• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2. FENOMENOLOGIA DEL PERSONAGGIO SERIALE TELEVISIVO

2.2. Figure nel testo: le caratteristiche “testuali” del personaggio seriale televisivo

2.2.1. Il “personaggio per immagini”: una questione di caratterizzazione

Nonostante la “varietà mediale” tramite cui l’universo narrativo di una serie TV può esprimersi, specie nel caso di quei prodotti la cui costruzione è basata sulle logiche della crossmedialità e del transmedia storytelling, la prima caratteristica testuale che definisce i suoi personaggi è, abbastanza intuitivamente, il fatto che essi siano costruiti ed esperiti tramite immagini. Ciò implica, come scrive Bettetini, “la presenza di segni opportunamente progettati, finalizzati e costruiti, capaci di introdurre il fruitore in un universo fruibile attraverso l'azione dei suoi occhi" (2001, 70-71). La “specificità mediale” (Eder, Jannidis, Shneider 2016, 17) del personaggio delle serie televisive, la sostanza fisica, specifica e necessaria del supporto (Krauss 1999) che li rende esperibili, è rappresentata dalle immagini, intese nella duplice accezione di forme esteriori degli oggetti corporei in quanto percepiti attraverso il senso della vista72 e di cellule alla base di ogni testo audiovisivo. A differenza del suo parente letterario, il personaggio audiovisivo si fa “cogliere innanzitutto attraverso i sensi, cioè si manifesta come volto e corpo percepiti, individuati e selezionati da un occhio formante” (Graspi 2008, 197). Nelle serie televisive contemporanee, la qualità dell’immagine televisiva e l’esibizionismo performativo e stilistico della cosiddetta “televisuality” (Caldwell 1994, Carini 2009) hanno un peso sempre più rilevante, andando in direzione di un’importanza intrinseca dell’immagine televisiva, la quale si orienta sempre più verso la pregevolezza o addirittura la magnificenza visiva. Portata a compimento quella

72 “Immagine”, definizione in Vocabolario Treccani, URL www.treccani.it/vocabolario/immagine/ consultato il 5/5/2018.

rivoluzione estetica iniziata con l’avvento della Seconda Golden Age (Thompson 1997) e con l’affermazione del paradigma della quality television, una parte consistente della fiction televisiva drama USA (come, per fare qualche nome, The Knick, Boardwalk

Empire, Fargo, True Detective, The Handmaid’s Tale, Vinyl, The Get Down, Il trono di spade, Legion) ha assunto marche rappresentazionali che prima erano tipicamente

associate al cinema,73 venendo di frequente definita con l’etichetta “cinematic”.74 L’ambiguità di questo termine e tutto il carico di problematiche che esso porta con sé – tra cui, per esempio, l’implicito giudizio di valore e la subordinazione di un’arte all’altra in cerca di legittimità estetica – non sono oggetto di questo studio, anche se, certamente, esse hanno un impatto notevole sul personaggio e sulla sua costruzione. È in virtù della costruzione “cinematografica” che molte serie televisive contemporanee hanno adottato che possiamo godere di un vasto campionario di personaggi complessi e cinematic come Walter White, Jax Teller, Offred, Rusty Cohle e via dicendo. Tuttavia, anche quando la “cinematograficità” della costruzione identitaria dei personaggi seriali televisivi non è così accentuata, essi posseggono un “modo identitario sostanziale” (Bottiroli 1997) basato sulla centralità della dimensione iconica e sulla ricezione visiva, il quale è estremament rilevante nel determinare la caratterizzazione di questi personaggi.

Quello della caratterizzazione 75 è un aspetto chiave della questione del personaggio. Con questo termine si indica il delicato procedimento di costruzione del personaggio e della sua identità, designando, come scrive Paisley Livigstone, “most generally, [...] a matter of someone's describing, depicting, or representing something” (1996, 149). Per

73 Cfr. Jacobs, Jason. “Issues of judgement and value in television studies”. International Journal of Cultural Studies, Vol. 4, No. 4, 2001, pp. 427–47; Geraghty, Christine. “Aesthetics and quality in popular

television drama”. International Journal of Cultural Studies, Vol. 6, No. 1, 2003, pp. 25–45; Cardwell, “Television aesthetics”. Critical Studies in Television, Vol. 1, No. 1, 2006, pp. 72–80; Jacobs, Jason. “Television aesthetics: an infantile disorder?”. Journal of British Cinema and Television, Vol. 3, No. 1, 2006, pp. 19–33.

