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La polizia: bisogna fare un uso mirato delle forze disponibil

Le forze dell’ordine sono, in un approccio preventivo di tipo integra- to, il nucleo attorno cui ruota l’atti- vità anti-crimine e le uniche titolari di certe funzioni.

L’attività delle forze dell’ordine, per essere efficace e ridurre la crimina- lità, deve essere collegata ai fattori di rischio, coordinata, attuata in modo razionale e deve andare ad incidere sulle cause dei crimini. Vi sono interventi sull’organizzazio- ne o sulla gestione delle forze del- l’ordine che possono portare ad una lotta più efficace alla criminalità. Eccoli in sintesi:

- Presenza sul territorio delle forze dell’ordine. Benché l’equazione “più polizia, meno crimine” non trovi fondamento scientifico, è veri- ficato che il sottodimensionamento degli organici delle forze di poli- zia porta inevitabilmente a lascia- re certe zone di territorio “scoper- te”. Viceversa un aumento delle presenze può fungere da deterren- te per i criminali, purché l’aumento sia diretto a settori precisi dove la presenza è richiesta.

- Risposta in tempi ridotti alle chia- mate di emergenza: non è nuova la teoria secondo cui la certezza della pena influisce più della sua (eventuale) entità sulla decisione di commettere o meno un reato da parte dei criminali. La risposta in tempi ridotti alle chiamate da parte delle forze dell’ordine pro- duce tre effetti principali: a) riduce i danni di un crimine “in pro- gress”,

b) aumenta il timore di essere colti sul fatto, c) aumenta l’incapacitazio- ne dei criminali in quanto colti in flagranza di re a t o .

- Pattugliamenti “casuali”: l’impre v e- dibilità dei giri di controllo che le pattuglie eseguono sul terr i t o r i o evita che i criminali possano pro- g r a m m a re le azioni criminose con-

Esperienza applicativa: “L’esperienza della zero tolerance a New York”, New York, Stati Uniti

“Zero tolerance” è la locuzione con cui viene definita una politica di lotta alla criminalità lanciata a partire dal 1993 dal sindaco di New York Rudolph Giuliani. A questa strategia è stato dato molto risalto. Si caratte- rizza per la “linea dura” contro la criminalità, sia “macro” che “micro” e si basa sulla teoria della “broken window”. Nel 1993 la città di New York era all’87° posto della classifica stilata dall’FBI (Federal Bureau of

Investigation) in base ai tassi di criminalità delle città americane con oltre 100.000 abitanti. Quattro anni più tardi, nel 1997, New York era scesa al 150° posto della graduatoria (su un totale di 189 città). Le cifre indicano che a New York dal 1993 al 1997 la riduzione della criminalità è stata del 44% con una diminuzione del 60% degli omicidi e del 46% nei furti con s c a s s o .

Secondo il sindaco Giuliani e William Bratton (capo della polizia della città) il merito del drastico calo della criminalità nella “Grande Mela” va attribuito a questa nuova strategia basata su una forte presenza delle forze dell’ordine ed una repressione metodica anche dei piccoli episodi criminali. Il decremento dell’ammontare della criminalità è, secondo le autorità newyorchesi, il frutto di questa linea d’azione e dell’introduzione del sistema Compstat (Computer Statistics). Compstat ha consentito al dipartimento di polizia di New York di gestire i dati sulla criminalità citta- dina e di fornire risposte adeguate per raggiungere gli obiettivi stabiliti. Compstat è il motore della nuova strategia repressiva di Giuliani e Bratton ed ha indirizzato in modo decisivo le azioni attuate.

Per dovere di completezza va ricordato qui che non sono mancate critiche alla reale efficacia della teoria della Zero tolerance. Da una parte si è evi- denziato che il crollo dei reati può essere largamente ricondotto in un quadro generale di diminuzione del fenomeno in tutto il Paese; dall’altro si è visto che vi sono strategie preventive attuate altrove (il caso più signi- ficativo è quello della città di San Diego) che uniscono lo stesso decre- mento dell’ammontare di criminalità ad una politica di segno opposto che punta sulla collaborazione tra polizia e cittadinanza ed evita gli inevitabili svantaggi che un approccio “aggressivo” comporta.

Fonte: J. A. Greene, “Zero Tolerance: A case study of Policy Policies and practies in New York city” in Crime e Delinquency, vol. 45, n. 2, aprile 1999, pp. 171-187

tando sugli spazi temporali non coperti.

- Pattugliamenti “ad hoc”: sono diretti a specifiche zone o orari ad alto rischio criminale per aumenta- re e far avvertire maggiormente la presenza del controllo formale in quelle aree.

- Arresti “reattivi”: maggiormente la polizia si dimostra decisa nel repri- mere reati denunciati in una certa zona o di un certo tipo e maggior- mente gli autori dovrebbero essere scoraggiati.

