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La giurisprudenza della Corte di Giustizia, roccaforte della convergenza tra diritto del

Un nuovo dialogo.

Sezione 5 del Reg n 1215/2012, frutto della revisione del Reg.

1.3. La giurisprudenza della Corte di Giustizia, roccaforte della convergenza tra diritto del

lavoro e delle procedure concorsuali.

Alla luce del nuovo intervento governativo, per l'imprenditore che voglia gestire il tentativo di salvataggio dell'azienda rima- ne, in definitiva, il concordato preventivo con continuità azien-

dale. Però su quest'ultima direttrice il percorso, che è già di

suo disseminato di ostacoli, si complica ancora a causa di un fattore di inelasticità economica, tale da intralciare la tratta- tiva intavolata per cedere l'azienda. Tutto dipende dalla disci-

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tura che ne dà la giurisprudenza dovendo tenere conto delle poli- tiche europee.

Il riferimento è alla parte della l. n. 428/90 che, (come nel precedente paragrafo sommariamente delineato ), previo accordo con le organizzazioni sindacali circa il mantenimento anche par- ziale dell'occupazione, << flessibilizza >> l'applicazione

dell'art. 2112 c.c. quando sia trasferita un'azienda (con più di

quindici lavoratori) in stato di crisi oppure insolvente ossia

decotta (art. 47, commi 4° bis, 5° e 6° ). Orbene, la prima di- sposizione (comma 4° bis) riguarda:

- le imprese per le quali sia stato accertato lo stato di cri-

si ma non siano in procedura concorsuale;

- le imprese in amministrazione straordinaria nelle quali

l'attività non sia mai cessata o continui;

- le imprese ammesse a concordato preventivo

- e quelle che abbiano chiesto l'omologa di un accordo ex art.

182 bis l. fall.

La seconda disposizione (comma 5° )riguarda invece:

- le imprese fallite o

- in liquidazione coatta amministrativa o

- ammesse a concordato preventivo con cessione dei beni o - infine in amministrazione straordinaria con attività non

continuata o cessata.

I precetti sono differenziati di conseguenza. Per il primo gruppo di imprese è previsto che in caso di trasferimento dell'azienda

l'art. 2112 c.c. << trova applicazione nei ”termini“ e con le ”limitazioni“ previste dall'accordo >> con le oo.ss. (c.d. fles-

sibilizzazione). Per il secondo gruppo è invece previsto che ai

lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente l'art. 2112 << non trova applicazione >> ( c.d. disapplicazione), ferme eventuali condizioni di miglior favore risultanti dall'ac- cordo sindacale.

Si tratta all'evidenza di situazioni diverse, raggruppate in due serie distinte a seconda che l'impresa in crisi continui o meno l'attività produttiva. Pertanto il riferimento nel comma 4° bis al concordato preventivo va inteso come concordato con continui-

tà, in contrapposizione a quello liquidatorio con cessione dei

beni considerato per implicito nel successivo comma 5° .

Fino al novembre 2009 il citato art. 47 era concepito altrimenti. Imprese in stato di crisi, ma non in procedura concorsuale, e im- prese fallite o in l.c.a. o concordato con cessione o amministra- zione straordinaria con cessazione dell'attività erano trattate nella medesima norma, il comma 5° di allora, ai fini della com-

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pleta disapplicazione dell'art. 2112 c.c. una volta intervenuto l'accordo con le oo.ss. sul trasferimento dell'azienda. Non si faceva cioè alcuna distinzione fra imprese cessate e imprese non cessate: l'art. 2112 c.c. veniva comunque sterilizzato, ritenen- dosi sufficiente tutela per i lavoratori l'intervento sindacale. Questo però collideva con le regole europee, quali almeno inter- pretate dalla Corte di Giustizia. Con la sentenza 11 giugno 2009,

causa C-561/07 la Corte dichiarò che l'Italia violava con l'allo-

ra vigente comma 5 la Direttiva 2001/23/CE, nella parte in cui quest'ultima dispone che la disapplicazione degli istituti diret-

ti, come il nostro art. 2112 c.c., al mantenimento dei diritti dei lavoratori in occasione del trasferimento dell'azienda può avere luogo solo quando la situazione di crisi sia precipitata in

procedure concorsuali liquidatorie poste sotto il controllo del

giudice ( art. 5, comma 1° , Dir. 2001/23/CE), quando cioè il li-

cenziamento è incombente. In aggiunta la Corte disconobbe pure che la situazione di crisi aziendale contemplata nella nostra le- gislazione integrasse la << situazione di grave crisi economica (…) dichiarata da un'autorità pubblica competente e (…) aperta al

controllo giudiziario >> (art. 5, comma 3° ), in presenza della

quale l'accordo con le oo.ss. è idoneo per la Direttiva a modifi- care le condizioni di lavoro.

