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Raccogliere un’eredità longobarda

Capitolo 2: Terre di “frontiera”

2.1.1. Raccogliere un’eredità longobarda

Questo capitolo si concentrerà su due regioni dalle caratteristiche simili ma declinate in maniera diversa: lo stesso concetto di regione non si applica su di esse secondo lo stesso approccio. La Bulgaria era infatti a tutti gli effetti una circoscrizione pubblica, seppur controversa e ambigua; la Biandrina è uno spazio geografico con una fisionomia morfologica, ambientale e antropica peculiare, fattori che tuttavia non hanno mai portato a una configurazione del territorio in senso politico-amministrativo. Anche la valutazione fatta a posteriori del loro “essere frontiera” va considerata per entrambe in una sfumatura anticonvenzionale del termine, ancora una volta per ragioni differenti: la Biandrina è una frontiera fisica, costituita dall’alveo capriccioso della Sesia e dal suo habitat, che separa le regioni storiche del Vercellese e del Novarese e quindi, nell’evolversi del tempo, diverse emanazioni territoriali laiche ed ecclesiastiche, non senza sconfinamenti di varia natura; la Bulgaria, per quanto in teoria centralissima nel Regno e parte attiva dello scudo protettivo al “ventre molle”388, era frontiera nel senso che il suo territorio fluttuava rispetto ai vicini distretti ed era malleabile all’intervento esterno (della capitale), trovandosi a metà strada tra due enti amministrativi sia dal punto di vista ecclesiastico, sia da quello pubblico. Ci si concentrerà su questa seconda regione, nella prima valva del capitolo.

Il comitato di Bulgaria è stato l’unico su cui si è sorvolato nel paragrafo riguardante il contesto amministrativo della Marca d’Ivrea, se non per l’accenno all’ipotesi del Cavanna sull’appartenenza di Novara; proprio allo studioso si deve l’unica, effettiva proposta monografica389 interamente incentrata sulle problematiche di questo sfuggente soggetto politico-territoriale, al quale per il resto la storiografia secondo-novecentesca si è riferita soltanto in brevi accenni o come tassello di un discorso più ampio. Si tratta di uno studio

388 Supra, p. 28.

89 piuttosto datato, eppure ancora in grado di offrire spunti di riflessione e stimoli di revisione. D’altro canto, non è soltanto la sua proposta di vedere in Novara il capoluogo di un comitato che il silenzio delle fonti ha indirettamente reso acefalo, né la comune appartenenza alla Marca di Ivrea390, a legare la storia di un territorio in gran parte lombardo alle sorti del Piemonte orientale: la maggior parte del comitato, infatti, era situato entro i confini della diocesi di Novara e la quasi totalità delle informazioni ̶ quantomeno altomedievali ̶ sulla Bulgaria provengono, non a caso, dalle carte del capitolo cattedrale di Santa Maria.

Perché si chiama Bulgaria? Per lungo tempo l’erudizione di inizio secolo non ha avuto dubbi nel ricondurre la risposta al celebre passo di Paolo Diacono, secondo cui le schiere longobarde di Alboino, penetrate in Italia dal Friuli, avrebbero avuto al loro seguito truppo ausiliarie di altri popoli sottomessi e ormai alleati, quali Sarmati, Suevi, Norici, Gepidi e appunto Bulgari (detti «Vulgares»)391; non ci si preoccupò della possibilità che non fosse stata la toponomastica locale a risentire della presenza di nuovi protagonisti, ma invece il racconto di Paolo Diacono a risentire della toponomastica.

Se si ammettesse la versione tradizionale di una Bulgaria affidata in termini di

hospitalitas a un popolo che aveva servito fedelmente i primi re longobardi e sul cui

talento bellico si sarebbe basata la motivazione di porli in prossimità della capitale per un’efficace difesa da calate nemiche, si dovrebbe ampliare la spiegazione a numerosi centri dell’Italia padana dalla simile etimologia posti anche al di fuori del comitato (eventualmente) etnonimo392, implicando un quantitativo di truppe ausiliarie bulgare fuori scala, tale da rimettere in discussione anche i rapporti di forza interni all’esercito guidato da Alboino393.

