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Un circuito di castra tra Biandrina e Bulgaria

Genealogia ingonide alternativa:

Capitolo 3: gli snodi del potere

3.1.2. Un circuito di castra tra Biandrina e Bulgaria

«I castelli non rappresentano un elemento fisso e immutabile del paesaggio medievale: dobbiamo invece parlare di reti mobili, con processi di incastellamento e decastellamento piuttosto rapidi»814 e di rado provocati da vicende belliche ̶ come, ma anche in questo caso non sono assenti moventi socio-economici strutturali, con le invasioni ungare di inizio X secolo ̶ , quanto più dai normali stadi evolutivi del tessuto insediativo e demografico di un territorio, oltre a indirizzi politici regionali capaci di influire sull’attrattività di strutture la cui manutenzione imponeva sacrifici economici considerevoli815. Quando tali indirizzi erano stabili, i castelli si tramutavano in centri catalizzatori di lungo corso, dai quali soprattutto a partire dall’XI secolo ̶ i decenni in cui

castrum e curtis domocoltile stavano invertendo i loro ruoli ̶ si irradiavano coni di

coordinamento e supremazia territoriale sempre più vasti e omogenei.

813 Bordone, I visconti cittadini, p. 392.

814 L. Provero, L’Italia dei poteri locali. Secoli X-XII, Roma, 1998, citaz. da p. 65. 815 Ibid.

180 Certo, i castelli erano appunto “mobili” e soggetti nella maggior parte dei luoghi a implacabile concorrenza, costituita anche da quei “satelliti” nati in un primo momento per attrazione politico-economica o per processi imitativi di poli particolarmente favoriti: è il caso di Mosezzo, il cui prestigio fu soppiantato in poco tempo dalla costruzione del

castrum di Biandrate, che si inserì tra le crepe di un declino attrattivo cominciato già in

precedenza. Infatti, si può immaginare anche un processo inverso, in cui i conti di Pombia scelsero Biandrate proprio per la fase di crepuscolo della centralità di Mosezzo, testimoniata dal disimpegno aristocratico in favore del capitolo novarese. E, dopotutto, la stessa Mosezzo doveva aver approfittato di un simile avvicendamento nei confronti della residenza vicecomitale Casaleggio, oltre un secolo prima.

Vi era quindi una fascia di castra nella Biandrina, per lo più derivata dalla fortificazione dei vari casali disseminati che spuntavano a macchia di leopardo già nella prima metà di X secolo, e ve ne era una anche presso l’altro confine longitudinale del comitato di Pombia, l’area di Gravellona Lomellina che anticipava a sua volta la cintura prediale di Vigevano. A collegare virtualmente le due fasce ve ne era una terza, simile per conformazione alla struttura a grappolo di Vigevano ̶ ma con la significativa differenza che Vigevano era un centro più recente di alcuni “satelliti” come Venticolonne e doveva aver iniziato la sua parabola storica da satellite anch’esso, mentre Mosezzo era stato il motore di sviluppo della sua area, per quanto non il primo dell’intera Biandrina- Mosezziana ̶ , che circondava Mosezzo e da cui partiva un ulteriore strascico che possiamo individuare lungo la piana basso-novarese al confine meridionale del comitato plumbiense, fino a collegarsi alla stessa Bulgaria.

La forma geometrica riscontrabile su una cartina geografica per i binomi Biandrina- Mosezzo e Bulgaria occidentale-Vigevano è molto simile e si può rielaborare secondo un’evocativa similitudine astronomica, dove le regioni che costeggiano la Sesia e il confine bulgariense sono una sorta di arco di circonferenza della fascia principale di asteroidi del Sistema Solare ̶ separa all’altezza di Marte e Giove il sistema solare interno e i pianeti di tipo terrestre da quello esterno dei giganti gassosi ̶ , mentre Mosezzo e Vigevano rappresentano Giove con i suoi molti satelliti, alcuni così grandi e luminosi che sarebbero visibili anche ad occhio nudo senza l’ingombrante presenza del pianeta.

