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I “fondati indizi di crisi” e gli indicatori ex art 13 C.C.I.I.

COMPOSIZIONE ASSISTITA DELLA CRISI DI IMPRESA

4. Il presupposto oggettivo

4.2. I “fondati indizi di crisi” e gli indicatori ex art 13 C.C.I.I.

Partendo dall’analisi del presupposto circa l’allerta interna, la formulazione dell’art. 14 C.C.I.I. (“segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi di crisi”), in una certa misura, si riallaccia alla nozione di “crisi”, richiamando, per l’appunto tale termine. Una delle novità del Codice di nuovo conio è, per l’appunto, la presenza di una definizione di crisi di impresa, volta a perseguire istanze di sistematicità e ausilio all’interprete.741 La dottrina aziendalistica, in passato, pure in assenza di una specifica definizione di crisi, aveva cercato di ricondurre, nel più ampio concetto generale di crisi aziendale, diversi stati e diverse manifestazioni caratterizzanti lo

738 L’approccio interno si basa su una distinzione tra il carattere consuntivo e quello

previsionale. Con la prima accezione si intende alludere ad una fotografia della situazione finanziaria aziendale risultante dai saldi contabili, basandoci sia su indicatori statici patrimoniali (ad esempio rapporti di indebitamento), su indicatori di flusso economico e finanziario (andamento dei ricavi, flusso di cassa). Il carattere previsionale, invece, inquadra la crisi sulla base dei piani economico-finanziari e dei piani previsionali predisposti dall’imprenditore. Vedremo che è l’approccio più logico da seguire per la nozione di crisi fornita nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza da parte del nostro legislatore. Per un maggior approfondimento sui due approcci si rimanda a A Quagli, Il percorso dell’allerta: l’approccio esterno e interno, in www.ilSole24ore.it., 2019, edizione III, n. 9, 29-31.

739 Si veda l’art. 14, primo comma, C.C.I.I. 740 Così l’art. 15 C.C.I.I.

741 A. Guiotto, Indicatori della crisi, gli elementi caratterizzanti, in

svolgimento dell’attività di impresa.742 Oggi, la disposizione dell’art. 2, primo comma, lett. a), C.C.I.I. definisce la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.743 Seppur l’insolvenza non sia sempre preceduta dalla crisi, la prima parte della definizione richiama un fattore probabilistico circa la possibile sequenza crisi-insolvenza, richiedendo un approccio “forward looking”,744 volto ad indicare la capacità di potersi proiettare in avanti, al fine di percepire se l’attuale difficoltà economico finanziaria possa capitolare in uno stato di insolvenza (si tratta di una proiezione

742 Si faceva riferimento a alla debolezza economico-finanziaria, alla tensione nei

flussi di cassa, alla crisi reddituale, alla crisi patrimoniale finanziaria, che potevano portare ad una crisi intesa in senso economico (causata, ad esempio, per obsolescenza del prodotto, inefficienze gestionali o delle strutture organizzative) o intesa in senso finanziario-patrimoniale (causata ad esempio da una eccessiva esposizione debitoria, un eccessivo squilibrio delle fonti di finanziamento). Sul punto si veda P. Montalenti, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto

concorsuale, op. cit., 827.

743 Questa definizione viene formulata ex novo per la prima volta, dal momento che

la crisi, seppure spesso richiamata dal legislatore, era sempre stata intesa come genus rispetto alla species di insolvenza (quest’ultima rappresentava quindi una delle modalità con cui poteva manifestarsi una crisi di impresa). Una prima ipotesi di disciplina della crisi era stata fornita con l’intervento del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, poi convertito con modificazioni nella legge 23 febbraio 2006, n. 61. che introdusse un ulteriore comma all’art. 160 L.F per cui “ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”. Si tratta, tuttavia, di una classificazione totalmente in linea con quello che era l’utilizzo del termine crisi da parte del legislatore. Con la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, all’art. 2, primo comma, lett. c), il legislatore aveva evidenziato la necessità di “introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica”. Tale concetto di crisi come probabilità di futura insolvenza non è nuovo della legge delega, ma è presente sia nella Raccomandazione della Commissione UE n. 135 del 12.03.2014 (dove al par. III, punto 6 lett. a, si afferma che “il debitore dovrebbe poter procedere alla ristrutturazione in una fase precoce non appena sia evidente che sussista soltanto la probabilità di insolvenza”), sia nel Regolamento UE n. 2015/848 (al considerando n. 10 e nell’art. 1), sia nella Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del