Vi sarebbe una spiegazione più economica: non ci si riferisce certo alla fantasiosa etimologia derivata da un territorio costellato da ampie brughiere, bensì alla vecchia ipotesi di Giandomenico Serra di considerare alla base termini quali burgus o burgulus, col

390 La quale forse ̶ e sarebbe una considerazione assai problematica, ma solo se si insiste a dare un valore amministrativo-istituzionale ad ogni riferimento territoriale di questi secoli ̶ non comprendeva l’intero territorio del comitato: Sergi, Il declino del potere, p. 477.

391 Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 26, ed. G. Waitz, Hannover, 1978. I Gepidi, tra l’altro, sono all’origine secondo la tradizione di un altro toponimo inserito nel territorio della Bulgaria: «Vico Gepuin»/«Vico Gebuin», ovverosia Vigevano.

392 Tra i quali si ha un efficace esempio tra le località sull’Adda e nel bergamasco rivendicate da Riccardo e Waldrada nel diploma del 15 gennaio 998 con «Villa Bulgari» (forse Villa d’Adda) e «Bulgaro» (Bolgare): Casirani, op. cit., p. 35.

90 significato altomedievale di piccolo castello; la dicitura alternativa Burgaria starebbe proprio ad indicare «un distretto territoriale munito di borghi per la difesa militare»; burgi molto probabilmente preesistenti alla calata longobarda fin dal periodo delle guerre greco-gotiche394. Questa spiegazione si incastrerebbe a dovere con la constatazione di un’altra fascia di castra395 ̶ aggiunta in epoca successiva ̶ contermine alla Bulgaria e continua fino a Vercelli: un apparato difensivo di notevole estensione sovrastante l’altrettanto vasto complesso forestale regio. In questi termini, lo “scudo” avrebbe protetto sia il ventre molle, sia l’ossatura economica del Regno.

Tuttavia, al di là di quale risulti più elegante, entrambe le narrazioni presentano numerose controindicazioni: si è accennato a quelle legate alla classica derivazione etnica del toponimo, ma anche l’ipotesi del Serra è stata negli ultimi anni fortemente ridimensionata. Oltre ad essere stata messa in discussione dal punto di vista linguistico caso per caso, la stessa natura castellana e fortemente proiettata alla difesa non è stata per ora confermata dalla ricerca, né il termine burgus sembra aver assunto connotazione fortificatoria in area linguistica romanza prima del X secolo, al contrario che nelle regioni germaniche396. Non a caso, i nomi che effettivamente si può riconoscere derivanti da

burgus non si riscontrano precedentemente al X secolo, mentre quelli con antica radice «-

bulg» sono quasi tutti anteriori all’età comunale397. Inoltre, il termine “bulgaro” avrebbe potuto essere usato in senso lato come sinonimo di “balcanico”, comprendendo altre popolazioni arrivate assieme ad Alboino e rendendo più accettabile il quantitativo di toponimi attestati nel X secolo. D’altronde, che contingenti di proto-bulgari fossero giunti in Italia al seguito del generale bizantino Narsete anche prima della calata longobarda, è un fatto accertato che rende scorretto tacciare di scarsa affidabilità tutti i rimandi toponomastici all’etnia bulgara nell’Italia tardoantica e altomedievale: si dovrà invece valutare caso per caso398, per quanto questo costringa a rimettere in discussione l’essenza stessa del comitato bulgariense.

394 Cfr. E. Riboldi, I contadi rurali del milanese (sec. IX-XII), in «Archivio storico lombardo», 31, Milano, 1904, pp. 204-302: 278; G. Serra, Contributo alla storia dei derivati di “burgus”, in «Filologia romanza», 5, 1958, pp. 1-48: citaz. da p. 26; Cavanna, op. cit., p. 410.

