CAPITOLO 4. IL PERSONAGGIO STEREOTIPATO
4.2. Detectives e gender: la convenzionalità del personaggio stereotipato
4.2.4. Verso una complessificazione del personaggio stereotipato
Grazie alla sua variabilità e alla sua ricchezza di materiali, contenuti e strategie narrative, il crime è, come si diceva a inizio del capitolo, un genere le cui proprietà sono molteplici e i confini elastici: possono appartenere al genere prodotti tra loro anche molto diversi, i quali, pur partendo dalle stesse convenzioni di genere, le applicano, accettano o contestano in modo diverso. Il discorso, ovviamente, vale anche per i personaggi, tant’è che grazie alla complessificazione narrativa e ai paradigmi estetici della complessità narrativa un numero crescente di serie crime sta abbandonando il personaggio stereotipato per scendere verso chine più intimiste, che mettono a confronto, spesso in modo oppositivo, la linea narrativa della detection e del caso da risolvere con il mondo interiore del personaggio. La già citata serie Shades of Blue,
187 Legends racconta la storia di Marc Odum, un agente dell’FBI che lavora sotto copertura e che, per questo, interpreta ad ogni episodio una persona diversa, finché un misterioso individuo non lo porta a pensare di essere malato di mente e schizofrenico.
infatti, pur mantenendo una struttura a serie serializzata presenta un evidente squilibrio tra anthology e running plot. A essere al centro dell’impalcatura narrativa della serie non è tanto la risoluzione dei casi, quanto piuttosto il bivio morale della detective Harlee Santos – che deve scegliere tra la fedeltà verso i colleghi e amici disonesti (anche se lei stessa non è innocente) e la volontà di assicurare una vita agiata a sua figlia – e l’opacità del suo carattere, poco leggibile tramite le convenzioni del crime drama classico. La classica struttura del poliziesco seriale si è “soapizzata”, mescolandosi perfettamente con il melodramma e diluendo in questo modo l’azione pura e semplice della detection in un calderone di emozioni. Alcuni prodotti crime, in altre parole, sono diventati a tutti gli effetti “serial melodrama”, caricando il lato emotivo, quello delle problemi umani, relazionali e sociali a scapito della risoluzione degli enigma e delle indagini episodiche.188 L’innesto di una componente melodrammatica ha comportato un’attenzione maggiore al lato emotivo e sentimentale della vicenda, alle implicazioni personali che i casi da risolvere hanno sul detective (The Killing, The Bridge,
Mindhunter, sono esempi molto lampanti di questa dinamica) e all’introspezione della
sua interiorità. Anche legal drama come Le regole del delitto perfetto, The Good Wife o altre serie che imantengono in primo piano il “case of the week” (come le prime stagioni di The Blacklist e Scandal) sembrano, più che focalizzarsi sull’enigma e sulla sua risoluzione, utilizzarlo come scusa per sondare le profondità dell’animo umano. The
Good Wife, da questo punto di vista, si rivela essere molto interessante. È una serie
serializzata dalla struttura narrativa abbastanza convenzionale, dove in ogni episodio il gruppo di avvocati deve affrontare una causa legale diversa. Inoltre, il sistema relazionale dei personaggi è anch’esso tradizionale, con Alicia Florrick nell’indiscusso ruolo di protagonista attorno a cui si dispongono gli altri membri del cast. Eppure, The
Good Wife si distingue rispetto a prodotti simili appartenenti allo stesso genere proprio
per la sua protagonista. Alicia è un personaggio complesso, dotato di una profondità
188 È interessante notare come il binarismo di gender sia una forma sociale in grado di interferire con la conformazione di un intero genere televisivo. Mittell parla della diffusione del serial melodrama tra i ranghi della fiction televisiva crime contemporanea come di una “femminilizzazione” del genere (in contrasto con quanto sostenuto da Michael Newman ed Elana Levine, che invece vedono il connubio tra melodramma e serie crime come una mascolinizzazione della soap. Cfr. Newman, Michael, Levine, Elana. Legitimating television: Media convergence and cultural status. New York, Routledge, 2012). Cfr. Mittell, Complex Tv, cit. 2015, pp. 248.