Dunque, la cintura satellitare di Mosezzo inserita nel suo stesso piviere comprendeva Vicolungo, Carpenedo, Wachingo, Obbiate, Cesto, San Pietro e forse «meecia» ̶ ammesso

181 che non fosse la stessa Mosezzo ̶ , mentre scendendo in direzione sud-est fino a raggiungere la Bulgaria si incontrava una lunga scia di vici o semplici loci, la maggior parte dei quali in momenti diversi di questi secoli vissero parentesi di incastellamento: nell’ordine Gionzana, Casalgiate, Ponzana, Cameriano, Lumellogno, Pagliate, Monticello, Granozzo, Nibbiola, Terdobbiate, Tornaco, Astalo, Vespolate, Stoccarda vecchia e nuova, Ponella, Robbio, con più a nord di Terdobbiate l’importantissima Olengo e più a ovest di Robbio Palestro, Confienza, Vinzaglio, Casalino, «Puningum» e Orfengo. Non ci si potrà concentrare sul milieu sociale di tutte queste località, ma solo di alcune particolarmente significative dal punto di vista documentario e da quello dei legami con le famiglie eminenti del Piemonte orientale e degli enti ecclesiastici novaresi816.

Vicolungo, Wachingo, Obbiate, Carpenedo817, «meecia» sono già emerse nelle carte della serie documentaria che potremmo definire “principale” per quanto riguarda la storia di Mosezzo, San Pietro invece dovrebbe corrispondere al «loco asingo» citato nella vendita del maggio 946818. Per quanto riguarda Cesto, la donazione del vescovo Adalgiso alla canonica di San Gaudenzio non è l’unica menzione importante che lo riguarda: nella permuta del 29 marzo 1000, oltre alle vigne a Pagliate e Lumellogno che il vescovo Pietro riceveva dal diacono Teuperto ve ne era una anche a Cesto che si trovava «a loco ubi dicitur ronco teofanu»819. Data la rarità di un toponimo o anche di un antroponimo di questo genere in Italia settentrionale ̶ essendo di etimologia greca ̶ , è più che plausibile un rimando all’imperatrice bizantina Teofano, moglie di Ottone II di Sassonia morta solo pochi anni prima, alla quale la vigna sarebbe stata dedicata forse in virtù di una provenienza fiscale.

Fra i centri emergenti del potenziale tessuto connettivo tra Biandrina/Mosezzo e Bulgaria/Vigevano vi è sicuramente Vespolate, il cui toponimo compare per la prima volta nel 989 in occasione di una vendita della figlia dell’ingonide Arderico, cosa che induce a sospettare che anche il «castrum arderici» menzionato nel 975 possa trovarsi in

816 Il rimando, per una prima schedatura introduttiva, è sempre: G. Andenna, Andar per castelli. Da Novara

tutto intorno, Torino, 1982.

817 Un Carpanedo era già presente nella permuta non datata del vescovo Daiberto con Ildeprando ̶ supra, p. 75 ̶ per terra nel fondo di Isarno: fosse lo stesso, bisognerebbe presumere che la località prediale si trovasse a nord-est di Mosezzo, dal momento che Isarno è vicinissimo a Caltignaga, a nord di Novara. 818 Supra, pp. 38 e sgg.

182 prossimità di Vespolate e di Stoccarda sull’Agogna820. Tuttavia, nel diploma di Costanza del 1025, per quanto è verosimile riconoscere in Ribaldo un ingonide, il passo «et cortem de gravidona cum corte de vespolate cum utrisque portionibus huberti atque hugonis et castrum de vuilingo et de cureio cum pertinentiis eorum» riporta significativamente la

curtis di Vespolate accomunata alla roccaforte ingonide di Gravellona Lomellina, ma ne

