• Non ci sono risultati.

Modellare i mercati sanzionando l’abuso di posizione dominante

4. La nozione di abuso di posizione dominante

4.1. Modellare i mercati sanzionando l’abuso di posizione dominante

L’incertezza, strutturale all’articolo 102 TFUE, bene si presta (e si è prestata) all’utilizzo della disposizione quale strumento in mano alle autorità di concorrenza, in primis alla Commissione europea, affinché tramite il controllo della condotta dell’impresa dominante86 si tuteli un determinato assetto del mercato.

La funzione conformatrice o, se si preferisce, regolatoria, della disposizione emerge in maniera abbastanza agevole dall’analisi di alcune fattispecie di abuso di posizione dominante.

Ciò è evidente in relazione al divieto imposto all’impresa dominante di praticare prezzi eccessivi e/o altre condizioni

contrattuali non eque87. In tal caso, è abbastanza intuitivo che

86 La posizione qui espressa si sovrappone in maniera parziale a quella di A. MEIJ e T. BAUMÉ, Balancing, op.cit., che si limitano invece ad affermare che “Article 102 is a tool aimed at keeping the dominant undertaking’s freedom of

conduct within the limits of those means that do not consist in the use of its market power”. Non si può non rilevare però che tale affermazione implica la necessità che

si indaghi sia sulle ragioni del controllo, sia sulle modalità attraverso le quali si effettua l’opera di contenimento dell’utilizzo del potere di mercato da parte dell’impresa in posizione dominante.

87 Nella già citata sentenza United Brands, la Corte di giustizia ha stabilito un duplice test per accertare la natura eccessiva del prezzo. In primo luogo, occorre “stabilire se vi sia un’eccessiva sproporzione tra il costo effettivamente sostenuto ed il prezzo effettivamente richiesto”. In secondo luogo, si deve invece “accertare se sia stato imposto un prezzo non equo, sia in assoluto sia rispetto ai prodotti concorrenti” (punti 250-251). In materia di prezzi eccessivi, v. M. GLADER - I. KOKKORIS,

Excessive Pricing, in EU Competition Law - Abuse of Dominance Under Article 102 TFEU, (a cura di, F.E. GONZALEZ-DIAZ e R. SNELDERS), pp. 615-666; P.

l’autorità della concorrenza nell’ambito di tali fattispecie è chiamata a “regolare” il prezzo dell’impresa in posizione dominante, dovendo decidere sia sull’identificazione del benchmark da utilizzare, sia sulle regole di valutazione, alla luce dei quali fondare il giudizio circa la natura eccessiva dei prezzi o sull’equità delle clausole contrattuali88.

Analoghe osservazioni possono essere effettuate con riferimento al divieto di strategie escludenti basate sull’adozione di prezzi

predatori da parte dell’impresa in posizione dominante, ossia di

prezzi sotto un determinato livello dei costi89. Il fatto che vengano considerati predatori dei prezzi superiori ai costi medi variabili, “sulla base della sola considerazione che risultavano finalizzati all’eliminazione di un concorrente”90, può solo significare che la disposizione è stata ritenuta funzionale a garantire il pluralismo del mercato. Nella stessa direzione va anche la circostanza che l’accertamento dell’abuso predatorio prescinde sia dall’analisi sulla possibilità dell’impresa di rialzare i prezzi in una seconda fase (c.d.

Competition Law and Economics; A. EZRACHI e D. GILO, Are Excessive Prices

Really Self-Correcting?, in Journal of Competition Law and Economics, 2008, pp.

249-268.

88 Contro un siffatto intervento, v. A. JONES - B. SUFFRIN, EU Competition

Law: Text, Cases, and Materials, Oxford, (V ed), 2015, secondo cui “price regulation, however, is the antithesis of the free market and competition authorities are rarely equipped to act as price regulators. They should not be called upon to arbitrate how profits ought to be shared out amongst the players on the market where there is no issue on anti-competitive exclusion (the error the ECJ fell into in United Brands)” (p. 576).

