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Un’esperienza trentina

Piano ITEA degli interventi per accrescere la vivibilità negli alloggi di edilizia abitativa pubblica Viviamo oggi in un contesto sociale che esprime con forza e frequenza sempre maggiore una domanda colletti- va riguardante la vivibilità del territorio, delle città, dei quartieri, della casa. La casa è una dotazione essenziale per garantire alle famiglie la possibilità di vivere dignitosamente; la qualità dell’abitare esige, in più, che all’in- terno degli alloggi, dei singoli nuclei familiari, tra le famiglie che vivono in uno stesso edificio, si instaurino rela- zioni positive, di rispetto, di aiuto e di solidarietà.

L’ITEA è consapevole che oggi il tema della vivibilità sociale, e quindi l’aspetto della qualità della vita, non può e non deve essere distinto dal momento gestionale di natura amministrativo-contabile legato all’osservanza delle clausole contrattuali contenute nel contratto locativo stipulato tra l’Istituto e l’assegnatario dell’alloggio. Si rendono necessarie strategie globali e azioni puntuali per poter trovare le più giuste soluzioni alla criticità delle situazioni che di fatto esistono sul territorio. La gestione attiva dell’inquilinato di edilizia pubblica, in termini di prevenzione delle situazioni di criticità, assume pertanto un ruolo di primaria importanza per contenere e ridi- mensionare potenziali conflitti che possono insorgere negli alloggi pubblici.

Il concetto di vivibilità non è legato alle mere caratteristiche fisico-strutturali degli alloggi (metri quadrati, nume- ro di vani, tipo di impianto di riscaldamento, etc.), bensì al peculiare aspetto relazionale che si instaura tra gli assegnatari degli alloggi pubblici, per cui gli assegnatari e relativi nuclei familiari si trovano nella condizione di dover necessariamente convivere in uno stabile con altri nuclei familiari.

All’interno dell’inquilinato ITEA esistono situazioni riconosciute sia dall’Istituto che dai servizi sociali zonali in cui, per molteplici ragioni, elevato è il tasso di litigiosità e di conflittualità sia con i coinquilini, sia con le istituzioni. L’inquilino medio dell’ITEA proviene da ceti medio-bassi all’interno dei quali esistono situazioni segnalate ed individuate di disagio, anche ad elevato rischio di devianza sociale. La gestione dell’inquilinato di edilizia resi- denziale pubblica assume pertanto un ruolo di primaria importanza per contenere e ridimensionare potenziali conflitti che possono insorgere negli alloggi di edilizia pubblica.

Il maggiore o minore rispetto delle regole di buona convivenza, sia nel singolo alloggio che nel complesso degli alloggi di una data zona, può produrre effetti negativi immediati, anche per processi di imitazione che possono instaurarsi sul più esteso intorno abitativo (via, quartiere, paese, etc.).

Questa consapevolezza ha portato il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto ad approvare, ancora nel settem- bre 1997, il Piano degli interventi per accrescere la vivibilità negli alloggi di edilizia abitativa pubblica. Esso, da una parte individua, le maggiori problematiche sorte all’interno dell’inquilinato ITEA e, dall’altra, prevede una serie di interventi da attivare sia all’interno dell’Istituto, per migliorare l’efficienza e l’efficacia della propria atti- vità, sia esternamente attivando azioni sinergiche per le problematiche comuni con gli operatori che, per compi- ti istituzionali, già operano sul territorio nei settori di competenza.

Nel corso del mese di maggio 2000 l’ITEA ha organizzato il 1° Seminario nazionale sulla vivibilità negli alloggi di edilizia abitativa pubblica “La qualità dell’abitare oggi: le problematiche sociali, l’attività svolta, gli strumenti di azione e le strategie adottate” al fine di creare un momento informativo e di dibattito di rilievo nazionale sulle tematiche della vivibilità e della sicurezza sociale che quotidianamente devono essere affrontate e risolte dagli enti gestori degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. L’organizzazione del Seminario è stata promossa dall’Istituto Trentino per l’edilizia abitativa, dalla Provincia Autonoma di Trento, da Transcrime e dalla Regione Trentino – Alto Adige. Durante i lavori del seminario sono intervenuti i rappresentanti degli Istituti aderenti a Federcasa e al Gruppo Nord Est per l’edilizia residenziale pubblica i quali hanno esposto le strategie adottate dagli enti - in termini di strumenti, modelli organizzativi, azioni di coordinamento attivate con altri operatori - per perseguire una migliore vivibilità degli alloggi pubblici e una maggiore sicurezza sociale delle persone resi- denti.

