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CAPITOLO 1. UNA, NESSUNA, CENTOMILA TEORIE

1.2. Le avventure teoriche del personaggio

1.2.4. Il personaggio come concetto

Assumere il personaggio come una unitas multiplex mostra chiaramente che le teorie esaminate nei paragrafi precedenti, ciascuna incentrata nella disamina della propria nicchia di ricerca, si rivelano inutili se assunte in via esclusiva e come prospettiva unica. E di questo ci si era già accorti alla fine degli anni Ottanta, quando Uri Margolin, nel

saggio “Structuralist approaches to character in narrative: The state of the art” (1989), lamentava un fallimento clamoroso delle teorie sul personaggio. Margolin attribuiva la colpa di questo insuccesso a una sostanziale incomunicabilità tra le parti e al trinceramento di ciascuna di esse dietro le proprie posizioni. Secondo lo studioso, le cause di questo status quo sarebbero state sostanzialmente due, una teoretica e una metodologica. Sul versante teoretico, sostiene Margolin, molti studiosi sono caduti nel tranello dell’unun nomen, unun nominatum, che li ha indotti a ritenere che il personaggio possa avere una sola definizione e un unico senso corretto. Si spiegano in questo modo, sempre secondo Margolin, la proliferazione e la diversità dei vari approcci al personaggio, dal momento che

each view of character mentioned above is grounded in a different general conception of the nature of the literary work, as well as in a different general model of narrative, its basic constituents, and their hierarchy. Each view thus has as its theoretical foundation a different set of presuppositions and background theories serving as its broad standpoint of enquiry. Such difference in initial theoretical and methodological commitments inevitably leads to approaches to character that differ in terms of their vocabulary, specific questions, procedures, foci of interest, and disciplinary goals (1989, 5).

Il fatto che (co-)esistano così tanti e diversi approcci al personaggio senza che nessuno riesca a “centrare il punto” della question du personnage (Hamon 1977), alimentando così una sorta di guerra delle teorie, mette in evidenza la seconda grande fallacia, stavolta di natura metodologica, che secondo Margolin avrebbe compromesso la nascita di una teoria del personaggio organica e inclusiva. Questo equivoco fondamentale consisterebbe nell’assumere che il personaggio sia, per usare la terminologia di Genette, uno “pseudo-oggetto artistico”52 (1987, 116-117), ovvero un qualcosa di pronto all’uso,

52 Quella di oggetto estetico è una categoria che ha subito diverse curvature nel corso del tempo e nei diversi quadri teorici in cui è stata impiegata. Come afferma Bartalesi, “la nozione di oggetto estetico viene spesso assunta come salda definizione di ciò che possiede proprietà specifiche (le «proprietà estetiche») che lo oppongono alla totalità delle altre classi oggettuali, siano esse quelle degli oggetti naturali o degli artefatti a funzione strumentale. […] l’oggetto estetico possiede un dominio ontologico autonomo”. Si tratta quindi di un oggetto che gode di uno statuto ontologico specifico, a sé stante, e che si pone in relazione con il soggetto che lo osserva. Cfr. Bartalesi, Lorenzo, “Teorie dell’oggetto estetico nel pensiero francese contemporaneo. Da Phénoménologie de l'expérience esthétique di Mikel Dufrenne a Objets esthétiques di Jean-Marie Schaeffer”. Aisthesis - pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico, No.1,

un oggetto “pre-teoretico” e in un certo senso intuitivo che, esistente di per sé, aspetta quiescente di essere analizzato con questo o quell’approccio.

Come si accennava sopra, una posizione epistemologica di questo tipo non è più sostenibile nel momento in cui il personaggio è riconosciuto come unitas multiplex. Si pone quindi il problema di come affrontare (ovvero ridurre) questa complessità, senza però incappare in quei sistemi teoretici che Margolin ha dimostrato non essere più opzionabili. Una soluzione la trova lo stesso Margolin, che suggerisce di non considerare il personaggio come un oggetto ma anzi come un concetto. Come scrive il narratologo israeliano-canadese,

is not an independently existing entity with essential properties to be described, but rather a theory-dependent conceptual construct or theoretical object, of which several alternative versions contemporary poetics. Each version thus sees character as a different something or other. The term […] is accordingly polysémic, being used by different theorists to designate different concepts or model (1990a, 453).

In questa prospettiva, il personaggio passa dall’essere considerato un oggetto non

concreto, assoluto e “puntuale”,53 ma piuttosto un oggetto teorico, contingente e “diffuso”54 e, in altre parole, come un concetto.