74 Sul chiarimento del significato, piuttosto ambiguo, di questo termine si veda il videosaggio “What

Does ‘Cinematic TV’ Really Mean - Vulture” di Matt Zoller Seitz e Chris Wade, 2017, realizzato per la rivista Vulture. URL https://vimeo.com/215733081.

75 L’attenzione al carattere del personaggio si riscontra già in antichità, con l’opera I Caratteri di Teofrasto. Secondo il discepolo di Aristotele, un carattere era un insieme di azioni abituali che, attribuite ad un personaggio, ne assicuravano la coerenza. Questa definizione, passando per vari aggiornamenti (tra cui si ricorda, per significanza, quello operato da Jean de La Bruyére nel suo Les Caractères de Théophraste traduits du grec avec les Caractères ou les Moeurs de ce Siècle, 1688) è arrivata bene o male fino a noi (Cfr. Frow 2014).

essere più precisi, quando si parla di caratterizzazione s’intende le modalità di rappresentazione e costruzione degli esseri finzionali nei mondi narrativi, vale a dire tutti gli elementi, proprietà e funzioni, nonché le differenti strategie retoriche che li organizzano, tramite cui il personaggio, da generico ruolo narrativo (un attante, se volessimo porre la questione in termini greimasiani) diviene un essere finzionale specifico e soggettivato, diviene, cioè, un attore. Come scrive Peter Lamarque, la caratterizzazione “is explicable in terms of the increasing specificity of character-types. The more properties attributed to a character the fuller the type and perhaps the richer the imaginative possibilities it affords” (2010, 215). Si tratta sostanzialmente, di un procedimento di arricchimento e di “rimpinguamento” dello scheletro del personaggio- funzione al fine di creare un personaggio-individuo simile ad una persona vera. Tramite un processo di attribuzione di un insieme di “tratti” fisiognomici, psicologici ed emotivo-cognitivi (componenti mimetiche), di tratti derivanti dal suo essere inserito in un particolare contesto socio-culturale (componenti tematiche), e di tratti performativi e narrativi (componenti sintetiche), il personaggio si caratterizza, differenziandosi dagli altri76 e acquistando un suo carattere e identità.

Anziché parlare di “tratti”, in questa fase del nostro discorso pare più opportuno parlare di “attributi”. Con attributo, secondo Phelan, si deve intendere “something that participates at least in potential form in the mimetic, thematic, and synthetic spheres of meaning simultaneously” (1989, 9). Gli attributi possono essere di due tipi diversi, a seconda che consideriamo i personaggi in isolamento rispetto al flusso narrativo e allo sviluppo della trama oppure al loro interno. Phelan chiama il primo tipo di attributo “dimensione”, intendendo con ciò “any attribute a character may be said to posses when that character is considered in isolation from the work in which he or she appears”, mentre definisce il secondo “funzione”, cioè “a particular application of that attribute made by the text through its developing structure” (ibidem). Le dimensioni rappresentano una sorta di serbatoio di caratteristiche, una carica potenziale “for that character to participate in the signification of the work through the development of the character in three spheres of meaning” (ivi, 10), anche se non necessariamente si

76 Con “tratto” J.P Guilford (1959) intende per l’appunto “qualsiasi modo distinto e relativamente durevole per cui un individuo differisce da un altro (in Chatman 2003 [1978], 125).

