• Non ci sono risultati.

V ERSO UNA NUOVA PAROLA D ' ORDINE : A UTO EMANCIPAZIONE

II. A MORE PER LA SCIENZA E AMORE PER LA LINGUA : I DUE VOLTI DELLA SECOLARIZZAZIONE EBRAICA

6. V ERSO UNA NUOVA PAROLA D ' ORDINE : A UTO EMANCIPAZIONE

Come dimostra il caso di Smolenskin, già prima dello scoppio dei pogrom russi del 1881-82, nuove idee di cambiamento tra le fila della giovane intellighenzia ebraica russa cominciarono a circolare. Se per buona parte della sua vita Smolenskin rimase una figura piuttosto isolata nel panorama intellettuale ebraico dell'epoca, sul finire degli anni Settanta altri pensatori iniziarono a criticare la Haskalah e a patrocinare la causa di una soluzione nazionale per gli ebrei. Il clima socio-culturale dei due grandi imperi, quello degli Asburgo e quello dei Romanov, si prestò ad accogliere il fermento di queste nuove idee, caratterizzate dalla volontà di un'affermazione nazionale sempre più sentita e diffusa tra le varie minoranze etniche presenti sul territorio. In tal senso, come scrive Rachel Ertel, «l'impero austroungarico era divenuto un vero laboratorio in cui le ideologie europee presero corpo»145, contagiando anche la popolazione ebraica. Del resto, tanto il carattere di compattezza interno alle comunità, per lo più residenti in villaggi a maggioranza ebraica (shtetel), quanto le condizioni di oppressione, povertà e discriminazione, ancora esistenti, specialmente nelle zone rurali della Galizia e ancor più nella zona di residenza russa, favorirono l'avvicinamento di una parte dell'intellighenzia ebraica, sempre più desiderosa di emanciparsi socialmente e culturalmente, alle rivendicazioni nazionalistiche146.

In tal senso, sul finire degli anni Settanta iniziarono a diffondersi le prime embrionali idee nazionalistiche con la pubblicazione di opuscoli e articoli che avviarono il dibattito interno al mondo ebraico su un possibile ritorno degli ebrei nella loro antica patria. Un caso alquanto interessante riguarda la comparsa a Vienna di un misterioso opuscolo, intitolato Die

jüdische Frage in der orientalischen Frage (1877)147. Sedici pagine appena, scritte in tedesco, in cui l'anonimo autore patrocinò la causa della fondazione di uno stato ebraico in Palestina sotto la tutela britannica. Il mistero, che avvolge ancor oggi il testo in questione, è legato all'assenza di paternità dell'opuscolo, una cosa abbastanza usuale all'epoca, specialmente per aggirare la censura. Gli storici hanno a lungo dibattuto sull'attribuzione dell'opera. Secondo Michael Stanislawski, il testo venne rinvenuto dallo studioso Nathan Michael Gelber (1891-1966) negli archivi di Vienna, mentre stava svolgendo delle ricerche

145 R.ERTEL, Le Shtetl. La bourgade juive de Pologne de la tradition à la modernité, Payot, Paris, 2011, p.

172. 146 Ibid.

147 ANONIMO, Die jüdische Frage in der orientalischen Frage, Buchdruckerei von G. Brog, Wien, 1877. Purtroppo il testo del 1877 è pressoché scomparso. Esistono solo due copie una conservata alla Harvard College Library e un'altra alla National Library of Israel.

