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S IONISMO E « UTOPIA MESSIANICA » NELLE CRITICHE DI D UBNOW E F RESCO

III. I L RITORNO A S ION DALLA SECOLARIZZAZIONE MESSIANICA ALLA SACRALIZZAZIONE POLITICA

3. S IONISMO E « UTOPIA MESSIANICA » NELLE CRITICHE DI D UBNOW E F RESCO

Non soltanto i primi sionisti, di provenienza ebraico-orientale e assimilatisi al contesto europeo occidentale, si interessarono alla secolarizzazione dell'idea messianica, riconoscendone l'importanza nella «forza vitale» che essa avrebbe potuto imprimere al loro movimento politico. Anche due personalità come lo storico russo Simon Dubnow (1860- 1941) e l'editore sefardita David Fresco (1849-1933) videro nel sionismo una nuova forma di messianismo. Con una differenza sostanziale di prospettiva. Pur non conoscendosi tra loro, entrambi si opposero al sionismo di essere soltanto «un'utopia», «un bel sogno», «un nuovo messianismo»85.

Lo storico russo Simon Dubnow fu una delle primissime voci ad aver criticato il sionismo in quanto «utopia messianica» e al tempo stesso ad aver ragionato sui rapporti tra

84 Ibid.

85 Dubnow e Fresco non furono i soli a connotare negativamente il sionismo come un movimento utopico e dai propositi irrealizzabili. A Odessa nel 1899 uscì un piccolo pamphlet intitolato L'utopia sionista, scritto da un certo Kogan, il quale, vicino alle posizioni di Dubnow e degli assimilazionisti, criticava il sionismo politico di Herzl e Nordau di essere un'idea utopica. Vedi: H.KOGAN, Сионистская утопия [L'utopia sionista], tip. Shapiro, Odessa, 1899. Inoltre ricordiamo un'altra analoga critica nel volume di Karl Landauer e Herbert Weil, pubblicato a Monaco nel febbraio 1914. Vedi: K.LANDAUER,H.WEIL, Die zionistische

Utopie, Hugo Schmidt, München, 1914. Tratteremo in modo più articolato di tali lavori nella seconda parte

questo movimento e la secolarizzazione ebraica. Le sue posizioni in merito al nazionalismo ebraico e le sue critiche al sionismo sono raccolte in una serie di articoli redatti in forma di lettere, scritti in russo e usciti sul giornale «Voskhod» a partire dal 1897. In tutto Dubnow pubblicò una quindicina di lettere che poi decise di raccogliere in un'unica edizione intitolata

Lettere sull'ebraismo antico e nuovo (1907)86. Distante tanto dagli assimilazionisti, quanto dai sionisti, lo storico era molto più vicino alle posizioni dell'amico Asher Zvi Hirsch Ginsberg (1856-1927), noto come Ahad Ha’am, il quale è considerato il fondatore del

Kulturzionismus, ovvero di quella corrente che potremmo definire l'esito finale a cui giunse

la risposta alla secolarizzazione ebraica prodotta dagli ambienti intellettuali dell'Europa orientale. Per Ahad Ha’am, vicino all'idea di nazionalismo spirituale di Smolenskin piuttosto che alle posizioni più attiviste di Lilienblum, la rivitalizzazione del nazionalismo ebraico doveva passare attraverso una rinascita culturale e letteraria e una modernizzazione del pensiero collettivo ebraico87. Fin dagli anni Novanta Ha’am, in linea con l'ultima generazione di maskilim russi, dimostrò di preoccuparsi dell'impatto della secolarizzazione sul mondo ebraico, a causa della quale sempre più ebrei vedevano nella tradizione religiosa nient'altro che «un'antiquata filosofia»88. Dubnow era vicino a tali posizioni, soprattutto per quel che riguardava la centralità da dare al risveglio culturale dell'ebraismo. Tuttavia, diversamente da Ahad Ha’am, egli fu sempre contrario all'idea di un ritorno in Palestina, fosse anche soltanto allo scopo di istituire un centro culturale e spirituale utile agli ebrei in diaspora, secondo la linea del Kulturzionismus. Dubnow elaborò così l'idea di una «nazione ebraica storico-culturale» che non avesse radici in nessun stato politico, ma che godesse tuttavia di una propria autonomia politica e culturale. Si trattava di un «nazionalismo in diaspora», cioè senza Sion, un'idea abbracciata da Dubnow allo scopo di evitare al nazionalismo ebraico le derive sciovinistiche presenti negli altri nazionalismi europei.

