremo l'edizione italiana. 172BUBER, Concetti e realtà, in ID., Risorgimento ebraico, p. 301.

Risulta evidente dalla risposta di Buber che i due pensatori avessero una concezione dell'idea messianica estremamente differente: da un lato Cohen la rivendicava quale concetto religioso chiave dell'ebraismo in diaspora, definendo dunque il sionismo un'allontanamento da essa; dall'altro lato Buber replicava in modo analogo, considerando il messianismo l'idea guida del movimento sionista. Il sionismo non combatteva dunque contro l'idea messianica, bensì contro «il suo travisamento e la sua deformazione», finalizzate a glorificare e perpetuare «la diaspora, la mortificazione, l'esser senza-dimora del popolo ebraico»173. Pienamente addentro all'ottica sionista Buber definiva «travisamento» e «deformazione» dell'idea messianica il principio di speranza difeso da Cohen. Una speranza nel futuro che impediva agli occhi disincantati di Buber di far fronte comune contro i problemi del tempo presente: «l'ebraismo potrà anche un giorno dissolversi nell'umanità messianica, fondersi con essa; ma non vediamo perché il popolo ebraico debba perire nell'umanità di oggi affinché possa nascere quella messianica»174.

Da tale scontro risultava evidente un fatto: la speranza messianica di Cohen (principio religioso) era incompatibile con l'utopia messianica di Buber e dei sionisti (concetto politico). Eppure, l'una derivava dall'altra, in quanto esito di un processo di secolarizzazione del messianismo. Se per i critici come il filosofo Cohen o lo storico Dubnow il sionismo rappresentò un allontanamento o una forma degenerata di messianismo, attribuendone una valenza negativa, le posizioni di sionisti come Buber o Nordau sottolinearono invece il carattere positivo dell'incontro tra sionismo e messianismo, individuando invece nella «utopia messianica» quella forza capace di rompere gli indugi e di convertire la speranza in utopia, l'attesa infinita in una concreta redenzione. Da un'ottica spiccatamente sionista, l'ideale necessario, per dirla con Nordau, si costituì per il movimento come quella indispensabile «leva rivoluzionaria» che permise al sionismo il raggiungimento del suo scopo principale: edificare una nuova Sion175.

173 Ibid.

174 Ivi, p. 302. Buber si riferiva qui all'antisemitismo, sempre più diffuso in Europa.

175 L'associazione tra «utopia messianica» e «leva rivoluzionaria» proviene da Scholem: «l'opzione rivoluzionaria […] affiora nelle azioni messianiche di singoli individui o di interi movimenti. Questo è l'attivismo messianico in cui l'utopismo diventa la leva che consente di fondare il regno messianico. Forse si può formulare in maniera più precisa la domanda […] può l'uomo essere padrone del proprio futuro? E la risposta di un apocalittico sarebbe: no. Ma l'atteggiamento dell'azione, il bisogno di realizzare le cose, è inerente a questa proiezione nel futuro della parte migliore dell'uomo, che è appunto ciò che il messianismo ebraico, nei suoi elementi utopici, propone in modo così energico» (ivi, p. 26). Il corsivo è nostro.