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Osservazioni critiche sulla giurisprudenza Deutsche

7. Il perseguimento di interessi pubblici e l’“immunità” dalla responsabilità antitrust: la State Action Doctrine responsabilità antitrust: la State Action Doctrine

7.3. L’intervento del regolatore settoriale e l’“immunità” da responsabilità antitrust: la giurisprudenza Deutsche Telekom

7.3.1. Osservazioni critiche sulla giurisprudenza Deutsche

Telekom: erronea (dis)applicazione della State Action Doctrine

Gli errori commessi dai giudici UE sono sostanzialmente due. In primo luogo, sia il Tribunale, sia la Corte, si pongono la domanda sbagliata con riferimento al criterio della supervisione attiva

187 Ibid., punto 85.

188 v. sentenza del Tribunale, 10 aprile 2008, causa T-271/03, Deutsche

Telekom c. Commissione.

da parte del RegTP. La questione non è infatti quella di accertare se Deutsche Telekom avesse o meno la facoltà di chiedere a RegTP la modifica delle proprie tariffe, bensì quella di stabilire se il regolatore settoriale avesse il potere di imporre a Deutsche Telekom l’eliminazione e/o la modifica delle tariffe in questione. Solo questa seconda prospettiva fornisce la misura e la tipologia del controllo pubblico verso il comportamento del soggetto regolato.

In secondo luogo, sia il Tribunale, sia la Corte, alla domanda sbagliata forniscono una risposta che è altrettanto sbagliata. Infatti, i giudici UE sono consci che il punto cruciale dell’intera vicenda è quello della rilevanza o meno dell’attività di vigilanza del RegTP, ai fini della responsabilità antitrust dell’impresa regolata.

Ecco perché essi richiamano i precedenti Bnic c. Clair190 e CNSD191 per sostenere che “il fatto che le tariffe dovessero essere approvate dalla RegTP non esclude la responsabilità ai sensi dell’art. [102 TFUE]”192.

I casi Bnic c. Clair e CNSD – entrambi concernenti accordi tariffari adottati in seno a enti formalmente pubblici, ma sostanzialmente portatori di interessi di categoria – non solo non supportano le conclusioni dei giudici UE, bensì sembrano dimostrare il contrario.

Vengono in considerazione tre diversi profili.

In primo luogo, in entrambi i summenzionati casi l’illecito era consumato prima dell’eventuale intervento dell’autorità pubblica, poiché quest’ultima interveniva solo dopo la conclusione degli accordi illeciti tra i rappresentanti delle imprese coinvolte. In Deutsche

190 v. sentenza della Corte di giustizia, 30 gennaio 1985, causa C-123/83, Bnic

c. Clair.

191 v. sentenza del Tribunale, 30 marzo 2000, causa T-513/93, Consiglio degli

spedizionieri doganali (CNSD) c. Commissione.

Telekom invece le tariffe venivano adottate/formalizzate (e quindi offerte ai concorrenti) solo dopo l’autorizzazione da parte del regolatore193.

In secondo luogo, sia nel caso BNIC c. Clair194, sia in CNSD195 i giudici hanno posto l’attenzione sul fatto che gli enti, in seno ai quali venivano conclusi gli accordi, fossero espressione degli interessi privati e che nulla obbligava i loro membri di agire anche nell’interesse pubblico. Vi è quindi l’assunto che le restrizioni della concorrenza avrebbero potuto essere considerate rientranti nella sfera pubblica, qualora gli enti in questione fossero obbligati a perseguire gli interessi pubblici. Nel caso Deutsche Telekom invece le azioni tariffarie di quest’ultima erano sottoposte al controllo e all’approvazione da parte di un’autorità indipendente dalla ricorrente che è, per definizione, portatrice di interessi pubblici, in quanto

193 Non si deve infatti dimenticare che l’intesa viene perfezionata al momento della sua conclusione tra due concorrenti, poiché in questo momento vi è l’esternalizzazione della volontà. Mentre l’abuso viene compiuto al momento in cui la condotta viene esternalizzata al mercato. È ovvio che nel caso di mercati regolamentati l’esternalizzazione della condotta relativa a tariffe controllate avviene di norma solo dopo l’approvazione delle tariffe dal regolatore.

