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CAPITOLO 3. LE FORME DEL PERSONAGGIO SERIALE TELEVISIVO

3.1. L’emergere delle forme

I testi della popular fiction, e nello specifico le serie televisive, possiedono una grande ricchezza dal punto di vista del materiale narrativo e tematico, dimostrando di essere facilmente in grado di creare mondi narrativi rizomatici, ammobiliati al limite dell’horror vacui, durevoli nel tempo e diffusi nello spazio. Ciononostante, proprio perché si tratta di testi popolari, le logiche di produzione, di consumo e conservazione che ne stanno alla base impongono che universi narrativi seriali siano sempre abbastanza organizzati, resilienti e stabili. Nella progettazione di queste narrazioni popolari, come si è discusso nel capitolo precedente, si fa ampio ricorso a formule. “Formulas”, scrive Cawelti, “are cultural products and in turn presumably they have

some sort of influence on culture because they become conventional ways of representing and relating certain images, symbols, themes and myths” (1976, 16). Si tratta, cioè, di pattern narrativi, figurativi e tematici (legati spesso a un genere narrativo in particolare), nati e/o consolidati in seno a un preciso contesto storico, sociale e culturale, che organizzano e strutturano i prodotti culturali popolari (Cawelti 2006). Anche la costruzione dei personaggi propri della serialità televisiva, ovviamente, fa ampio uso di formule. Per la propria costruzione e caratterizzazione, questi personaggi ricorrono a elementi – o a insiemi di elementi – che, resi ordinari e frequenti dalla consuetudine e dall’appartenenza a generi narrativi codificati, li aiutano a definire la propria identità e a qualificare il loro percorso narrativo secondo certe direzioni prestabilite. Il ricorso a formule è un modo per il personaggio di iscrivere la propria vicenda e la propria identità all’interno di patterns già ratificati, sottraendosi così, almeno in parte, alle volubilità di una narrazione che tende naturalmente alla dispersione e alla proliferazione sia temporale che spaziale. Le formule rappresentano, di conseguenza, quelli che potremmo chiamare “parametri di orientamento” utili sia per gli autori che per il pubblico al fine di collocare un certo personaggio – e la serie televisiva di cui fa parte – entro i confini del già noto. Si pensi, come esempio, alle varie figure dei detective che affastellano il panorama della fiction televisiva contemporanea, a tutti quegli elementi che li accomunano dal punto di vista del contenuto (il lavoro, il metodo di indagine, i colleghi, la tribolata vita privata, il rapporto con i sospettati e la comunità, e così via) e dello stile di messa in scena (la forma della serie tradizionale, o quella moderatamente serializzata, si presta bene alla detection classica, mentre la forma del serial si dimostra maggiormente adatta a una narrazione che ha per protagonista un detective in stile “hardboiled”).

In sostanza, da quanto detto emerge che una formula è una convenzione o, come scrive Cawelti, “a combination or synthesis of a number of specific cultural conventions” (1976, 6) che si incarna “in figures, settings, and situations that have appropriate meanings for the culture that produces them” (ibidem). Si tratta di un arrangiamento di caratteristiche, tratti, proprietà e qualifiche riguardanti sia il contenuto della narrazione, sia la sua modalità discorsiva. Questi “pacchetti” di elementi viaggiano e si spostano da una narrazione all’altra, su una molteplicità di media diversi, accomunando

intertestualmente un personaggio o una situazione ripetuti. Tuttavia, è bene non confondere ripetizione e codificazione con immobilità. Ogni detective, pur basandosi su una certa formula, è a suo modo specifico e diverso dagli altri perché le formule, nonostante si replichino e siano condivise da svariate narrazioni, sono sottoposte a un processo di acclimatamento e naturalizzazione. Costruendosi su un processo di ripetizione che implica una variazione, sono in grado di adattarsi in modo assai duttile alle specificità di ogni singola serie televisiva in cui vengono impiegate. Questo adattamento può andare in due direzioni, verso cioè un rafforzamento della formula (per fare un esempio che rimanga nel genere crime, si pensi a Law & Order, Rizzoli & Isles e

Longmire ) oppure verso un allentamento da essa (come in The Killing, Shades of Blue, The Bridge, The Good Wife), con una forbice tra questi due poli molto ampia.