indica un possesso condiviso dal comes Uberto Rufo e dal fratello dell’arcidiacono Bruningo Ugo del fu Wala821, tanto che i successivi castelli di Olengo e Cureggio sono chiare menzioni al patrimonio dei Pombia822. Il che conduce a due ipotesi: o gli Ingonidi si erano assicurati terre e forse castelli nel fondo agricolo di Vespolate ma non la sua curtis domocoltile, o invece i Pombia ne vennero in possesso mediante transazioni con il gruppo famigliare bulgariense poco dopo la vendita della figlia di Arderico, mostrando come la crisi o lo spostamento di interessi ingonide fossero già in atto prima degli anni di Arduino823. Ciò sarebbe confermato dalla vicinanza della curtis di Gravellona ai possessi dei Pombia nel passo del diploma e dalla constatazione che altre famiglie come gli stessi Pombia o i Casalvolone, dichiaratamente filo-arduiniche, non solo non scomparvero a seguito del ristabilimento dell’ordine, ma non furono neppure intaccate da confische imperiali che, nella maggior parte dei casi, rimasero su carta.

Vespolate e Stoccarda si presentano ancora saldamente nelle mani dei conti in documenti fondamentali per la storia politico-istituzionale del Novarese altomedievale. Ad esempio, si è citato fin dalle prime pagine824 l’ultimo riferimento in senso ancora circoscrizionale dell’ufficio comitale plumbiense risalente al 1034: è il momento di stabilire con precisione i termini dell’atto. Si tratta in realtà di una doppia permuta825, poiché i beni scambiati vengono suddivisi in quote tra i vari membri della famiglia,

820 Supra, pp. 116. Va tenuta però presente la vendita del 902 di Vespelado di Olengo a Mandelberto detto Abo sempre di Olengo di beni ivi locati: ASDN - FF - DCC/Q, n. 3. L’antroponimo potrebbe rivelarsi una sorta di detoponimico indiretto, data la vicinanza (8 km) tra Olengo e Vespolate, ma potrebbe anche semplicemente riferirsi a un’ampia diffusione dell’albero da frutto nella piana basso-novarese. Il toponimo è infatti un fitotoponimo, derivato da «nespoletum»: Andenna, Andar per castelli, p. 260.

821 Supra, pp. 116-117; p. 124.

822 Andenna, Andar per castelli, p. 453.

823 Vi sarebbe anche la possibilità di una via matrimoniale. Infatti supra, p. 108 si ricordava come la diversa nazionalità tra Ribaldo e i “da Pombia” impedisse un’appartenenza del primo alla futura dinastia tripartita; Andenna ̶ Nobiltà e clero, p. 36 ̶ indica come escamotage per superare la discordanza una possibile parentela per parte femminile all’Uberto del diploma del 1025: seguendo tale congettura, allora perché non supporre delle nozze che avrebbero unito un membro femminile dei da Pombia ad uno maschile ingonide? 824 Supra, p. 24.

825 L. A. Muratori, Antiquitates italicae medii aevi. Tomus secundus, p. 271 per la prima; Id., Antiquitates

183 mostrando un’anticipazione della successiva divisione che, per la verità, non si era ancora concretizzata qualche anno dopo alla fondazione dell’abbazia di San Nazzaro826; una doppia permuta rogata proprio a Stoccarda (vecchia) presso Vespolate827, in cui Rodolfo abate di Nonantola recuperava la grande curtis di Wilzacara nel comitato di Modena e relative pertinenze emiliane in cambio di una settantina di villaggi828 sparsi soprattutto nella Marca di Torino con 1500 iugeri complessivi di pertinenze, suddividendo il tutto per tre parti a Guido comes del comitato di Pombia, Riprando chierico della chiesa pavese e futuro vescovo di Novara e membro della cappella imperiale e Guido e Ottone loro nipoti figli del già defunto Uberto II e la quarta ad Adalberto comes progenitore dei “da Castello” e sua moglie Sofia figlia del comes Aldeurando829.

Si trattava di un preciso sviluppo in senso regionalistico-signorile della politica dei conti di Pombia, che dall’areale delle nuove acquisizioni dimostravano comunque di mantenere molti interessi al di fuori del proprio comitato di appartenenza e di essere in rapporti con gli Arduinici (compreso il ramo secondario dei futuri marchesi di Romagnano)830: tra i villaggi spiccavano in effetti Carmagnola, Rivoli, Rivalta, Govone, Gabiano, Racconigi e diversi nel Chierese, ma anche il ritorno di Sulcia ̶ presso quella che un tempo era l’omonima foresta regia ̶ , confiscata pochi anni prima831.