Consiglio in materia di ristrutturazione e insolvenza emanata il 22.11.2016 (all’art. 4 stabilisce che “gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore in difficoltà finanziarie abbia accesso a un efficace quadro di ristrutturazione preventiva”).

744 Da intendere come il complesso degli strumenti che possono evidenziare l’avvio

di un peggioramento delle performances dell’impresa e che possono, dunque, segnalare all’imprenditore la necessità di attivarsi con urgenza al fine di porvi rimedio. Si veda D. Foà, Le procedure di allerta nella crisi di impresa e l’approccio forward looking, in Giuricivile 2019, III, 06.03.2019.

predittiva con un carattere di verosimiglianza).745 Il legislatore della riforma sembra essersi ispirato al filone giurisprudenziale inerente l’insolvenza prospettica746, che oggi sembra essere destinato a scomparire data la nozione di crisi così stabilita nel nuovo Codice. Certo, l’indicazione derivante dalla giurisprudenza aveva ad oggetto l’insolvenza e non la crisi, ma questa ultima attuale definizione sembra proprio simile all’insolvenza prospettica.747 Così, si era affermato che, anche spostando avanti il rilievo effettuale dei fattori che influiscono sulla nozione di insolvenza (per valorizzare la dimensione dinamica dell’impresa), la proiezione dello stato di incapacità di far fronte alle obbligazioni con mezzi propri debba essere, comunque, di pronta verificazione e misurabile in periodi brevi.748 Ciò che emerge dalla lettura della definizione di crisi di cui all’art. 2 C.C.I.I., inoltre, è il richiamo al solo profilo economico-finanziario, il quale, dal punto di vista letterale, potrebbe essere l’unico oggetto delle valutazioni prognostico-probabilistiche. Parte della dottrina, tuttavia, ritiene che debba assumere un rilievo anche la situazione patrimoniale, sia perché potrebbe rientrare nell’aggettivazione “economica”, sia perché l’art. 13 C.C.I.I., nella enucleazione degli “indicatori di crisi”, richiama espressamente “il carattere reddituale patrimoniale o finanziario”. Perciò il dato caratterizzante il concetto di crisi, e come vedremo degli indicatori di crisi, è proprio lo squilibrio, non solo rapportato all’attualità, ma commisurato valutando anche la proiezione dell’impresa a generare flussi di cassa prospettici adeguati a far fronte

745 F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op. cit. 51. 746 V. Trib. Monza, 3 luglio 2000, in Fall., IV, 2001, con nota di M. Ferro, Pluralità

di creditori istanti, trattazione congiunta, interventi nell’accertamento dell’insolvenza della società in liquidazione; Trib. Torino, sez. VI, 14 novembre 2008, in Giur. It., 2009, X, 2237; Trib. Milano 15 ottobre 2009, in www.ilcaso.it.

747 F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op. cit. 119. 748 Si veda Trib. Milano 15 ottobre 2009, in www.ilcaso.it.; di recente Cass. civ. Sez.

I Sent., 20 novembre 2018, n. 29913, in www.leggid’italia.it. per la quale lo stato di insolvenza va desunto, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla possibilità dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni.

alle obbligazioni pianificate. 749 Viene, comunque, confermato come la crisi sia una fattispecie meno grave e temporalmente antecedente l’insolvenza, dal momento che l’impossibilità ad adempiere le proprie obbligazioni è solo prospettica e probabile (dal momento che i flussi di cassa della gestione attuale potrebbero non essere sufficienti ad adempiere le obbligazioni pianificate).750