attualizzeranno in funzioni.77 Nel caso dei personaggi seriali, sottoposti a una temporalità durativa, all’iterazione e alla scomposizione della narrazione in più frammenti, questa “riserva” di funzioni virtuali rappresenta una potente arma contro l’inaridimento e l’usura del carattere del personaggio. Per fare un esempio banale, una dimensione di Daenerys Targaryen ne Il trono di spade è quella di essere una donna caparbia e intelligente, ma costantemente sottovalutata dai suoi avversari. Con il progredire della trama questa dimensione si trasforma in funzione, perché Daenerys la sfrutta costantemente lungo la narrazione per arrivare ai propri fini e per avere la meglio sui propri nemici (lo si vede nelle sue peripezie con il fratello, con il padrone degli Immacolati, con i figli dell’Arpia a Meereen, con il consiglio dei Khal che la vuole imprigionare tra le dosh khaleen, ecc.). Al contrario, la dimensione di essere una donna alla ricerca di una famiglia di affetti stabili non è diventata, al momento in cui si scrive,78 una funzione, e rimane una connotazione in potenza che non si trasforma in atto. Chiaramente, maggiore è la durata della narrazione, maggiore è il numero di dimensioni che hanno la possibilità di trasformarsi in funzioni: può benissimo essere che nella prossima stagione de Il trono di spade la dimensione affettiva di Daenerys divenga una sua funzione nella storia. È privilegio del personaggio seriale rivelare le proprie dimensioni un po’ alla volta, in accordo con l’architettura narrativa e con i suoi tempi. Occorre a questo punto soffermarci su come queste dimensioni “lavorino” per caratterizzare un personaggio. Tornando all’esempio di Daenerys, la dimensione che la caratterizza come una donna sottovalutata dal nemico dipende, in buona parte, dalla sua apparenza fisica di minuta e delicata fanciulla. Ciò significa che l’attribuzione di dimensioni e la loro attualizzazione in funzioni, ovvero quello che abbiamo definito il processo di caratterizzazione del personaggio, non è un’operazione arbitraria. Essa

77 Occorre precisare che non è sempre immediato riconoscere le dimensioni del personaggio e le sue potenzialità, dal momento che esse divengono manifeste – e rilevanti per il personaggio in quanto elemento di una narrazione in movimento - quando si trasformano in funzioni. Scrive infatti Phelan che i personaggi “come to us already in the process of being shaped into functions, or (especially within the mimetic sphere) as already functioning" (1989, 10). Gli attributi che caratterizzano il personaggio, infatti, ci vengono sempre presentati nella loro attualizzazione, in funzione, ovvero all’interno del moto narrativo (progressione) in cui sono iscritti.

78 Anche se si iniziano a intuire possibili sviluppi in questa direzione, come dimostra la relazione sentimentale iniziata con Jon Snow.

risponde a delle norme generali,79 “not only founded on common knowledge but also on the rules of the imagination game” (Eder 2010a, 18).

Queste norme generali corrispondono a due differenti modi di caratterizzare un personaggio, la “descrizione” e la “mostrazione”. È evidente che, in ambito audiovisivo, mostrare le qualità del personaggio tramite le azioni e il suo aspetto esteriore sia il metodo più naturale e di gran lunga più adoperato. Gli spettatori hanno un accesso più diretto e immediato al personaggio, anche se rimane un accesso mediato dalle immagini. Come scrive Patrice Pavis, siamo anche qui, come nel caso del personaggio letterario, “en présence d’effets de personnage”, ovvero “de traces matérielles, d’indices dispersés, lesquels permettent une certaine reconstitution par le lecteur ou le spectateur” (1997, 171). La materialità del personaggio espresso tramite immagini amplifica questo “effet de réel”,80 facendo affidamento sulla dimensione iconica propria del discorso televisivo. L’associazione di questo o quel personaggio a determinati modelli mentali81 già in possesso del pubblico è sottoposta a vincoli più stretti rispetto a quanto accade per il personaggio letterario. Il motivo va ricercato nel fatto che essa passa obbligatoriamente per l’immagine dell’attore che incarna il personaggio, per le sue sembianze. Lo spettatore si trova così collocato in un regime di (rap-)presentazione che porta a “une illusion anthropomorphique” del personaggio assai maggiore di quella che si ha con il personaggio cartaceo, un’illusione che “nous fait croire que le personnage s’incarne en une personne, que nous pouvons le rencontrer et qu’il est présent dans notre réalité” (ibidem). Grazie all’“illusione antropomorfica” di cui parla Pavis, il personaggio televisivo viene esperito attraverso la sua incarnazione in un attore che,

79 Si possono distinguere due tipi di caratterizzazione che, seguendo il pensiero comune, definiamo diretta e indiretta. La prima implica che il tratto sia menzionato direttamente, per cui il personaggio stesso o il narratore comunica direttamente e in modo esplicito al lettore /spettatore un certo tratto o un network di tratti. La seconda, invece, procede per modalità indiretta, ovvero tramite la “mostrazione” delle azioni del personaggio, dell’ambiente in cui si muove, o anche del suo aspetto esteriore. In questo modo è compito del lettore/spettatore inferire, in base alle informazioni, le proprietà del personaggio. 80Barthes, Roland. “L’Effet de réel”, Communications, No. 11, 1968.