194 v. sentenza della Corte di giustizia, BNIC c. Clair, supra cit., in cui si ritiene che “l’art. [101] dev’essere interpretato nel senso che esso contempla un accordo del genere, dal momento che questo è stato negoziato e concluso da persone le quali, benché nominate dalle pubbliche autorità, erano state designate, ad eccezione delle due nominate direttamente dal ministro, dalle organizzazioni di categoria direttamente interessate e che, di conseguenza, dovevano essere considerate, di fatto, come rappresentanti di dette organizzazioni al momento della negoziazione e della conclusione dell'accordo” (punto 19).

195 v. sentenza del Tribunale CNSD, supra cit., in cui il Tribunale sostiene che “i membri del CNSD sono rappresentanti degli spedizionieri professionisti e che nessuna disposizione della normativa nazionale considerata impedisce loro di agire nell'esclusivo interesse della professione. […] Inoltre, il Ministro italiano delle Finanze, che è incaricato della vigilanza sull'organizzazione professionale considerata, non può intervenire nella designazione dei membri dei consigli compartimentali e del CNSD. Dall'altro, il CNSD ha il compito di stabilire la tariffa delle prestazioni professionali degli spedizionieri doganali in base alle proposte dei consigli compartimentali [art. 14, lett. d), della legge n. 1612/1960] e nessuna norma della legislazione nazionale di cui trattasi obbliga e neppure induce i membri, tanto del CNSD quanto dei consigli compartimentali, a tener conto di criteri di interesse pubblico” (punto 54).

incaricata dell’attuazione delle politiche regolazione del mercato delle telecomunicazioni. In quest’ottica, la questione della competenza in capo a RegTP ad applicare l’articolo 102 TFUE è irrilevante ai fini dell’imputabilità dell’illecito a Deutsche Telekom.

In terzo luogo, ma non meno importante, sia nel caso BNIC c. Clair196, sia nel caso CSND197, i giudici comunitari hanno ritenuto di cruciale rilevanza la circostanza che le autorità pubbliche avessero solo un potere di omologazione degli accordi illeciti, senza esercitare quindi un controllo effettivo o porre il veto sulla loro approvazione. Come più volte ribadito, nel caso Deutsche Telekom, invece, il regolatore aveva poteri penetranti (di modifica e/o di veto) sulle tariffe d’accesso al dettaglio proposte dalla ricorrente.

Ebbene, l’erronea applicazione del test CIF e il conseguente riconoscimento di un margine di manovra in capo a Deutsche Telekom, hanno aperto la strada all’accertamento in capo all’impresa dominante di un obbligo di attivarsi per chiedere al regolatore la modifica delle proprie tariffe (in particolare, l’aumento dei prezzi per l’accesso al dettaglio). Anche in questa occasione, siffatto obbligo è stato veicolato tramite la nozione di speciale responsabilità dell’impresa dominante, alla luce della quale “essa è quindi tenuta a presentare domande di modifica delle proprie tariffe quando queste

196 v. sentenza della Corte di giustizia BNIC c. Clair, supra cit., dalla quale emerge che l’intervento delle autorità pubbliche era finalizzato “affinché [il] prezzo minimo [accordato] [fosse] omologato, onde renderlo obbligatorio per il complesso degli operatori economici” (punto 22). Si rammenta poi che il giudice ha ritenuto irrilevante la firma posta dal presidente del BNIC in calce agli accordi illeciti ai fini della natura giuridica di questi ultimi, perché “ciò non è prescritto dalla legge nazionale” (punti 24 e 25).