È da richiamare, tuttavia, un orientamento molto interessante ed estremamente critico verso la nuova definizione di crisi.751 Da un lato si sottolinea come, in realtà, si tratta di una fattispecie caratterizzata dalla prossimità ad uno stato di vera e propria insolvenza, sul presupposto che l’”inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” per parte della dottrina era già ricondotta ad un attuale stato di insolvenza.752 Dall’altro lato si evidenzia come l’atipicità della nozione di crisi non abbia mai creato particolari problematiche nell’ordinamento, anzi, portava con sé una innegabile utilità, come l’estensione del campo di applicazione del concordato preventivo ad imprese che fossero in situazioni di imminente pre-crisi, ma anche quelle caratterizzate da un declino accentuato.753 Così, se la tipizzazione della crisi è funzionale alla codificazione di precisi obblighi imposti agli organi sociali dall’art. 14 C.C.I.I., è anche vero che “non sembra che gli organi di controllo ed i revisori legali dei conti per adempiere a siffatti obblighi siano stimolati ad affinare il significato di siffatta nozione”. Gli art. 13 e 15 C.C.I.I. introducono indicatori quantitativi chiari e propedeutici all’attivazione dell’allerta, per i quali “suonati i campanelli di allarme gli organi di controllo ed i revisori attiveranno le segnalazioni senza doversi interrogare se effettivamente

749 C.f.r. F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op. cit.,

52.

750 C.f.r. A. Guiotto, Indicatori della crisi, gli elementi caratterizzanti, op cit., 32-37. 751 A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di

azione degli organi sociali nelle situazioni di crisi atipica, op. cit.

752 L’autore richiama D. Galletti, La ripartizione del rischio di insolvenza, Bologna,

2006, 191.

sussista o no una situazione di crisi tipica”.754 Sembra, quindi, che nell’ambito dell’allerta la nozione di crisi può rivelarsi utile solo in riferimento all’art. 18, terzo comma, C.C.I.I., in tema di archiviazione delle segnalazioni ricevute dall’OCRI qualora “non sussista la crisi”. Se il legislatore della riforma, ai fini dell’attivazione della procedura di allerta interna richiama i “fondati indizi di crisi”755, al fine di facilitare l’interprete e perseguendo istanze di sistematicità756, all’art. 13 C.C.I.I. propone una enucleazione di quelli che sono gli “indicatori di crisi”. Occorre subito fare una premessa: il concetto di “indizi” ha una portata maggiore rispetto agli indicatori, venendosi a configurare il più classico dei rapporti species a genus, al quale va aggiunta l’ulteriore sub-species di “indici”.757 Gli indizi di cui all’art. 14 C.C.I.I., perciò, possono consistere in sintomi diversi dagli indicatori.758 Superata questa premessa, però, il legislatore non fornisce una definizione chiara e precisa di “indizi di crisi”, cercando piuttosto un collegamento con il concetto di “indicatori” e “indici”.759 Il tema degli indicatori di crisi, era

754 A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di

azione degli organi sociali nelle situazioni di crisi atipica, op. cit.

755 Così l’art. 14 C.C.I.I.

756 C.f.r. Michele Perrino, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure,

op. cit., 653 ss.

757 Riferibile sia agli “indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per

almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale” (art. 13, primo comma, C.C.I.I.), sia gli indici elaborati dal CNDCEC di cui all’art. 13, terzo comma, C.C.I.I.

758 Si veda F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op.

cit., 118. Questa argomentazione si basa anche sul fatto che all’art. 14, quarto comma, C.C.I.I. viene predisposta un’altra possibile fonte indiziaria non ricompresa negli indicatori di crisi (e ciò potrebbe aprire ad una lettura estensiva per cui ve ne possano essere altre non enucleate dal legislatore). Gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 del Testo unico bancario, infatti, devono dare notizia anche agli organi di controllo societari dell’esistenza di variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti comunicate al cliente.

