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CAPITOLO 1. UNA, NESSUNA, CENTOMILA TEORIE

1.2. Le avventure teoriche del personaggio

1.2.3. Il personaggio come “unitas multiplex”

Attorno al termine complessità ruota un certo vuoto epistemologico, dal momento che manca una definizione unificata di che cosa essa sia. In merito al personaggio, il termine viene spesso assunto – specialmente nella teoria e pratica della sceneggiatura – come correlativo di quella “roundness” teorizzata da Edward M. Forster, ovvero di una “ricchezza dimensionale” o pluridimensionalità del personaggio, che segue l’equazione mckeeiana per cui “una contraddizione (conflitto) = una dimensione”.47 Nella vulgata,

46 Già Tzvetan Todorov e Osvald Ducrot, venti anni prima di Jouve, notano l’ubiquità teorica del personaggio. Scrivono, infatti, i due studiosi: “la categoria del personaggio è restata, paradossalmente, una delle più oscure della poetica. […] [una, ndr] ragione di questo stato di cose è la confusione, nella nozione di personaggio, fra categorie differenti. Il personaggio non si riduce a nessuna di queste categorie, ma partecipa di ciascuna.” Cfr. Todorov, Tzvetan, and Osvald Ducrot, cit., p. 246.

47 Secondo Mckee, un personaggio è pluridimensionale, e quindi complesso, quando il suo conflitto (detto “spina dorsale” della storia) è in realtà scisso in diversi micro-conflitti più specifici, come per esempio un conflitto interiore oppure quello che deriva dallo scontro con altri personaggi (conflitto relazionale). A tal riguardo si vedano: Mckee, Robert. Story. Contenuti, struttura, stile, principi della sceneggiatura. International forum edizioni, 2000; Phillips, Melanie Anne, and Chris Huntley. Dramatica: a New Theory of Story. Write Brothers, Inc., 2004.

quando si parla di personaggi complessi si fa pertanto riferimento a personaggi particolarmente “caratterizzati”, la cui personalità si presenta assai ricca, variegata e complessa, le cui linee narrative sono interessanti e scarsamente prototipiche. Si tratta, spesso, dei protagonisti delle storie che hanno a disposizione ampio spazio narrativo per mostrare le diverse sfumature psicologico/caratteriali che emergono durante lo sviluppo della narrazione. Il problema della complessità, tuttavia, non si limita solamente a questo aspetto “operativo” del personaggio, ovvero il modo in cui opera e si costruisce in una trama ma è, al contrario, da intendersi come alla base della sua stessa nozione. La complessità riguarda anche la poliedricità e ricchezza semantica e, di conseguenza, l’eterogeneità di approcci metodologici con cui, con differenti obiettivi teorici e declinazioni, la proteiforme natura del personaggio è stata trattata.

L’obiettiva difficoltà riscontrabile nell’analizzare i personaggi – come evidenziato, tra gli altri, da Jonathan Culler (1975), Mieke Bal (1985) e Schlomith Rimmon-Kenan ([1983] 1996) – non è dovuta solo, come scrivono Jens Eder, Fotis Jannidis e Ralf Schneider, “to the gaps between the disciplines”, ma anche al fatto che, “once they are subject to closer scrutiny, characters prove to be highly complex objects in a number of ways. (2010b, 3, corsivi miei). Staccandoci dall’idea forsteriana di “personaggio complesso”, occorre piuttosto pensare il personaggio in termini di sistema complesso, come cioè un insieme di parti tra loro interrelate che, nelle connessioni che instaurano le une con le altre, si influenzano reciprocamente. Pensare il personaggio in questo senso significa, quindi, intenderlo come un insieme di tratti, proprietà e funzioni che interagiscono in modo complementare. È quello che fa John Pier, basandosi sul lavoro del fisico Michel Baranger,48 nel suo saggio Complexity: a paradigm for narratology? (2017). Pier considera innanzitutto la “complessità sostanziale” del personaggio, il suo essere un insieme di molte “cose” diverse: un costrutto testuale, un veicolo di istanze tematiche, una proiezione di stati psicologici, una “mente finzionale”, un avatar del

48 Pier, seguendo Baranger, individua sei qualità che un sistema, per definirsi complesso, deve possedere: 1) i sistemi complessi comprendono molte componenti che agiscono non linearmente; 2) le componenti sono interdipendenti; 3) la struttura di un sistema complesso riguarda diverse scale di grandezza; 4) la capacità di comportamenti emergenti, ovvero non prevedibili dalla semplice somma delle componenti; 5) i sistemi complessi prevedono una combinazione di caos e non caos; 6) i sistemi complessi sono frutto di un’interazione tra una cooperazione e una competizione delle componenti. Cfr. Baranger, Michel. Chaos, Complexity and Entrophy. A Physics Talk for Non-physicists. New England Compex Systems Insitute,

