• Non ci sono risultati.

La giurisprudenza CIF e la convergenza con la State Action

7. Il perseguimento di interessi pubblici e l’“immunità” dalla responsabilità antitrust: la State Action Doctrine responsabilità antitrust: la State Action Doctrine

7.2. Il perseguimento di interessi pubblici e l’“immunità” dalla responsabilità antitrust: la giurisprudenza CIF

7.2.1. La giurisprudenza CIF e la convergenza con la State Action

Doctrine statunitense

La sentenza CIF e le sue diverse implicazioni sull’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione europea sono state oggetto di ampio dibattito dottrinale173. Non si intende quindi ritornare su questioni già trattate174.

172 In questo caso, le specificità del contesto normativo in cui le imprese hanno agito rileva ai fini della quantificazione della sanzione.

173 v. per tutti, S. CASSESE, Il diritto comunitario della concorrenza prevale

sul diritto amministrativo nazionale, in Giornale di diritto amministrativo, 2003; G.

NAPOLITANO, Il diritto della concorrenza svela le ambiguità della

regolamentazione amministrativa, ibid., M. LIBERTINI, La disapplicazione, op.

cit.; G. C. RIZZA BAJARDO, L’obbligo delle autorità nazionali della concorrenza

di disapplicare le norme interne contrarie al Trattato e i conseguenti limiti alla proponibilità della State action defense (Causa C-198/01 CIF/Autorità garante), in

Giurisprudenza commerciale, II, 2004; P. NEBBIA, Case C-198/01, Consorzio

Industrie Fiammiferi (CIF) v. Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Judgment of the Full Court of 9 September 2003, in Common Market Law Review,

2004.

174 Tra le questioni affrontate in dottrina, diverse da quella degli effetti della primazia del diritto della concorrenza sulla normativa nazionale, assume un certo interesse quella sull’ambito di estensione dell’“immunità” nella sentenza CIF: ossia, se l’imposizione di un obbligo da parte della normativa nazionale incide sulla stessa esistenza dell’infrazione oppure riguarda solo l’immunità dalle sanzioni. La questione non è di poco conto, poiché la prevalenza della seconda opzione interpretativa implicherebbe, ad esempio, il riconoscimento in capo alla Commissione del potere di avviare, in alternativa al procedimento per infrazione contro lo Stato, un normale procedimento nei confronti delle imprese private. Tale procedimento si potrebbe concludere senza l’imposizione di una sanzione, bensì con l’adozione di una diffida, vincolante per i giudici e l’autorità nazionali. Sembra sostenere questa interpretazione, F. CASTILLO della TORRE, State Action, op cit.. conf. F. CINTIOLI, Concorrenza, op. cit., secondo cui “pur dovendosi sempre accertare la violazione degli artt. 81 e 82, quando la misura statale abbia eliminato la possibilità di una concorrenza effettiva e la possibilità di scelta alternativa dell’impresa, non si applica la sanzione e rimane fermo solo l’accertamento di illegittimità, la diffida e la sanzionabilità futura per il caso di reiterazione del contegno vietato” (sottolineatura aggiunta), p. 198. Contra, G. C. RIZZA BAJARDO, The Duty of National Competition Authorities to Disapply

Anti-Competitive Domestic Legislation and the Resulting Limitation on the Availability of the State Action Defence, in European Competition Law Review, 2004. Chi scrive

condivide il risultato in cui giunge quest’ultimo Autore, seppure sulla base di un ragionamento diverso, basato meno su considerazioni di tipo pragmatico e più su considerazioni di natura giuridica. Secondo la tesi qui sostenuta, quando la Corte fa riferimento all’infrazione dell’articolo 101 TFUE nella sentenza CIF, essa non si riferisce all’infrazione da parte delle imprese, bensì a una diversa infrazione di cui al

Interessa invece qui soffermarsi su una questione che sembra tanto importante, ai fini della definizione dell’ambito di applicazione del diritto antitrust, quanto sorprendentemente trascurata dalla dottrina.

Si fa riferimento al test che si deve applicare per accertare in concreto che un determinato comportamento anticompetitivo sia imposto dallo Stato. Sul punto sembra che la dottrina si limiti solamente a ribadire che l’esenzione da responsabilità antitrust si avrebbe esclusivamente nei casi in cui l’infrazione sia imposta da misure pubbliche.

Ma come si accerta in concreto se un determinato comportamento è imposto o meno dallo Stato? Quale test bisognerebbe adottare?

La risposta a queste questioni si trova nell’ultima parte della sentenza CIF, relativa alla seconda domanda pregiudiziale effettuata