81 Scrive Eder che i modelli mentali sono “multi-modal representations. They combine different forms of information processing—visual, acoustic, linguistic, etc.—into a vividly experienced unity. They are dynamic, and may change in the course of time. They are present in our working memory during the actual experience, and they may retreat and be preserved in long-term memory. Character models represent the properties of a fictional being in a particular structure, […]. They are closely connected with other mental models that the viewers have formed of the situations of the story as well as of themselves or other persons” (2010a, 19).

tramite la sua fisionomia e la sua performance, ne intrepreta il ruolo. La caratterizzazione del personaggio audiovisivo si configura, così, come un processo di “vestizione su misura” che trasforma il personaggio-funzione in uno specifico (ovvero caratterizzato) personaggio-individuo: la stoffa, in questo caso, la fornisce l’apparenza dell’attore. La pretesa mimetica alla base di ogni concezione del personaggio (Smith 1995, Wulff 1997) sembra acuirsi nel caso del personaggio audiovisivo, considerata la sovrapposizione tra il ruolo narrativo e testuale e l’apparenza fisica data dall’attore che lo interpreta. Il personaggio filmico, molto più rispetto al suo cugino letterario,

si situa pertanto sempre tra attante e attore. Attante perché è lui che opera la finzione e ne permette lo svolgimento, perché effettua gli «atti» della diegesi. Attore perché si sovrappone a questa funzione essenziale qualcosa d'altro: ciò che si chiama la prestazione [performance] dell'attore che recita il personaggio. Lo spettatore percepisce, più o meno confusamente, ambedue: i ruoli e ciò che l'attore ne fa (Vernet 1981, 147).

La sovrapposizione e la confusione tra ruolo narrativo e attore, tra il personaggio e l’attore che presta al personaggio aspetto fisico e performance, viene rilevata anche da John Fiske (1987), che nota come tra gli attori e i personaggi da loro interpretati si confondano molto spesso i confini, tanto che diventa assai difficile scindere gli uni dagli altri. A differenza del personaggio cinematografico, tuttavia, quello specificamente televisivo mostra una certa resistenza ad una totole sovrapposizione dei ruoli, e il personaggio sembra possedere un discreto vantaggio sull’attore, il quale si trova ad “asservire” la propria fisionomia e performance al ruolo drammatico. 82 Nelle serie televisive non è l’attore ad accomunare diversi testi e a farli percepire come un insieme artistico (Lotman 1979 [1972], 116), ma il personaggio. È la stessa conformazione del testo seriale che, come si vedrà, grazie alla sua lunga durata, alla cadenza con cui vengono rilasciati episodi e puntate e al processo dialettico di ripetizione e variazione, conferisce al personaggio la possibilità di fissarsi nella memoria del pubblico aldilà

82 Fanno eccezione alcune serie del genere comedy appositamente create su un protagonista-divo, spesso un comico famoso, che catalizza la serie stessa e il suo pubblico sulla sua persona, come per esempio Loui (FX, 2010-2015), creata e interpretata dal comico Louis C.K., Ellen (ABC, 1994-1998), con Ellen DeGeneres e anche Curb your enthisiasm (HBO, 2000-in corso) di e con Larry David (creatore di Seinfeld).

dell’attore che lo incarna (come dimostra, tra l’altro, la relativa facilità con cui un personaggio può veder cambiato l’attore che lo interpreta).83 Come ricorda Roberta Pearson, “the long-running American television drama can create hightly elaborated characters of greater accumulation and depth than any other contemporary medium” (2007, 56). Dovendo perdurare per archi narrativi piuttosto lunghi e coprire stagioni o intere serie, questi personaggi si sorreggono su una solida impalcatura di accumulazione narrativa e figurativa che li rende assai stabili. Di conseguenza gli attori, anche nel caso si tratti di divi, non riescono mai a scavalcare davvero il personaggio, come di evince da alcune grandi quality series84 contemporanee che vantano tra le proprie schiere divi di

chiara fama: dal duo Matthew McConaughey/Woody Harrelson in True Detective, a Sharon Stone di Mosaic, a Kevin Spacey di House of Cards, a Jude Law in The Young