395 Infra, cap. 3, paragrafo 3.1.2. 396 Settia, Castelli e villaggi, p. 316.

397 A. Vlaevska-Stantcheva, Storia di un problema storiografico: a proposito delle orme (proto)bulgare in

Italia tra leggenda e memoria storica, in «Études balkaniques», 52, 2016, pp. 722-771: 750.

398 Vlaevska-Stantcheva, op. cit., p. 765. La studiosa non si sbilancia sull’origine della denominazione di un «comitato bulgaro» per mancanza di «testimonianze più concrete», sebbene la sua netta preferenza per

91 La disputa sull’origine non risulta né superflua né di secondaria importanza, dal momento che struttura, originalità e funzione di questa circoscrizione territoriale sono strettamente collegate ai suoi esordi. Lo credeva fortemente il Cavanna, secondo cui la natura difensiva del territorio bulgariense ̶ e, in parte, di quello lomellino ̶ si rivelava ancora più accentuata dall’appartenenza al fisco regio di molte sue aree, evidenziate già dal Darmstädter399. Un fattore che avrebbe permesso l’affermarsi di uno stabile circuito di redistribuzione e incameramento, variabile a seconda delle necessità: le terre fiscali potevano essere utilizzate per ricompensare di ufficiali e agenti pubblici meritevoli ma, allo stesso tempo, avocate rapidamente alla diretta tutela della corona per emergenze di sorta. La circoscrizione bulgariense si sarebbe quindi formata in epoca longobarda, riunendo entro i suoi confini terra confiscata durante la prima fase dell’invasione dai ducati finitimi o da quelli ribelli come nella vicenda del duca Mimulfo: ne sarebbe emerso un distretto geograficamente nuovo, risultato della politica territoriale longobarda di scorporazione e ricomposizione di vecchie circoscrizioni municipali-diocesane dove probabilmente vennero stanziati gruppi di alleati gepidi o proto-bulgari400. Non è quindi per forza di cose da escludere che entrambe le ipotesi sull’origine della Bulgaria abbiano un fondo di verità: anche se fino ad oggi il dato archeologico porta ad essere cauti, l’essenza prevalentemente difensiva401 della Bulgaria potrebbe essere stata alimentata dalla delega territoriale a nuovi venuti dai Balcani.

Ciò che è fuor di dubbio è la constatazione che la Bulgaria mantenne sempre una profonda anima longobarda ̶ a prescindere da quanto ampia possa essere stata l’immissione di elementi proto-bulgari ̶ che resistette senza particolari rivolgimenti anche dopo la conquista franca: come già il Cavanna sottolineava, uno spoglio sistematico delle carte conservate dal capitolo novarese riguardanti le aree indubitabilmente bulgariensi mostra una percentuale predominante ̶ bulgara! ̶ di professio legis longobarda, con tutte le altre possibilità estremamente rare ancora per tutto il X e parte

una spiegazione di natura etnica, a conferma dello stanziamento suggerito dal passo di Paolo Diacono, sia piuttosto palese, sulla scia degli studi critici ̶ coevi a quelli del Serra ̶ di Ivan Petkanov: Ivi, p. 755.

399 P. Darmstädter, Das Reichsgut in der Lombardei und Piemont: (568-1250), Strasburgo, 1896, pp. 193-196; per una lista delle attestazioni fiscali riguardanti Bulgaria (in particolare l’area del Vigevanasco) e città di Novara, che l’autore vede assolutamente legata al comitato in questione: Cavanna, op. cit., pp. 86-98. 400 Cavanna, op. cit., p. 42.

401 Degno di nota il fatto che, stando a Paolo Diacono, i Longobardi giunsero a Pavia non dalla più comune via orientale, ma «ab occidentali parte» (Historia Langobardorum, II, 26): sembra quindi che, dopo la presa di Milano, abbiano attaccato la città ticinense attraversando i territori della futura Bulgaria. Nessuno meglio di loro poteva conoscere l’importanza di difendere il fianco occidentale della capitale.