Nonostante la grande elasticità della formula, intesa per l’appunto come un pacchetto di elementi e un set di convenzioni, nella serialità contemporanea il suo impiego è in diminuzione, e questo potrebbe essere dovuto a una crisi del concetto stesso di formula, messo sotto una tale pressione da raggiungere il suo punto di rottura. Le spinte innovatrici degli ultimi anni, che includono l’adozione di un’estetica narrativamente complessa e accattivante, la sovrabbondanza di prodotti in crescente competitività tra di loro, un pubblico attento e desideroso di stimoli emotivo-cognitivi, hanno messo in luce le crepe e i limiti delle formule che caratterizzavano la serialità e i suoi personaggi. Quelli che Kosloff definisce “highly formulaic plot patters” (1992, 72), come il ricorso a personaggi divenuti familiari (perché stereotipati o ricorrenti o solitamente, per entrambe le ragioni) e a pattern narrativi consolidati che erano alla base delle narrazioni televisive seriali (Butler 1994; Allrath, Gimnich, Surkamp 2005), iniziano oggi a scricchiolare sotto il peso del cambio di passo produttivo, estetico e ricettivo. Specialmente negli ultimi anni, per l’appunto con l’avvento del paradigma estetico della “complessità narrativa”– con universi finzionali narrativamente complessi (Mittell 2016, 2015), flessibili (Nelson 2006), dickensiani per ampiezza del cast dei personaggi e delle sottotrame intrecciate, transmediali (Jenkins 2006) e transfinzionali (Saint-Gelais 2011) – il sentiero dello “spacchettamento” delle formule è sempre più battuto. Non si assiste solamente a un allentamento dei legami (spesso legami di genere) che tengono insieme la formula, ma a un vero e proprio scorporamento di quegli elementi che,

convenzionalmente uniti, la costruivano. Uno dei casi contemporanei che, forse meglio degli altri, rende evidente il processo di scorporamento della formula è True Detective, una serie esantematica del processo di decostruzione che ha investito, negli ultimi anni, molti personaggi formulaici. I due detective protagonisti della prima stagione, Rusty Cole e Marty Hart sono dei veri e propri “archivi in carne e ossa”,118 dei cataloghi viventi di tutti i topoi che caratterizzano il detective del noir americano (Cawelti 1976). A ben vedere, però, il personaggio di Marty è maggiormente delineato sulla formula del detective classico: è un poliziotto che ama il suo lavoro ma non ne è assorbito del tutto, è un padre di famiglia che crede nella sacralità dei valori americani, nella religione, nel matrimonio, nel patriottismo. Dietro a questa facciata perbenista, tuttavia, nasconde un lato torbido fatto di tradimenti coniugali, alcolismo e misoginia che, a differenza di quanto la formula del detective classico imporrebbe, riveste un ruolo centrale nella definizione della sua identità, tanto da prendere il sopravvento sul lavoro di detection e sulla ricerca e decifrazione degli indizi. Ogni passo che Marty fa verso la costruzione della sua figura come uomo retto e di sani principi, come detective che, sebbene antieroico, si presenta comunque abile e integerrimo nello svolgimento del suo lavoro, è sistematicamente annullato: il suo senso di responsabilità verso la famiglia sfocia in una squallida relazione extra-coniugale, il suo senso della legge e della giustizia si trasforma in ottundimento e nell’incapacità di cogliere la vera essenza del serial killer che è chiamato ad arrestare. Rusty, invece, è il suo contraltare. Costruito in modo smaccato sulla formula del detective hardboiled, solitario e misantropo al limite della sociopatia, è dotato di un eccezionale intuito che lo porta a inseguire la giustizia ben oltre il confine della legge. Si tratta di un personaggio altamente autodistruttivo ma che, diversamente dalla formula, alla fine deve ammettere di aver bisogno di Marty, sia dal punto di vista professionale che da quello privato. Specialmente nel finale, dopo la morte del serial killer, Rusty deve riconoscere l’impossibilità di continuare una vita solitaria e si rende conto di come non possa fare a meno delle relazioni sociali che ha instaurato. A dispetto di quanto imporrebbe la formula su cui è ricalcato, Rusty riesce a emendare le proprie ferite psicologiche e a diventare un individuo migliore e un (vero) amico per Marty.