826 Supra, p. 139.

827 Andenna, Andar per castelli, p. 260. L’ubicazione del primo atto è in realtà dedotta dalla contemporaneità con il secondo, poiché a differenza di questo non è segnalata. In generale, il riconoscimento nel sicuro possesso dei conti di Pombia rispetto a quella Stoccarda «de episcopatu torinensi» del documento del 1065 ̶ supra, p. 177 ̶ , malgrado si riferiscano al Torinese e non al Novarese le acquisizioni nella carta, tra cui la stessa Rivalta nel cui castrum venne rogata ̶ supra, p. 174 ̶ la vendita del 1062 della seconda metà del castrum di Mosezzo da parte di Adelaide di Susa, è dovuto proprio alla specifica della funzione pubblica nel comitato di Pombia per Guido comes. Infatti, di nuovo in Id., Alcune

osservazioni, pp. 46-48, si smentisce una possibile identificazione con Stoccarda/Stoerda presso Testona,

nell’area di Moncalieri e con Stoccarda presso Poirino; in tutte e tre le località omonime, comunque, i conti di Pombia avevano possessi.

828 Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche, p. 220.

829 Figura non identificata, il cui nome potrebbe essere una forma alternativa del più comune Aldebrando/Ildebrando.

830 Settia ha proposto addirittura legami matrimoniali, a formare una casata denominata “Torino-Pombia”: A. Settia, Santa Maria di Vezzolano. Una formazione signorile nell’età della riforma ecclesiastica, Torino, 1975, pp. 175-179. Tuttavia, le premesse secondo cui questo legame porterebbe a una connessione tra Anscarici, a cui sarebbe appartenuto anche Arduino di Ivrea, e Arduinici di Torino sono oggi, se non ritenute impossibili, comunque messe fortemente in discussione: cfr. Infra, pp. 228 e sgg.; Sergi, I confini del potere, pp. 194-210.

831 Un quadro geografico più preciso sui villaggi in: A. Settia, I possessi nonantolani in Piemonte, un

equivoco di ordine toponomastico e la pretesa esistenza di un eremo benedettino a Vezzolano, in «Bollettino

storico-bibliografico subalpino», 65, 1967, pp. 357-396. Tra di essi anche il Mons Iovis presso Pecetto Torinese, da non confondere con il futuro passo del Gran San Bernardo all’epoca omonimo: Settia, Santa

184 Il nocciolo tematico racchiuso dal documento è però il tragitto con cui Wilzacara giunse nella disponibilità dei conti di Pombia, i quali se ne servirono come di un jolly per attuare la loro espansione nel Piemonte occidentale, sapendo che si trattava di un frutto troppo maturo per non suscitare l’interesse del più importante complesso monastico della regione emiliana. Si è visto come il passaggio della curtis al vasso imperiale Riprando figlio di Ilderado di Basilicaduce ̶ alla presenza dei grandi del regno come Milone, Arduino il Glabro, Aleramo ̶ abbia sancito l’avvicendamento tra Ugo di Arles e Berengario II: si tratta quindi di un nucleo fiscale di grande importanza e molto studiato soprattutto per l’iniziale inserimento nell’allodialità anscarica sotto Adalberto, che permise a Berengario di ottenerla per tramite ereditario832. Un successivo passaggio della curtis sarebbe teoricamente quello ai canonici di Parma solo tre anni dopo, su istanza di Attone di Vercelli, ma in realtà è verosimile che il passo del diploma in questione sia stato interpolato e che Wilzacara sia rimasta nelle mani di Riprando833.

Questa figura appartiene alla famiglia dei Gandolfingi, che iniziò ad acquisire una prima identità dinastica proprio grazie al progetto politico di Riprando: per questo sarebbe forse meglio parlare, al di là della prevalenza dell’antroponimo Gandolfo, di Riprandingi o Riprandini conti di Aucia e Piacenza834.