92 dell’XI secolo402. È singolare constatare come le elite franche non avessero raggiunto il minimo livello di radicamento in un’area, si è visto, ben fornita di complessi fondiari fiscali. La stessa toponomastica, d’altronde, rimanda continuamente all’occupazione longobarda: proprio alle numerose tracce di termini quali «schaldasolem» andrebbe ricondotta una sorta di partizione territoriale interna del comitato in sculdasce, permettendo di riconoscere quali stanziamenti militari si assestarono definitivamente tempo dopo i primi decenni di invasione, fissandosi in una stabile trama amministrativa del territorio403.

Se è abbastanza chiaro dalla disamina finora condotta ̶ e ancora ci sarà da dire ̶ perché la Bulgaria sia a tutti gli effetti un enigma storiografico, va meglio specificato il significato di “frontiera” ad essa attribuito: innanzitutto, caratteristiche ambientali precise, ovvero quella “specificità di fiume” a cui già si è accennato404, dovuta a un instabile ambiente fluviale ̶ in questo caso il Ticino ̶ soggetto a piene, esondazioni e derivazioni acquitrinose che rendono particolarmente transitori i confini405 la accomuna perfettamente alla Biandrina. Certo, per un organismo amministrativo politico, la precarietà dei confini presuppone problematiche e interrogativi di diversa scala, ma va ripreso in proposito l’auspicio, di cui già ci si è serviti, a non applicare parallelismi troppo profondi tra i significati della territorialità politica altomedievale406 e quelli di epoche successive (o pure precedenti). Tanto più che le ragioni della precarietà territoriale della Bulgaria, ancora non del tutto chiariti, hanno solo poco a che fare con l’ambiente fisico e molto di più con le dinamiche politiche.

È il momento di provare a capire quali fossero i confini della circoscrizione, come siano evoluti nel tempo e quali territori ne furono compresi, in modo stabile o momentaneo. Già Sergi individuava come «elemento qualificante» dello studio del Cavanna il monito a considerare bulgariensi territori su entrambe le sponde del Ticino407, superando una volta per tutte l’ossessione per una distrettuazione o esclusivamente “novarese” o soltanto “pavese-milanese”: la Bulgaria, infatti, fa dell’appoggio a due

402 Cavanna, op. cit., p. 76.

403 Ivi, p. 144; p. 380. È presente anche a Novara, stando alle Consignationes trecentesche, una «Turrem de Scaldasole»: Motta, op. cit., p. 215.

404 Supra, p. 9.

405 Cavanna, op. cit., pp. 38-39.

406 Di nuovo, a tal proposito, vd. : Lazzari, La creazione di un territorio. 407 Sergi, Il declino del potere, p. 477.

93 diversi punti di riferimento il carattere precipuo della sua essenza “di frontiera”, dal punto di vista geografico, amministrativo ed ecclesiastico.

Perciò, vanno considerate teste di ponte sulla sponda orientale del Ticino le aree di Morimondo, Casorate e probabilmente Abbiategrasso, confinanti con i grandi comitati milanese e pavese. Il confine meridionale è chiaro dal punto di vista dell’ente finitimo, ovvero il comitato di Lomello, un po’ meno riguardo all’altezza del suo passaggio, che dovrebbe comunque attestarsi intorno alla linea che unisce Mortara a Garlasco, passando attraverso Tromello, coincidente secondo il Bruhl con la curtis regia detta «tronibal» del

Tafelgüterverzeichnis des römischen Königs, identificazione che ha suscitato più di una

perplessità408.