A partire da tale visione Dubnow fu tra i primi a parlare di una «secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica», individuandone i potenziali rischi. Cosa intendesse lo storico parlando di un processo di «secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica» è spiegato da lui stesso nell'articolo L'autonomismo come fondamento del programma nazionale, uscito su «Voskhod» nel 1901 e rivisto nel 190689. Secondo lo storico, fino al XIX secolo, le unità

amministrative ebraiche nella diaspora erano costituite dalle comunità e regolate da una

86 S.DUBNOV, Lettres sur le judaïsme ancien et noveau, Les édition du Cerf, Paris, 2011.

87 HERTZBERG, The Zionist Idea, p. 250. 88 AHAD HA’AM, Slavery in freedom, p. 188.

89 S. DUBNOV, L'autonomisme comme fondament du programme national, in ID., Lettres sur le judaïsme

legislazione religiosa. Tale regime aveva forgiato il popolo ebraico nei termini di una «nazione religiosa», favorendo così quella commistione tra identità nazionale ebraica e la sua religione90. L'emancipazione civile, l'acquisizione della cittadinanza e lo spirito della moderna cultura europea determinarono la formazione di un «nuovo ebraismo», quello riformato per l'appunto, che avrebbe dovuto «applicare all'ebraismo il processo europeo di secolarizzazione», separando così il «nodo nazionale dal suo duro involucro religioso»91. A detta di Dubnow, l'ebraismo riformato tedesco rinunciò a svolgere tale compito, preferendo piuttosto mantenere per gli ebrei l'etichetta di «gruppo religioso». Nel contesto ebraico- orientale, invece, l'impatto della Haskalah e del pensiero moderno europeo produsse invece una prima embrionale «secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica» attraverso la laicizzazione della lingua e la formazione di una moderna letteratura laica in ebraico. Tutte questioni per Dubnow essenziali per l’avvio di una separazione tra sfera religiosa e sfera civile e sociale. Siffatta separazione rappresentava per l’autore la condizione preliminare, affinché gli ebrei potessero sviluppare una loro autonomia politica e un correlato apparato amministrativo. Per ottenere un'emancipazione «reale e completa» non bastava per Dubnow l'eguaglianza dei diritti civili, come avevano creduto gli ebrei riformati in occidente, serviva anche un'eguaglianza dei «diritti nazionali» ed era dunque necessaria «un'organizzazione politica»92. Difficilmente una simile prospettiva secolare e nazionalista dell'autore poteva conciliarsi con le ragioni della vita ebraica in diaspora, che si era potuta mantenere tale proprio in quanto non aveva elaborato un pensiero politico. Ma questa sembra essere stata la sfida lanciata dallo storico nei confronti del processo di secolarizzazione.

Dubnow riconosceva che favorire la «secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica» comportava dei rischi. Due erano le potenziali derive che egli individuò nella lettera La

teoria del nazionalismo ebraico, pubblicata su «Voskhod» nel 1897 e poi rimaneggiata nel

190693. La prima era rappresentata dalla confusione tra religione e politica che andava necessariamente chiarita: «siccome nel corso di due millenni, l'assolutismo religioso ha dominato in tutte le sfere della vita ebraica, la massa di fedeli ha vissuto nell'idea che l'ebraismo non fosse una nazione nel senso ordinario del termine, ma una semplice comunità religiosa, regolata da tradizioni e leggi sacre»94. Nel momento in cui subentrò il processo di secolarizzazione nel mondo ebraico, questo stato di cose produsse una confusione tra