Malgrado dovesse la stessa Wilzacara a Berengario II, Riprando appoggiò precocemente l’imperatore sassone in qualità di misso e poi conte e, non a caso, si ritrova uno dei suoi figli Gandolfo a sostituire il manfredingo Elrico alla carica comitale di Verona: con i discendenti di questo, comunque, la dinastia piacentina dovette entrare in contatto ̶ si ricordi che Elrico si era trasferito in pianta stabile a Verona almeno dal 969 ̶ generando una sorta di alternanza che proseguì per diversi decenni fino al ritorno definitivo dell’affermazione dei San Bonifacio discendenti di Milone ed Elrico835. Da un altro figlio di Riprando, Lanfranco comes, e dalla moglie Berta del fu Adalberto marchio obertengo discende una bisnipote di nome Imilga che si unì in matrimonio a Uberto Rufo comes da

832 P. Bonacini, La corte di Vilzacara all’incrocio tra dinastie funzionariali, enti ecclesiastici e poteri signorili,

secc IX-XII, in I poteri dei Canossa da Reggio Emilia all’Europa, Bologna, 1994, pp. 212-237; Vignodelli, Il filo a piombo, p. 133; Supra, p. 95.

833 Schiaparelli, I diplomi di Ugo e di Lotario di Berengario II e di Adalberto, n. 9, p. 271.

834 F. Bougard, Entre Gandolfingi et Obertenghi: Les comtes de Plaisance aux Xe et XIe siècles, in «Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Âge», 101, 1989, pp. 11-66: 37.

185 Pombia836: proprio da questa unione, Wilzacara entrò nella fortuna allodiale della famiglia comitale piemontese assieme ad altri possedimenti.

Il 10 luglio 1050, presso la «corte cereto»837, Adalberto comes e la sua seconda moglie Adelaide del fu Manfredo comes di Parma vendettero per 100 lire a Ranfredo arciprete della Chiesa novarese case, castelli, cappelle, massarici, terreni e mulini a Vespolate, Carpenedo838, Ponella, in val d’Ossola, nell’area della Dora Baltea presso Villareggia839, a Caravino, Graffignana, Tollara, Sparavera840, Cortemaggiore mantenendoli in usufrutto fino alla loro morte841. In seguito, i beni a Vespolate, Carpenedo e Ponella sarebbero spettati ai canonici di Santa Maria, quelli in val d’Ossola ai canonici di San Gaudenzio, Villareggia ai canonici vercellesi di Sant’Eusebio, Caravino ai canonici di Santa Maria d’Ivrea, Graffignana ai canonici di San Siro di Pavia, Sparavera e la terza parte di Tollara ai canonici di Sant’Antonino di Piacenza, Cortemaggiore alla chiesa matrice piacentina di Santa Maria e Santa Giustina.

La carta sembra assumere i canoni del prestito dissimulato e si riferisce a possessi anche emiliani che non è detto siano arrivati ai conti di Pombia per il tramite della riprandingia Imilga, per quanto sia vero che l’atto venne rogato in una curtis forse adiacente all’omonimo castello confiscato proprio al marito di Imilga Uberto Rufo in un diploma del 1014 su cui bisognerà tornare842: se della prima moglie di Adalberto del fu Uberto Rufo, infatti, è difficile ricostruire l’origine, Adelaide proviene da una stirpe, i Bernardingi, con ancora sangue carolingio nelle vene843.

836 Bougard, Entre Gandolfingi et Obertenghi, p. 39. In alternativa, Imilga discende da un figlio di Riprando II conte di Piacenza e abiatico di Riprando di Basilicaduce: Vignodelli, Il filo a piombo, p. 129; p. 135; p. 337. 837 Il toponimo è talmente diffuso che possono esservi diverse opzioni a riguardo, anche se una località nel Tortonese sembra preferibile a Cerreto Landi nel Piacentino: Andenna, Grandi patrimoni, funzioni

pubbliche, p. 221.