Un concetto, a volerne dare una definizione generale e intuitiva, è sostanzialmente un’unità del pensiero, uno schema mentale costruito per astrazione a partire dalle caratteristiche, sensibili e osservabili, comuni a un insieme di oggetti. Per essere più precisi, però, vale la pena di riprendere la nozione kantiana di concetto empirico. Diversamente dalle “categorie”, concetti astrattissimi e fissi nella loro intrasformabilità, i concetti empirici derivano dall’esperienza di specifici oggetti concreti, dalle sensazioni che essi ci danno, e sono definibili come “il risultato di una generalizzazione empirica

2008, pp. 143-154.

53 Margrit Tröhler e Henry M. Taylor parlano addirittura del personaggio in termini di un cristallo, un “prisma scintillante” (1997, 50) dalle molte facce, insistendo su come esso sia un oggetto che, per quanto fumoso e dai confini cangianti, rimane un qualcosa di assolutamente concreto e “fisico”.

54 A tal proposito, possiamo ricordare come Hamon definisca il personaggio un qualcosa “mal localizzabile” in quanto “ce n’est pas un ‘partie’ autonome, d’emblée différenciable et différencié, prélevable et homogène du texte, mais un ‘lieu’ ou un ‘effet’ sémantique diffus qui, à la fois, côtoie, supporte, incarne, produit et est produit par l’ensemble des dialogues, des thèmes, des description, de l’histoire, etc; l’‘unitè’ […] peut-être plus que tout autre objet d’étude, d’une décision arbitraire de l’analyste” (1977, 19).

derivata da molteplici istanze percettive di un oggetto” (Piccari 2010, 10). Il personaggio, che tanto ha tormentato teorici e accademici, si rivela essere non un oggetto in sé, ma piuttosto la generalizzazione – un modello generale, o un prototipo – di una classe (intesa come l’estensione delimitata dal concetto) di tanti diversi personaggi, singoli e diversi uno dall’altro, ma che condividono determinate proprietà, caratteristiche e funzioni: Anna Karenina non è Sherlock Holmes e nemmeno Daenerys Targaryen, ma tutti e tre, in quanto istanze specifiche del “concetto-personaggio”, hanno in comune diverse qualità. Se prendiamo le parole che Kant ha utilizzato per descrivere il concetto empirico di cane e le detourniamo, sostituendo alla parola “cane” quella di “personaggio”, otteniamo la seguente definizione:

il concetto di personaggio indica una regola in base alla quale la mia immaginazione è posta in grado di delineare in generale la figura di un essere finzionale (costruito sulla base di un testo e veicolato da un medium) in un mondo narrativo, senza tuttavia chiudersi in una particolare raffigurazione offertami dall’esperienza o in una qualsiasi immagine che io possa rappresentarmi in concreto (2005 [1797], 191, corsivi aggiunti).

In quanto schema55 o immagine mentale, il concetto di personaggio è “tanto una generalizzazione di immagini” di personaggi concreti, esistenti in qualche testo e in qualche mondo narrativo, quanto una “regola per l’identificazione dei” singoli personaggi esperiti (Piccari 2010, 20). In questo modo, possiamo disporre di uno strumento euristico molto duttile, che ha la facoltà di collegare i personaggi, quella vasta, variopinta e multiforme “antropologia immaginaria”, con il Personaggio inteso come un’idea astratta e generica. I vantaggi di considerare il personaggio come un concetto piuttosto che come un oggetto sono diversi, a partire dal fatto che l’operazione di astrazione (concettualizzazione) è, ci dice lo stesso Kant, specifica, contingente e strettamente dipendente da chi compie l’operazione stessa. Anche Margolin ritorna su questo privilegio del concetto, sostenendo come sia possibile studiare il personaggio solo “within the confines of an explicitly formulated theory (1989, 2). La costruibilità

55 Il termine schema è qui inteso in senso kantiano come uno strumento, un dispositivo che permette di collegare il materiale sensibile alle categorie. In riferimento ai concetti empirici, possiamo dire che lo schema “è un prodotto della capacità pura a priori d’immaginare ‘per così dire un monogramma’” (Eco 1997, 65).

del concetto, il fatto che non esista di per sé ma che vada, appunto, costruito, implica che non ci sia un’idea assoluta e atemporale di personaggio, ma tanti concetti diversi e storicamente determinati o, se si preferisce, un unico concetto che però muta, si adatta ed evolve nel tempo. Costruire un concetto significa non possedere mai la certezza della validità e universalità del proprio modello d’analisi, ma piuttosto procedere per tentativi e aggiustamenti di rotta, visto che ci saranno sempre nuove caratteristiche da aggiungere, disposte in e/o diverse configurazioni e anche innovativi tipi di personaggi da considerare. Come riassume, in modo cristallino, Umberto Eco,