90 Ivi, p. 178.

91 Ivi, p. 179. 92 Ivi, p. 181.

93 S.DUBNOV, La théorie du nationalisme juif, in ID., Lettres sur le judaïsme ancien et noveau, pp. 83-115.

l'emergere del sentimento nazionale e il persistere di quello religioso95. Scriveva Dubnow: «prendendo l'apparenza per l'essenza, questa massa ha talmente confuso il “nazionale” con il “religioso”, che il primo si è integrato nel secondo, ma senza in realtà scomparire»96. L'esito dunque della prima degenerazione della secolarizzazione dell'idea nazionale avrebbe rischiato di condurre gli ebrei a una dannosa sovrapposizione tra nazionalismo e religione, fino a sfociare in potenziali derive teocratiche che avrebbero di fatto negato il processo di secolarizzazione stesso, ricacciando l'ebraismo nell'alveo della religione.

L'altra «forma di estremismo»97, individuata da Dubnow, era invece l'ateismo che avrebbe minacciato di annichilire tutto il tradizionale portato religioso dell'ebraismo. Si trattava in questo caso di un eccesso nel senso opposto, seguendo il quale il nazionalismo ebraico avrebbe potuto esistere, distaccandosi della religione ebraica. Tale esclusione, avvisava lo storico, avrebbe comportato un problema altrettanto grave: la crescente lontananza degli ebrei dalla religione avrebbe progressivamente reciso qualsivoglia legame con la storia passata e con le proprie tradizioni, fino al paradosso per cui «gli ebrei potrebbero abbandonare l'ebraismo per un'altra religione, rimanendo pur sempre ebrei di nazionalità»98. Un errore estremamente dannoso, a detta di Dubnow, in quanto una così netta separazione tra idea nazionale e idea religiosa avrebbe minacciato il fondamento stesso dell'esistenza ebraica.

Cercando di secolarizzare l'idea nazionale, di distinguerla dalla religione, il nostro solo scopo è di impedire la supremazia della religione e non di cancellarla definitivamente dal capitale spirituale della nazione. Se noi vogliamo preservare l'ebraismo in quanto nazione culturale e storica, non dobbiamo dimenticare che la religione ebraica è uno dei fondamenti, il più importante, della nostra cultura nazionale e che eliminarla significherebbe minare con ciò questo fondamento della nostra esistenza99.

Questo era il paradosso di fronte al quale la secolarizzazione pose il mondo ebraico e le sue classi intellettuali. All'alba del Novecento Dubnow aveva già saputo individuare i potenziali

95 Tale confusione era diffusa nel mondo della diaspora a inizio Novecento un po' ovunque, al punto che non stupisce di trovare dall'altra parte dell'oceano un articolo intitolato Zionism and Religion, in cui si ragionava proprio attorno al «grande malinteso tra i nostri membri e non circa la relazione tra religione e sionismo». Il breve articolo era apparso il 18 marzo del 1908 sulla rivista «B'nai B'rith Messanger» (1897-1995), il più vecchio periodico ebraico di Los Angeles. B.S., Zionism and Religion, «B'nai B'rith Messanger» nn. 4-5 (18-27 march 1908).

