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Ombre tra passato e presente

Capitolo 1: All’ombra di Sant’Agabio

1.1.1. Ombre tra passato e presente

Come punto di partenza è il caso di chiarire la scelta di entrambi i titoli, di capitolo e di paragrafo. Si è in precedenza citato Agabio123 ̶ successore di Gaudenzio alla cattedra vescovile da questi fondata ̶ per la traslazione delle sue spoglie nella cattedrale di Santa Maria avvenuta, si pensa, sotto il vescovo Cadulto dall’horatorium omonimo. L’horatorium si trovava appena fuori le mura presso la porta anch’essa dedicata al santo124, in un settore di Novara (Borgo Sant’Agabio) all’epoca adibito prevalentemente a funzione cimiteriale e che ha mantenuto la stessa intitolazione nel quartiere odierno. Anche se del nome Agabio si è quasi persa la memoria, la città reca tracce di un culto proseguito a lungo.

Al tempo della traslazione tale intitolazione aveva un significato ben più concreto, non solo dal punto di vista devozionale: si è già accennato di come fosse molto sentito per la cattedrale mariana e il suo clero canonicale lo svantaggio di non poter contare su una sepoltura prestigiosa al contrario della grande basilica extramuranea. La riduzione di questo gap indicava un buono “stato di salute” della canonica di Santa Maria anche dal punto di vista economico: l’acquisizione delle reliquie doveva essere stata la molla per l’avvio a lavori di ristrutturazione edilizia e ampliamento del complesso cattedrale125. Da inizio X secolo anche la documentazione relativa alla canonica inizia a testimoniare l’avvenuto spostamento: in un diploma berengariano del 919 viene concessa al vescovo Daiberto la licenza di mercati annuali extra moenia nell’area in cui sorgeva

123 Supra. p. 18.

124 Motta, op. cit., p. 259 con un’accurata cartina dedicata alla disposizione degli edifici religiosi nella Novara di IX-X secolo.

36 l’horaculum, presso il quale «beati Agabii episcopi et christi confessoris quondam tumulatum fuerat»126. L’uso del piuccheperfetto rivela indirettamente che il corpo non si trovava più lì a quell’altezza cronologica, dal momento che le attestazioni successive più tarde ̶ tra ultimo quarto del X e primi anni dell’XI secolo ̶ , questa volta riguardanti la «baxilica sancte dei genitricis Marie mater ecclesie», indicano come in quel preciso momento «requiescunt corpus beatus confessoris agabius»127. Il secondo di questi documenti è proprio redatto a Pagliate e si riferisce a personaggi di Pagliate forse imparentati col gruppo di cui si tratterà diffusamente nel prossimo paragrafo. Il collegamento diretto con la canonica di Santa Maria di Pagliate e Lumellogno, queste due località della piana basso-novarese a poche miglia dalla città e quindi “all’ombra” della cattedrale, trova qui una certificazione diretta. Si dovrà attendere la metà del XII secolo per vedere interrotta questa quasi completa esclusività, con i primi atti privati che attestano attività in serie di canonici di San Gaudenzio a Lumellogno128. Per Pagliate, verso il quale aveva maturato interesse anche il monastero di San Lorenzo, il rapporto privilegiato129 con una sola delle canoniche cittadine si veniva a sostanziare soprattutto tra XI e XII secolo130.

Se la connessione particolare di alcuni luoghi a determinati enti religiosi non è certo una tematica originale e Pagliate e Lumellogno in questo senso non si rivelano casi unici neanche nel solo Novarese, sono la loro composizione sociale, struttura fondiaria e territoriale, e i soggetti attirati da questi loro aspetti, a renderle gradazioni funzionali alla definizione di uno spettro sociale del Piemonte orientale altomedievale. Nonostante i legami di esclusività con la canonica di Santa Maria e l’estrema prossimità geografica ̶ distano meno di due chilometri l’una dall’altra, entro l’area della pieve cittadina131 ̶ siano sufficienti ad unirle in uno dei “capitoli bivalve” di questa particolare impalcatura narrativa, il “milieu” sociale di Pagliate e quello di Lumellogno avevano poco in comune tra loro, rendendo forse più efficace al confronto la metafora di una medaglia a due facce: la prima, infatti, era caratterizzata da una classe sociale prevalentemente rurale e piuttosto omogenea anche se molto dinamica, quasi del tutto rarefatta di apici elitari

126 BSSS. 78, n. 41, p. 56. 127 ASDN - FF - DCC/F, n. 8 e 10.

128 Milani, Le pergamene dell’Archivio di san Gaudenzio, da pp. 83-84.

129 Solo le confinanze ci suggeriscono che non dovesse essere del tutto esclusivo: BSSS. 79, p. 6.

130 F. Gabotto, A. Lizier, A. Leone, G. B. Morandi, O. Scarzello, Le carte dello Archivio Capitolare di Santa

Maria di Novara, Vol. 3: 1172-1205 (BSSS. 80), Torino, 1924, n. 682, p. 257.