759 In dottrina, c’è chi si è proposto di enucleare una definizione di “indizi di crisi”,

inteso come presupposto oggettivo per l’attivazione delle procedure di allerta. Da un lato, tale formula potrebbe essere interpretata alla luce della definizione di crisi, con il rischio di una segnalazione a ridosso dell’insolvenza; dall’altro lato potrebbe assumere una interpretazione estensiva, facendo leva sull’obbligo dell’organo amministrativo di valutare costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo e la sussistenza dell’equilibrio economico finanziario (dal momento che una

inadeguatezza dell’assetto organizzativo o uno squilibrio economico-finanziario possono manifestarsi anche qualora l’insolvenza non sia così ravvicinata). Una

già stato toccato dal legislatore nel D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), dove all’art. 14, si delinea una disciplina particolare in tema di crisi di impresa di queste società. Si prevede, infatti, con il riferimento all’art. 6, comma 2 (il quale impone “specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale”), la predisposizione di “indicatori di crisi” aziendale” e, qualora vi sia la loro emersione, l’organo amministrativo della società adotta i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento del dissesto.760

L’art. 13, primo comma, C.C.I.I. considera, espressamente, indicatori di crisi “gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività”. In primo luogo, si nota come la valutazione degli squilibri non possa riguardare una fattispecie generica761 e dovranno tenere conto della data di costituzione e di inizio attività proprio per fornire una rappresentazione del grado di maturità dell’impresa e della sua permanenza nel mercato, venendosi a creare, ad esempio, una differenziazione circa la valutazione degli indicatori tra un’impresa ormai consolidata ed una start-up appena costituita.762 Vi sono, dunque, squilibri che possono essere momentanei e non patologici (ad esempio una impresa costituita da poco, nella prima fase, si caratterizza per ricavi inferiori agli investimenti; stesso discorso può essere riproposto per un’attività a carattere stagionale che sarà prospettiva diversa potrebbe essere quella relativa all’esperienza delle società di rating (da intendere proprio come indicatore di rischio di insolvenza). Secondo questa visione “l’attribuzione del rating riproduce il percorso di analisi che dovrebbe compiere l’organo amministrativo e che gli organi di controllo dovrebbero

verificare”. Per maggiori approfondimenti si rimanda a M. Bini, Procedure di allerta: indicatori della crisi ed obbligo di segnalazione da parte degli organi di controllo, in Soc., 2019, IV, 434.

760 C.f.r. P. Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale,

diritto societario della crisi: appunti, op. cit., 66.

761 Ma deve essere collegata alle “specifiche caratteristiche dell’impresa e all’attività

effettivamente svolta” (art. 13, primo comma, C.C.I.I.).

certamente caratterizzata da squilibri di carattere reddituale e finanziario, dato il susseguirsi di periodi con attività lavorativa e periodi in cui manca).763 Un altro indicatore di crisi tipizzato dal legislatore è costituito dai “ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’art. 24”.764 Il “ritardo nei pagamenti” è una fattispecie molto frequente nel contesto imprenditoriale italiano765, ma in questo caso, non è andata esente da critiche la parte della formulazione contenente il richiamo all’art. 24 C.C.I.I.766 Il dubbio interpretativo in cui si potrebbe incorrere è rappresentato dal quesito se i “ritardi nei pagamenti reiterati e significativi” (intesi come indicatore della crisi in virtù dell’art. 13 C.C.I.I.) si riferiscono solo ai ritardi qualificati dell’art. 24 C.C.I.I.767 o anche al periodo entro il quale l’imprenditore può agire per ottenere le misure premiali. La dottrina supera questo problema ritenendo che il “periodo di grazia” per essere tempestivi nella proposizione dell’istanza di composizione assistita o della domanda di accesso ad una delle procedure del Codice, non rileva al fine di determinare il contenuto dell’art. 13 C.C.I.I. Perciò sono indicatori della crisi i "debiti scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari a oltre la metà dell’ammontare mensile delle retribuzioni” e i “debiti verso i fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti” (art.

763 F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op. cit., 118. 764 Così l’ultima parte dell’art. 13, primo comma, C.C.I.I.

765 C.f.r. Michele Perrino, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure,

op. cit., 653 ss.