emotiva e psicologica così pronunciata da non avere nulla a che vedere con la semplicità e la mono-dimensionalità del personaggio stereotipato: è una donna che è stata tradita pubblicamente dal marito politico che, divenuta oggetto di ludibrio e/o compatimento, decide di rimettersi in gioco tornando a praticare come avvocato. Lungo le varie stagioni della serie (per un totale di 156 episodi) Alicia deve affrontare la sua nuova vita da donna separata, madre, e avvocato, impegnandosi nelle diverse cause legali che costituiscono il grosso dell’anthology plot pur rimanendo sempre attivamente coinvolta, sia dal punto di vista politico che da quello sentimentale, nella vita del marito. Al contempo, ogni caso porta Alicia a confrontarsi con un tema specifico (la religione, i diritti civili, le elezioni politiche, ecc.) e/o un lato della sua personalità, di modo che il suo carattere emerga solo poco per volta, si definisca in accordo con gli eventi della trama e ci venga svelata una sua sfumatura ad ogni episodio. La sua identità, di fatto, non si esaurisce unicamente nella trama e nelle azioni che compie come avveniva per il personaggio stereotipato, ma è costruita tramite un processo di introspezione e disvelamento progressivo.
Anche a fronte di una complessificazione del mondo interiore del personaggio, le serie sopra nominate rimangono saldamente impostate su convenzioni di genere. Prendendo a prestito la riflessione di Scholes e Kellogg, in questi prodotti
Via via che la narrazione continua, si sviluppano situazioni in cui i personaggi devono sperimentare le emozioni più intense, ma il corso della narrazione procede sereno, imperturbato, apparentemente ignaro di queste violente tensioni interiori (1975 [1966], 208).
In alcune serie televisive crime, tuttavia, la narrazione non è più così sorda e cieca di fronte al crescente approfondimento dell’interiorità del personaggio. Anzi, sempre più spesso, come scrive Mittell (2015), le narrazioni seriali ci mettono davanti a un “double storytelling” in cui si incrociano diversi livelli/temi nella stessa narrazione: sempre più serie televisive sembrano utilizzare il genere crime come un contenitore in cui inserire altri filoni narrativi, impiegando le convenzioni di genere in veste di sottofondo a linee narrative qualificabili come melodrammi familiari (Riverdale, Big Little Lies, American
Person of Interest). Come la complessificazione del mondo interiore del personaggio
metta “in pericolo” la struttura convenzionale del crime drama tradizionale e che riveli l’inadeguatezza della tipologia del personaggio stereotipato sopra descritta è un processo particolarmente evidente in due serie: The Killing e The Bridge. Rifacimenti statunitensi di prodotti serie televisive nord-europee,189 entrambe si incentrano su una coppia di detective alle prese con un omicidio, nel primo caso quello dell’adolescente Rosie Larsen, nel secondo quello di due donne trovate a pezzi e ricomposte sulla linea di confine che separa Messico e Stati Uniti. A differenza di The Good Wife, queste serie si propongono sui generis e anticonvenzionali già a partire dalla struttura narrativa, sostituendo alla classica forma episodica quella del serial continuo o della serie fortemente serializzata. L’indagine per la risoluzione degli omicidi a cui si assiste nel primo episodio si diluisce lungo le puntate, in parte perché le indagini portano pian piano ad allargare il singolo caso di omicidio per abbracciare problemi socio-culturali endemici (corruzione, giochi politici, sete di potere, nazionalismi, ecc.), ma anche perché la narrazione si sofferma a lungo sulle eccentricità e sui problemi personali dei detectives: in The Bridge, la detective Sonya Cross sembra essere affetta da sindrome di Asperger, mentre il suo collega messicano, Marco Ruiz, è un poliziotto che deve fare i conti con un sistema istituzionale in cui dilagano corruzione e criminalità e con una famiglia problematica; Sarah Linden e Jack Holden di The Killing sono entrambi problematici (tra misantropia e tossicodipendenza) ed emotivamente instabili, invischiati in relazioni familiari a dir poco complicate.
Come si può vedere, in queste serie l’imperscrutabilità interiore e l’opacità del personaggio televisivo vengono meno, e si inizia a “prendere maggior coscienza della vita interiore e a preoccuparsi di meno delle azioni esteriori” (Scholes e Kellogg,
ibidem). The Killing e The Bridge, infatti, presentano una caratterizzazione dinamica
diversa rispetto a quella dei personaggi stereotipati analizzati in questo capitolo, una caratterizzazione che, utilizzando il concetto elaborato da Scholes e Kellogg, potremmo definire cronologica, in cui “i tratti individuali del personaggio sono come ramificati in modo da rendere più significativi i mutamenti graduali che avvengono nel personaggio
189 The Killing è i remake della serie danese Forbrydelsen (Søren Sveistrup, DR1, 2007-2012). The Bridge, invece è il remake della serie dano-svedese Bron/Broen (Hans Rosenfeld, SVT1, 2011-2018).
nel corso di una trama che si fonda su una base temporale” (ivi, 2013). Per definire questo nuovo tipo di personaggio utilizzeremo l’etichetta di “personaggio individualizzato”.