• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 3. LE FORME DEL PERSONAGGIO SERIALE TELEVISIVO

3.2. La seconda vita delle forme: il neo-formalismo e i suoi vantaggi

3.2.2. Il formalismo è morto, viva il (neo-)formalismo

Sospetto, diffidenza, aborrimento e in alcuni casi paura128 hanno accompagnato il formalismo da quando, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, le correnti post-strutturaliste129 e i cultural studies hanno affermato progressivamente il loro dominio nel campo degli studi sulla narrazione. Se così si è decretata la fine di approcci formalisti e strutturalisti strictu sensu, la narratologia (grazie a voci quali Seymour Chatman e Slomith Rimmon-Kenan), che pure nasceva da quel campo, dimostrava di avere ancora qualche asso da giocare nella lotta che imperversava tra cui preferiva la forma (formalisti, strutturalisti, New Criticism) e chi il contenuto (appoggiato da studiosi post-strutturalisti e da altri il cui approccio si orienta verso direzioni maggiormente “cultural”). Presentandosi come una sorta di “lingua franca” transnazionale, transdisciplinare (Sommer 2004) e transmediale con cui conoscere e studiare ogni tipo di narrazione, la narratologia e il suo armamentario teorico- metodologico offrono interessanti possibilità per studiare il modo narrativo e le forme della serialità televisiva, “il principale storyteller della società americana contemporanea” (Kozloff 1992). La serialità televisiva americana, continua Kozloff, “is saturated in narrative as a sponge in a swimming pool” (ivi, 68), specie vista l’importanza che la costruzione di un universo digetico stratificato e narrativamente

128 Cfr. Dillon, Elizabeth Maddock. “Fear of Formalism: Kant, Twain, and Cultural Studies in American Literature.” Diacritics, Vol. 27, No. 4, 1997, pp. 46–69. JSTOR, URL www.jstor.org/stable/1566261. 129 Tra le scuole di pensiero più apertamente ostili al formalismo va annoverato senza dubbio il New Historicism, che ha impreganto la critica letteraria degli anni Ottanta. Secondo gli esponenti (tra cui ricordiamo soprattutto Sthephen Greenblatt) di questo movimento, di chiara impostazione foucaultiana, pratiche letterarie ed extra-letterarie vanno di pari passo e devono essere considerate insieme, e questo perché l’opera può essere capita solo attraverso lo studio del contesto che l’ha generata. Da qui la conseguente idea per cui ogni testo che si propone come di rottura o di denuncia rispetto al contesto in realtà utilizza le stesse “armi” del contesto che vuole denunciare. Secondo gli esponenti di questa linea di pensiero, come per esempio Paul de Man (“The Dead-End of Formalist Criticism”. In: de Man, Paul. Blindness and Insight: Essays in the Rhetoric of Contemporary Criticism, Londra, Routledge, 1983, pp. 229-245), il nemico non era tanto l’attenzione posta sul lato estetico e retorico di un testo, ma piuttosto un certo modo di analizzare queste forme. Si veda anche Veeser, Harold (a cura di). The New Historicism. New York e Londra, Routledge, 1989.

complesso riveste nelle serie tv espanse. A maggior ragione, poi, se consideriamo come la serialità e i suoi elementi – nonostante le svolte estetiche in direzione quality e la complessificazione a cui è andata incontro negli ultimi tempi – sia un tipo di narrazione basato su una grammatica e su un sistema di convenzioni ancora piuttosto forti.