Problematici risultano, invece, gli altri due punti cardinali. L’ovest è infatti la direzione che punta al Novarese, dove è fuor di dubbio che la Bulgaria comprendesse dei territori: lo si è già visto nel testamento di Angelberga409, con la donazione delle curtes di Trecate e Brunago, ovvero l’odierna cascina Bornago nei pressi di Cameri, al monastero piacentino di San Sisto410. Sozzago, Tornaco, Vespolate, Borgolavezzaro, Albonese, Cerano ̶ quest’ultima quasi sicuramente ̶ , erano altri centri demici oggi nella provincia di Novara e all’epoca o inseriti nella Bulgaria o immediatamente al confine; ma dal momento che Nibbiola411, Terdobbiate, Cameri, Galliate e Pernate412 a inizio X secolo erano sicuramente appartenenti al comitato plumbiense, ciò significa che non solo l’ipotesi del Cavanna di una Novara bulgariense è un vicolo cieco, ma anche che Trecate «doveva essere la punta più avanzata del comitato» verso nord-ovest413.

Il sud-ovest, invece, presenta altre difficoltà. A parte quella del Cavanna, infatti, un’altra tradizionale risposta alla domanda sul castrum di riferimento della circoscrizione seguiva un filo logico molto semplice: della Bulgaria non poteva che essere capoluogo Bulgaro, ovvero il nome che per secoli ha contraddistinto Borgovercelli e la sua stirpe aristocratica di riferimento414. Raramente si è messa in discussione non tanto il suo ruolo di sede distrettuale, ma l’appartenenze stessa al comitato: si è visto, infatti, che sono

408 R. Bordone, L’enigmatico elenco dei beni fiscali in Lombardia al tempo di Federico Barbarossa. Alcune

proposte interpretative, in Studi sul Medioevo per Andrea Castagnetti, Bologna, 2011, pp. 59-74: 72.

409 Supra, p. 20.

410 Colombo, BSSS. 128, n. 3, pp. 5-8. 411 BSSS. 78, n. 34, pp. 48-49. 412 BSSS. 78, n. 33, pp. 46-47.

413 Sergi, Movimento signorile, citaz. da p. 191.

94 piuttosto comuni gli etnonimi di derivazione o pseudoderivazione balcanica in Pianura Padana, perciò può non esserci un legame assoluto e incontestabile con il comitato. I problemi sono tutti di natura territoriale: considerando i vici al confine settentrionale che sappiamo per certo essere plumbiensi e la vicinanza a sud di luoghi altrettanto sicuramente lomellini come Rosasco, Zeme o Candia e la presenza del comitato vercellese appena oltre la Sesia, è chiaro che la striscia di territorio che avrebbe dovuto unire la Bulgaria “certa” a Bulgaro sarebbe stata molto sottile ̶ forse incentrata su Robbio? ̶ , assumendo una forma paragonabile all’Austria post-Versailles, con l’aggravante che, secondo alcuni, quel castrum doveva costituire il centro direzionale di un territorio tutto spostato a est e ad esso collegato attraverso uno strettissimo canale. Senza contare che una sistemazione di questo genere avrebbe reso contemporaneamente sia Vercelli sia Bulgaro, che distano tra loro meno di sette chilometri ̶ anche se con il significativo passaggio del fiume ̶ , delle “capitali di confine”, fenomeno che allargando lo sguardo a Novara, Pombia e Angera/Stazzona richiederebbe un’attenta rilettura della storia insediativa e amministrativa di tutto il Piemonte orientale altomedievale.

È vero, però, che l’eventuale canale di collegamento con la Biandrina non sarebbe stato l’unico tentacolo di piovra a incunearsi dalla Bulgaria verso altri comitati: a nord, infatti, il confine con l’altra circoscrizione rurale-castrense del Seprio è evidente, ma considerando Cameri legata al comitato di Pombia e il Ticino come confine per il Seprio, si vede con l’attestazione della curtis di Bornago afferente alla Bulgaria come quest’ultima avesse una punta settentrionale inserita tra gli altri due comitati lambiti dal Ticino; punta destinata a non durare nel tempo, come si osserva nei riferimenti documentari a noi già ben noti su Bornago. Se infatti nel testamento di Angelberga esso era stato inserito assieme a Trecate nella Bulgaria, va ricordato come, quasi un secolo e mezzo più tardi, fosse stata rogata nel porto della stessa località la carta di vendita da parte di Riccardo e Waldrada del distretto e teloneo di Lumellogno pertinenti a Cavalli Regis: l’atto si svolse nel comitato del Seprio alla presenza del già citato comes del Seprio Wifredo. Vi sono due soluzioni possibili a questa discordanza: o immaginare che il porto e la curtis non fossero limitrofi e, di conseguenza, dal momento che Cameri era plumbiense, che questa sorta di “Four Corners” altomedievale fosse un punto di convergenza di ben tre comitati; o che