89 Secondo la giurisprudenza UE, si presumono, in linea di principio, illeciti i “i prezzi inferiori alla media dei costi variabili (vale a dire quei costi che variano in funzione dei quantitativi prodotti)”. Dall’altra parte, i “prezzi inferiori alla media dei costi totali, i quali comprendono i costi fissi e quelli variabili, ma superiori alla media dei costi variabili, sono da considerare illeciti allorché sono fissati nell’ambito di un disegno inteso ad eliminare un concorrente”. v. sentenza della Corte di giustizia, 3 luglio 1991, causa C-62/86, Akzo c. Commissione, punti 71 e 72; v., altresì, sentenza della Corte di giustizia, 2 aprile 2009, causa C-202/07P, France

Telecom c. Commissione, punti 109-111.

recoupment), sia dall’esame sull’esistenza o meno di barriere all’entrata91.

Ma, soprattutto, se si riflette bene, la censura della predatorietà si può leggere anche come occasione per il potere pubblico di sindacare una delle più importanti politiche aziendali di un’impresa: l’adozione dei prezzi per i propri prodotti. Dalla tipologia e dal livello dei costi che l’autorità di concorrenza prenderanno a riferimento per la loro analisi, dipenderà la soglia minima del prezzo che un’impresa può legittimamente adottare e, di conseguenza, la misura della “sovvenzione” garantita ai concorrenti (attuali e/o potenziali) dell’impresa dominante che, a differenza dell’impresa dominante, non sono colpiti dal divieto di applicare prezzi predatori92.

Simili considerazioni valgono anche con riferimento al divieto del c.d. margin (o price) squeeze, ossia di quelle pratiche in cui l’impresa dominante che possiede un input necessario per potere produrre beni/servizi per competere nel mercato a valle, in cui essa stessa opera, lo commercializza ai propri competitori a un prezzo tale che non consenta a questi ultimi di offrire nel mercato a valle i beni/servizi a un prezzo competitivo93. Infatti, il cuore delle

91 v. A. FRIGNANI, La concorrenza, op. cit., secondo cui se le barriere di entrata sono basse “è poco probabile che la eliminazione del concorrente vittima dei prezzi predatori permetta all’impresa dominante di rialzare in modo duraturo i suoi prezzi, ciò che tende a rendere meno verosimile che la loro fissazione ad un livello dei costi variabili sia ispirata da una motivazione anticoncorrenziale perché il rialzo attirerebbe new comers”, (p. 206).

92 Si noti poi che, sotto alcune condizioni, è stato ritenuto abusiva la decisione da parte di un’impresa dominante di offrire selettivamente ai clienti contattati da un proprio concorrente prezzi bassi, ma che tuttavia erano superiori ai propri costi. Cfr. sentenza della Corte di giustizia, Compagnie Maritime Belge, cit.; contra., nel senso che gli sconti selettivi superiori ai costi (totali) non producono effetti anticoncorrenziali, sentenza della Corte di giustizia, Post Danmark., cit. Sul tema dei prezzi predatori, v. P.AREEDA - D.TURNER, Predatory Pricing and Related

Practices Under Section 2 of the Sherman Act, in Harvard Law Review, 1975, pp.

697-733.

93 La casistica recente in tema di margin squeeze è stata sviluppata nell’ambito dei settori regolamentati e, in particolare, quello delle telecomunicazioni e ha principalmente riguardato i prezzi d’accesso alla rete dell’incumbent. v.,

problematiche relative alla maggior parte delle fattispecie di margin squeeze verte sul livello che il prezzo d’accesso all’input essenziale deve avere per potere favorire la concorrenza sul mercato a valle, garantendo un adeguato profitto ai concorrenti dell’impresa dominante94. Anche in questo caso, la scelta del test da applicare, la tipologia e la misura dei costi da prendere in considerazione, incidono sulla profittabilità che si vuole garantire ai concorrenti e, quindi, sono indicatori dell’eventuale sovvenzionamento del pluralismo del mercato, anche a discapito di considerazioni relative all’efficienza o meno del concorrente. Ne sembra essere consapevole di queste problematiche il Consiglio di Stato, quando afferma che “il test di replicabilità presenta margini di opinabilità e implica giudizi di valore, laddove si intenda stabilire quali sono i costi di un OLO da comparare con i prezzi praticati da [Telecom Italia]”, poiché “già se e quando si afferma che bisogna avere riguardo non ai costi di un qualsivoglia OLO, bensì di un OLO efficiente, – perché l’obiettivo è un mercato concorrenziale ed efficiente, con infrastrutture moderne, che

