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I L MESSIANISMO SECOLARIZZATO TRA INDAGINI STORICHE E RIFLESSIONI POLITICHE

Il filosofo francese non fu il solo a criticare le pretese messianiche dei movimenti politici moderni. Pur mossi da preoccupazioni di carattere politico anziché religioso, negli stessi anni un gruppo di intellettuali e professori dell'università ebraica di Gerusalemme aveva iniziato a sollevare simili critiche verso una pericolosa convergenza tra sionismo e messianismo adottata dalle posizioni del primo ministro David Ben-Gurion (1886-1973). Jacob L. Talmon, Nathan Rotenstreich assieme a personaggi come Martin Buber, Shmuel Hugo Bergman e Gershom Scholem si dimostrarono molto scettici verso le politiche intraprese dal neonato stato di Israele121 e soprattutto verso il messianismo politico, abbracciato in quegli anni da Ben-Gurion122. Nella tensione precedente la crisi di Suez (1956), Ben-Gurion si era infatti dedicato molto alle ricerche e allo studio. Una lettura per lui importante fu quella del volume di Yehezkel Kaufmann (1889-1963) Golah ve-Nechar [Esilio e alienazione] (1933)123, in cui l'autore sosteneva l'idea che l'unica forza in grado di far sopravvivere l'ebraismo così a lungo nei secoli era stata la sua religione. Secondo Kaufmann, il problema fondamentale dell'ebraismo consistette sempre nella tensione tra universalismo e nazionalismo, tale da determinare un antagonismo insanabile che nemmeno il recente sionismo avrebbe mai potuto risolvere o superare in una qualche sintesi conciliativa. Date simili posizioni di Kaufmann, si capisce l'interesse di Ben-Gurion nell'analizzare e

120 Ivi, p. 261.

121 Si pensi, ad esempio, al dibattito soprattutto sulla stampa giornalistica che si creò attorno al cosiddetto Lavon Affair, un'operazione segreta israeliana (Operazione Susannah), condotta in Egitto nell'estate del 1954, che fallì e portò alle dimissioni dell'allora ministro della difesa Pinhas Lavon (1904-1976).

122 M. KEREN, Ben-Gurion and the intellectuals: Power, Knowledge, and Charisma, Northern Illinois University Press, Delkab, 1983. Più recentemente: A.DUBNOV, Priest or Jester? Jacob L. Talmon (1916–

1980) on history and intellectual engagement, «History of European Ideas» n. 34 (2008), pp. 133-45; D. OHANA Political Theologies in The Holy Land – Israeli Messianism and its Critics, Routledge, London, 2010.

123 Y.KAUFMANN, Exile and Estrangement: A Socio-Historical Study on the Issue of the Fate of the Nation of

problematizzare tali questioni, un'attenzione ben testimoniata dagli appunti presi sul suo diario personale124. In quanto politico e capo di stato, egli aveva infatti tutto l'interesse a trovare una possibile sintesi tra universalismo e nazionalismo. La convergenza tra religione e politica poteva fornirgli questa occasione. Come sappiamo, la questione fu al centro di alcuni scambi epistolari con Nathan Rotenstreich, il quale invece «non accettava la sua visione che la Bibbia fosse il testo più importante di tutti gli altri nel connettere il distante passato degli ebrei nella loro terra con il presente»125. Come scrissero Avi Bareli e Yosef Gorni, Rotenstreich entrò in polemica con Ben-Gurion proprio su questo punto, contro la sua nuova ideologia sionista, fortemente radicata in una prospettiva messianica126. Tuttavia, dobbiamo avanzare una considerazione. Contrariamente a quanto ritenevano Rotenstreich e il suo collega Talmon, la visione politica di Ben-Gurion era del tutto in linea con gli ideali sionisti originari, dal momento che il tentativo di trovare una possibile sintesi tra dimensione universale e dimensione nazionale era da sempre stata una necessità politica imprescindibile del movimento, che all'epoca di Ben-Gurion si tradusse nell'esigenza di trasmettere alle giovani generazioni di israeliani “una coscienza ebraica”, consapevole del grande patrimonio spirituale del loro popolo. Tale eredità passata unita alla visione messianica erano nella prospettiva politica di Ben-Gurion gli ingredienti più adatti a fornire quel necessario collante tra gli ebrei già in Israele e gli altri ancora in diaspora127, senza nel farlo contravvenire agli ideali sionisti originari.

