• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3. LE FORME DEL PERSONAGGIO SERIALE TELEVISIVO

3.2. La seconda vita delle forme: il neo-formalismo e i suoi vantaggi

3.2.3. Il personaggio come luogo in cui le forme collidono

Un contributo che può aiutarci a trovare una risposta è quello proposto da Caroline Levine, una studiosa americana che, nonostante si sia occupata soprattutto di letteratura vittoriana da una prospettiva decisamente “cultural”, ha elaborato una teoria delle forme atta a collegare i testi letterari con questioni di politica, società e cultura in generale140. Nel 2006 pubblica il saggio “Strategic Formalism: Toward a New Method in Cultural Studies” – le cui argomentazioni saranno riprese e approfondite nel libro Forms. Whole,

Rythm, Hierarchy, Network (2015) – in cui sostiene

the idea that literary forms are socially and politically forceful but concludes that they do not derive their power from their fit with existing or emerging patterns of social life. Instead, literary forms participate in a destabilizing relation to social formations, often colliding with social hierarchies rather than reflecting or foreshadowing them (2006, 626).

Levine si schiera apertamente dalla parte di quegli approcci ibridi che sostengono come le forme estetiche (sia stilistiche sia narrative) partecipino alla formazione, mutazione e Comedy". In: Bennett, Tony; Mercer, Colin; Woollacott, Janet (a cura di), Popular Culture and Social Relations, Philadelphia, Open University Press, 1987, p. 30.

140 Scrive la studiosa nell’introduzione al libro Forms (2015): “Traditional formalist analysis — close reading — meant interpreting all of the formal techniques of a text as contributing to an overarching artistic whole. A contemporary critic, informed by several decades of historical approaches, would want instead to take stock of the social and political conditions that surrounded the work’s production, and she would work to connect the novel’s forms to its social world. She would seek to show how literary techniques reinforced or undermined specific institutions” (p. 1).

destabilizzazione delle strutture sociali tanto quanto le strutture sociali abbiano il medesimo ruolo nei confronti delle forme estetiche. Tuttavia, Levine fa un passo ulteriore sulla questione delle relazioni tra quello che accade dentro e fuori il testo, chiedendosi: “would our critic be right in distinguish between the formal and the

social?” (2015, 1). Tutto il dibattito sulle forme estetiche e il contesto socio-culturale,

così come è stato brevemente presentato sopra, ha come assunto fondamentale che questi due “oggetti” siano radicalmente diversi nella loro natura e che, sebbene intrattengano relazioni reciproche e addirittura si modellino l’uno sull’altro, rimangano entità ontologicamente diverse. L’idea che avanza Levine, invece, consiste nell’annullamento tra questa differenza sostanziale e considerare anche gli elementi contestuali, appartenenti alla sfera sociale (istituzioni sociali, pratiche, credenze, assunzioni, tematiche, ecc.), come forme.

Il pensiero della Levine si basa sostanzialmente su due argomenti: il primo riguarda la concezione di che cosa sia “il sociale”, gli elementi che compongono la sfera socio- culturale e politica che hanno composto il concetto di contesto; il secondo concerne una particolare definizione di che cosa sia una forma. Per quanto rigurda il primo punto, un ruolo centrale è giocato del pensiero di Althusser e da quello di Foucault. 141 Anziché pensare la società dominata da un'unica ideologia, un discorso omogeneo prodotto dalla classe dominante, la studiosa ritiene maggiormente sensato e proficuo pensare alla società come a un insieme di singoli apparati culturali, organizzati ciascuno sulle proprie strutture. Levine suggerisce di considerare “the cultural-political field as shaped by a web of competing attempts to impose order” (ivi, 630), dal momento che “politics involves activities of ordering, patterning, and shaping”. Di conseguenza, “if politics is a matter of imposing and enforcing boundaries, temporal patterns and hierarchies on experience” (2015, 3), è allora corretto pensare alle strutture sociali in termini di forme. In fondo, nel suo tentativo di ordinare e organizzare persone, oggetti e concetti, ogni società è intimamente formale: “all the powerful hierarchies of identity – gender, race,

