• Non ci sono risultati.

Osservazioni conclusive: possibilità di risoluzione del conflitto tramite il ricorso ai generali criteri ermeneutici conflitto tramite il ricorso ai generali criteri ermeneutici

PARTECIPAZIONE PROCEDIMENTALE E ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE

7. Esercizio di prerogative procedimentali e abuso di posizione dominante

7.2. Esercizio di prerogative procedimentali e diritto antitrust nella sentenza Coop Estense: dalla complementarietà alla

7.2.3. Osservazioni conclusive: possibilità di risoluzione del conflitto tramite il ricorso ai generali criteri ermeneutici conflitto tramite il ricorso ai generali criteri ermeneutici

L’interprete non si dovrebbe però arrendere dinnanzi alla contraddittorietà dell’ordinamento, nemmeno qualora dovesse ritenere non ripercorribile l’opzione interpretativa appena indicata (perché, ad esempio, non si riconosce un valore costitutivo all’articolo 51.c.p. 378).

In questo caso, il punto di partenza obbligato dell’indagine sarebbe quello di ricorrere ai criteri ermeneutici generali, sviluppati nell’ambito della teoria delle antinomie379. Si tratterà sicuramente di un percorso difficile, perché si è in presenza di quello che sembra essere un rapporto di interferenza parziale e occasionale tra due norme, ossia di contraddittorietà non tra norme, bensì tra due ipotesi applicative di norme che ne contemplano diverse e che tra di loro non hanno elementi in comune.

Risulterà quindi estremamente difficile, se non impossibile, applicare i tradizionali canoni sviluppati dalla teoria delle antinomie e, in particolare, quello della specialità (che è poi espressione del principio di giustizia nel caso concreto380), vista l’assenza di un rapporto specie-genere tra le due fattispecie381.

378 È la tesi di F. MANTOVANI, Esercizio, op. cit., che comunque dimostra un’apertura verso la tesi della natura costitutiva dell’articolo 51 c.p., proprio per risolvere quei casi in cui i criteri ermeneutici generali non sono capaci di risolvere la contraddizione.

379 v. N. BOBBIO, Antinomia, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1957, p. 667, secondo cui “ha luogo un antinomia quando due norme appartenenti ad uno stesso ordinamento giuridico sono incompatibili. … Due norme, come del resto due proposizioni, si dicono incompatibili quando: a) sono contraddittorie; b) sono contrarie. Contraddittorie si dicono due norme che sono incompatibili tra loro, e non vi può nessun’altra norma incompatibile con entrambe. Contrarie si dicono due norme che sono incompatibili tra loro, ma vi può essere una norma incompatibile con entrambe”; id., Sui criteri per risolvere le antinomie, in Studi per una teoria generale de diritto, cit., p. 79. V. anche, F. MODUGNO, Ordinamento, cit., p. 705 e ss, nonché F. MANTOVANI, Esercizio., cit., p. 629 e ss.

380 N. BOBBIO, osservava che “il criterio di specialità è l’applicazione del principio di giustizia secondo cui debbono essere trattate in modo eguale le persone che appartengono alla stessa categoria…. In altre parole, il passaggio dalla regola generale a quella speciale derogatoria corrisponde a una naturale differenziarsi delle categorie e a una graduale scoperta, da parte del legislatore o del giudice, di questa

L’interprete, allora, non potrà che fare ricorso al criterio residuale dell’interpretazione correttiva, che, secondo la teoria delle antinomie, si applica quando la contraddizione non è risolvibile tramite gli altri criteri.

In questo caso, tramite “accorgimenti ermeneutici” si cercherà di dimostrare che l’antinomia (rectius, la contraddizione) è solo apparente382. Si procederà quindi, “per una elementare esigenza di conservazione, [all’]<<interpretazione correttiva>>, mediante la quale si riduce parzialmente con accorgimenti ermeneutici la sfera applicativa di una delle due norme”383.

E in questa direzione, nel caso di specie, si presentano diversi indizi per risolvere l’(apparente) contraddittorietà. Significativo in tal senso è la pacifica costatazione secondo cui, la protezione dei propri interessi commerciali da parte dell’impresa dominante costituisce una giustificazione oggettiva che, in linea di principio, esclude la configurabilità della fattispecie di abuso di posizione dominante. A fortiori, la fattispecie abusiva non dovrebbe configurarsi nel caso in

differenziazione: rappresenta il processo di progressiva adeguazione della regola di giustizia alle articolazioni della realtà sociale, sino al limite ideale del trattamento diverso per ciascun individuo, che è la esigenza eterna dell’equità come giustizia del caso concreto, espressa nella massima suum cuique tribuere” (v. Sui criteri , cit., p. 90).

381 Si noti che le difficoltà non si eliminerebbero nel caso in cui il conflitto si provasse a inquadrare tramite la teoria del concorso tra norme. La teoria è stata sviluppata con riguardo al diritto penale e ricorre quando lo stesso fatto è disciplinato da due norme (penali). Anche in questo caso il criterio principale per risolvere il concorse è quello della specialità, mentre nella specie non si applicherebbe il criterio della consunzione (ossia, l’applicazione della fattispecie più grave), in quanto nella specie mancherebbe l’identità di scopi. Sul concorso di norme, v. A. PAGLIARO, Concorso di norme, (voce) Enc. Dir., p. 545 e ss.

382 L’espressione è di BOBBIO, Antinomie, p. 668. In altri termini “non vi è modificazione alcuna delle disposizioni (apparentemente) contrastanti, ma semplicemente una possibile diversa interpretazione di un’espressione contenuta nel testo normativo” (MODUGNO, p. 712).

383 v. F. MANTOVANI, Esercizio, cit., p. 631. Se anche questo criterio non dovesse essere risolutivo del conflitto, allora, la volontà del legislatore, si desumerà attraverso la tecnica del bilanciamento degli interessi, oppure si favorirà l’attività permessa, alla luce del principio alla base degli ordinamenti liberali, secondo cui ciò che non è espressamente vietato è lecito.

cui l’impresa in posizione dominante esercita un diritto, ovvero una prerogativa riconosciutale dallo stesso ordinamento.

La conseguenza sarà che, anche in questo caso come per la precedente opzione interpretativa, si dovrà analizzare se un determinato comportamento costituisce o meno esercizio di un determinato diritto, ovvero della prerogativa procedimentale nel caso di specie. Si tratterà quindi di indagare sui limiti funzionali del diritto e se il comportamento contestato, in sostanza, sia allineato o meno alla funzione per la quale la prerogativa è stata riconosciuta.

Il richiamo alla teoria dell’abuso del diritto è fin troppo evidente. A quest’argomento sarà dedicato il terzo capitolo del presente contributo.

CAPITOLO III

ABUSO DI PREROGATIVE PROCEDIMENTALI, ABUSO

Outline

Documenti correlati