37 almeno fino al XII secolo; la seconda, oltre a costituire terreno fertile per i diversi stadi di una signoria ecclesiastica, è associabile in modo diretto o indiretto ad alcuni dei personaggi più influenti di X e XI secolo.

Ciò ha portato a un’altra differenziazione direttamente connessa al titolo del paragrafo, alle ombre che coprono Pagliate ̶ molto meno Lumellogno ̶ nel presente e che riguardano la scarsa attenzione rivolta dalla storiografia alle sue dinamiche socio- economiche. Dalla rassegna bibliografica in nota si evince come alla località di Pagliate e zona limitrofa non solo non siano mai state dedicate brevi monografie, ma neppure articoli scientifici completi: è più che altro un elenco costituito di accenni di poche pagine e anche per questi accenni si tratta soprattutto di un interessamento per il XII secolo e l’ingresso in scena dei signori “da Monticello” nel suo territorio. Sulla Pagliate di XI secolo, su cui questo studio si concentrerà soprattutto, pochissimo è stato scritto132.

La complessità e reticenza della documentazione, in realtà abbondante per la prima metà dell’XI secolo, è alla base dello scarso interesse mostrato della storiografia e rende impossibile ricostruire parentele e affiliazioni che non risultino altamente ipotetiche. Prima di volgere l’attenzione al fulcro del capitolo, l’eterogeneo mosaico sociale di inizio XI, vale la pena analizzare brevemente i principali documenti di epoca precedente.

Il legame dell’originaria «Paleatum» con la canonica mariana trae avvio, come per gran parte delle località della piana periurbana, da una donazione dell’840 del vescovo Adalgiso alla chiesa matrice con valore probabilmente fondativo della canonica, di cui oggi è rimasto solo un estratto di XI secolo133: la dotazione consisteva delle curtes di San

132 Pagliate è uno dei castelli novaresi descritti diacronicamente dall’alto medioevo all’età moderna, in Andenna, Andar per castelli, pp. 227-234; sul castello di Pagliate e la sua chiesa vd. anche M. Gavazzoli Tomea, Novara e la sua storia nei secoli XI e XII. Storia Documenti Architettura, Novara, 1980, in cui si trovano rispettivamente G. Andenna, Per un censimento dei castelli, p. 322 e M. Gavazzoli Tomea, Edifici di

culto nell’XI e XII secolo, pp. 59-60; sulla chiesa di San Pietro di Pagliate vd. anche G. Andenna, “La Chiesa feudale” in Fontaneto - una storia millenaria, p. 260 e Andenna, La diocesi di Novara, p. 85; sulle tracce di

insediamenti e istituzioni longobarde nell’area di Pagliate Cavanna, op. cit., p. 471; G. Ferraris, La pieve di S.

Maria di Biandrate, Vercelli, 1984, p. 49 con Pagliate forse detta anche Pallà nel XII secolo; sulla signoria

fondiaria dei canonici e le mire dei “domini da Monticello” e della famiglia dei Gorricio nel XII sec G. Andenna, Formazione, strutture e processi di riconoscimento giuridico delle signorie rurali tra Lombardia e

Piemonte orientale (secoli XI-XIII), in Strutture e trasformazioni della signoria rurale, Bologna, 1996, pp. 143-

147 e Andenna, L’“ordo” feudale dei “capitanei”, pp. 101-102 e 123; sul gruppo parentale che descriverò in modo approfondito nel prossimo paragrafo A. Olivieri, Per la storia della circolazione monetaria nell’Italia

nord-occidentale tra l’XI e la prima metà del XII secolo. La testimonianze delle fonti documentarie, in «Reti

medievali. Rivista», 12/1, 2013, pp. 53-105: 69-71 e F. Bougard, Dot et douaires en Italie centro-

septentrionale, VIIIe-XIe siècle: un parcours documentaire, in Dots et douaires dans le haut Moyen Âge,

Roma, 2002, pp. 57-95, p. 76. Sui “da Monticello”, Keller auspicava uno studio: Signori e vassalli, p. 257. 133 BSSS. 78, n. 6, pp. 7-8. Cfr. Andenna, La diocesi di Novara, p. 58; Motta, op. cit., p. 245.