141 Per quanto riguarda Althusser, il testo di riferimento è Ideologia e apparati ideologici di Stato (1970). Per quanto concerne invece l’opera di Foucault, Levine afferma che il suo testo di riferimento è Sorvegliare e punire (1975). Un certo debito, come riconosce la stessa autrice, va anche a Jacques Rancière, che nel suo The Politics of Aesthetics (2006) definisce la politica come una questione di “arrangiamenti”.

class, sexuality – can be generalized”, e quindi suscettibili di essere studiate nelle loro modalità di manifestarsi nei testi, perché in essi le strutture sociali “have been formalized, disciplined into recognizable, repeatable oppositions” (2006, 631). Levine, in altri termini, propone di considerare elementi testuali (stilistici e narrativi) ed elementi contestuali (tematici) utilizzando lo stesso linguaggio, ovvero quello delle forme. In questo modo, tanto per fare qualche esempio, la struttura del percorso narrativo di un personaggio è una forma tanto quanto lo è una gerarchia sociale, e il network di connessioni che legano un cast di personaggi è una forma tanto quanto lo è il network di connessioni che crea una società o un gruppo sociale. La riflessione sulle forme sociali della Levine pone le sue fondamenta su una concezione di forma – e qui veniamo al secondo punto – piuttosto generica e ampia, in cui Gestalt e Bildung si fondono insieme sincreticamente. “Forma” viene così a indicare ogni entità organizzata (Gestalt) – o, per utilizzare la definizione che ne dà Levine, “an arrangement of

elements – an ordering, patterning or shaping” (2015, 3, corsivi originali)142 – in grado di mutare e modificarsi nel tempo (Bildung).143 “Forma” in questo approccio chiamato da Levine “strategic formalism”

refers to shaping patterns, to identifiable interlacings of repetitions and differences, to dense networks of structuring principles and categories. It is conceptual and abstract, generalizing and transhistorical. But it is neither apolitical nor ahistorical. It does not fix or reduce every pattern to the same. Nor is it confined to the literary text, to the canon, or to the aesthetic. It does involve a kind of close reading, a careful attention to the ways that historical texts, bodies, and institutions are organized-what shapes they take, what models they follow and rework. But it is all

142 Conscia della genericità di una simile definizione, Levine ci fornisce cinque “idee” (ivi, 4-5) – come lei stessa le definisce – per chiarire come le forme estetiche e sociali funzionano: 1) “forms constrain”, ovvero impongono dei confini e quindi dei sistemi più o meno chiusi; 2) “forms differ”, nel senso che esistono molte forme (come dimostra il ricco vocabolario sviluppato dalla critica) e differenze formali tra le diverse narrazioni; 3) “various forms overlapp and intersect” ovvero le forme, nel loro creare una narrazione, si intersecano tra di loro e si mischiano; 4) “forms travel”, e lo fanno in due modi: da un lato possono spostarsi sia da testo a testo, sia da testo a contesto (e viceversa), dall’altro esse possono sopravvivere, con i dovuti adattamenti, anche in differenti culture e periodi storici; 5) “forms do political work in particular historical context”, nel senso che determinate forme estetiche emergono in contesti politici e socio-culturali specifici ma, al contempo, queste stesse forme estetiche rivelano e rappresentano (con più o meno senso critico) il contesto in cui sono prodotte e recepite.

143 Cfr. Sambin, Marco. “La psicologia della Gestalt”. In: Legrenzi P., (a cura di), Storia della psicologia, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 111-145; Bertetti, Paolo. Lo schermo dell’apparire, cit.

about the social: it involves reading particular, historically specific collisions among generalizing political, cultural, and social forms (2006, 632).