sulla questione ebraica durante il periodo del congresso di Berlino del 1878148. Nel 1947 Gelber curò l’edizione in ebraico dell’opuscolo, attribuendo la paternità dell’opuscolo al diplomatico inglese Benjamin Disraeli149. Tale attribuzione è connessa con un altro ritrovamento, di cui informa Daniele Carpi: nello stesso anno tra le carte del defunto rabbino Joseph Samuel Bloch (1850-1923) fu ritrovato un grosso volume manoscritto di appunti- memorie di Leo von Bilinski, in cui si accenna all’opuscolo in questione, sostenendo che si trattasse di un testo scritto da Disraeli e tradotto dall’inglese al tedesco su richiesta dell’Ambasciata inglese a Vienna150. Tuttavia, prosegue Carpi, «vari studiosi posero in dubbio il valore di questa testimonianza», dal momento che non si trovò riscontro in altre fonti provenienti dai diretti interessati151. Nel 1958, il biografo israeliano Gedaliah Elkoshi trovò tra la corrispondenza di Peretz Smolenskin con il poeta Judah Leib Gordon una lettera del 1877, in cui si accenna a uno scritto in tedesco dell’autore su questioni alquanto analoghe a quelle dell’opuscolo. Così Elkoshi pubblicò un articolo trionfale sulle pagine del quotidiano «Davar» (1 agosto 1958), in cui sosteneva che l’autore dell’opuscolo misterioso non fosse il diplomatico Disraeli, bensì il poeta Gordon, sollevando così un dibattito con Gelber sulle pagine del giornale152. Nel suo studio monografico sul poeta Gordon Stanislawski esclude perentoriamente siffatta attribuzione di Elkoshi all’autore russo, senza tuttavia propendere per l’ipotesi di Gelber. La questione dunque rimane tutt’ora insoluta. Non è questa la sede per dibattere sulla paternità dell'opera in questione, tuttavia segnaliamo soltanto che in base all'uso dei termini tedeschi e a una certa conoscenza della cultura ebraica, specialmente in merito alla riflessione sul rapporto tra religione e politica, l'autore doveva probabilmente provenire dall'ambiente ebraico-tedesco dell'epoca. Inoltre nel frontespizio, dopo le indicazioni tipografiche, l'opuscolo riporta la dicitura «unter Betheilungung und Leitung von P. Smolensky», indicazione che l'autore del testo doveva gravitare attorno ai circoli ebraici vicini a Smolenskin.

Ciò che preme sottolineare in questa sede è soprattutto la comparsa di questa

148 M. STANISLAWSKI, For whom di I toil? Judah Leib Gordon and the Crisis Russian Jewry, Oxford

University Press, New York, 1988, p. 240, n. 41.

149 Vedi: B.DISRAELI,Tokhnit ha-medinah ha-iehudit le-lord Beaconfield, [Il programma dello stato ebraico a

Lord Beaconfield], Lainman, Tel Aviv, 1946. Nel 1947 uscì anche un'edizione inglese a Baltimora, in cui si sostenne l'ipotesi di Gelber, vedi: Unknow documents on the Jewish question: Disraeli's plan for a Jewish State, Shlesinger Publishing, Baltimore, 1947.

150 D.CARPI, Benjamin Disraeli, la ‘questione orientale’ e un suo presunto progetto di costruire uno stato

ebraico in Palestina, in Gli ebrei a Cento e Pieve di Cento fra medioevo ed età moderna. Atti del convegno di studi storici. Cento – 22 aprile 1993, Cento, 1994, pp. 86-7.

151 Ivi, pp. 88.

significativa pubblicazione di carattere dichiaratamente politico già sul finire degli anni Settanta. L'opuscolo, infatti, non aveva alcuna finalità filantropica o religiosa. La questione ebraica alla luce della questione orientale, al centro del testo, riguardava la rapida dissoluzione dell'Impero Ottomano, la cui situazione per gran parte del secolo aveva suscitato le ambizioni imperialistiche delle potenze europee. Essa era nuovamente tornata all'ordine del giorno dopo le sollevazioni popolari nei Balcani e in Bulgaria e con lo scoppio della guerra russo-turca (1877-78). Il conflitto esplose nell'aprile del 1877 in seguito alla dura repressione delle rivolte popolari locali da parte dell'Impero Ottomano, che si ritrovò internazionalmente isolato, non potendo più contare neanche sullo storico appoggio britannico da parte del ministro Disraeli. Il conflitto si concluse con il trattato di Santo Stefano (3 marzo 1878) e poco dopo il congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878) stabilì che Serbia, Montenegro e Romania acquistassero l’indipendenza e la Bulgaria l’autonomia, mentre la Bosnia-Erzegovina finì sotto l’amministrazione austriaca.