38 Germano (con la cappella di San Michele) e Gemini134, dei proventi della decima riscossa su cereali, vino e pecore nel territorio della città e in alcune corti dell’episcopato tra cui Caddo135 , delle decime «vasallorum suorum que ipsi specialiter in suo retinet dominio» e di quelle nelle «villis per diocesim» e che sembrano corrispondere all’intero territorio della pieve urbana, composta quindi da ventisei villaggi nominati secondo un andamento romboidale toccando i quattro vertici intorno alla città136, da meridione a occidente e da settentrione e da oriente, tra i quali appunto Granozzo, Pagliate, Lumellogno, Casalgiate, Gionzana, Obbiate, Agognate, «Vepra», Cameri, Galliate, Berconate, Pernate, «Mapunianum», «Palaciolum», Olengo, Sozzago, Trecate, «Villa sancti germani»137 ecc. La seconda attestazione di Pagliate è un altro estratto di XI secolo da un più ampio documento del quale, per questa ragione, non si conosce la datazione precisa e che riveste un carattere “fondativo” questa volta soprattutto per Lumellogno, consistendo nella donazione da parte del vescovo Daiberto della curtis cum castro di Lumellogno ai canonici di Santa Maria. Le pertinenze della curtis si trovavano a Gionzana, Trecate e appunto Pagliate ̶ in tre diverse direzioni, quindi ̶ , mostrando una volta di più il precoce legame che accomunava le due località138.

È solo con un importante documento datato maggio 946139 che si inizia a intravedere per la prima volta la trama sociale e le condizioni ambientali di Pagliate: in esso, Ildegarda figlia di Goffredo (Gotefredo) «de loco asingo qui dicitur sancto petro in silva» con il

134 Che il Cognasso prova a riconoscere in Ghemme, vicino quindi alla grande curtis regia di Romagnano:

Storia di Novara, p. 75. L’ipotesi è scarsamente plausibile, dal momento che nel corso dell’alto medioevo

l’abitato, acquisito in gran parte da Wiberto fratello di Arduino, era noto come «Agammi».

135 È molto forte la tentazione di riconoscerla nella stessa curtis di Caddo donata da Berengario, su petizione del «gloriosus marchio» Adalberto, a Gariardo vicecomes nel 910. Il toponimo non compare che in queste due attestazioni nelle carte novaresi da IX a XI secolo, ma un problema sorge dal fatto che tutte le indicazioni topografiche del documento ̶ al netto dei luoghi non riconosciuti, forse perché scomparsi ̶ si riferiscono alla piana periurbana di Novara, mentre la Caddo di Gariardo si trova nel «comitatu oxilense», a notevole distanza dalla civitas vescovile, ed è forse riconoscibile in una frazione di Crevoladossola. Tuttavia, una lista di fitti spettanti alla Chiesa novarese nel 1143 segnala proprio una decima di Caddo consistente in «C libras casei et unam formellam duorum solidorum veteris monete et II caseos scutiferis et unam albergariam et IIII fummo pro vectura casei», inserita vicino ad altre località ossolane: «piscaria una iuxta pratum oxolanum», «in bramosello denarios xv de piscaria» e una lunga selezione di fitti a Cannero, lungo la sponda del Lago Maggiore; «Bramosello» è proprio quel Premosello, la cui curtis era stata donata a Gariardo assieme a Caddo.

136 Andenna, La diocesi di Novara, p. 58, anche se l’ordine seguito qui nel circoscrivere i villaggi intorno a Novara è diverso da quello indicato nel testo.

137 Probabilmente la stessa località della curtis donata. Per quanto riguarda «Gaudiana», ovvero Gionzana, non va confusa con «Gaudiano», Gozzano, che non si trova certo nel territorio della pieve urbana; «Vepra» si riferisce forse a Veveri, odierno quartiere nordorientale della città.