Le forme, tanto estetiche quanto sociali, sono in quest’accezione degli arrangiamenti specifici di proprietà ed elementi, in grado di adattarsi a vari tipi di testo e ad altrettanti contesti grazie alle loro affordances144 (2015, 6 e successive), ovvero le qualità ergonomiche (in primis fisiche ed esteriori) di un oggetto che indicano ad un essere umano come manipolarlo e che uso farne. Sostanzialmente, una affordance è definibile come un “invito” a utilizzare un certo oggetto – in questo caso una certa forma – secondo modi d’uso suggeriti (implicitamente) dall’oggetto stesso. Ogni forma, estetica o sociale, possiede una certa gamma di affordances, di possibilità latenti di senso e di utilizzo che porta con sé nel suo spostarsi nel tempo e nello spazio. In particolare, è grazie a queste condizioni d’uso implicite che le forme sono in grado di viaggiare, di declinarsi cioè in modo molto duttile a seconda delle necessità testuali e contestuali, mantenendo però i propri “contorni” e preservando la propria struttura. In altre parole, grazie alle affordances, le forme posseggono qualità trans-storiche. Il neo-formalismo strategico di Levine presenta il vantaggio di considerare le forme non come un mero specchio o una rappresentazione inerme che riceve determinati stimoli dal contesto e li tramuta (o li ingloba) in una storia. I testi non sono modellati a immagine e somiglianza di un contesto, né le forme estetiche sono il correlativo oggettivo nella narrazione di forme politiche e sociali o “the vassel into which content was poured” (Feldman 2006, 201). Piuttosto, le forme estetiche, grazie alle loro specifiche affordances e alla capacità di adattarsi e di viaggiare, posseggono una vita propria, nonché una propria autonomia.145 Certamente, la sfera politico-sociale gioca un ruolo fondamentale e

144 Il termine è stato coniato dallo psicologo americano James Gibson. Nel 1966 Gibson pubblica The Senses Considered as Perceptual Systems. (Londra, Allen and Unwin), mentre nel 1979 dà alle stampe The ecological approach to visual perception. Boston, Houghton Mifflin; trad. it Un approccio ecologico alla percezione visiva, Milano, Mimesis, 2014. Per una definizione più estensiva di che si intenda per affordance cfr. Norman, Donald. The Design of Everyday Things, New York, Doubleday, 1990.

145 La riflessione della Levine, in tal senso, non è un fulmine che improvvisamente squarcia la spessa coltre di nubi strutturaliste che avvolgevano gli approcci formalisti. Già negli anni Ottanta si notavano segni di apertura al contesto nello studio delle forme testuali. Così, infatti, scriveva Arcangelo Leone de Castris: “il contesto di un’opera sta nel testo come una relazione costitutiva di significato, una garanzia strutturale della sua forma, e non già nel senso che un’opera “riflette” il suo contesto storico” (Cfr. Leone de Castris, Arcangelo. “Il contesto nel testo” (1981). In: Leone de Castris Arcangelo, Nelle forme della scrittura e oltre. Teoria, storia e critica della letteratura, a cura di C. A. Augieri et alii, Lecce, Milella,

imprescindibile nel processo di costruzione dei testi e nel plasmare le forme estetiche. Tuttavia, “immagini” e “temi” non vanno confusi con il contenuto implicito che si nasconde all’interno di un certo arrangiamento di forme estetiche e tecniche retoriche: forme estetiche e forme socio-culturali vengono poste sullo stesso piano,146 e non le ultime come causa delle prime. In questo modo, continua la studiosa, è possibile leggere e analizzare i testi e le narrazioni come un luogo in cui diverse forme estetiche e socio- culturali si incontrano, si scontrano e, in una parola, collidono. Scrive Levine: “The form that best captures the experience of colliding forms is narrative. […] What narrative form affords is a careful attention to the ways in which forms come together, and to what happens when and after they meet” (2015, 16).

Anche lo studio del personaggio nelle narrazioni seriali televisive può tratte un notevole beneficio dalle intuizioni della Levine, ed ecco perché nei capitoli seguenti si cercherà di analizzare questi esseri finzionali come un luogo in cui forme di diversa natura collidono, un “campo di battaglia” dove forme estetiche e socio-culturali vengono in contatto, incontrandosi, scontrandosi e intersecandosi. Uno studio sulle forme – e sulle relazioni dinamiche che intercorrono tra di esse – responsabili della conformazione del personaggio consente di analizzarne la caratterizzazione senza ricorrere necessariamente a formule narrative e di genere, ovvero convenzioni ed etichette prestabilite e affibbiate a priori. Così facendo si elimina la separazione tra forma e contenuto sostituendola con una connessione tra forme estetiche e tematiche, entrambe considerate come egualmente necessarie e responsabili del processo di costruzione dei personaggi che affollano la serialità televisiva contemporanea. Inoltre, un approccio neoformalista su modello di quello della Levine ci fa cogliere i personaggi nel processo di evoluzione che occorre durante la narrazione. Il sistema di relazioni che lega le varie forme è, infatti, mutevole ed elastico: diverse forme estetiche e diverse forme sociali si mescolano, si legano e slegano, entrano una nell’altra, si scontrano e si incontrano man mano che la narrazione procede e in base agli stimoli che arrivano dal contesto. In questo modo, l’identità del personaggio si configura come alquanto elastica e capace di adattarsi alle esigenze di una narrazione temporalmente estesa.