Arch. Elena Robecchi Defant Presidente Istituto Trentino Edilizia Abitativa

Riepilogando

• Il panorama sulle esperienze straniere di prevenzione della criminalità

mostra un sempre maggiore uso della cosiddetta “prevenzione integrata”.

• Per prevenzione integrata si intende la sinergia tra misure della tradizio-

nale repressione penale e interventi attuati nell’ambito sociale per agire sulle cause della criminalità e della vittimizzazione.

• Sono ambiti privilegiati d’intervento per le strategie di prevenzione la

famiglia, la scuola, la comunità, il mercato del lavoro, le situazioni, la polizia.

• Nell’ambito familiare sono utilizzati sia programmi “universali” che pro-

grammi “mirati”. I primi hanno dato, alla prova dei fatti, risultati più effi- caci. Si attuano attraverso programmi di sostegno sociale che material- mente prevedono visite domiciliari alle famiglie da parte degli operatori.

• Nella scuola gli interventi vengono distinti in “ambientali” e “individua-

li”. I primi agiscono sull’ambiente scolastico puntando al miglioramento generale delle strutture o delle relazioni umane con l’incoraggiamento verso comportamenti positivi. I secondi servono ad hoc per modificare conoscenze, capacità, opinioni ed eventualmente comportamenti delin- quenziali dei soggetti.

• L’intervento sulla comunità usa la leva della responsabilizzazione dei

membri della stessa per migliorare complessivamente la qualità della vita e favorisce una maggiore socializzazione.

• Nel mercato del lavoro le strategie di prevenzione possono utilizzare

leve sia dal punto di vista dell’offerta (formazione professionale e mobi- lità dei lavoratori) che da quello della domanda (incentivi agli imprendi- tori per l’assunzione di soggetti con passato criminale, defiscalizzazioni per l’investimento in aree poco “attraenti”).

• La prevenzione situazionale propone interventi specifici su alcuni tipi di

aree (residenziali, commerciali, di transito). Punta a eliminare le condi- zioni che facilitano la commissione di reati attraverso l’uso di tecnologie e misure adeguate.

• L’uso delle forze dell’ordine rimane centrale nelle strategie di prevenzio-

ne dei reati. Nel controllo del territorio possono essere usati vari sistemi come i pattugliamenti casuali, o specifici per zone ed in orari ad alto rischio; oppure ancora gli arresti “reattivi” e quelli “proattivi”.

Importante è anche la comunicazione tra forze dell’ordine e comunità.

• L’applicazione delle esperienze straniere in Italia, se pur possibile, va

calibrata con la massima attenzione e accompagnata dall’analisi delle peculiarità della realtà sociale coinvolta.

La giustizia minorile persegue attual- mente due obiettivi prioritari: indiriz- zare il minore verso un percorso edu- cativo, di cui le pene sono parte, e difendere la società dalla sua tra- sgressione. L’idea della punizione quindi viene coniugata con quella della tutela e della prevenzione.

Il nuovo processo penale minorile1si

pone il problema di reintegrare il minore nella vita sociale e sposta l’at- tenzione dal reato alle motivazioni che l’hanno portato a delinquere. In questo senso, l’atto deviante viene valutato come sintomo di una sotto- stante situazione di disadattamento e disagio che è considerata il proble- ma reale da risolvere. Di conseguen- za i rapporti tra sistema giudiziario e servizi sociali competenti si interseca- no maggiormente.

Oggi il percorso compiuto da un ragazzo che è stato denunciato per aver commesso un reato segue un iter che, solo nella peggiore delle ipotesi, si conclude con la

detenzione2. Nella maggior parte dei

casi, l’Autorità giudiziaria, qualora decida di non archiviare il caso, si avvale di misure “correttive” finaliz- zate al recupero sociale dei giovani.

Le misure correttive

Nel corso del capitolo verrà analiz- zata la dinamica dei tre procedimenti più usati per questa finalità, che sono:

- la sospensione del processo penale e la messa alla prova (art. 28 ed art. 29 D.P.R. 448/88). È una misura specifica del processo mino- rile e prevede un progetto partico- lareggiato di educazione ed inseri- mento sociale, delineato sulla base dell’art. 27 D. Lv. 272/89 ed ela- borato dai servizi sociali della Giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali;

- l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 L. 354/75 “Affidamento in prova al servizio sociale” ed art. 94 L. 309/90 “Affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari”); - la libertà controllata (art. 53 e

seguenti, ed in particolare art. 75 L. 689/81 “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale” ed art. 30 D.P.R. 448/88 “Sanzioni sostitutive”).

PARTE TERZA Capitolo 7

Misure alternative alla detenzione:

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