sentenza della Corte di giustizia, Deutsche Telecom, cit., sentenza della Corte di giustizia, 17 febbraio 2011, causa C-52/09, TeliaSonera; sentenza della Corte di giustizia, 10 luglio 2014, caso C-295/12, Telefonica. In tema di margine squeeze, v. D. W. CARLTON, Should ‘Price Squeeze’ Be A Recognized Form of

Anticompetitive Conduct? in Journal of Competition Law & Economics, 2008, pp.

271-8; S. C. SALOP, Refusal to deal and price squeezes by an unregulated,

vertically integrated monopolist, in Antitrust Law Journal, 2010, pp. 709-40; G.

FAELLA - R. PARDOLESI, ‘Squeezing price squeeze’: la compressione dei

margini nel diritto antitrust comunitario, in Mercato concorrenza regole, 2010, pp.

29-62.

94 v. BELLAMY & CHILD, European Union, op.cit., “investigations of

alleged “price squeezing” o “margin squeezing” have become of increasing significance and concern in the context of pricing for access to networks. In such cases the crucial issue is the price at which the network owner can be required to provide access and thereby to facilitate competition on the downstream market” (p.

garantiscano qualità e contenimento dei costi, – si esprime un giudizio di valore, se non addirittura politico” 95.

La tensione tra le diverse scelte di policy è poi cruciale nella fattispecie di rifiuto di contrarre (o di dare accesso a un input

essenziale) da parte dell’impresa dominante96. A fondamento della fattispecie vi è infatti la sussistenza (o meno) di un obbligo in capo all’impresa dominante di condividere una propria infrastruttura o un proprio input con un suo concorrente nel mercato a valle. L’accertamento di un siffatto obbligo dipende, in sostanza, dall’indispensabilità dell’accesso per concorrere nel mercato a valle e dall’assetto concorrenziale di quest’ultimo mercato. E sotto questo aspetto, la posizione che si vorrà prendere con riferimento a questi elementi risentirà della tensione che si crea inevitabilmente, tra, da un lato, la libertà dell’impresa dominante e la tutela degli investimenti da essa effettuati, e, dall’altro lato, la tutela del pluralismo concorrenziale nel breve periodo nel mercato a valle97. In ogni caso, lo spazio per un penetrante controllo delle politiche d’investimento dell’impresa dominante da parte del potere pubblico è evidente.

95 v. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1271/2006, cit., il quale aggiunge “ ancora, quando occorre stabilire quale è il modello di un OLO efficiente e quali sono i costi da considerare, si esprime un giudizio che ha margini di opinabilità”.

96 Per un’analisi chiara della fattispecie in questione R.WHISH, EU

Competition, op.cit., pp. 697-710. Per l’esame dettagliato dei contrapposti interessi

in gioco, si rinvia a D. GERADIN e altri., EU Competition., op. cit., pp. 250-261. v. anche, P. AREEDA, Essential facilities: An Epithet in need of limiting principles, in Antitrust Law Journal, 1990, pp. 841 e ss.

97 È opportuno riportare l’opinione di L. PROSPERETTI - M. SIRAGUSA,

Economia e dirito antitrust: Un’introduzione, Roma, 2005, secondo cui “oltre a

costituire un’evidente interferenza con il diritto di proprietà del titolare dell’infrastruttura l’imposizione[di un obbligo di accesso] potrebbe di fatto disincentivare la realizzazione di nuove infrastrutture o il potenziamento e la manutenzione di quelle esistenti” e “nessun concorrente svilupperebbe infrastrutture proprie se potesse avere accesso alle infrastrutture altrui senza dover affrontare i rischi e gli oneri degli investimenti necessari per svilupparle”. Sicché “un indiscriminato obbligo di accesso, pur consentendo nel breve periodo l’introduzione di più concorrenza nei mercati a valle, potrebbe di fatto ridurre la concorrenza nel lungo periodo” (p. 246).