lettore nel mondo diegetico, un individuo simil-umano, ecc. Queste diverse facce stanno tra di loro in un rapporto di non esclusività, legate da una relazione et…et e non aut..aut. In secondo luogo, la nozione di personaggio è caratterizzata anche da una “complessità relazionale”, per cui ogni diversa sfaccettatura di cui essa si compone non va esaminata in isolamento rispetto alla altre ma, anzi, sempre considerata nelle relazioni reciproche; relazioni che possono essere di cooperazione (due o più facce vengono incorporate in un unico approccio) oppure di competizione (un approccio basa i propri assunti sullo screditamento degli assunti di un altro).49 L’aspetto maggiormente rilevante consiste nel fatto che dietro a una nozione a prima vista unitaria e omogenea si cela, in realtà, una fitta rete che connette tra loro definizioni, tratti, caratteristiche e funzioni diverse. Proprio a questa composizione si deve il ritardo nel riconoscimento della complessità che contraddistingue la nozione di personaggio, dovuto probabilmente al fatto che il personaggio stesso si presenta in questo modo: una persona finzionale definita, unica, identificabile che, al contempo, articola al proprio interno, cioè nella sua caratterizzazione, nella sua struttura narrativa o nel suo aspetto figurativo, una complessa architettura fatta da diversi elementi (testuali, narrativi, semantici, tematici, figurativi, ecc.). Il personaggio va quindi considerato come un sistema, e in particolare come un sistema complesso che, scrive il grande teorico della complessità Edgar Morin, “considerato dal punto di vista del tutto esso è omogeneo; considerato dal punto di vista dei costituenti, esso è diviso ed eterogeneo” (1983 [1977], 135).

Che si tratti del singolo personaggio specifico o del concetto di personaggio in generale, quindi, adottare un’impostazione teorico-metodologica che lo intenda come “sistema complesso” concede di avvalersi sempre di una prospettiva doppia, che mentre permette di coglierlo come un qualcosa di singolo e coeso (la prospettiva dell’“unità”), consente anche di vederne le singole componenti tra di loro interrelate e il tipo di relazione che le lega (prospettiva delle “parti”). Il rapporto tra le parti e l’unità va concepito come un circuito dinamico per cui le une sono impensabili senza l’altro e viceversa: come

49 Questo atteggiamento apertamente antagonista tra diverse posizioni teoriche ha dato luogo a diverse querelles. Famose sono, per esempio, quella tra Vladimir Propp e Claude Levi-Strauss negli anni Sessanta, oppure quella tra Gerard Genette e Schlomith Rimmon-Kenan negli anni Ottanta. Cfr. Marrone, Gianfranco. Sei autori in cerca del personaggio. Un problema di semiotica narrativa. Centro Scientifico, 1986, passim.

scrivono il fisico James Crutchfield e altri suoi colleghi a proposto di un sistema complesso, “the interaction of components on one scale can lead to complex global behaviour on a larger scale that in general cannot be deduced from knowledge of the individual components” (2008, 286). In questa prospettiva, il personaggio è concepibile come un’unità, una figura che emerge chiaramente dallo sfondo del mondo narrativo ed è distinguibile dalle altre figure simili, che risulta tale solo grazie all’interazione – e non alla semplice somma – delle “parti” che la costituiscono. Ciò implica, di fatto, che le parti non sono significanti all’infuori della loro relazione reciproca e di quella con il tutto, e che quindi non abbia molto senso incaponirsi nello studiare unicamente la struttura narrativo-testuale personaggio, o la sua capacità di farsi portavoce di alcune istanze socio-culturali, senza prendere in esame l’interazione che occorre tra questi due aspetti. Per chiarire meglio l’idea, possiamo immaginare che il personaggio sia un tessuto, il quale, come sottolinea il fisico ed esperto di sistemi complessi Gianni Zanarini, “pur essendo costituito di parti (i fili, la trama, l'ordito), possiede caratteristiche che le singole parti non hanno, e che solo limitatamente possono venire «spiegate» disfacendo l'intreccio” (1996). In questo senso, guardando il lato “dritto”, il personaggio si presenta come un’entità coesa e uniforme, mentre osservandone il “rovescio” si vede un coacervo di elementi diversi intrecciati uno all’altro. In altre parole, la nozione di personaggio è pensabile nei termini di quella che Edgar Morin ha definito unitas multiplex:

it is a global, nonelementary entity, because it consists of different parts. It is a nonhomogeneous but hegemonic unit because the organized whole dominates the distinct elements and holds them in its power. It is a nonprimitive but original unit: it has its own irreducible properties. It is an individual unit, quite indivisible: it can be decomposed into separate elements, but this changes its existence (1999, 116).