197 v. sentenza del Tribunale, CNSD, dalla quale si evince che, come sostenuto anche dalla Commissione, “l’intesa costituisca un comportamento autonomo delle imprese interessate. Ricordando come l'approvazione con decreto non sia obbligatoria, essa argomenta che la fissazione della tariffa controversa non è un provvedimento della pubblica autorità, bensì una decisione adottata dal CNSD nell'ambito del suo potere autonomo, come sarebbe confermato dal fatto che la deroga concessa all’AICAI non ha costituito oggetto di alcun atto di controllo da parte della pubblica autorità” (punto 48).

abbiano l’effetto di compromettere lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune”198.

Si tratta di un obbligo quantomeno peculiare, nella misura in cui, in sostanza, si impone all’impresa regolata di regolare il regolatore, non solo facendo notare a quest’ultimo che le sue decisioni favoriscono l’impresa dominante, ma anche invocando un intervento regolatorio a favore dei concorrenti dell’impresa regolata199.

Le peculiarità fin qui evidenziate, possono trovare spiegazione nel fatto che lo stesso caso Deutsche Telekom fosse un caso singolare. Nelle valutazioni effettuate sia dalla Commissione europea, sia dai giudici UE, sembrano infatti pesare la circostanza che la disciplina settoriale in questione è di derivazione europea e nella sua adozione e

198 v. sentenza del Tribunale, Deutsche Telekom c. Commissione, supra cit., punto 122.

199 v. P. LAROUCHE, Contrasting legal solutions and the comparability of

EU and US experiencies, in TILEC Discussion Papers, n. 28, 2006, secondo cui i

giudici UE hanno imposto in capo all’impresa dominante un vero e proprio obbligo di essere “pro-active in the regulatory process and should not simply hide behind

sector-specific authorities when it sees that regulatory intervention would result in doubtful outcomes”. Inoltre, secondo lo stesso Autore, la nozione di speciale

responsabilità implica che “the dominant firm must take an active role in policing its

conduct and cannot simply wait for authorities to intervene, if and when authorities would determine that there is a reason to intervene”. Tuttavia, l’Autore da subito

conto che “admittedly it is hard to reconcile such special responsibility with the

assumption of profit-maximizing behaviour” (p. 12). Critica invece l’approccio

adottato dalla Corte di giustizia, N. DUNNE, Margin Squeese:theory, practice,

policy: Part 1 e 2, in European Competition Law rieview, 2012. Secondo l’A. nel

caso Deutsche Telekom, “liability is imposed on the firm, not for its anti-competitive

actions, but rather for the anti-competitive consequences of regulatory inaction” e

che, in realtà, i giudici comunitari avrebbero stabilito“a duty to rescue, or form of

quasi-“Bad Samaritan” liability, in EU competition law”. Sicché, “in the regulated margin-squeeze context a firm may be held to have breached the competition rules in circumstances where the anti-competitive market effects result from the actions of a third party, namely the regulatory authority that has set or approved the prices for the products concerned, thereby dictating in law the prices that the dominant firm must charge. Thus, the dominant firm will be liable, not for its own conduct--that is, charging prices required by law--but rather, for its failure to intervene and prevent the regulator from adopting policies that disadvantage its competitors. Moreover, in such circumstances the dominant firm acting alone cannot remedy the margin squeeze; rather, it requires the assent of the regulator to adjust its tariff structure.”

attuazione la Commissione ha un ruolo primario. Allo stesso modo, l’intervento antitrust sembra essere stato influenzato altresì dai continui fallimenti della regolazione tedesca200. In questo senso, è stato correttamente osservato che Deutsche Telekom ha in qualche modo espiato colpe non sue201.

Non bisogna però nascondere che le ragioni appena esposte – sebbene potrebbero servire come argomentazione per limitare gli effetti della giurisprudenza Deutsche Telekom –non potrebbero giustificare o sanare l’erronea applicazione dei principi in materia di esenzione dalla responsabilità antitrust per l’intervento dello Stato.

