CAPITOLO 2. FENOMENOLOGIA DEL PERSONAGGIO SERIALE TELEVISIVO
2.3. Figure fuori dal testo: personaggi seriali e contesto socio-culturale
2.3.1. Sui rapporti tra serie televisive e narrazione popolare
La televisione, come sostiene Newcomb, è forse “la più popolare di tutte le arti” (1974), ma questa posizione di rilievo nel panorama culturale popolare non si sarebbe potuta ottenere senza la centralità che, sulla scena televisiva, occupano forme di narrazione popolare già ampiamente consolidate come la narrazione seriale (diffusasi, lo ricordiamo, nella prima metà del XIX secolo e mai più abbandonata). John Caughie, a tal proposito, scrive che
both serials and series have precedents – in cinema, radio, the comic strip and the novel – but television has given them new prominence, the ‘long-form’ narrative becoming the classic form of television dramatic fiction, representing a new and distinct chronotope in the long history of novelistic narrative. […] Like the film invented at the end of the nineteenth century, television is a cultural form born ‘in the epoch of capitalism’, but much more than film its particular force comes from its availability as a part of everyday life, structured within, and structuring, everyday domestic routines. It is this availability that raises questions of subjectivity and ‘human faculties’, and gives television and its serial dramatic simulations a particular importance in considering contemporary popular fiction (2012, 52).
Caughie sottolinea lo stretto legame che intercorre tra la centralità della serialità nell’odierno panorama televisivo (riferendosi a un’accezione ampia di televisione, non considerandola cioè come pura tecnologia ma piuttosto come pratica di consumo legata a una routine domestica di visione, indipendentemente che essa sia esperita tramite digitale terrestre, satelliti, internet, ecc.) con il fatto che essa sia una forma di narrazione
fondamentalmente popolare. La serialità televisiva è figlia legittima del romanzo popolare ottocentesco, da cui ha ereditato buona parte dei suoi canoni stilistici e delle sue finzioni culturali, e per questo considerabile come un tipo di popular fiction. Il termine assume, nella letteratura critica, diverse sfumature di significato, ma generalmente si usa, innanzitutto per indicare tutti quei prodotti dell’industria culturale usufruiti da una gran quantità di persone (McCracken 1998; Berberich 2014). Scrivono David Glover e Scott McCraken:
Popular fiction is frequently thought of as books that everyone reads, usually imaginated as a league of best sellers whose aggregate figures dramatically illustrate an impressive ability to reach across wide social and cultural divisions with remarkable commercial success (2012, I).
Sebbene la locuzione sia stata impiegata quasi sempre per analizzare un certo tipo di produzione scritta (la cosiddetta letteratura popolare), essa è perfettamente applicabile anche alla fiction seriale televisiva, ovvero a quelle “forme drammatiche” che Williams (1975) riteneva centrali per la televisione e che così tanto hanno in comune con altre forme di intrattenimento culturale popolare. Jean-Pierre Esquenazi esplicita in modo molto chiaro lo stretto rapporto di parentela – quasi una filiazione diretta – che lega serie televisive e cultura popolare, descrivendo le prime in termini in un “hériditière des genres narratifs fabriqués petit à petit depuis le début du XIXe siècle” (2012, 82 corsivi aggiunti). La serialità televisiva si presenta, così, come l’ereditiera di una ricca fortuna lasciatale dalla popular fiction più tradizionalmente intesa, un’eredità che si può articolare in quattro punti: (A) la genesi industriale e la matrice economica, (B) la capacità di diffondersi presso un largo numero di persone, (C) il fondare la propria costruzione narrativa su formule e cliché che poggiano sulla codificazione dei generi, e (D) la capacità che hanno i suoi personaggi e le trame di cui sono protagonisti di essere “barometri culturali”. Per quanto riguarda il punto A, il legame risulta evidente dal momento che la fiction televisiva, per quanto oggi esteticamente consapevole (quella che Christine Thompson chiama “quality TV”) e narrativamente complessa (Mittell 2006, 2015), è e rimane il prodotto di un industria culturale capitalista il cui obiettivo resta l’ottimizzazione del profitto, la vendita del “bene” al fine di ricavarne un
tornaconto economico. Di conseguenza – e questo ci porta al punto B – la matrice industriale induce a progettare un prodotto che sia vendibile, ovvero esperibile, virtualmente, dal più alto numero di spettatori possibili. Ciò non significa, si badi bene, una rarefazione dei prodotti in favore di pochi titoli di punta in grado di catturare l’attenzione di più spettatori possibili. Bensì, implica favorire la creazione, accanto a prodotti smaccatamente mainstream, di “nicchie” di mercato – spesso incarnate direttamente nei network focalizzati su specifiche categorie di pubblico, come il caso di The CW – specializzate e attente a catturare “pochi” (ragionando sempre nell’ordine di decine se non centinaia di migliaia di) spettatori ma altamente fidelizzati. Come sostiene Gelder, occore considerare il “popolare” come
a highly stratified set of niche market cultural practices, some of which might be large in scale (circulating transnationally, even globally), but most of which are highly specialized and limited in range and duration. […]. [Popular fiction, ndr] puts into play a complex transaction between the specificity of its niche identity, its relations to questions of derivations and originality, and a wider cultural logics of entertainment, location and influence that enable it to gain recognition and distinction at whatever level” (2016, 8-9, corsivi aggiunti).