96 DUBNOV, La théorie du nationalisme juif, p. 96. 97 Ivi, p. 98.

98 Ibid. 99 Ibid.

rischi insiti nel processo di secolarizzazione dell'ebraismo, tentando con la sua teoria del nazionalismo in diaspora di escogitare una possibile soluzione, una terza via d'uscita di fronte al bivio rappresentato dalla netta separazione tra sfera religiosa e sfera politico- sociale. Le posizioni dello storico su tale processo denotano una grande lucidità di analisi per il tempo in cui vennero fatte, ma altresì mettevano in luce tutte le difficoltà e le aporie presenti in questa terza via ricercata dallo storico. Come si poteva, infatti, abbracciare il nazionalismo e operare una separazione tra politica e religione, se il principio politico cui ispirarsi doveva poi essere in grado di conservare in sé il carattere religioso? Secondo lo storico russo, le secolarizzazione dei concetti religiosi in categorie politiche avrebbe permesso di raggiungere tale obiettivo, evitando entrambe le derive (teocrazia e ateismo), superando il discorso religioso nel discorso nazionale, ma garantendo al contempo la conservazione della tradizione religiosa all'interno del nuovo discorso politico moderno ebraico. A Dubnow sfuggì una questione dirimente. Egli non si accorse che tale operazione da lui auspicata fu di fatto perseguita dal sionismo, configuratosi come religione secolare. Del resto, egli non sembrò mai ostile all'idea di riconfigurare l'ebraismo come una religione secolare. Fu invece contrario alla configurazione politica che tale religione secolare avrebbe potuto assumere. Pertanto, l'obiettivo da raggiungere era semmai l'istituzione di un «nazionalismo storico-culturale», che diversamente dagli altri nazionalismi non prevedesse alcuna rivendicazione politico-territoriale. Desistere dalla tentazione politica di “riscattare la terra di Sion” avrebbe preservato il movimento da dannose derive sciovinistiche.

Bisognava, dunque, saper aspettare. Per Dubnow era solo una questione di tempo, come scriveva nella sesta lettera, Gli aspetti utopici e reali nel sionismo. Bisognava attendere il terzo grande momento di sintesi: serviva cioè un lungo periodo di maturazione dell'idea nazionale, «per adattare la coscienza nazionale ebraica alle nuove condizioni della sua vita»100. Dubnow era così favorevole all'idea di una nazione ebraica, intesa come insieme di elementi religiosi, etici, sociali, politici e filosofici101, ma era fortemente contrario a edificare uno stato ebraico. Questo fu il punto di maggior dissenso con il sionismo, specialmente con quello politico di Herzl. Anziché attendere il fisiologico evolversi della secolarizzazione dell'idea nazionale, i sionisti avevano precipitosamente concluso che si doveva istituire subito uno Stato ebraico102. Questa accelerazione sionista verso un'edificazione politico-

100 S. DUBNOV, Les aspects utopiques et réels dans le sionisme, in ID., Lettres sur le judaïsme ancien et noveau, p. 249.

101 DUBNOV, La théorie du nationalisme juif, p. 99.

statale di Sion rischiava di condurre il processo di secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica verso quelle degenerazioni sciovinistiche, registrate nei moderni stati europei103. Nell'ottica dello storico, il nazionalismo ebraico doveva invece rappresentare per gli ebrei un discorso laico di salvezza di fronte alla minaccia antisemita, di cui Dubnow fu testimone, avendo ben presente la sequela di pogrom russi (1881-82; 1903; 1905) che avevano travolto le comunità ebraiche, avviando un'emigrazione in massa verso l'ovest, verso l'America e verso la Palestina104.

Altro motivo di distanza tra il nazionalismo diasporico di Dubnow e il sionismo consisteva nella critica al processo di secolarizzazione dell'idea messianica, cavalcato dal movimento e all'origine dell'idea di ritornare a Sion e fondare uno stato ebraico. A detta dello storico, la secolarizzazione del messianismo nell’idea di ritornare a Sion aveva portato il sionismo politico a configurarsi come un «nuovo messianismo»105. C'era una discontinuità rispetto al passato, in quanto il messianismo aveva «abbandonato gli spiriti esaltati dei mistici religiosi per andare a insinuarsi negli spiriti degli utopisti politici»106. In tal modo, l’idea messianica laicizzata aveva abbandonato il misticismo religioso in favore di un nuovo «misticismo politico»107. Il desiderio di ritornare a Sion e di edificare uno Stato ebraico in Palestina era la conseguenza di questa secolarizzazione dell'idea messianica. Nel perseguire, dunque, tale «Zukunftstaat ebraico» il sionismo inseguiva nient'altro che «un bel sogno», «un'utopia messianica»108. Nel corso dei duemila anni di diaspora ebraica, proseguiva Dubnow, furono molti i momenti di «esplosione messianica», di necessità assoluta di fondare uno stato ebraico. Tuttavia, la realtà storica aveva più volte deluso tali speranze, lasciando il vuoto dietro di sé109. Condizioni politiche, economiche e sociali rendevano di