Simili valutazioni possono essere compiute infine anche con riferimento alle fattispecie di accordi di esclusiva98, di vendite

abbinate o aggregate99 e di sconti100: pratiche commerciali normali, che, se adottate dall’impresa in posizione dominante, potrebbero costituire abuso di posizione dominante. È sufficiente in tal senso richiamare la giurisprudenza europea in materia di sconti, il cui disinteresse verso l’analisi costo/prezzo del prodotto scontato, oppure verso l’ampiezza del mercato non-contendibile (ossia, di quella parte della domanda legata al prodotto dell’impresa in posizione dominante), è sintomatico della funzionalizzazione dell’art. 102 TFUE alla protezione del pluralismo concorrenziale sul mercato e non verso

98 Gli accordi di esclusiva obbligano un determinato cliente ad approvvigionarsi in tutto o in larga misura soltanto dall’impresa in posizione dominante. Gli accordi in questione possono ostacolare l’entrata o l’espansione dei concorrenti dell’impresa in posizione dominante.

99 Le vendite abbinate invece possono rientrare nella previsione di cui alla lettera d) dell’articolo 102 TFUE che vieta le pratiche consistenti nel “subordinare

la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto di contratti stessi”. Semplificando, nelle vendite

abbinate o aggregate l’impresa utilizza il prodotto nel cui mercato è dominante come leva per la vendita di un diverso prodotto. Si è in presenza di una vendita abbinata quando i “clienti che acquistano un prodotto (il prodotto principale) devono

acquistare anche un altro prodotto dall'impresa dominante (il prodotto abbinato)”.

In caso di vendita aggregata (pura) invece “i prodotti vengono venduti soltanto

assieme in proporzioni fisse”; v. gli Orientamenti, punto 48 e ss. La vendita

aggregata pura si deve distinguere dalla vendita aggregata mista, “spesso definita anche sconto multiprodotto”, e nella quale “i prodotti sono disponibili anche

separatamente, ma la somma dei singoli prezzi di vendita è superiore al prezzo aggregato” (cfr. ibid).

100 Le pratiche di sconto si basano sulla premialità che l’impresa dominante riconosce ai propri clienti in connessione all’acquisto di determinati beni e/o servizi effettuati presso l’impresa dominante. Le strategie di sconto che potrebbero essere considerate abusive possono consistere, ad esempio: (i) nella concessione di sconti fidelizzanti della clientela (ostacolando in tal modo gli sbocchi commerciali delle imprese concorrenti); (ii) sconti selettivi (utilizzati come strumento di sottrazione e/o fidelizzazione di clienti strategici, ad esempio perché condivisi con i concorrenti) (iii) sconti leganti (ossia, legati all’acquisto aggiuntivo di un diverso bene e/o servizio).

ragioni di pura efficienza101. Deve essere intesa in tal senso la recente affermazione della Corte di giustizia secondo cui:

“il blocco di una parte sostanziale del mercato ad opera di un’impresa dominante non può essere giustificato dimostrando che la quota del mercato che può essere conquistata è ancora sufficiente per far posto ad un numero limitato di concorrenti. Infatti, da un lato, i clienti che si trovano nella quota bloccata del mercato dovrebbero avere la possibilità di approfittare di ogni grado di concorrenza che sia possibile sul mercato e i concorrenti dovrebbero poter operare in un regime di concorrenza fondata sul merito su tutto il mercato e non soltanto su una parte di questo. D’altro lato, non spetta all’impresa dominante stabilire quanti

concorrenti validi siano autorizzati a farle concorrenza per la quota ancora acquisibile della domanda. (enfasi e sottolineatura aggiunte)102.

5. Antitrust e il conflitto tra interessi pubblici e privati: la

Outline

Documenti correlati