La tendenza a favorire nicchie, con prodotti specifici e “particolari” che attirino un certo tipo di spettatori (per i quali, tra l’atro, il prodotto è stato fin da subito progettato) e li fidelizzino, è testimoniato dalla cospicua (sovr-)abbondanza112 di serie televisive diversissime tra loro. Del resto la serialità, con la sua matrice intimamente commerciale,
112 Sono diverse le voci che ormai parlano insistentemente della fiction seriale televisiva degli ultimi anni (specialmente a partire dal 2015 fino a oggi) in termini di Peak TV, termine coniato da John Landgrafm (CEO di FX Networks) per indicare una sovrabbondanza e una sovrapproduzione dei prodotti narrativi seriali che proliferano su diversi canali, come televisione broadcast, cable e over the top (cfr. Paskin, Willa. “What does “peak TV” really mean?” Slate.com, 23 dicembre 2015, URL www.slate.com/articles/arts/tv_club/features/2015/best_tv_of_2015_slate_s_tv_club_discusses/what_doe s_peak_tv_really_mean.html?via=gdpr-consent consultato il 23 maggio 2018.) Basti pensare che nel 2016 sono state mandate in onda in USA 455 nuove serie, record superato nel 2017 con un totale di 487 (fonte: Hanson, Forrest. “The era of Peak TV continues: Record 487 scripted shows made it to air in 2017, with one in four from streaming services”. dailymail.com, 7 gennaio 2018, URL www.dailymail.co.uk/news/article-5242933/Peak-TV-era-continues-487-scripted-shows2017.html#ixzz 5GWX9kW8R consultato il 23 maggio 2018). Nei pronostici, il 2018 sembra in questo senso un anno ancora più roseo se, come si vocifera, il solo colosso Netflix rilascerà oltre 700 nuove serie scripted (Heritage, Stuart. “Is Netflix's plan to release 700 shows Peak TV at its most cynical?” Theguardian.com, 28 febbraio 2018, URL www.theguardian.com/tv-and-radio/2018/feb/28/is-netflixs-plan-to-release-700- shows-peak-tv-at-its-most-cynical consultato il 20 maggio 2018).
le peculiarità del suo impianto narrativo e il rapporto di fidelizzazione che instaura con il suo pubblico, costituisce praticamente l’alfabeto di ogni forma di narrazione popolare113, come già dimostrato da Eco e ribadito anche da studiosi più recenti, tra cui per esempio Kathleen Look:114
Since the nineteenth century, serial narration has been a preferred mode of popular storytelling. From serialized novels to comic strips and film serials, from radio plays and television series to video games and digital forms of storytelling – serial narratives have proven to be an effective means of attracting and engaging mass audiences, especially when new technologies (like the mass-production of cheap novels or colour print in newspapers) and new mass media (like film, radio, television, or the internet) emerged (2014, 5).
La capacità delle narrazioni seriali di dilagare e proliferare su testi e media diversi è dovuta al fatto che, in fondo, essa si basa sulla ripetizione di schemi narrativi ben delineati. Le serie tv contemporanee, pur spartendosi il pubblico e dividendolo in nicchie specifiche, condividono con altre forme di fiction popolare alcune strutture di fondo e il ricorso ai medesimi meccanismi e “formule” (Cawelti 1976) collaudate, il che ci porta al punto C. La necessità di rispondere alla domanda di un pubblico sempre più vorace di narrazioni seriali – che, in tutta risposta, devono essere accattivanti per farsi largo in un terreno assai competitivo e saturato (Mittell 2015) – non ha scardinato del tutto la matrice formulare di simili narrazioni. Al contrario, la serialità televisiva contemporanea si dimostra essere, in alcuni casi più di altri, particolarmente consapevole del proprio bagaglio popolare, composto in larga parte da formule e convenzioni di genere, che cerca di sfruttare a proprio vantaggio. Nella fiction televisiva, la formula, intesa come “structure of narrative of dramatic conventions”
113 Jennifer Hayward parla di proprietà comuni soggiacenti a tutti i serial: “a serial is, by definition, an ongoing narrative released in successive parts. In addition to those defining qualities, serial narratives share elements that might be termed, after Wittgenstein, ‘family resemblances’. These include refusal to closure, interwinged subplots, large cast of characters (incorporating a diverse range of age gender, class and increasingly, race representation) to attract a similarly diverse audience; interaction with current political, social or political issue, dependence on profit, and acknowledgment of audience response” (1997, 3).