2012, p. 253). Levine, dal canto suo, può però bearsi della nuova fioritura degli studi narratologici e neo- formalisti degli ultimi anni.

Proviamo a fare un esempio, applicando il formalismo strategico e il concetto della “collisione delle forme” allo studio di due personaggi di una serie televisiva che negli ultimi anni, forte di sei stagioni (2013-2018), ha riscosso molti successi: The Americans. I personaggi in questione sono Elizabeth e Philip Jennings, una coppia all’apparenza felicemente sposata, solida, che vive una tranquilla e classica american way of life anni Ottanta: i due sono agenti di viaggio, possiedono una bella casa familiare in cui vivono con i figli Harry e Paige secondo uno stile di vita tipicamente medio-borghese. I Jennings, però, sono in realtà due agenti del KGB che operano sul suolo americano in piena guerra fredda. La trama si snoda tra vari percorsi narrativi, collegati tra loro da un basso continuo narrativo che racconta di come questa coppia di spie fatichi a mantenere l’equilibrio nella doppia vita: da un lato le missioni affidate loro dal Direttorato S (il sistema organizzativo delle spie sovietiche che operano su suolo americano) spesso rischiano di compromettere la loro copertura; dall’altro i due, nonostante siano stati “abbinati” dal governo sovietico, alla fine finiscono per provare dei sentimenti profondi l’uno per l’altra e per i loro figli. Ora, guardando Philip ed Elizabeth attraverso la lente dell’analisi formale, che cosa vedremmo? Quali forme, sia estetiche che sociali, venendo in contatto sono responsabili della caratterizzazione e dell’identità di questi personaggi? E su che livello (o livelli) opera la collisione di forme?

Già a una prima impressione, possiamo vedere come i personaggi di The Americans siano costruiti su una costruzione fondamentalmente bipolare: USA vs. URSS, famiglia

vs. missione, amore vs. fedeltà alla causa, verità vs. finzione, ecc. I personaggi sono

sempre “tirati”, per così dire, da un polo o dall’altro, dal punto di vista dei loro percorsi narrativi, da quello della costruzione figurativa e da quello emotivo-psicologico. Le loro azioni e il percorso narrativo che intraprendono nel corso delle puntate sono scissi e divisi tra l’ottemperanza alle missioni che vengono affidate loro dal Direttorato e la loro vita da americani qualunque. Ciò comporta, ovviamente, anche ripercussioni sul loro aspetto fisico e sull’apparenza esteriore, dal momento che per eseguire le missioni Philip ed Elizabeth si travestono e assumono false identità che si trascinano anche per diversi episodi. Un esempio molto interessante è quando, tra la prima e la quarta stagione, Philip indossa i panni di uno dei suoi tanti alias, Clark Westerfeld, al fine di sedurre e sposare Martha, una segretaria che lavora nella sezione controspionaggio

dell’FBI. Clark, tuttavia, diventa letteralmente un personaggio nel personaggio, una sorta di versione migliore di sé da cui Philip rimarrà condizionato per il resto della serie, incapace di staccarselo di dosso anche dopo la fine della missione. Man mano che le stagioni della serie si susseguono, inoltre, l’ideale sovietico a cui i due personaggi sono così alacremente votati, e che costituisce il perno attorno a cui ruota la loro caratterizzazione psicologica, mostra segni di cedimento in favore di una commistione con quello capitalista. Elizabeth, per esempio, è di gran lunga più “integerrima” rispetto a Philip nel perpetuamento della missione e nel non lasciarsi ammaliare dal sogno dell’America reaganiana. Tant’è che spesso su questo punto arriva a scontrarsi duramente con il marito che, pur convinto della bontà della causa, non disdegna lo stile di vita americano. Anche lei si trova in più di un’occasione schiacciata dal peso delle missioni e dalla fatica di rimanere in equilibrio tra la sua identità di madre e moglie americana e quella di spia sovietica. I due devono convincersi l’un l’altro, in occasioni diverse, a pagare il prezzo delle missioni, arrivando a scontrarsi per via di quello che entrambi sono disposti a fare per il bene della missione e i sentimenti che provano l’uno per l’altra, come amore e gelosia.