Non sempre infatti i fini, seppure nobili, giustificano i mezzi. Ciò a maggior ragione nel caso in cui, come nella specie,

200 v. N. DUNNE, Margin Squeese, op.cit., secondo cui “the problem at the

score of many regulated margin-squeeze cases: that the regulatory his failure may stem from any number of reasons--for example, the pursuit of non-market goals, poor design, or lack of enforcement at the national level. The opening of further proceedings by the Commission against DT into alleged margin squeeze in line sharing tariffs, for example, suggests persistent failures in the telecommunications regulatory framework in Germany. These latter proceedings were settled by informal agreement between the Commission and DT in 2004, although the case was reopened in 2005 on the basis that DT had acted in a manner inconsistent with the agreement, in the face of disinterest or inability on the part of the national regulator. In such circumstances, addressing broken regulation through competition enforcement is at the very least a sub-optimal solution” (p. 66).

201 È il caso, ad esempio, di P. LAROUCHE, Contrasting legal solutions, op. cit., che pur condividendo l’intervento delle istituzioni UE non nasconde che “[i]ndeed, to some extent, the Commission in DT punished Deutsche Telekom for the

sins of the German authorities” (p.8). Secondo R.M. BRUNELL, In Regulators we trust, op. cit., “Deutsche Telekom and Telefonica illustrate the EU's more demanding approach to regulatory immunity compared to the current American approach. Indeed, Deutsche Telekom and Telefonica may have come out differently under U.S. law even prior to Trinko, Credit Suisse, and linkLine insofar as the European regulators scrutinized and approved the rates at issue. As noted above, regulators’ approval of specific conduct has often been the basis for implied immunity in the United States. On the other hand, it could be argued that regulatory immunity would not have been appropriate in the two EU cases even under Trinko's "soft immunity" standards because, arguably, neither of the regulators in the cases was an effective steward of the antitrust function: the German regulator in Deutsche Telekom either failed to, or did not properly, apply Article 82, while the Spanish regulator in Telefonica had no responsibility for enforcing it. However, the EU regulatory structure appears designed to avoid margin squeezes, and the Spanish regulator eventually did intervene to end the abuse ” (p. 311).

l’ordinamento europeo prevede mezzi specifici per la risoluzione delle problematiche sottostanti al caso Deutsche Telekom: ossia, l’azione d’infrazione nei confronti della Germania per mancata (corretta) attuazione della disciplina settoriale202.

8. Conclusioni

L’indagine fin qui condotta ha rilevato la complessità dell’esercizio del potere antitrust, evidenziandone altresì una sua funzionalità sotto un triplice profilo.

In primo luogo, è stato dimostrato come le norme in materia di tutela della concorrenza e, in particolare, l’articolo 102 TFUE devono essere lette in una funzione di contenimento del potere privato e, in tal senso, di conformazione delle condotte dell’impresa in posizione dominante. Si prende atto della rottura dell’equilibrio di mercato,

202 Si noti poi che contrastare, come sembra fare la Commissione, la mancata attuazione delle direttive di liberalizzazione in materia di telecomunicazioni da parte delle autorità nazionali tramite l’avvio di procedimenti sanzionatori nei confronti delle imprese regolate, potrebbe porre anche un problema di effetto orizzontale, per di più in malam partem, delle direttive europee. In questo senso N. DUNNE, Margin

squeese, op. cit., “Deutsche Telekom highlights a further problem that can result from a conglomerate regulation /competition approach in the EU context. On the facts, DT's own provision of retail access services was also loss-making; however, losses due to the below-cost access charges were subsidised by higher call charges. This pricing structure was a result of the historical pricing policy pursued by DT as state telecommunications provider on social-policy grounds--presumably, to make access affordable, even if service usage costs were high--which DT inherited upon privatisation. That those telecommunications tariffs had not yet been rebalanced to a more cost-reflective structure stemmed from Germany's failure to correctly implement the requirements of the EU telecommunications directives. In applying the margin-squeeze test, however, the Commission proceeded as if tariffs had already been rebalanced, by refusing to take account of the cross-subsidisation effects from profitable service charges, which both DT and its competitors used to make up the access shortfall. DT failed the test precisely because tariff rebalancing was not yet in place. The Commission's choice to pursue DT under the competition rules for the margin squeeze abuse rather than Germany for failure to fulfil its EU law obligations under TFEU art.258 (ex EC art.226) has, arguably, resulted in a form of horizontal direct effect of the relevant directives, contrary to established principles of EU law prohibiting such a result. While Geradin and O'Donoghue have highlighted the “arguably greater scope (and need) for intervention on the basis of competition rules in the [EU] than in the US” in the context of telecommunications law, insofar as the latter legislative regime is more detailed and prescriptive than the EU framework, this distinction does not address the legal issue of horizontal direct effect, even though it may provide a policy reason in support of concurrent application of competition law with the regulatory provisions.