- Arresti “proattivi”: quanto più le forze dell’ordine arrestano “high risk offenders” (soggetti ad alto rischio criminale) tanto meno dovrebbero verificarsi reati violenti gravi. Questo è uno degli interven- ti preventivi sperimentati dalla stra- tegia della “zero tolerance” appli- cata a New York e che si basa sulla teoria della “broken window”. - “Community policing”: la crimina-

lità può essere diminuita anche aumentando la quantità e la qua- lità dei contatti tra popolazione e forze dell’ordine.

Una strategia basata sui contatti tra popolazione e polizia molto usata a l l ’ e s t e ro è il “Neighbourh o o d watch”: la sorveglianza re c i p ro c a degli abitanti di una zona ed il loro vicendevole interessamento scorag- gia i criminali che spesso contano s u l l ’ i n d i ff e renza e sulla spersonaliz- zazione dei rapporti interpersonali, aumentando il controllo inform a l e s u l l ’ a re a .

- “Problem-oriented policing”: la cri- minalità si riduce quando la polizia è in grado di intervenire con preci- sione sulle situazioni e di agire sui maggiori fattori di rischio, primi colpevoli della criminalità.

Esperienza applicativa: I “Gruppi Locali di Trattamento della Delinquenza”, Francia

Creati per iniziativa della Procura, i “Gruppi Locali di Trattamento della Delinquenza” (GLTD) rappresentano una collaborazione tra varie istitu- zioni e soggetti diversi a livello locale. I soggetti coinvolti vanno dalla polizia, alla scuola, ma anche i commercianti, le ditte d’autotrasporto, le poste, gli educatori, gli operatori sociali e così via.

Questi gruppi si distinguono dalle “Case di Giustizia” che sono strutture, distribuite su tutto il territorio nazionale e dipendenti dal Ministero della Giustizia, dove si svolge attività di mediazione penale. Si distinguono anche dai “Consigli Comunali di Prevenzione della Delinquenza”, (CCPD) che sono organizzati dal Comune, lavorano in una prospettiva esclusivamente preventiva e sono costituiti da rappre- sentanti di tutte le istituzioni locali.

I GLTD invece lavorano sotto la direzione della Procura ed, essendo un’emanazione del potere giudiziario, hanno prioritariamente una fun- zione repressiva. Tuttavia di fatto creano una rete, che ottiene risultati anche di tipo preventivo.

La sperimentazione dei GLTD si è svolta finora essenzialmente nella periferia di Parigi ed è molto recente (fine degli anni ’90).

Una prima particolarità dei GLTD rispetto ai CCPD è il loro carattere “provvisorio”. Essi infatti di solito durano solo qualche mese, mentre i CCPD sono delle strutture fisse. I GLTD rispondono ad un bisogno loca- lizzato, a volte addirittura molto ristretto. Il territorio interessato può essere un unico quartiere, un centro commerciale, una scuola. Operativamente funzionano in base a riunioni operative tra vari attori sociali (della giustizia, della polizia, di altri servizi che operano in una determinata zona) che creano un rapporto diverso tra il sistema di giu- stizia e il territorio. Il magistrato si reca sul luogo dove si verificano i problemi. Organizza riunioni nei comuni, nelle scuole, nei centri sociali. Impara così a conoscere i posti, la gente, i problemi. Il suo scopo non è quello di una giustizia più “dolce”, ma piuttosto di intensificare l’azione di tutti gli attori sociali coinvolti, con un obiettivo principalmente repressivo e solo secondariamente preventivo.

In questa collaborazione, la leadership appartiene sicuramente alla Procura. Tutti i partners devono aderire all’obiettivo primario, che è quello di rendere più intensive le azioni della polizia giudiziaria. In un secondo tempo, possono essere attuate delle azioni di prevenzione. Quindi, l’obiettivo prioritario è realizzare azioni mirate a livello penale nell’ambito di zone molto deteriorate, sulla base di una conoscenza più accurata dei problemi sociali. Ed è per questo che la Procura chiede aiuto ai vari attori sociali, in grado di fornire informazioni utili.

Il lavoro inizia quindi con una diagnosi. Ci sono poi scambi bilaterali tra la Procura e i vari attori locali e scambi collegiali. Ma l’adesione dei partners locali non è scontata. Ci sono resistenze anche culturali a col- laborare con la Procura, che viene vista come una istituzione forte. L’adesione si realizza di fatto attraverso un rafforzamento dell’autorità di ogni partner e anche grazie al coinvolgimento di ciascuno in un’azio- ne collettiva. La Procura rispetta la logica di ogni partner sociale e non cerca di strumentalizzarlo. Ognuno può ricevere un appoggio da parte della Procura. È una collaborazione basata su un scambio negoziato e non su una sottomissione.

Thierry Bonfanti Psicologo e formatore alla mediazione, consulente del Comune di Parigi

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