Astraendo il livello dell’analisi, possiamo dire che Philip ed Elizabeth sono personaggi conformati sia da elementi – o forme, per usare la terminologia della Levine – che da un lato rafforzano una struttura (estetica e sociale) bipolare sia elementi che, invece, si sforzano di scardinarla. La serie è ambientata nei primi anni Ottanta, all’apice di un conflitto che si basava sulla netta separazione tra due sfere ideologiche, gli Usa e l’Urss. La forma sociale del bipolarismo ideologico, della scelta tra un modello di vita americano e uno sovietico, quindi, interviene nella conformazione di questi due personaggi. The Americans è, però, una serie contemporanea (la prima stagione è del 2013, l’ultima del 2018), frutto di un contesto che non si riconosce più nelle “grandi narrazioni” e in cui si riscontra una consistente difficoltà nello schierarsi nettamente con una o con un'altra ideologia come avveniva in piena guerra fredda. Il contesto storico- culturale extradiegetico della serie marcia così in direzione opposta rispetto al binarismo ideologico del contesto intradiegetico (quello della guerra fredda), verso cioè un mescolamento dei confini e un incrocio continuo dei due modelli, creando così una sorta di “attrito” e una sfasatura nelle identità dei Philip ed Elizabeth. Le doppie vite della

coppia dovrebbero restare quanto più possibile separate, con il “piano americano” e il “piano sovietico” che funzionano su binari distinti. Eppure, le conseguenze di ciò che accade su un piano si ripercuotono inevitabilmente sull’altro, cosicché missioni e vita di coppia si mescolano irrimediabilmente. Come conseguenza, i due personaggi sono caratterizzati da una forte instabilità e da una costruzione identitaria “pendolare”, in cui gli elementi narrativi, figurativi, psicologici e tematici vanno in direzione di una complessità che cresce con il procedere della trama attraverso le puntate e che mina la bipolarità attorno a cui, tematicamente, ruota la serie. La questione della bipolarità e della difficoltà nel mantenerla non è caratterizzante solo in Philip ed Elizabeth, ma riguarda anche gli altri personaggi dell’universo diegetico di The Americans: l’agente del KGB Nina Krilova, per esempio, è sempre in bilico tra la fedeltà alla causa e il suo amore per l’agente americano Stan Beeman, che la porta a fare il doppio e il triplo gioco.147 Di pari passo, anche l’agente Beeman, a fronte di una caratterizzazione che all’inizio della serie lo vede come il perfetto patriota americano (e reaganiano), nel corso delle stagioni si rivela essere un personaggio assai più sfaccettato e complesso. I personaggi secondari, anche se in modo meno eclatante rispetto a Philip ed Elizabeth, sono soggetti a un processo di complessificazione che confonde i termini del bipolarismo, sia ideologico che identitario caratteristico della serie. Eppure, il sistema dei personaggi, ovvero il modo in cui la struttura narrativa li “ordina” e li dispone all’interno del mondo narrativo, rimane nettamente bipolare, per cui abbiamo i protagonisti Philip ed Elizabeth da un lato e tutti gli altri personaggi, più o meno importanti per l’economia della vicenda, dall’altro. Le due “sfere”, quella dei protagonisti e quella degli altri personaggi, pur essendo strettamente intrecciate e interdipendenti, sono comunque sempre perfettamente distinguibili l’una dall’altra. Questo accade perché la struttura narrativa della serie, nonché la forma di serialità adottata, rimangono piuttosto semplici. The Americans conserva la forma classica di un serial tradizionale (una narrazione continua spezzata in più puntate cronologiche), salvo l’uso di alcune anthology plots riguardanti varie missioni (l’omicidio degli amici/colleghi spie Emmett e Leanne Connors, il Nicaragua, il trafugamento della

147 Nina, infatti, dapprima passa dalla parte degli americani, divenendo una loro spia all’interno della Rezidentura, poi, pentendosi, confessa tutto al suo capo. Di conseguenza, i russi la obbligano a fare la spia per loro mentre gli americani pensano che lei sia ancora una loro infiltrata.

tecnologia Stelth, ecc.) che, essendo comunque molto diluite nel corso degli episodi (o