Il personaggio, in questi termini, si presenta come un’unità che però è composta da parti, in cui, sotto la superficie apparentemente uniforme e coesa di individuo finzionale simil-umano (o comunque percepito come tale) che partecipa di un mondo narrativo, si cela una rete di elementi testuali (narrativi, figurativi e mediali), tematici, semantici e contestuali; è un’entità non omogenea, poiché composta di diversi “materiali”, ma egemonica, in quanto organizza questi stessi materiali in modo da far emergere un

forma riconoscibile e unitaria; è un’entità non primitiva ma originale, che per quanto

possa scaturire dalla combinazione di diversi elementi, è sempre caratterizzata da proprietà irriducibili e irrinunciabili. L’importanza di riconoscere l’unitas multiplex alla base dell’essenza stessa del personaggio si evince soprattutto se si spensa al fallimento di quei tentativi di analisi che, anziché considerare l’interdipendenza tra le parti e quella tra le parti e il tutto, hanno operato per decostruzione, staccando, per così dire, un filo dall’altro e separandolo dall’ordito. È questa, forse, la causa per cui gli studi di stampo strutturalista, nel loro tentativo di sondare l’essenza e il funzionamento del personaggio scomponendolo e rinnegandolo come entità unita,50 si sono dimostrati limitati.51 Oggi invece, come ci ricorda Arrigo Stara, la nozione di personaggio “da univoca quale ci era apparsa in un primo momento, sembra riaprire le porte a una sorprendente antropologia immaginaria, nella quale ritroviamo, muovendoci dal centro verso la periferia, esseri sempre più equivoci e indefinibili” (2004, 11).

Questa complementarietà tra le facce del personaggio è messa in evidenza anche da un altro grande studioso, James Phelan, che nel 1989 scrive di come per costruire un personaggio servano tre ingredienti, imprescindibili uno dall’altro:

the mimetic (characters like a person); the thematic (any character is representative of one or more groups of functions in one way or another to advance the narrative’s thematic concerns); the synthetic (character plays a specific role in the construction of narrative as made object)” (2004, 214, corsivi originali).

In questo modo, scrive Phelan, non è necessario prendere posizione in anticipo sul fatto che i personaggi siano “represented people, or themes with legs, or obvious artificial constructs”, ma anzi si sostiene come “a character may come to perform any of these

50 A partire da Propp, l’idea stessa di personaggio come unitas cade sostanzialmente in disgrazia. Probabilmente a causa del tentativo compiuto dagli studiosi, formalisti prima e strutturalisti poi, di sganciarsi dall’idea di personaggio inteso come un “essere” autonomo, particolare e in grado di percepire e “sentire” il moto delle cose intorno a lui (ribaltamento della nozione aristotelica) portata avanti dell’estetica romantica. Il termine stesso “personaggio” tende a sparire gradualmente dalla letteratura critica. Viene quindi sostituito da una serie di avatar linguistici che, di volta in volta, ne sottolineano solo alcuni aspetti.

51 Come sostiene Gianfranco Marrone, il personaggio “non può considerarsi esaurito nell’analisi degli «agenti» (Todorov), degli «eroi» (Tomaševskij), dei «ruoli» (Bremond), delle «dramatis personae» (Propp), degli «attanti-ruoli-attori» (Greimas) e così via, né tantomeno può intendersi come la somma eteroclita di tutte queste categorie, ma conserva in sé dell’altro, un resto non codificabile attraverso questo genere di modelli” (1992, XXIII-XXIV).

functions or indeed all three of them to varying degrees within the same narrative” (1989, 9). La componente mimetica, quella tematica e quella sintetica sono, difatti, in correlazione e in interdipendenza reciproca, e si rivelano tutte necessarie per la comprensione del personaggio.

Nel 2010, Jens Eder rielabora l’argomentazione di Phelan creando un modello teorico, da lui definito come “l’orologio del personaggio”, secondo cui il personaggio è formato contemporaneamente da quattro identità complementari,: a) un artefatto, per cui esso va considerato in relazione alle informazioni estetico-stilistiche che il testo ci comunica e come questo le comunica; b) un essere finzionale, un abitante del mondo diegetico che deve essere esaminato nei suoi modi di agire e comportarsi in relazione ad un universo (Lebenswelten, come lo chiama Eder); c) un simbolo, che quindi, in senso generale, è un segno che sta per qualcos’altro; d) un sintomo, di intenzioni autoriali o, più generalmente, di un contesto socio-culturale. Ogni quadrante di questo “orologio” rappresenta un pezzo fondamentale, senza il quale non potrebbero costruirsi gli altri e senza il quale il personaggio stesso sarebbe in qualche modo monco e malformato. L’approcciarsi al personaggio intendendolo come una unitas multiplex ci permette di considerarlo nella sua innata predisposizione ad essere proteiforme, ponendo l’accento sul come vada studiato nel suo complesso o, per meglio, dire, nella sua complessità. Questa rottura epistemologica, tuttavia, apre uno scenario nuovo, poiché si scardina l’assunto teorico – condiviso da tutte gli approcci teorici visti fin qui – secondo cui il personaggio, per quanto misterioso, faticoso da interpretare e capriccioso nel suo sfuggire alle categorizzazioni, sia un oggetto monadico, un elemento della narrazione che si offre sic res est. Se, tuttavia, non è più sostenibile pensare il personaggio in questi termini, come considerarlo?