La narratologia sembra, pertanto, offrire una scappatoia, una via mediana tra i sostenitori e i detrattori dello studio delle forme, offrendosi come un valido strumento analitico per la serialità e i suoi personaggi. Ciononostante, per avere la possibilità di mettere a frutto i suoi strumenti in modo costruttivo deve necessariamente sbarazzarsi della zavorra vetero-formalista. Quello che fino a una ventina d’anni fa veniva in mente pensando alla narratologia era “une description objective des structures narratives, négligeant l’analyse de leurs fonctions et du sens du texte dans ses contextes biographique, historique ou culturel (Baroni 2016, 221). A partire dalla fine degli anni Novanta, invece, questo pregiudizio nei confronti della narratologia inizia a venire meno, soprattutto grazie al lavoro di alcuni influenti studiosi – David Herman (1997, 1999), Roy Sommer (2004), Gerald Prince (2006), Luc Herman e Bart Vervaeck (2005), Monika Fludernik e Jan Alber (2010) – che, nel tentativo di superare una concezione troppo purista del formalismo,130 si aprono finalmente alla considerazione della funzione ricoperta dal contesto storico e socio-culturale di produzione e ricezione dei testi. Con questo vero e proprio cultural e historical turn (Nünning 1999, 2009) si afferma così la narratologia post-classica, in cui lo studio delle forme estetiche viene visto solo come uno dei “momenti” che contraddistinguono l’analisi narratologica (Herman 1999). La narratologia postclassica, nelle parole di Alber e Fludernik,

introduces elaborations of classical narratology that both consolidate and diversify the basic theoretical core of narratology […]. Moreover, postclassical narratology proposes extensions of the classical model that open the fairly focused and restricted realm of narratology to methodological, thematic and contextual influences from outside (2010, 2, corsivi originali).

130 Per una cronologia più articolata del passaggio tra la narratologia classica a quella postclassica cfr. Chihaia, Matei. “Introductions to Narratology: Theory, Practice and the Afterlife of Structuralism”. Diegesis Vol. 1 No. 1, 2012. URL www.diegesis.uni-wuppertal.de/index.php/diegesis/article/view/71/99 consultato il 18 giugno 2018.

Articolando il discorso con maggior precisione, i due studiosi continuano sostenendo che

rather than merely analysing how texts work, and which of theory elements are responsible for which meaning or design effect, the current emphasis lies on what these narrative achieve in communication, which ideological or identity-related message they covey, what “cultural work” they perform and what possible effects they may engender in the real world. […] All narratology is nowadays context- sensitive (2010, 22, corsivi originali).

La narratologia accorda eguale importanza al significato, a ciò che è rappresentato dalla storia, e al significante, ovvero ciò che è rappresentato dal discorso (Ryan 2017, 32). Le forme estetiche, di conseguenza, vengono analizzate tenendo bene a mente che esse sono sempre sensibili al contesto e che si debbano studiare sia nel loro essere plasmate da esso (in un processo di metamorfosi), sia nel loro influenzare il modo in cui temi e istanze tipici di un certo contesto vengono veicolati. L’approccio narratologico si dimostra interessante per lo studio dei personaggi seriali televisivi anche perché si apre alla considerazione di supporti mediali alternativi. Quando Alber e Fludernik parlano di un’“estensione verso influenze contestuali” intendono non solo comprendere nell’analisi le problematiche legate al contesto socio-culturale e i rapporti che queste hanno con il testo, ma anche un’apertura mediale, che porta la narratologia ad uscire dagli stretti confini della letteratura e dei literary studies (Heinem e Sommer 2009) per applicarsi anche ad altri campi e altri media rispetto alla tradizionale carta stampata. Con i necessari aggiustamenti, la narratologia può essere impiegata per studiare le narrazioni e le sue componenti anche su supporti mediali diversi rispetto alla parola scritta (come per esempio le immagini) e per studiare tipologie narrative diverse dal romanzo, come la serialità televisiva (Allrath e Gymnich 2005). Occorre, ovviamente, tenere conto delle specificità delle narrazioni seriali televisive, come per esempio la struttura binaria – una traccia visiva e una sonora – delle informazioni, il fatto che sia una narrazione spezzata, anche se continua, e via dicendo. Con simili accorgimenti, che impongono un’applicazione “mirata” e declinata del toolkit narratologico (post-classico) alle peculiarità del testo seriale, esso si rivela particolarmente utile proprio in virtù del fatto che l’attenzione per le forme estetiche si accompagna a quella per il contesto. Usando le

parole di Ruth Mayer, “this attention to social context and agency is indispensable to capture seriality as a principle, but I believe that in the long run we cannot do without a reconceptualised framework of formal aesthetics to engage fully with the phenomenon” (2013, 13). In altre parole, quando si parla di serialità televisiva – e di popular fiction in generale – forme estetiche e contesto socio-culturale devono essere necessariamente considerate nel loro connubio, e la narratologia si rivela qui un validissimo alleato. In particolare, sembra calzare a pennello ai nostri fini quella corrente che, tra le varie vie intraprese e gli approcci proposti131 dalla narratologia post-classica, va sotto il nome di

neo-formalismo.