A fronte di tali posizioni politiche, che furono alla base di una certa svolta messianica intrapresa da Ben-Gurion, si sollevarono una serie di critiche provenienti dagli ambienti accademici dell'Università ebraica di Gerusalemme. Lo scontento e la preoccupazione verso tale politica messianica – considerata uno snaturamento del sionismo e una sua potenziale e pericolosa degenerazione – crebbero in Israele nel corso degli anni Cinquanta, generando un clima di fermento e polemica che attraversò gli ambienti accademici israeliani dell'epoca. Frutto del clima politico-culturale del tempo fu la pubblicazione del lavoro del professore Jabob Talmon, intitolato per l'appunto Political Messianism (1960)128. Recuperando le

124 A.SHAPIRA, Ben Gurion: Father of Modern Israel, Yale University Press, New Haven-London, 2014, p.

213.

125 Ibid. A proposito dell'opera di Kaufmann, vedi anche: S.N.EISNSTADT, Explorations in Jewish Historical Experience: The Civilizational Dimension, Brill, Leiden, 2004, pp. 21-2.

126 A.BARELI,Y.GORNI, An “Inside Intellectual”: Remarks on the Public Thought of Nathan Rotenstreich, in

N.ROTENSTREICH, Zionism: Past and Present, State University of New York Press, Albany, 2007, p. 20. 127 Ivi, p. 31.

128 TALMON, Political Messianism: the Romantic Phase, op. cit. Segnaliamo che importanti fonti per lo studio

riflessioni di Hans Kohn, Talmon si concentrò sul medesimo problema sollevato dello storico e riattualizzato dal dibattito politico dell'epoca: la secolarizzazione dell'elemento messianico nelle teorie politiche europee ottocentesche e nei moderni nazionalismi. Il libro di Talmon costituiva il secondo volume della trilogia dedicata dall'autore allo studio dei totalitarismi democratici, un concetto da lui coniato col suo primo libro, The Origins of Totalitarian

Democracy (1952)129. In Political Messianism, Talmon si comportò esattamente come Kohn: concentrò le sue ricerche sul passato, sull'Ottocento e sulle teorie politiche dell'epoca, volendo così ricostruire la secolarizzazione messianica operata nel corso di tale secolo da parte di pensatori come Saint-Simon, Fourier, Marx, Lamennais e Mazzini. Attraverso una simile ricostruzione Talmon cercò di descrivere il trapasso dal razionalismo alle visioni utopico-romantiche di redenzione sociale che animarono il secolo da cui sorsero i nazionalismi europei. In questo modo, egli poté riflettere sulla genesi di tale fenomeno e sull'influenza determinante giocata dalla secolarizzazione dell'idea messianica nella formazione del nazionalismo, senza tuttavia affrontare apertamente il problema posto dal nesso tra messianismo e sionismo. Un problema che all'epoca costituiva per l'autore una questione non solo meramente storica, ma anche politica.

A poche settimane dall'inizio del processo ad Adolph Eichmann (11 aprile), il 29 marzo 1961 si svolse un importante incontro tra Ben-Gurion e i professori Aurbach, Bergman, Talmon, Yizhar, Katz, Rotenstreich e Scholem dell'Università ebraica di Gerusalemme. Tale incontro segnò in un certo senso l'apice delle tensioni tra politica governativa israeliana e il gruppo di docenti, rivelando altresì l'inconciliabilità delle due posizioni in campo. Basti considerare le affermazioni di Ben-Gurion, il quale ribadì in tale occasione la necessità di una convergenza tra messianismo e politica:

Diversamente dal professore Talmon e contrariamente al professor Rotenstreich, credo nel messianismo, non nel senso dei nostri avi, [ma] credo veramente che potremmo e dovremmo diventare il popolo scelto ['am sgulah], altrimenti non potremmo diventare una nazione ['Am]. Questo è il nostro storico destino... Abbiamo le caratteristiche necessarie per diventare il popolo scelto. Tutta la mia vita è consacrata a questa credenza e ci sono prove

Aron (L'opium des Intellectuels, 1955), Isaiah Berlin (Historic Inevitability, 1954), Martin Buber (Paths in Utopia, 1949), Karl Mannheim (Ideology and Utopia, 1929), Hans Kohn (The Idea of Nationalism, 1944) e molti altri.

129 TALMON, The Origins of Totalitarian Democracy, op. cit. Ricordiamo il suo studio sul totalitarismo democratico si costituì in un certo senso in opposizione rispetto alla lettura sui totalitarismi formulata negli stessi anni da Hannah Arendt (1951). Per il terzo volume della trilogia dedicata a tale tema vedi: ID.,

anche nella nostra storia a sostegno di tale credenza, nella storia del nostro popolo, nel passato così come nel nostro tempo130.