Se lo schema dei concetti empirici è un costrutto che cerca di rendere pensabili gli oggetti di natura [ma il discorso è applicabile anche ai personaggi, dal momento che tanto quanto gli oggetti di natura essi sono esperibili tramite i sensi quali la vista e l’udito, ndr], e se dei concetti empirici non si può dare sintesi mai compiuta, perché nell’esperienza si possono scoprire sempre nuove note del concetto […], allora gli schemi stessi non potranno che essere revisibili, fallibili e destinati ad evolversi nel tempo. […] i concetti empirici non possono che diventare “storici”, o culturali che dir si voglia (1997, 78-79, corsivi aggiunti).

Eco in questo passaggio mette in evidenza due corollari fondamentali della costruibilità del concetto. Il primo è la relatività, il fatto che esso possa essere costruito a piacimento in base alle necessità e agli obiettivi. Alberto Vanzo (2012) scrive che un concetto è sempre “mente-dipendente”, costruito cioè nella mente di chi lo possiede e quindi “theory-based”, relativizzato al punto di vista teorico dello studioso, ai suoi obiettivi analitici e al suo approccio metodologico. Il secondo corollario è quello dell’adattabilità, secondo il quale il concetto di personaggio è adattabile perché ciascuno lo può costruire a proprio piacimento, anche se sempre a partire da una sorta di “primo nucleo” fondamentale “intorno al quale poi si raggrupperanno (o si ordineranno armoniosamente) le successive definizioni” (Eco 1997, 69). Questo nucleo primario è ben espresso dalla definizione, generalissima e sintetica, che di personaggio dà Fotis Jannidis: “a text- or media-based figure in a storyworld, usually human or human-like” (2013). Una lapidaria, ma densissima, definizione che dimostra come il concetto, oltre che adattabile, è anche contraddistinto da una certa resilienza, la quale gli consente di

conservare proprietà fondamentali56 e imprescindibili. Dall’altro lato, l’adattabilità del concetto riguarda anche il fatto che esso, dovendo rappresentare (o schematizzare, se si preferisce) la variegata moltitudine di personaggi concreti che compaiono in ogni narrazione, sia sempre in evoluzione. Se si modifica la “base fenomenica” del concetto, ovvero i singoli e concreti personaggi che esperiamo in vari testi e media, anche il concetto si modifica. Nel suo essere in grado di “ 'rappresentare' (cioè 'stare in luogo di') tutti i casi particolari che rientrano in esso” (Derossi 1991, 113), il concetto possiede “un valore generale senza essere un’idea generale” (ibidem),57 ovvero un valore che, per quanto generale, rimane comunque contingente e legato alla congiuntura storico- culturale in cui si colloca. Il concetto si adatta per calzare a pennello ai fenomeni che rappresenta, modificandosi in modo direttamente proporzionale alle trasformazioni che – a causa di sconvolgimenti di tipo estetico (testuali e mediali) e di tipo socio-culturale – i singoli personaggi subiscono.

Un altro vantaggio piuttosto interessante, che discende dalla proprietà dell’adattabilità, riguarda la componibilità, il suo essere in grado di evolversi sfruttando e incorporando altri concetti e altri schemi mentali preesistenti. Un concetto, infatti, importa e/o abbandona categorie, teorie e altri concetti (esportabilità e importabilità) in base alle necessità: poiché un concetto viaggia, si deforma, si combina con altri sfruttando connessioni semantiche e condividendo tipologie e proprietà, esso è adottabile da diverse impostazioni teoriche, che non lo hanno creato ma, con le giuste modificazioni, lo hanno adottato e impiegato per i propri scopi.

Concepire il personaggio come concetto, pertanto, si dimostra la soluzione più conveniente per trattare quella particolare classe di personaggi che sono, appunto, i personaggi seriali televisivi. Il primo passo nella direzione della concettualizzazione di questi oggetti, sarà, quindi, quello di capire un po’ meglio quali siano le loro caratteristiche e che cosa li distingua in quanto classe di oggetti. In altre parole, il prossimo passo sarà quello di vagliare la fenomenologia del personaggio seriale televisivo.

56 Alberto Vanzo definisce queste proprietà fondamentali come quelle “proprietà che possono essere esemplificate da vari oggetti” (2012, 44).

57 Derossi, Giorgio. “Semiologia e conoscenza”. Cahiers Ferdinand De Saussure, no. 45, 1991, pp. 111– 120. JSTOR, JSTOR, www.jstor.org/stable/27758441, p. 113.