In Die jüdische Frage in der orientalischen Frage, uscito probabilmente poco dopo lo scoppio della guerra russo-turca, l'anonimo autore vide nel lento processo di indebolimento e dissoluzione dell'Impero Ottomano un momento propizio per risolvere anche la questione ebraica. Secondo l'autore, le potenze europee avrebbero dovuto considerare una soluzione della questione orientale in cui rientrasse anche la soluzione della questione ebraica, dal momento che l'imminente crollo, o quantomeno il ridimensionamento dell'Impero, avrebbe probabilmente liberato diversi territori, tra cui anche l'antica regione ebraica, la Palestina. Così liberata, la regione andava restituita agli ebrei, i quali avrebbero potuto fondare «una repubblica o una monarchia» e ristabilire così «il regno ebraico»153. A detta dell'autore, il momento era opportuno, visto che da tutte le parti del mondo «i figli di Israele, come uno sciame di cavallette, rimessi in libertà» si stavano volgendo tutti insieme «verso la Palestina, per popolarla e per costruire un loro Stato indipendente [einem selbstständingen Staate]»154. Non è chiaro a quale movimento l’autore si stesse riferendo, visto che le ondate migratorie ebraiche iniziarono a partire dai pogrom russi del 1881-82. Tuttavia, le riflessioni svolte qui dall’autore sono piuttosto vicine alle idee contenute nelle prime utopie di Sion, sintomo dunque di una sensibilità tipica degli ambienti intellettuali ebraici del periodo. Secondo la visione laica dell'autore, questo stato indipendente non doveva essere soltanto uno stato esclusivamente ebraico, ma innanzitutto uno stato moderno, senza per ciò eliminare i

153 ANONIMO, Die jüdische Frage in der orientalischen Frage, Brog, Wien, 1877, pp. 8-9.

principi religiosi tanto importanti per la storia dell'ebraismo e dell'umanità. Un’idea che ritorna anche nelle utopie di Sion. Tuttavia, proseguiva l'autore, era necessario soddisfare le richieste di modernizzazione dell'epoca, promuovendo una separazione tra religione e stato: «l'elemento religioso deve essere tenuto separato dallo stato»155. Il mondo ebraico non faceva eccezione, chiosava l'autore, tanto più che i sommi principi della religione mosaica sarebbero potuti sopravvivere nel cuore della nazione ebraica156.

L'interesse del mondo ebraico verso la questione orientale non si limitò a tale esigua pubblicazione viennese. Nello stesso anno a Berlino Seligmann Meyer (1853-1925), rabbino ortodosso di Regensburg e redattore all'epoca della rivista «Jüdischen Presse», pubblicò un altro breve testo Völkerreicht und Humanität in der orientalischen Frage und die Israeliten

in der Türkei, Serbien und Rumänien (1877)157. Questo testo aiuta a capire l'interesse da parte del mondo religioso ebraico verso la situazione politica dell'Impero Ottomano. A differenza infatti dell'opuscolo viennese, Meyer, mosso da preoccupazioni chiaramente religiose, invocava il diritto internazionale, inteso come diritto che opera nel rispetto di tutti i popoli e dunque dell'umanità, affinché si salvaguardassero gli ebrei residenti nei territori dell'Impero turco. Egli temeva soprattutto la perdita di pluralismo religioso quale conseguenza della formazione di stati indipendenti a maggioranza cristiana158. Dalla prospettiva dell'autore dunque le potenze europee occidentali sarebbero dovute intervenire urgentemente per preservare la situazione di eguaglianza religiosa e sociale.