Si tratta di una corrente nata con lo sbocciare del nuovo millennio132che, nonostante si situi prevalentemente in ambito letterario,133 non preclude di applicare le sue posizioni teoriche e metodologiche a tutti i tipi di narrazione indipendentemente del loro supporto mediale. Il fuoco attorno a cui ruota il dibattito del neo-formalismo riguarda sostanzialmente il modo in cui le forme reagiscono alle “pressioni” (Dubrow 2013) politiche e sociali proprie di un certo contesto. Forma e contesto, per dirla in un altro modo, secondo questa impostazione teorica non sono specchio una dell’altro, ma si modellano a vicenda. Il neo-formalismo si presenta come un modo per ricucire lo strappo tra rappresentazione e contenuto che, nei literary studies come nei television

131 Il narralogo Ansgar Nünning insiste in modo particolare sul fatto che non si dovrebbe parlare di una narratologia ma piuttosto di tante narratologie, ciascuna con fini e metodi specifici e differenti, anche se fondamentalmente simili negli intenti e nei modi. A tal proposito si vedano: Nünning, Ansgar. “Narratology or Narratologies?”. In: Kindt, Tom; Müller, Hans-Harald (a cura di). What Is Narratology? Questions and Answers Regarding the Status of a Theory. Berlino, de Gruyter, pp. 239–75; Herman, David (a cura di). Narratologies. New Perspectives on Narrative Analysis. Columbia, Ohio State University Press, 1999. Tra le correnti più influenti si ricordano l’approccio contestualista (Seymour Chatman), quello cognitivista (David Herman, Monika Fludernik, Albert Jahn), quello intermediale (Marie-Laure Ryan) e altri approcci “trans-generici”. Cfr. Meister, Jan Christoph. "Narratology". In: Hühn, Peter et al. (a cura di), the living handbook of narratology. Hamburg. Hamburg University. URL http://www.lhn.uni-hamburg.de/article/narratology.

132 Contributi accademici fondamentali per la definizione dell’approccio neo-formalista sono il numero monografico Vol. 61, No. 2 del marzo 2000 del Modern language Quaterly, interamente dedicato alla riaffermazione della forma e di un certo tipo di formalismo, dopo anni di screditamento. Tra gli autori che collaborano al numero ricordiamo la capostipite di questo nuovo slancio formalista, Susan Wolfson, ma anche Ellen Rooney e Franco Moretti. Un altro testo particolarmente indicativo è Shakespeare and the Historical Formalism , curato da Sthephen Cohen (Aldershot, UK, Ashgate, 2007).

133 Il neo-formalismo si sviluppa infatti a partire da una critica che alcuni studiosi impegnati nei literary studies hanno avanzato nei confronti del paradigma del New Historicism, ovvero di quella corrente post- strutturalista che ha dominato la scena critica fino ai primi anni di questo secolo (cfr. nota 129).

studies, aveva polarizzato il dibattito. Uno scontro che, come ricorda James Zborowski,

quando arriva alle sue posizioni più estreme,

it can seem that for adherents of media and cultural studies, the all pervasiveness of the social leaves no room for the aesthetic (other than as a disguised product of relationships of social power), whilst the polemics of TV aesthetics, reacting against and seeking to correct this perspective, focus on the aesthetic in a way that screens out the social (2016, 9).