103 In merito alla questione sollevata qui da Dubnow è significativo tale passo buberiano: «non si tratta dello stato ebraico che, se nascesse oggi, verrebbe costruito sugli stessi principi di ogni stato moderno; non si tratta di un minuscolo organismo di potere da aggiungersi alla folla degli Stati; si tratta di un insediamento che, indipendentemente dall'ingranaggio dei popoli e sottratto alla “politica estera”, possa raccogliere tutte le forze intorno allo sviluppo interno e dunque intorno alla realizzazione dell'ebraismo» (M.BUBER, Sion,

lo Stato e l'umanità. Osservazioni alla “Risposta” di Hermann Cohen, in ID., Risorgimento ebraico. Scritti

sull'ebraismo e sul sionismo (1899-1923), Mondadori, Milano, 2013, p. 316).

104 Dubnow definì gli ebrei vittime di tali indiscriminate violenze e saccheggi nei termini di «martiri nazionali», adoperando così delle categorie e un lessico tipici delle correnti nazionalistiche più politicizzate e da lui fortemente criticate. Scriveva l'autore: «al tempo delle persecuzioni religiose, abbiamo avuto i nostri martiri religiosi che hanno salvato l'ebraismo; oggi, al tempo delle persecuzioni nazionali, siamo pronti a produrre dei martiri nazionali che salveranno il popolo ebraico» (DUBNOV, L'autonomisme comme fondament du programme national, pp. 185-6).

105DUBNOV, Les aspects utopiques et réels dans le sionisme, p. 238.

106 Ibid. 107 Ibid. 108 Ivi, p. 248. 109 Ivi, p. 250.

fatto irrealizzabile agli occhi dell'autore il progetto sionista di creare uno stato ebraico in Palestina, come avevano già dimostrato i fallimentari progetti di colonizzazione, promossi dagli Amanti di Sion. Non era quella la strada da intraprendere per lo storico, il quale contro l'idea sionista di un ritorno in Palestina continuò a sostenere le sue tesi, a suo dire più concrete e realizzabili, di creare «una nazione storico-culturale tra le nazioni politiche»110. La ricerca di un'auto-emancipazione politica sul suolo palestinese non era che un bel sogno messianico, troppe volte fallito, chiosava l'autore. Solo un'«auto-emancipazione culturale» e un processo di «rinascita interno» al mondo ebraico avrebbe potuto conseguire dei risultati concreti sul piano storico111. Possiamo solo riconoscere che la storia non diede ragione alle tesi di Dubnow.

Allineato sulle stesse posizioni dello storico russo, troviamo l'editore e giornalista David Fresco (1849-1933), di origini sefardite molto noto nella Istanbul di primo Novecento, specialmente per le sue attività in ambito politico-culturale112. Nato a Istanbul e appartenente alla comunità sefardita locale, Fresco fu il fondatore di ben sei riviste, tutte con sede a Istanbul, distinguendosi inoltre come instancabile traduttore dei testi di Moses Mendelssohn, Eugène Sue, Abraham Mapu, Ludwig Philippson e molti altri. Editore del giornale «El Nasional» (1873–1878) e poi co-editore di «El Telegrafo» (1878-1894), fu sostenitore di una riorganizzazione e di una riforma dell'ebraismo nell'Impero Ottomano, sulla scia dell'esempio ebraico-tedesco. Le sue posizioni liberali, unite alle critiche che egli mosse alle autorità rabbiniche locali, gli fecero perdere il posto di lavoro a «El Telegrafo». Fu così che a partire dal 1894 egli divenne il direttore del più noto e longevo giornale in lingua ladina dell'epoca: «El Tiempo» (1894-1930), un giornale che guardava con grande interesse l'ebraismo europeo occidentale, con una particolare attenzione per la cultura e la letteratura francese113.