Due anni più tardi, sulle pagine di «Ha-Shahar» uscì un articolo molto significativo di Eliezer Ben Yehuda sulla colonizzazione ebraica della Palestina, come «l'unica ancora di salvezza per l'ebraismo e per l'idea ebraica»159. Molto probabilmente le posizioni del giovane studente lituano, in quel periodo a Parigi per studiare medicina, furono anch'esse influenzate dalla risoluzione della questione orientale dopo il congresso di Berlino. Come sostenuto dall'anonimo autore dell'opuscolo viennese allo scoppio della guerra, il giovane Ben Yehuda, incoraggiato dall'acquisita indipendenza dei popoli balcanici, iniziò a patrocinare la causa di un'indipendenza politica ebraica in Palestina. Il suo articolo, intitolato inizialmente Una

questione scottante, si presentava come un manifesto nazionalistico in piena regola. L'editore

155 Ivi, p. 15.

156 Ivi, p. 16.

157 S. MEYER, Völkerreicht und Humanität in der orientalischen Frage und die Israeliten in der Türkei, Serbien und Rumänien, Jüdischen Presse, Berlin, 1877.

158 Ivi, pp. 50-1.

Smolenskin lo modificò, preferendo il titolo più modesto Una questione significativa160 e in uno scambio di opinioni tra i due, testimoniato da lettere e articoli successivamente pubblicati su «Ha-Shahar», Smolenskin fece presente a Ben Yehuda le sue perplessità sulle sue tesi161. Nel suo articolo Ben Yehuda sosteneva che, sebbene la religione e l'odio ebraico

avevano preservato nel tempo la solidarietà tra gli ebrei, la situazione non sarebbe più durata a lungo. Per sopravvivere, bisognava ricorrere al reinsediamento in massa in Palestina, creando così un centro autonomo nazionale e rivitalizzando l'ebraico come veicolo di una nuova cultura secolare162. Smolenskin, sebbene fosse stato il primo ad abbracciare l'idea di un nazionalismo ebraico, non poteva condividere fino in fondo l'entusiasmo e lo spirito politico che animavano il manifesto di Ben Yehuda. Ben Halpern e Jehuda Reinharz ci informano degli scambi epistolari avvenuti tra i due, in cui Smolenskin espresse apertamente i suoi dubbi e le sue posizioni in merito al nazionalismo ebraico. Per lui la colonizzazione della Palestina non avrebbe affatto risolto la questione ebraica, così come la lingua ebraica non doveva essere rivitalizzata in quanto lingua parlata di una nazione. Essa doveva piuttosto essere coltivata come lingua della letteratura, espressione della nazionalità spirituale ebraica163. Il posto del nazionalismo doveva restare entro i confini di quell'anelito e di quell'amore per Sion, non spingersi nella sua utopica ricerca, almeno fino a quando la maggioranza degli ebrei non fosse stata pronta ad abbracciare la visione messianica di una ricostruzione di Sion come piano politico di risoluzione dell'intera questione ebraica164.

Pertanto, se già sul finire degli anni Settanta nelle ristrette cerchie intellettuali si iniziava a parlare di colonizzare la Palestina e di fondare uno stato ebraico, non devono sorprendere i sentimenti di disillusione e di rivalsa che emersero a seguito dell'ondata di pogrom russi dopo l'estate del 1881. La forte impressione causata dai pogrom di quegli anni sull'intellighenzia ebraica del tempo fu determinata innanzitutto dallo scarto con la precedente situazione di relativa pace e tranquillità, a partire dalla quale le élite ebraiche russe erano sempre più fiduciose in un processo di normalizzazione dei rapporti tra ebrei e gentili. Come scrive Bensoussan, gli episodi di violenza antisemita si erano infatti attenuati e «nel XIX secolo c'erano stati in Russia solo tre brevi pogrom, tutti e tre perpetrati a Odessa,

nel 1821, nel 1859 e nel 1871»165. A far sperare gli ebrei russi in un'imminente

160 HALPERN,REINHARZ, Zionism and the creation of a new society, p. 16.

161 Ivi, p. 17. 162 Ivi, pp. 16-17.

163 Ivi, p. 17. Vedi anche FREUNDLICH, Peretz Smolenskin: his life and thought, p. 147. 164 HALPERN,REINHARZ, Zionism and the creation of a new society, p. 17.

emancipazione sociale e politica erano state soprattutto le riforme avviate sotto il regno di Alessandro II (1855-1881), il quale aveva riconosciuto la necessità di un cambiamento per il paese. In aggiunta alle misure prese relative alla abolizione della servitù della gleba, alla riforma del sistema giudiziario e del governo locale, fece seguito anche la modifica delle restrizioni legislative contro gli ebrei, da tempo costretti a vivere entro i confini della Zona di residenza166.