Cercando di riconciliare le posizioni opposte evidenziate da Zborowski e, anzi, considerando simili arroccamenti deleteri, un approccio neo-formalista allo studio della fiction seriale televisiva lascia da parte l’analisi delle forme estetiche pure per concentrarsi, invece, su come esse si collochino in specifici e storicamente determinati sistemi culturali e di potere (Mittell, 2004),134 privilegiando, lo ricordiamo, un’idea di forma come Bildung, metamorfica e in divenire. In altre parole: i confini tra quello che c’è dentro al testo e quello che fuori al testo sono porosi e fluidi, in modo che quello che c’è dentro, ovvero le forme estetiche e narrative, si mescolino a quello che c’è fuori, il contesto socio-culturale.

La rivalutazione delle forme e della loro utilità apportato dal neo-formalismo ha contribuito in modo significativo a riportare la “questione” del personaggio alla ribalta (Hansen 2012), apportando nuova linfa allo studio degli esseri finzionali. Tenendo a mente quanto detto fin qui, una prospettiva analitica neo-formalista presenta due vantaggi: il primo è che in questo modo si rivolge adeguata attenzione alle forme estetiche tramite cui essi si costruiscono e caratterizzano. Specialmente per quanto riguarda la serialità televisiva, con l’avvento della “complex tv” e della “quality tv” l’importanza del fattore stilistico e delle forme estetiche non può essere ignorata, necessitando, al contrario, di una particolare attenzione. Il discorso, si badi bene, non vale solo per questi prodotti complessi e di alta qualità, ma anche per tutte quelle serie tv più “classiche” dal punto di vista dell’impostazione della struttura narrativa che

134 Scrive Mittell a tal proposito: “Formal and aesthetic approaches to texts or structuralist theories of generic meanings, for example, may seem incompatible with contemporary methods. In particular, the central question motivating many media scholars today – how do television programs fit into historically specific systems or cultural power and politics – appear distant from those typify genre theory” (2004, 171).

affollano ancora oggi i palinsesti, in genere prodotti da broadcaster generalisti come i

legal drama alla Law & Order e Suits, i melodrammi quali Revenge o Nashville o gli spy thriller come Blindspot, The Brave e Quantico. Anche se si tratta di serie televisive

che rispettano le convenzioni estetiche e le regole della serialità affermatesi a partire dalla Seconda Golden Age, lo stile di narrazione e di messa in scena non è più “trasparente” (Barrette, Picard 2013) come un tempo: 135 se prima la forma di queste serie era asservita al contenuto e alla storia raccontata, trasmettendo in questo modo un senso di realtà, oggi, anche grazie a un pubblico più consapevole, la situazione è cambiata. Le forme estetiche, anche in prodotti apparentemente (o apertamente) ordinari e convenzionali, non sono trasparenti ma “opache” e, come scrive Mittell, vanno in direzione di un “maximum degree style” contraddistinto da “kinetic visuals, bold sounds, and unpredictable storytelling form” (2011). Tale opacizzazione, naturalmente, riguarda anche le forme che costituiscono il personaggio seriale. Le modalità tramite cui si costruiscono la caratterizzazione, l’identità “fluttuante” di questi personaggi, gli schemi secondo cui si articolano i loro archi narrativi, intrecciandosi vicendevolmente in una trama multilineare – nonché l’influsso che produce su di essi una narrazione transmediale e transfinzionale – rappresentano solo alcune questioni di carattere estetico e stilistico che contraddistinguono il personaggio seriale tipico (nel senso attributo da Eco) di questo quadro storico, politico, culturale e sociale.

L’attenzione alle “forme” – che, lo ricordiamo, non sono né astratte né tanto meno a- temporali – e ai modi di rappresentazione non sbarra in alcun modo le porte alla considerazione del contesto, il che ci porta al secondo vantaggio offerto da un approccio neo-formalista all’analisi dei personaggi seriali. Tenere in considerazione il contesto significa analizzare come prima cosa il contenuto, riflettendo magari su quali temi e questioni sociali i personaggi incarnino e se lo facciano in modo accondiscendente o polemico. Se, tuttavia, non più tardi di qualche anno fa – specialmente in una prospettiva analitica che approcciava la televisione dal punto di vita dei cultural studies – analizzare il contenuto e il modo in cui questo contenuto rappresentava una certa visione della società si riteneva potesse essere sufficiente, a partire dagli anni Novanta

135 Cfr. Barrette, Pierre; Yves, Picard. “Breaking the waves”. In: Pierson, David (a cura di), Breaking Bad: Critical Essays on the Contexts, Politics, Style, and Reception of the Television Series, Lexington Books, 2013, pp. 115-131.