Pope oppure al pot-pourri divistico di Big Little Lies (Nicole Kidman, Reese

Whiterspoon, Shailene Woodley, Laura Dern). Nonostante i prodotti citati traggano notevole vantaggio della luce riflessa dalle stelle del cinema che vi partecipano (aumentandone production values, prestigio e conseguente riverbero presso il pubblico), l’attore non riesce mai del tutto a scavalcare il suo ruolo e, anzi, il suo divismo acuisce la grandezza (l’aura, se vogliamo metterla in termini benjaminiani) del personaggio e la sua complessità: in True Detective il vero protagonista è e rimane Rusty Cole, anche se la sua efficacia come personaggio è legata doppio filo con l’eccezionale performance di Matthew McConaughey. Il discorso, però, ha la sua validità anche in prodotti di durata più breve, come serie televisive rilasciate in blocco (tipiche delle modalità distributive delle OTT) e in serie antologiche. Un caso limite è rappresentato da American Horror

Story, in cui lo stesso cast di attori interpreta personaggi diversi di stagione in stagione

(a volte, anche all’interno della stessa stagione, come in American Horror Story:

83 È successo, per citare solo alcuni esempi degli ultimi anni, in Spartacus (Andy Whitfield sostituito da Liam McIntyre nel ruolo protagonista e Lesley-Ann Brandt sostituita da Cynthia Addai-Robinson nel ruolo di Naevia), in Il trono di Spade (Michiel Huisman ha sostituito Ed Skrein nel ruolo di Daario Naharis), in C’era una volta (Tom Ellis è stato rimpiazzato da Sean Maguire nel ruolo di Robin Hood), in Supernatural (Katie Cassidy è stata sostituita con Genevieve Cortese nell’interpretazione di Ruby), in Pretty Little Liars (Drew van Acker ha preso il posto di Parker Bagley nel ruolo di Jason) e in Sense8 (Aml Ameen ha lasciato il posto a Toby Onwumere nel ruolo di Capheus).

84 Non volendo entrare nella spinosa questione della qualità della fiction seriale contemporanea, con il termine quality series si vuole indicare, nella generale complessificazione (Mittell 2006, 2015) occorsa alle serie tv, quei titoli che si distinguono per l’impegno (e l’investimento finanziario) nel conseguimento di un’eccellenza estetica. Il termine fa riferimento al paradigma estetico elaborato da Roger J. Thompson (1997) nel definire la nuova forma estetica, produttiva e ricettiva di alcune produzioni seriali.

Roanoke). Anche in questo caso, nonostante l’affastellamento di molte identità diverse

incarnate dallo stesso attore, quest’ultimo non si impone sul personaggio– con le eccezioni, forse, di Kathy Bates, Jessica Lange e Lady Gaga, i cui personaggi sono però dichiaratamente caratterizzati, a livello diegetico, come “guest characters” (la costruzione del personaggio della Contessa in American Horror Story: Hotel, per esempio, è un’estensione nel mondo diegetico creato dalla serie del “personaggio” di Lady Gaga).

Nella caratterizzazione di questi esseri finzionali l’attore gioca un ruolo importante, ma fino ad un certo punto, dal momento che esso, nonostante sia la sua incarnazione fisica, non si rivela essere così tanto vincolate. Il fatto stesso che la sostanza mediale dell’dentità dei personaggi televisivi seriali sia fatta da immagini sembra avere un’importanza tutto sommato relativa nel loro processo di costruzione e di ricezione. Anche nel panorama contemporaneo, dominato da serie tv dalle qualità “cinematiche” – David Buxton definisce il fenomeno come “cinematization of the small screen” (1990, 69) – caratterizzate da immagini particolarmente curate ed esteticamente apprezzabili nella loro composizione, la componente narrativa si rivela comunque più determinante di quella visiva nel decretarne il successo e la continuazione. Si riscontra, in altri termini, il prevalere della narrazione sulla pura mostrazione e, di conseguenza, la forma seriale della narrazione, specie se consideriamo la complessificazione che essa ha subito negli ultimi anni, rappresenta un fattore decisivo nel conformare l’identità del personaggio. Come verrà chiarito meglio nel prossimo paragrafo, la serialità di questi testi costituisce il fattore chiave, l’elemento demiurgico nella creazione e caratterizzazione dei personaggi che troviamo nella serie TV.