Pertanto è del tutto comprensibile il disorientamento e lo sconforto patito dagli ebrei a seguito dell'improvvisa ondata antisemita, scoppiata poco dopo l'uccisione di Alessandro II, lo zar che più aveva contribuito a una possibile normalizzazione della condizione ebraica nell'Impero. Disillusione e rassegnazione, dunque, prevalsero. Alcuni intellettuali ebrei iniziarono ad abbandonare le idee illuministe e iniziative di tipo filontropico, come quelle di Moses Haim Montefiore (1784-1885), avvicinandosi a progetti più concreti di emigrazione e di colonizzazione di nuovi territori destinati alla popolazione ebraica. Molti fuggirono verso l'Europa occidentale, verso Vienna, Berlino, Parigi, ma soprattutto verso l'America, dando vita a quel processo invertito nella storia delle migrazioni ebraiche, da sempre avutosi da ovest a est167. Alcuni, invece, iniziarono a guardare verso oriente.

Se prima di questi avvenimenti la voce di Smolenskin era rimasta una voce nel deserto, successivamente altri pensatori, come Mose Leib Lilienblum, Eliezer Ben Yehuda, Leon Pinsker, Reuven Bierer, Nathan Birnbaum, iniziarono a perorare la causa di un risveglio nazionale. In tale clima si istituirono le prime organizzazioni di carattere politico, come i circoli degli Hovevei Zion [amanti di Sion] e il Bilu, un acronimo tratto da un versetto di Isaia (Isaia, 2,5), che identificava un ristretto gruppo di giovani studenti russi, promotrici nell'estate del 1882 di una prima migrazione in Palestina. Come scrive Laqueur, «la storia della colonizzazione ebraica della Palestina» inizia con tale impresa168. Un terzo dei trecento membri del Bilu, lasciata Odessa, partirono per raggiungere prima Costantinopoli, poi la Palestina. Soltanto quaranta di essi giunsero a Costantinopoli, mentre solo sedici arrivarono infine a destinazione169. Come testimonia il caso di tale pionieristica impresa giovanile, il sentimento di attaccamento nazionalistico verso Sion crebbe sempre più forte in reazione alle

p. 52.

166 D.J.GOLDBERG, Verso la Terra promessa. Storia del pensiero sionista, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 34-5. 167 Lo annotava nel maggio del 1903, a seguito di una nuova ondata di pogrom, lo storico Dubnov: «l'anno 1881 inaugura un'era nuova, la seconda per importanza dopo il 1492, data dell'espulsione degli ebrei dalla Spagna» (S.DUBNOW, Un moment historique, in ID., Lettres sur le judaïsme ancien et nouveau, Les édition du Cerf, Paris, 2011, p. 379).

168 LAQUEUR, Historie du sionisme, vol. I, p. 121.

violenze perpetrate dai progrom in Russia. Fu così che, sotto la pressione degli eventi storici del tempo, il senso di appartenenza all'ebraismo e al popolo ebraico, racchiuso in quel nostalgico amore per Sion, già secolarizzato nella letteratura ebraica, finì per trasformarsi in desiderio di rivalsa, inseguendo l'idea non più religiosa, ma politica di ritornare a Sion.