138 BSSS. 78, n. 31, pp. 43-44, con proposta di datazione fra 908 e 931. 139 ASDN - FF - DCC/A, n. 9.

39 marito Bernardo del fu Anscario abitante di Novara, entrambi salici come già l’onomastica lasciava intendere anche senza l’esplicito riferimento alla professio legis, vendono in cambio di 10 lire d’argento al vescovo Rodolfo «sedimina cum casis et homnibus rebus territoriis illis iuris nostris» a Pagliate, con l’aggiunta di numerose pertinenze per un’estensione complessiva di 50 iugeri e 11 pertiche, ovvero grossomodo 60 campi di calcio. Alla vendita assistettero in qualità di testi e sottoscrittori alcuni dei più importanti esponenti della cerchia vassallatica episcopale che stava formandosi e che avrebbe ottenuto una fisionomia più compiuta durante gli anni di Aupaldo140.

Queste informazioni dipingono un quadro piuttosto preciso, che tuttavia potrebbe trarre in inganno se si perdesse contatto con una visione d’insieme diacronica: la vendita di Ildegarda e Bernardo descrive dinamiche sociali ed economiche di alto livello, poco rispondenti a una dimensione di assenza di “picchi elitari” caratteristica di Pagliate, come si è lasciato intendere nel confronto iniziale tra le due località. I dati riassunti dal documento non sono affatto di basso profilo: si parte da una famiglia di etnia franca, che quindi non doveva essere radicata nell’area da molte generazioni, ma legata ai trasferimenti e all’introduzione nell’ecosistema longobardo dell’Italia settentrionale di nobiltà e personale pubblico transalpino, un fenomeno di fluidità delle frontiere proseguito nel corso di tutto il secolo carolingio141; una famiglia che possedeva un’abitazione entro le mura della civitas episcopale e vantava un legame economico profondo con il suo bacino pievano e con le circoscrizioni pievane limitrofe.

A quest’ultima annotazione si collega una questione topografica non irrilevante, che nell’erudizione primo-novecentesca è stata ingigantita fino a collegarsi ad altri problemi di identificazione: ci si riferisce alla localizzazione precisa della provenienza del padre di Ildegarda: dove si trova «loco asingo»? Per prima cosa, occorre sottolineare come in questo caso la soluzione più semplice potrebbe non essere la più affidabile. Infatti, la chiesa di Pagliate è dedicata proprio a San Pietro142 e compare in un altro fondamentale documento che lega Pagliate a Lumellogno: nel 985 Aupaldo donava alla canonica di

140 Infra cap. 2, paragrafo 2.1.3. Tra i personaggi più importanti a comparire in questo documento sono soprattutto i salici Wala e Ragimberto, padre e figlio viventi a Novara, e Ingone del fu Uberto di Gravellona (Lomellina), appartenente a una famiglia ̶ gli Ingonidi ̶ sul cui studio si baserà tutto il capitolo 2.1.

141 Come si vedrà bene anche dopo, la “legge dei nomi” non può mai essere presa come riferimento assoluto e “scientifico” vista l’estrema ripetitività e diffusione degli antroponimi altomedievali, ma certo può fornire delle suggestioni: in tal senso, soprattutto l’antroponimia della linea famigliare del marito di Ildegarda, induce a ritenerlo personaggio di rango elevato, forse di antica origine borgognona.

40 Santa Maria sia la chiesa di Sant’Ippolito di Lumellogno con una «corticula» nella sua villa, sia «omnia dotalia basilicae beati petri fundate in loco qui dicitur palliate» con tutte le relative appendici e pertinenze, probabilmente coincidenti con i beni donati da Ildegarda e Bernardo143. Tuttavia, la pur importantissima attestazione di un ulteriore salto di qualità nel vincolo che legava Pagliate ai canonici mariani, potrebbe non bastare alla sua identificazione con il «loco asingo qui dicitur sancto petro in silva».

Il 4 settembre 962 si tenne, nella sala maggiore del castrum di Mosezzo, un placito di importanza strategico-politica-patrimoniale determinante per gli assetti di più di un comitato144, che raccolse personaggi di spessore sovraregionale e le maggiori elite locali del basso Novarese; a quest’ultima categoria può riferirsi uno dei primi nominativi della lista di astanti: Goffredo «de sancto petro masingo». La provenienza riporta una sottile differenza tra «asingo» e «masingo», ma è chiaro che lo scarto è talmente ridotto da non poter inficiare la coincidenza con il padre di Ildegarda. Ciò conduce a un livello ulteriore: ancora oggi, imboccando la strada per Biandrate, si incontra a est di Novara prima il comune di San Pietro Mosezzo e poi l’omonima frazione di Mosezzo. Nell’alto Medioevo la situazione era opposta, con il castrum nell’odierna frazione centro propulsivo per la vicina Biandrina e, in generale per l’aristocrazia del Piemonte orientale, ma anche nel

locus nominato «Sancto Petro» esisteva già un altro castrum, da cui emerse a partire da

fine XI secolo l’importante famiglia capitaneale dei «de Sancto Petro»145. Se è ipotizzabile, ma assolutamente impossibile da comprovare, un legame parentale tra questi capitanei e la discendenza di Goffredo, sembra invece corretto identificare definitivamente «loco asingo» con questo San Pietro.