118 Cfr. Masciullo, Pietro. “NERO/NOIR – True Detective: il genere (nel) caos”. Sentieri Selvaggi, 29 giugno 2015. URL www.sentieriselvaggi.it/neronoir-true-detective-il-genere-nel-caos/ consultato il 20 maggio 2018.

Ora, benché l’analisi della popular fiction attraverso l’impiego di formule sia un interessante modo per riflettere su una cultura e sulle strategie che determinati testi mettono in atto in quanto rappresentanti di quella cultura, per uno studio specificatamente indirizzato a esaminare i segreti dei personaggi delle fiction seriali televisive esse si mostrano un po’ meno efficaci. Il caso di True Detective, in questo frangente, si rivela illuminante nel mettere in evidenza i limiti del focalizzarsi sull’impiego di formule per analizzare i personaggi televisivi seriali, sia per quanto riguarda i singoli personaggi e la loro caratterizzazione complessa, sia perché la varietà tipologica di questi personaggi è troppo grande per essere sintetizzata ricorrendo a formule prestabilite. Il motivo del perché l’analisi delle formule non sia un approccio in questo caso efficace è anche legato alla specificità mediale della fiction seriale, dal momento che, come sottolinea lo stesso Cawelti, “the method of formula analysis […] must inevitably focus on that which is common to creations in […] different media, the basic story patterns” (1976, 298). Tuttavia, anche l’analisi dei percorsi narrativi basici e comuni, che sarebbero appunto il fuoco attorno a cui ruotano le formule, si rivela di per sé un problema per lo studio di questi personaggi. Come ben dimostra True Detective (ma lo stesso vale per altri prodotti, da The Walking Dead a Il trono di spade a The

Americans, solo per chiamare in causa alcuni casi lampanti), gli stessi percorsi narrativi

e gli “story patterns” che caratterizzano molti dei personaggi della serialità televisiva “complessa” sono difficilmente sovrapponibili a quelli convenzionalmente prestabiliti dalle formule. Un tratto caratterizzante della serialità contemporanea, infatti, sembra proprio essere un certo squilibrio tra convenzione e innovazione (Cawelti 2006), per cui sempre più spesso l’innovazione si fonda su uno scardinamento volontario e consapevole delle convenzioni. Formula e forma devono essere considerati all’interno di una più generale riflessione sulla cultura popolare composta dal giusto equilibrio tra convenzione e innovazione. Scrive Cawelti che “conventions are elements which are known to both the creator and his audience beforehand […]. Inventions, on the other hand, are elements which are uniquely imagined by the creator such new characters, ideas, or linguistic forms” (2006, 186). Di conseguenza, Cawelti considera formula e forma come i due poli di uno stesso continuum: il primo polo, è quello di una

“completely conventional structure of conventions”, il polo della forma, invece, “is a completely original structure which orders inventions” (ivi, 187).

Al fine di studiare i personaggi in queste narrazioni occorre aumentare l’ingrandimento del microscopio e non fermarsi al livello delle convenzioni per interrogarsi sugli elementi che lo compongono. Anziché, quindi, focalizzarci sulle formule, che, come abbiamo detto, sono aggregati convenzionali – prodotti da una data cultura - di elementi narrativi, figurativi, tematici e culturali, si è deciso di concentrarsi sulle forme che soggiacciono alle formule.