combinato disposto degli articoli 101 TFUE e 4 (3) TUE. Sicché, con la sentenza

CIF la Corte ha fatto “emergere” la competenza delle autorità nazionali della

concorrenza di accertare un diverso e ulteriore tipo di infrazione rispetto a quella dell’articoli 101 e/o 102 TFUE da parte delle imprese. Che la Corte compia tale distinzione tra le due diverse tipologie di infrazioni, lo si evince in maniera chiara dal paragrafo 51 della sentenza, in cui, confermando il suo precedente Ladbroke Racing, la Corte ritiene che “poco importa che, nell'ipotesi che la normativa nazionale imponga a delle imprese l’adozione di comportamenti anticoncorrenziali, non possa essere addebitata a queste anche una violazione degli artt. [101 TFUE] e [102 TFUE] (v., in questo senso, sentenza Commissione e Francia/Ladbroke Racing, cit., punto 33)”, poiché “gli obblighi incombenti agli Stati membri ai sensi degli artt. [4 (3) TUE, 101 TFUE e 102 TFUE], che sono distinti da quelli che scaturiscono a carico delle imprese dagli artt. 101 TFUE e 102 TFUE, continuano ad esistere, cosicché l'autorità nazionale garante della concorrenza mantiene l'obbligo di disapplicare la misura nazionale di cui si tratta” (sottolineatura e enfasi aggiunte). Nella stessa direzione si deve intendere anche l’accostamento, al punto 54 della sentenza, tra “l’accertamento della violazione dell’articolo [101 TFUE]” alla disapplicazione della legge che, non a caso, la Corte qualifica “anticoncorrenziale”. Infine, la tesi qui sostenuta è anche in grado di conferire una giustificazione logica all’affermazione fatta dalla Corte al punto 55, secondo cui la decisione dell’autorità “s’impone alle imprese interessate” solo al momento in cui essa “diventa definitiva nei loro confronti”. Ebbene, se l’autorità dovesse avere il potere di accertare un’infrazione degli articoli 101 e/o 102 TFUE da parte delle imprese, perché sarebbe necessario fare discendere l’operatività di tale accertamento dalla definitività della decisione?

dal TAR Lazio. In sostanza, il giudice nazionale chiedeva alla Corte di pronunciarsi se, nel caso di specie, le misure nazionali lasciassero o meno “sussistere la possibilità di una concorrenza suscettibile di venire ostacolata, ristretta o falsata da comportamenti autonomi” delle imprese175.

In risposta a tale quesito, la Corte ha adottato un test a doppio livello, alla luce del quale valutare l’esistenza o meno dell’autonomia comportamentale in capo all’impresa.

Secondo la Corte, occorre stabilire innanzitutto se “una normativa nazionale come quella di cui alla causa principale lasci sussistere la possibilità di una concorrenza che potrebbe essere ancora ostacolata, ristretta o falsata da comportamenti autonomi delle imprese”. E solo “in caso affermativo, verificare successivamente se le eventuali ulteriori restrizioni addebitate alle imprese non siano di fatto imputabili allo Stato membro interessato”176.

Con riferimento al primo requisito, la Corte ai paragrafi 66 e ss della sentenza ha condotto un’analisi volta, sostanzialmente, a stabilire se le restrizioni concorrenziali contestate fossero previste dalla normativa nazionale oppure se, come sembrano suggerire i giudici UE, le condotte contestate incidessero su parametri concorrenziali non contemplati dalla normativa in questione. In altri termini, sembra che l’analisi della Corte sia volta a sindacare se le condotte contestate fossero chiaramente previste ed autorizzate dalla normativa nazionale e/o dal potere pubblico177.

175 v. sentenza della Corte di giustizia, CIF, supra cit. punto 61.

176 Ibid., punto 66.

177 Ciò emerge in maniera evidente, ad esempio, al punto 70 della sentenza in cui la Corte ha ritenuto che “la legislazione italiana controversa nella causa principale, benché attribuisca al CIF, consorzio obbligatorio di produttori, il potere di ripartire la produzione tra le imprese consorziate, non definisce i criteri né le modalità in base ai quali tale ripartizione deve avvenire. Inoltre, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 7 delle sue conclusioni, il monopolio commerciale del CIF sembra essere stato abolito già nel 1993, con l'abolizione del

In relazione al secondo requisito, la Corte ha invece posto l’attenzione sull’esistenza o meno di un attiva supervisione delle condotte contestate da parte delle autorità pubbliche. In tal senso la Corte di giustizia, in maniera analoga a quanto avrebbe fatto la Corte suprema, ha evidenziato come le condotte contestate sfuggivano al controllo da parte dell’autorità perché, ad esempio: (i) gli organi del consorzio erano costituiti in maggioranza da rappresentanti dei produttori, a cui nulla nella normativa nazionale impediva di agire nell’interesse esclusivo di questi ultimi; (ii) le decisioni degli organi direttivi di CIF erano adottate a maggioranza, nonostante il voto contrario dell’unico membro portatore dell’interesse pubblico; (iii) le pubbliche autorità non disponevano di un effettivo controllo sulle decisioni della commissione per la ripartizione delle quote di produzione178.

Sicché, non sembra erroneo concludere che quando la Corte nella sentenza CIF stabilisce che l’immunità dal diritto antitrust viene concessa solo nei casi in cui il comportamento sia stato “imposto” dal potere pubblico, essa in realtà, e al di là del dato meramente letterale, impone sull’interprete l’onere di analizzare: (i) se le misure contestate sono previste dalla normativa nazionale; e, solo in caso di risposta negativa, (ii) se vi è o meno un attiva supervisione da parte dell’autorità pubblica.

Le analogie tra il test elaborato dalla Corte di giustizia nella causa CIF e il Midcal test della Corte Suprema statunitense dovrebbero ormai emergere in maniera evidente, indicando una sostanziale convergenza tra le due giurisprudenze179.

divieto di fabbricazione e di vendita di fiammiferi a carico delle imprese non consorziate”.

178 Ibid., punti 77-79.

179 Anche L. DI VIA, Antitrust, cit., ha osservato, senza però svolgere un’analisi della seconda parte della sentenza CIF, ma basandosi esclusivamente sulla

Siffatta convergenza, sembra trovare ulteriore conferma anche alla luce della recentissima sentenza North Caroline Dentist’s Board della Corte Suprema degli Stati Uniti, in cui è stato ritenuto che il Midcal test dovrebbe applicarsi nella sua interezza anche con riferimento agli atti di un ente formalmente pubblico, ma sostanzialmente espressione di interessi di categoria180.

7.3. L’intervento del regolatore settoriale e l’“immunità” da

Outline

Documenti correlati