766 L’art. 24 C.C.I.I. è una disposizione inerente la “tempestività dell’iniziativa” al

fine dell’applicazione delle misure premiali, la quale tipizza alcuni ritardi nei pagamenti da quali decorre un lasso di tempo entro il quale promuovere una istanza di composizione assistita della crisi (in questo caso il termine è di 3 mesi dal verificarsi del ritardo nel pagamento) o una domanda di accesso ad una delle procedure regolate dal Codice della crisi (e in questo caso il termine è di sei mesi).

767 In particolare “l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta

giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo delle retribuzioni” (lett. a) e “l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti” (lett. b).

24, primo comma, lett. a-b, C.C.I.I.).768 Inoltre, la dottrina769 privilegia una lettura estesa dell’ultima parte dell’art. 13, primo comma, C.C.I.I., per cui possono essere considerati indicatori della crisi anche ritardi nel pagamento di debiti diversi da quelli tipizzati all’art. 24 C.C.I.I. (ad esempio il ritardo di un pagamento di imposte).770 Il richiamo all’art. 24 C.C.I.I. appare dunque avere più una portata di ausilio e di carattere generale, fornendo una esemplificazione di quelli che possono essere i ritardi nei pagamenti come indicatori di crisi.

Nel proseguo della lettura dell’art. 13 C.C.I.I. il legislatore individua gli “indici” per poter rilevare gli indicatori di crisi. È stabilito, infatti, che quest’ultimi sono rilevati tramite “appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso”.771 È da notare, in prima battuta, come si richiede una valutazione prospettica, basata su elementi che troveranno realizzazione nel futuro e non semplicemente ricavabili da rilevazioni contabili intercorse, sottolineando l’esigenza circa l’abilità dell’imprenditore di essere in grado di monitorare la propria capacità prospettica (con conseguente ruolo preminente e centrale dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile).772 Ciò spinge verso un inquadramento della nozione di crisi verso la c.d. insolvenza prospettica, collocando la proiezioni future in un arco temporale di sei mesi, in modo tale che, se nei sei mesi successivi si ritiene che i debiti siano sostenibili, è esclusa la sussistenza della crisi.773 Un periodo tutto sommato breve, quello di sei mesi, è

768 C.f.r. A. Guiotto, Indicatori della crisi, gli elementi caratterizzanti, op. cit., 32-37. 769 F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, op. cit., 118;

Michele Perrino, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure, op. cit., 653 ss; A. Guiotto, Indicatori della crisi, gli elementi caratterizzanti, op. cit., 32-37.

770 L’art. 13 C.C. infatti utilizza l’avverbio “anche” riferendosi ai ritardi di cui all’art.

24 C.C.I.I.

771 La stessa disposizione stabilisce che qualora la durata residua dell’esercizio, al

momento della valutazione, sia inferiore a sei mesi, le prospettive di continuità aziendale devono essere riferite ai sei mesi successivi.

772 Si veda A. Guiotto, Indicatori della crisi, gli elementi caratterizzanti, op. cit., 32-

37.

considerato ragionevole, dal momento che una prognosi ex ante su un arco di tempo troppo esteso sarebbe superflua, data la sua difficile tenuta. Prospettando entro i sei mesi, invece, la presenza o meno della sostenibilità del debito, questa potrebbe essere agevolmente individuata sia dal collegio sindacale, che dall’OCRI.774 Il legislatore stabilisce, inoltre, che “sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri di indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”.775 Si tratta, in sostanza, di una mera ripetizione di quanto già stabilito nell’art. 2, primo comma, lett. a), C.C.I.I. Si nota, comunque, come, nell’ambito del rapporto tra il patrimonio proprio o di rischio, un esasperato ricorso all’indebitamento per investire sui fattori produttivi possa essere poco sostenibile.776 Deve essere sottolineato, tuttavia, come parte della dottrina ritenga mal formulata tale disposizione.777 La formulazione dell’art. 13. C.C.I.I., così come è stata oggetto di analisi, vale a dire pretendere che il debito sia ancora sostenibile per almeno sei mesi e vi sia continuità aziendale per l’esercizio in corso, potrebbe comportare il rischio di assistere ad una attivazione degli strumenti di allerta solo per le imprese in continuità aziendale, con il pericolo (ed il

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