Il caso di Lilienblum è molto indicativo dello stato d'animo turbato ed esasperato di una parte dell'intellighenzia ebraica russa, nonché della svolta politica intrapresa. Il suo travagliato itinerario intellettuale testimonia della generale crisi patita dall'ultima generazione di maskilim, ancora vicini al sogno di emancipazione promesso dalla Haskalah, ma sempre più disincantati di fronte agli avvenimenti del tempo. Essi erano oramai disincantati, sradicati e distanti tanto dagli ambienti religiosi, sempre più ortodossi, quanto dalle indigenti masse ebraiche che avrebbero dovuto essere il loro popolo170. Lilienblum fu dunque uno di questi maskilim piuttosto tormentati, sempre più “eretici”: studioso di Talmud, curioso lettore della attuale produzione illuministica, Lilienblum dapprima aveva abbracciato l'idea di un rinnovamento religioso, convinto che l'ebraismo doveva aggiornarsi in base allo spirito dei tempi moderni. Una volta arrivato a Odessa, mecca della modernità in Russia, con l'aspirazione di acquisire un'educazione secolare, gli toccò una sorte analoga a quella di Smolenskin: ben presto si ritrovò isolato, solo e in ristrettezze economiche. Progressivamente egli abbandonò le speranze di un possibile accordo tra religione e modernità, auspicato dai seguaci della Haskalah, sotto l'influenza congiunta dei positivisti russi, delle idee socialiste e degli studi storico-filologici sulla Torah, fatti da Abraham Krochmal, figlio di Nachmal. Scienza storica e fede religiosa difficilmente potevano accordarsi tra loro nell'ottica sempre più disincantata di Lilienblum, il quale finì così per perdere la fede nelle fonti divine della Bibbia. La sua «conversione», come egli la definì, avvenne però solo nell'estate del 1881, quando scoppiarono i pogrom. Come risulta dalle pagine del suo diario, sul finire di quell'anno, egli rifletté sul cambiamento di pensiero e di prospettiva che la violenza antisemita aveva prodotto sul suo animo. Se fino al 1877 credeva ancora fermamente, come tanti altri maskilim europei, che solo lo studio, la scienza e una buona educazione avessero potuto produrre effetti storici positivi per l'ebraismo, ora, a soli quattro anni di distanza, aveva abbandonato la causa dell'illuminismo e con essa gli studi, per abbracciare una nuova causa e un nuovo ideale. Questo nuovo ideale fu la questione di Sion e della nazionalità ebraica171. Fu così che nell'arco di un breve periodo di tempo la sua

170 LUZ, Paralles Meet, p. 20.

fede nel progresso e nel socialismo vennero rimpiazzate dalla pessimistica consapevolezza che né il progresso storico-sociale, né una rivoluzione avrebbero potuto privare l'ebreo dallo svolgere il suo ruolo di capro espiatorio e di lavacro delle coscienze172.

Anche il caso del giovane poeta M. M. Dolitsky (1850-1931) è esemplificativo della capillare circolazione di idee e di sentimenti di rivolta e di indipendenza nelle giovani cerchie intellettuali ebraiche del tempo. Come dimostrano le differenti posizioni del poeta Judah Leib Gordon e del giovane Dolitsky, sostenitore della colonizzazione in Palestina come risoluzione definitiva di tutti i mali173, si iniziò lentamente a delineare una frattura generazionale, tipica nella successiva storia del sionismo. Nonostante la condivisa preoccupazione per la sorte degli ebrei, Gordon si comportò al pari di Smolenskin con Ben Yehuda e si dimostrò alquanto scettico verso una risoluzione politica di tipo nazionalistico, esprimendo tutto il suo pessimismo in una lettera inviata al giovane Dolitsky. Il punto dibattuto era verso dove emigrare. Purtroppo l'antisemitismo dilagante non concedeva più molte opzioni e le soluzioni su cui si discuteva erano sostanzialmente due: America o Palestina? Come riportato da Frankel, ispirato da un precedente articolo di Smolenskin, nel dicembre del 1881 sulle pagine di «Ha-Melits» Dolitsky scriveva che l'emigrazione in America non era una soluzione, dimostrando così di condividere le posizioni del disincantato