attraverso la creazione della posizione dominante, e si vigila affinché l’impresa dominante non ottenga un indebito vantaggio dalla sua posizione, a discapito del processo concorrenziale del mercato e, indirettamente, dei concorrenti dell’impresa dominante.

In secondo luogo, la ricerca ha messo in evidenza che le norme a tutela della concorrenza sono state utilizzate, con particolare enfasi nel contesto europeo, anche in un’ottica di contenimento del potere pubblico. Sotto questo aspetto, l’applicazione delle norme antitrust, in combinato disposto con altre disposizioni dei Trattati, ha svolto un ruolo “selettivo” tra atti (e misure) che sono espressione di scelte del potere pubblico e altre misure che non lo sono. Si ritengono contrari al diritto dell’Unione quei casi in cui gli Stati membri delegano la (o meglio rinunciano alla) regolazione a favore degli operatori di mercato, ovvero quelle misure statali che non sono nulla di più che una mera certificazione di scelte e accordi intercorsi tra gli operatori privati.

La filosofia di fondo è quella di “squarciare il velo” ai fenomeni di cattura del potere pubblico da parte del potere privato, attraverso l’esame della natura sostanziale delle misure contese e, in particolare, del controllo effettivo che il potere pubblico svolge con riferimento alla loro adozione e applicazione. Con particolare riguardo al profilo della responsabilità dell’impresa che agisce sotto la supervisione e/o la copertura dell’autorità pubblica, la giurisprudenza della Corte di giustizia, in convergenza con quella della Corte suprema statunitense, richiede che l’analisi sull’applicazione delle norme in tutela della concorrenza sia concentrata sulla sussistenza: (i) di una chiara e articolata autorizzazione pubblica delle condotte contestate; e (ii) di una effettiva supervisione del comportamento dell’impresa da parte dell’autorità pubblica.

Le criticità rilevate con riferimento al caso Deutsche Telekom dimostrano tuttavia la precarietà dell’equilibrio tra applicazione del diritto della concorrenza e l’esercizio di altri poteri pubblici, con la conseguenza che, la diffidenza verso le politiche del regolatore nazionale si è trasformata nell’imposizione di obblighi di soccorso in capo all’impresa dominante, che in tal modo si è vista investire (“a suon di sanzioni” verrebbe da dire) di un ruolo pubblicistico, estraneo e confliggente con i propri interessi.

In terzo luogo, nel corso della ricerca e, a prescindere dalle osservazioni fin qui svolte, è emerso con forza il rifiuto a qualsiasi forma di “mitologizzazione” del diritto della concorrenza e della concorrenza come valore, ovvero come obiettivo delle politiche pubbliche. Sotto questo aspetto, non vi può essere alcun dubbio sulla relatività del valore concorrenza. Tale relatività emerge in maniera chiara dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che legittima l’adozione di misure nazionali che pure avendo effetti anticoncorrenziali, sono giustificate dal perseguimento di altri valori altrettanto meritevoli di tutela.

Ed è proprio questa consapevolezza, sulla relatività della concorrenza come valore, che caratterizzerà la ricerca che si intende svolgere nel prossimo capitolo su un fenomeno contiguo, ma diverso, da quelli sin qui esaminati: ossia, quello dell’interazione tra la partecipazione delle imprese dominanti nell’ambito di procedimenti amministrativi e l’applicazione della normativa in materia di divieto di abuso di posizione dominante.

CAPITOLO II

PARTECIPAZIONE PROCEDIMENTALE E ABUSO DI

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