114 Anche Glover e McCracken fanno notare che la “popular fiction is primarily based upon a limited forms or genres of narrative pleasures […]. These repertoires of devices effectively bring their audience to existence using fictional lures that hook readers into the text, so that they are driven to repeat the experience at regular intervals” (2012, II).
(Cawelti 1976, 5), costituisce la base su cui operare una variazione, ovvero il termine che hanno gli autori per innovare e quello che impiega il pubblico per costruisri le proprie aspettative. In quest’ottica, le serie televisive rappresentano uno dei più fulgidi esempi di popular seriality contemporanea, ovvero, secondo Daniel Stein, di quei “mass-addressed and explicitly commercial types of cultural production that thrive on a dialectic of schematization and variation, and standardization and innovation” (2017, 58). Come sottolineato da Frank Kelleter (2012, 2014, 2017a, 2017b), che è il vero teorizzatore del concetto di popular seriality, la serialità è una pratica narrativa trasversale a tutti i media della cultura popolare, un set di modalità narrative (un “narrational mode”, per usare la terminologia di Bordwell) che presenta cinque proprietà interconnesse: 1) le narrazioni seriali sono “evolving narratives” ovvero narrazioni sempre in movimento e mai chiuse o finite; 2) le narrazioni seriali popolari sono narrazioni strutturate secondo una “recursive progression”, in grado cioè di adattare e riadattare uno stesso nucleo di informazioni alle necessità di una narrazioni in evoluzione; 3) le “popular series”, come le definisce Kelleter, sono “narrazioni di proliferazione” per cui, grazie alla tendenza a presentare mondi narrativi ricchi di informazioni, anche pochi episodi bastano a gettare le base per potenziali storie future, sviluppabili su diversi media, grazie soprattutto al lavoro compiuto dai personaggi seriali in qualità di perni narrativi attorno a cui far ruotare nuove trame; 4) le narrazioni seriali popolari sono “self-observing systems”,115 sistemi che si auto-osservano e, nel farlo, includono nella loro evoluzione i feedback dei loro stessi effetti. Per questa ragione Kelleter parla di questi prodotti come “democratizzanti”, in quanto per la loro stessa costruzione e resilienza nel tempo si basano sull’attività degli spettatori; 5) infine, essendo le serie televisive – ma in generale tutti i prodotti ascrivibili alla popular
seriality – sistemi sempre in evoluzione e in grado di auto-osservarsi, esse si presentano
come “agenti di auto-riflessività sul capitalismo”, nel senso che sono narrazioni
sintomatiche del sistema socio-culturale che le produce e la fa circolare. Le proprietà
individuate da Kelleter ci offrono il la per riflettere sull’ultimo punto (il punto D) d’incontro tra le caratteristiche della popular fiction e quelle delle serie televisive. Le
115 Kelleter qui fa riferimento ai “sistemi auto-osservanti” della teoria di Niklas Luhman (Soziale Systeme: Grundriß einer allgemeinen Theorie, Suhrkamp, 1984; tr. it. Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, 2001, Bologna, Il Mulino), al cui pensiero lo studioso è particolarmente debitore.
serie televisive e i personaggi in esse inseiriti sono, per usare una bella espressione di Clive Bloom, “the barometer of contemporary imagination, a type of acute pathological and sociological exemplary instance which sums up all that is interesting actually […] and that is ephemeral artistically” (2002, 15). Essendo frutto di un’industria culturale attenta per sua stessa necessità e sopravvivenza a soddisfare i bisogni del proprio pubblico e ad adattarsi ai suoi mutamenti socio-culturali, la serialità televisiva è strettamente dipendente, sia per quanto riguarda il suo valore estetico-formale sia per quanto concerne quello tematico-semantico, dal contesto spaziale e temporale in cui si colloca. Per questo motivo, queste narrazioni possiedono un “essenziale valore simbolico” (Banti 2017) che risiede nel loro essere in grado di restituire il polso della situazione sociale, politica e ideologica in cui il testo è inserito.