La risposta di Talmon fu chiara e netta: il ruolo degli intellettuali, come lui, era quello di metterlo in guardia nei confronti di simili discorsi. Citando un passo della Genesi, il professore gli ricordò che il peccato era accovacciato alla sua porta (Gen. 4, 6), ovvero, una volta fondato lo stato di Israele, l'uso del messianismo a fini politici rischiava di condurre il sionismo e i suoi stessi ideali verso pericolose degenerazioni autoritarie, verso cioè quelle stesse degenerazioni che Talmon stava studiando molto accuratamente in quegli anni. Dietro questo dibattito era palpabile il timore di tali pensatori che anche Israele potesse degenerare in una democrazia totalitaria, sotto la spinta del messianismo politico.

Durante gli anni Sessanta il problema di una sovrapposizione tra religione e politica nello Stato di Israele e nelle sue scelte legislative fu sentito e analizzato anche dallo studioso Amnon Rubinstein nell'articolo State and Religion in Israel (1967)131, uscito nel secondo volume della neonata rivista «Journal of Contemporary History», che fin da subito aveva indirizzato il suo interesse verso lo studio dei rapporti tra religione e stato132. Addottoratosi l'anno precedente presso la London School of Economics, Rubinstein insegnò legge presso l'università di Tel Aviv fino allo scoppio della guerra di Yom Kippur (ottobre 1973), momento in cui decise di scendere in politica, fondando il partito liberale Shinui (1974) e schierandosi così su posizioni laiche e secolari. Siffatte posizioni emergono già nel suo articolo State and Religion in Israel, in cui analizza in modo neutrale e distaccato il problematico rapporto tra religione e stato, soprattutto considerandone gli aspetti legislativi e il peso politico giocato dai partiti religiosi sulle scelte governative. A proposito del caso israeliano l'autore riconosce l'anomalia della situazione, comprendendone altresì le ragioni più profonde. Dalla prospettiva secolare europea una separazione tra sfera religiosa e sfera politica poteva soltanto essere incoraggiata. Tuttavia, a detta dell'autore, questa normale formula di separazione non era facilmente applicabile in una situazione anormale come quella israeliana, dal momento che se l'ebraismo avesse assunto «un significato secolare»,

130 DUBNOV, Priest or Jester? Jacob L. Talmon (1916–1980) on history and intellectual engagement, p. 140. 131 A.RUBINSTEIN, Religion and State in Israel, «Journal of Contemporary History» n. 4 (1967), pp. 107-21.

132 Rinviamo a titolo esemplificativo al quarto numero del secondo volume della rivista, interamente dedicato al rapporto tra religione e politica in diversi contesti storico, culturali e religiosi. Spiccano gli articoli di Amon Rubinstein (State and Religion in Israel), di Thomas M. Parker (Religion and Politics in Britain) e di Theodor Papadopoulos (Ortodox Church and Civil Autority), «Journal of Contemporary History» n. 4 (1967).

chi avrebbe poi potuto stabilire chi è ebreo e chi no?133. Un problema costante e irrisolto della politica israeliana, che portò i vari governi a prendere posizioni e cercare compromessi con i partiti politici religiosi su questioni dirimenti come i matrimoni, le festività nazionali e religiose, il sabato. Nel suo scritto Rubinstein analizzava rapidamente alcuni leggi discusse alla Knesset relative ai provvedimenti da prendere su tali materie, fonte di aspre divisioni tra partiti laici e religiosi. Ne traeva la seguente conclusione: anche dalla prospettiva secolare e socialista come quella di Golda Meir si guardava con una certa preoccupazione tanto alla crescente assimilazione tra i giovani ebrei americani, quanto alla secolarizzazione della gioventù israeliana134. L'antisemitismo non era più un pericolo, né di conseguenza una forza aggregativa sufficiente contro un nemico comune. Ne derivava dunque che «la tradizione religiosa» forniva «quantomeno una superficiale risposta alla questione dell'identità ebraica»135. Rubinstein riconosce dunque che «la collaborazione con i partiti religiosi» era stata ed era «anche solo inconsciamente, una manifestazione politica di questo bisogno di risposte semplici»136. Un alibi, dunque, per tutti coloro che avevano abbandonato troppo velocemente la religione senza tener conto delle conseguenze verso cui una simile scelta avrebbe potuto portare.