(con la diffusione di un’estetica delle narrazioni seriali che tende a essere sempre più accurata e complessa) questo approccio inizia a mostrare i propri limiti. Il dibattito non può ormai esimersi, come sostiene David Buxton (1990), dal contemplare e considerare in sede d’analisi anche le “forme estetiche” e tutti quegli elementi che compongono l’“aspetto esteriore” e la configurazione testuale (narrativa e figurativa) del personaggio, senza alcun giudizio di valore. Secondo Buxton, che si rifà al pensiero di Pierre Macherey,136 le narrazioni seriali vanno osservate nel loro “assemblaggio”, ovvero nel modo in cui l’arrangiamento delle componenti testuali da un lato incorpori un “progetto ideologico” e dall’altro vi resista.137 Scrive Buxton che occorre analizzare “a series not in terms of simple correspondence (“reflection”) to external social and economic factors but in terms of a strategy […] itself determined by the need to address specific contradictions which evolve over time” (1990, 16). Come si evince dalle parole di Buxton, ogni serie televisiva è strettamente connessa al suo tempo e al suo contesto, perché da essi si genera e organizza la tensione narrativa (ivi, 30) e si modella la sua “designed surface” (ivi, 97), ovvero la struttura formale.

Dopo anni in cui la ricerca si è focalizzata sul travalicare le forme estetiche per arrivare allo studio del contenuto è arrivato il momento, specie in un background seriale dominato da complessità narrativa e quality television,138 di riconsiderare le forme estetiche o, quanto meno, di non escluderle e porre loro la stessa attenzione che si attribuisce al contenuto. Forme estetiche e contesto non solo sono co-responsabili della

conformazione dei testi della serialità televisiva, nel senso che entrambi giocano un

ruolo essenziale nel modellare il modo in cui questi testi si presentano e si costruiscono,139 ma anche nella costruzione identitaria e nella caratterizzazione dei

136 Cfr. Macherey, Pierre. Pour une théorie de la production littéraire. Parigi, Maspero, 1966. Si veda in particolare il saggio “Jules Verne, ou le récit en défault”, pp. 183-275; trad.it Jules Verne o il racconto in difetto, Milano, Mimesis, 2011.

137 Si può vedere come il pensiero di Buxton sia qui di chiara impronta marxista e, in particolare, gramsciana, con pratiche egemoniche da un lato e contro-egemoniche dall’altro.

138 Scrive a tal proposito Newcomb che “On this emerging view, the commercial and ideological forces that shape popular entertainments are acknowledged as central but are no longer thought to exclude aesthetic questions”. Cfr Newcomb, Horace. “Television aesthetics”. In: Newcomb, Horace (a cura di), The Encyclopedia of Television, 2nd Edition. Londra e New York, Fitzroy Deaborn, 2004.

139 Anzi, come ricorda Janet Wollacott, queste serie tv sono popular proprio perché “they articulate, work upon and attempt in different way to resolve ideological tensions”, con “ideologia” intesa (in senso gramsciano) come sistema di credenze condivise che sono atte a supportare un sistema egemonico di regole sociali e idee. Cfr. Woollacott, Janet. "Fictions and Ideologies: The Case of the Situation

personaggi che li abitano. La proposta metodologica che si vuole avanzare è proprio quella di trattare il personaggio come codeterminato e conformato da due gruppi di elementi, uno di tipo estetico/testuale e l’altro di tipo socio-culturale. I personaggi della serialità televisiva contemporanea, in altri termini, sono pensabili come un luogo di

negoziazione tra elementi estetici e narrativi da un lato ed elementi contestuali e

tematici dall’altro. Resta ancora da chiarire, tuttavia, come una prospettiva neo- formalista applicata allo studio dei personaggi possa effettivamente rendere conto di come, materialmente, forme estetiche e contesto socio-culturale concorrano alla costruzione dei personaggi.