838 Trattasi della solita località prediale della cintura di Mosezzo. È un altro toponimo piuttosto diffuso in Italia settentrionale, considerata la presenza di un «castrum de carpaneto» anche nel piacentino proprio vicino a Cerreto Landi, tra i possessi vescovili: Boguard, Entre Gandolfingi et Obertenghi, p. 30.

839 Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche, p. 221.

840 Nonostante sia indicata nel testo come «sparoaria», non è da confondere con l’omonima località fluviale nel comitato di Lomello ̶ supra, pp. 81-82 ̶ , ma si tratta invece di un’antica curtis regia nel Piacentino: ibid. Ad aiutare l’identificazione è anche l’inserimento accanto all’altra frazione piacentina di Tollara, un binomio che sarà confermato nella documentazione successiva.

841 D. Carutti, Il Conte Umberto I (Biancamano) e il Re Ardoino. Ricerche e documenti, Roma, 1884, pp. 293- 294.

842 DMGH, DD H II, n. 321, pp. 402-404. Infra, pp. 224 e sgg. Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche, p. 221. Che i possessi siano pervenuti ai Pombia tutti per il tramite di Imilga è supposto ivi, p. 216.

843 Cfr. P. Cammarosano, Nobili e re, l’Italia politica dell’alto Medioevo, Roma, 1998, p. 285; Violante,

186 Manfredo comes di Parma aveva come antenato, infatti, quel Manfredo sempre conte a Parma, probabile lontano discendente del re d’Italia Bernardo844 e unito in matrimonio a una sorella del vescovo Guido di Modena: per questo era il primo della lista al placito del 13 maggio 945845. Di lui, si può riconoscere un percorso politico in parte sovrapponibile a quello del manfredingio Milone846 ben testimoniato da un diploma dell’11 giugno 948847: in esso re Lotario, su istanza del vero burattinaio politico Berengario, donò a Manfredo diversi possessi nel Parmense, tra cui l’importante curtis di

Vilinianum in precedenza concessa al capostipite dei Canossa e proprio una «curtem ubi

cerredo dicitur iuxta fluvium sicclam», oltre che la prima delega di incastellamento privato nelle proprietà allodiali a difesa da incursioni nemiche concessa a ufficiali pubblici da parte di un re italico848. La prole di Manfredo seguì poi lo stesso fato di quella del nipote di Milone Elrico, vedendo sottratti possessi e titoli durante i primi anni dall’avvento di Ottone di Sassonia a causa della forte vicinanza a Berengario, salvo poi ricevere il perdono a partire dagli anni settanta del X secolo e giungere anche a una riappacificazione con i Canossa per Vilinianum849.

Parmense e Piacentino si confermavano dunque aree a forte concentrazione economica elitaria, allodiale o fiscale che fosse, con la presenza di Riprandingi, Bernardingi, Manfredingi ̶ lo stesso Milone850 ̶ , Ingonidi ̶ il vescovo Uberto e Alberico ̶ solo tra le stirpi analizzate in precedenza: non si può escludere, quindi, che alcuni beni della vendita del 1050 provenissero dalla famiglia della seconda moglie di Adalberto anziché da quella della madre.

Di certo, alcuni dei suddetti possessi erano destinati a ricomparire in breve tempo: il 22 aprile 1053, nel castrum di Breme, Adelaide del fu Manfredo, ormai vedova del comes

844 Non esclude l’ipotesi, ma ne individua punti deboli E. Hlawitschka in Franken, Alamannen, pp. 230-233. 845 Cfr. Cammarosano, Nobili e re, p. 260; Vignodelli, Il filo a piombo, pp. 135-145.

846 «Maginfredus, comte de Parme lui aussi en 931, a également suivi le même parcours»: Bougard, Entre

Gandolfingi et Obertenghi, citaz. da p. 21.

847 Schiaparelli, I diplomi di Ugo e di Lotario di Berengario II e di Adalberto, n. 8, pp. 267-270.

848 Settia, Castelli e villaggi, p. 163. Si tratta di un esempio della “tracotanza dei maiores” aspramente