95 invece, in quel lasso di tempo comunque non minimo, la distrettuazione fosse stata modificata415.

Può essere questa, in effetti, una dimostrazione abbastanza tangibile della fluidità e oscillazione a cui andavano incontro i comitati della regione e, in particolare, quello di Bulgaria: la probabile diminutio territoriale va forse letta nell’ottica di una più vasta rielaborazione amministrativa attiva fin dall’epoca ottoniana416. Non a caso, si diradano del tutto durante l’XI secolo le attestazioni del comitato bulgariense, mentre sono ancora ben presenti quelle riguardanti Seprio e Lomello: in questa fase sarebbero state in ascesa ̶ o erano prossime a nascere, come nel caso di Novara ̶ le circoscrizioni coincidenti con una sede diocesana a discapito di quelle castrensi417. Lomello, ad esempio, avrebbe fatto un salto di qualità con l’assimilazione del comitato pavese418 non solo per il notevole ampliamento territoriale e l’aggiunta della capitale del regno, ma anche per aver acquisito una sede episcopale di cui prima il suo territorio era sprovvisto. Come contrappasso dell’exploit lomellino, viene da pensare a un restringimento bulgariense seguito alla perdita della sua funzione primaria, cioè quella difensiva, che la capitale ormai traeva altrove; ancor più valida sarebbe l’ipotesi, se davvero i principali esponenti aristocratici del Vigevanasco risultassero comprovati fautori arduinici419.

In ogni caso, ciò che è emerso finora e che le carte dimostrano fuor di ogni dubbio è il riconoscimento dell’area centrale della Bulgaria nel territorio di Vigevano. Converrà, perciò, cercare a quelle latitudini il capoluogo del comitato.

Per prima cosa, è importante sottolineare come Vigevano fosse circondata a quest’altezza cronologica da una vera e propria “cintura” di località prediali e di vici, alcuni dei quali molto più antichi dello stesso nucleo attorno al quale ormai iniziavano ad orbitare. In effetti, anche sull’origine linguistica di questo toponimo è sorto un dibattito che chiama in causa diverse ipotesi anche per l’epoca di nascita dell’insediamento: le proposte erudite di identificarlo come vicus dei Libui, fondatori di Vercelli per Plinio il Vecchio o dei i Liguri Levi, fondatori di Pavia per Tito Livio, oppure dei Gepidi, insistendo

415 Va comunque tenuto presente che le curtes fiscali in molti casi erano eccettuate dalla giurisdizione degli ufficiali pubblici in quanto direttamente collegate alla corte: ciò poteva rendere i riferimenti geografici documentari assai instabili poiché mancavano di un effettivo significato amministrativo, essendo tali curtes “al di sopra” della distrettuazione comitale.

416 Sergi, Movimento signorile, p. 191; Id., Il declino del potere, p. 478. 417 Sergi, I confini del potere, p. 187.

418 Supra, p. 33.

96 su un’altra delle tribù ausiliarie all’esercito longobardo, sono state accantonate in primo luogo per l’inconsistenza dei passaggi fonetici, mentre è rimasta viva l’ipotesi del Cavanna di non considerare Vigevano come esistente già in età romana ̶ d’altronde il dato archeologico muove in questa direzione ̶ e di vedere nella più antica forma di X secolo «vico Gebuin» un banalissimo rimando all’antroponimo di qualche sculdhais o gastaldo di