In passato era stata proposta un’identificazione alternativa e abbastanza fuorviante: Alessandro Colombo suggeriva nella sua edizione del Cartario di Vigevano un collegamento tra le due attestazioni di «asingo/masingo» e le due permute, sempre conservate nell’Archivio Capitolare di Novara146, effettuate nel 963 e 967 da Grauso arciprete della chiesa pievana di «vico masuvico» e custode della basilica di Sant’Ambrogio a Vigevano, che si trovava «sub regimine et potestate» della prima, con

143 Andenna, Andar per castelli, p. 227. Nel documento ̶ ASDN - FF - DCC/F, n. 6. Per il transunto vd. BSSS. 78, n. 93, p. 157 ̶ ricomparvero come sottoscrittori anche membri dei sopracitati Ingonidi, ma si approfondirà infra, p. 123.

144 ASDN - FF - DCC/F, n. 3. In dettaglio infra, pp. 169-170. 145 Andenna, Per un censimento dei castelli, p. 318.

146 ASDN - FF - DCC/L, n. 5 e 8. La seconda è rogata a Novara, forse per appartenenza del territorio di Vigevano alla diocesi gaudenziana.

41 personaggi influenti147 di Venticolonne presso Vigevano. Già Ferdinando Gabotto nell’edizione delle carte novaresi (BSSS. 78) identificava «masuvico» con Mosezzo, un’ipotesi non tanto innocente, dal momento che avrebbe presupposto il vincolo giuridico di un ente religioso di Vigevano a uno di Mosezzo, due aree piuttosto distanti tra loro, anche se appartenenti allo stesso territorio diocesano ̶ ma non allo stesso comitato ̶ e, come si vedrà, entrambe decisive negli equilibri socio-politici del Novarese. Soprattutto, pur essendo Mosezzo un’area piuttosto composita e frazionata a livello insediativo, il riferimento al nucleo principale, quello del castrum, non aveva mai deviato in modo così netto dalle forme «moxicio», «musicio». Colombo dissentiva sull’identificazione di «masuvico» con Mosezzo, preferendogli un vico bulgariense non troppo distante da Vigevano, ma dissentiva anche su quella dello stesso «masingo» con (San Pietro) Mosezzo: in sostanza, per lui entrambi i luoghi non coincidevano con Mosezzo, ma coincidevano tra loro. Egli sosteneva di leggere «masuvico» nella permuta del 963 e invece «masoinco» in quella del 967, una forma grafica che ben si adattava al San Pietro Masingo di Goffredo148. In realtà, la ricognizione d’archivio ha mostrato un piuttosto evidente «masuvico» per il 963 e «masovico» per il 967 e anche il modo in cui la posizione dei tratti delle lettere ha potuto ingannare il Colombo. Masovico (o Masvico) si deve correttamente situare in posizione prossimale alla basilica posta «sub regimine et potestate» della sua chiesa pievana, nell’area dell’odierna Gambolò149, ma non è legata in alcun modo ad Asingo, cioè San Pietro Mosezzo.

Ora che sono stati sciolti i dubbi sulla provenienza della famiglia di Ildegarda, è possibile riavvicinare l’ambiente sociale della Pagliate di metà X secolo a quello di XI, dal momento che le elite anche di alto livello appena viste godevano sì di notevoli possessi a Pagliate ma non vi erano originarie: provenivano invece da Novara e da un’area, come la “Mosezziana”, dove la presenza di alti ranghi era la prassi. È arrivato perciò il momento di calarsi in questa realtà di inizio XI secolo attraverso la sua peculiare documentazione locale.

147 Lo si nota dall’ubicazione delle terre scambiate, confinanti con un castrum, la vigna di uno iudex, delle vie pubbliche, ecc.

148 BSSS. 128, p. 23.

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