Riguardo al sionismo Fresco si dimostrò fortemente critico verso il movimento, usando il giornale «El Tiempo» per esprimere il suo dissenso, come avvenne specialmente durante la

110 Ivi, p. 260.

111 Ibid.

112 Vedi: J. PHILLIPS COHEN, Fresco, David in Encyclopedia of Jews in the Islamic World, vol. I, Brill, Boston-Leiden, 2010. Riguardo alla data di nascita e di morte, sembra che Fresco sia deceduto a Parigi all'età di 84 anni. Dunque l'anno di nascita risulterebbe il 1849, diversamente dalle informazioni presenti nella voce di Julia Phillips Cohen. Vedi: Jüdische Chronik, «Gemeindeblatt der Israelitischen Gemeinde Frankfurt am Main», H. 5 (1934), p. 196.

113 S.ABREVAYA STEIN, Making Jews Modern: The Yiddish and Ladino Press in the Russian and Ottoman Empire, Indiana University Press, Bloomington, 2004, p. 67. Vi era la volontà da parte del giornale di avvicinare i lettori alla cultura francese attraverso articoli, racconti e traduzioni dal francese, spesso fatte dallo stesso Fresco.

vociferata polemica con il periodico sionista «L'aurora», diretto da Lucien Sciuto (1868- 1947). Fu nel corso di tale polemica che Fresco pubblicò una serie di articoli su «El Tiempo», in cui espresse tutte le sue critiche e le sue perplessità nei confronti del movimento sionista. Alla fine si contarono sette articoli, scritti in ladino, la lingua del giornale, nei quali Fresco passò in rassegna diverse questioni, come il rapporto tra politica e religione, l'idea della missione universale di Israele, il contrasto con gli assimilazionisti e il rapporto dell'ebraismo con l'Impero ottomano114. Tali articoli vennero poi raccolti dall'editore, tradotti in francese e pubblicati in un'edizione a se stante, genericamente intitolata Le sionisme115.

Particolarmente significativo è l'articolo Le sionisme religieux et le sionisme politique

moderne, nel quale Fresco individuò nel sionismo politico l'espressione di una nuova forma

di messianismo. Fin dal titolo, il testo poneva l'accento sulla scarto avvenuto nel mondo ebraico tra discorso religioso e discorso politico: se un tempo vi era stato un «sionismo religioso», oggi si era di fronte a qualcosa di diverso, cioè a un «sionismo politico moderno». A detta dell'autore, un nuovo pensiero politico si era sostituito alla passata tradizione religiosa, definita un po' impropriamente da Fresco «sionismo religioso»116. Per quanto adoperando dei termini differenti e meno precisi, la distinzione introdotta dall'autore sefardita tra i due sionismi si fondava sullo stesso processo individuato dallo storico Dubnow: era avvenuta cioè una secolarizzazione dell'idea nazionale ebraica.

Spesso si dice che la storia si ripeta, esordiva l'editore. Quanto stava avvenendo nel mondo ebraico ai tempi di Fresco sembrava confermare tale detto, dal momento che «il movimento sionista di oggi non è che la ripetizione del genere di evento che si è già presentato più volte nel corso della cattività del popolo israelita, da quando questo popolo perse la sua indipendenza politica»117. Credere in uno stato ebraico e sperare in una sua futura restaurazione erano divenuti nel corso del tempo parte integrante della religione ebraica, al punto che il desiderio di riconquistare un giorno l'antica indipendenza politico- territoriale perduta si era cristallizzato nell'idea messianica. L'attesa, la pazienza, i divieti