A fronte di questo << irrigidimento >> voluto dalla Corte , in tema di trasferimento dell’azienda nell’impresa in crisi, si as- siste ad una ricaduta più grave anche sull’assetto del diritto concorsuale, con riferimento alla complessiva gestione delle cri- si nel nostro Paese. La Corte, infatti ha sì sanzionato l’Italia con riguardo allo stato di crisi aziendale accertato dall'autori-

tà amministrativa, ma i rilievi critici mossi contro la legisla-

zione nazionale sono tali da influenzare anche altra situazione, ossia lo stato di crisi che viene affrontato col concordato pre-

ventivo, beninteso, con continuità aziendale ( assodato che il

concordato liquidatorio rimane senza problemi nell'orizzonte di disapplicazione dell'art. 2112 c.c. quale ammesso dalla Corte dell'Unione, trattandosi di una << procedura di insolvenza (...) aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica compe- tente >> (art. 5, comma 1° , Dir. 2001/23/CE).

Ma il concordato ex art. 186 bis l. fall. non rientra affatto in questa tipologia di procedure, tant'è vero che la riforma in cor- so vuole costituirlo come unica specie di concordato alternativo al fallimento, sopprimendo per l'effetto, la variante liquidato- ria del concordato stesso; testualmente, ex art. 6, comma 1° , lett. a, dell'Atto Camera n. 3671, << prevedere l'inammissibilità

di proposte [di concordato] che, in considerazione del loro con- tenuto sostanziale, abbiano natura essenzialmente liquidatoria>>.

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Detto ciò, la conseguenza immediata è stata enunciata dal giudice di merito italiano (Tribunale di Padova nel 2014) : << nel caso

di concordato con continuità aziendale (…) il solo accordo con le

Organizzazioni Sindacali stipulato ai sensi dell'art. 47, comma 4

bis, lettera b- bis), legge 428/90, diversamente dall'accordo

sindacale raggiunto ai sensi del comma 5 del medesimo art. 47

(applicabile alle procedure concorsuali aperte sotto il controllo di un'autorità pubblica ed aventi finalità meramente liquidatoria ), non [può] affatto incidere né sulla continuazione del rapporto

di lavoro, né sulla solidarietà tra cedente e cessionario previ-

sti dall'art. 2112, commi 1 e 2, c.c. >>, potendo invece << ri- guardare ed incidere esclusivamente sulle modalità di esecuzione

del rapporto di lavoro (p.e. mansioni, qualifica, orario lavoro,

ecc.), essendo invece necessario l'accordo stipulato con il sin-

golo lavoratore interessato ex artt. 410-411 c.p.c. per incidere

sui diritti allo stesso assicurati dai commi 1 e 2 dell'art. 2112 c.c.>>.

Gli istituti lavoristici tornano così ad esercitare tutta la loro influenza sul diritto concorsuale, giungendo a determinare per- corsi ed esiti delle procedure. Stella polare, così come era il diritto concorsuale, risulta adesso il mondo delle regole sul la- voro. Tuttavia, a ben vedere, se nel vecchio sistema il tentativo di risanamento poteva essere condotto sotto l'ombrello delle mi-

sure di sostegno al reddito, oggi queste diventano aleatorie e

intempestive frustrando il tentativo stesso. Se sono misure già in corso, gli organi della procedura concorsuale o eventuali ces- sionari dell'azienda si devono fare carico dei programmi avviati per la causale della crisi aziendale, che però saranno con molta probabilità inadeguati alla nuova situazione; d'altra parte per attivare nuovi programmi, qualora i precedenti siano stati con- clusi, bisogna attendere il decorso di un termine dilatorio (art. 22, comma 2° , d.lgs. n. 148/15) per lo più incompatibile con le esigenze della procedura, la quale intanto dà luogo alla inesora- bile maturazione di crediti prededucibili, così collidendo col canone dell'assenza di pregiudizio per i creditori concorsuali. In caso poi di fallimento occorre comunque l'attivazione dell'e- sercizio provvisorio, generatore di per sé di prededuzione, e in caso di concordato l'eventuale nuovo trattamento di CIGS viene

erogato soltanto dopo l'omologazione dell'accordo. Il 1° settembre 2016 la Confederazione datoriale( Confindustria)

e la Triplice sindacale (Cgil, Cisl, Uil) hanno firmato un docu- mento comune ( Proposte per le politiche del lavoro) indirizzato a tutti i responsabili della cosa pubblica << per una nuova stru-

mentazione di governo dei processi di transizione industriale, finalizzata alla ripresa e alla tenuta occupazionale >>. Fra le

proposte formulate dalle parti sociali nel documento c'è il <<ri-

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delle imprese che vengano ammesse al concordato con continuità aziendale>>. Ferme cioè le coordinate definite con la Riforma

Fornero (prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività o di salvaguardia anche parziale dei livelli occupazionali), <<si chiede tuttavia di anticipare l'accesso dell'impresa in crisi al- la CIGS al momento dell' ammissione al concordato>>, anziché ri- tardarlo al momento della omologazione com'è oggi nel quadro del- la causale per crisi aziendale.

Non si tratta di un ritorno al passato, vista la soppressione del concordato liquidatorio. A fronte, infatti, di una domanda in continuità, l'ammissione alla CIGS non rischia di finire senz'al- tro sprecata in imprese decotte e irrecuperabili. Fermo il neces- sario raccordo con le norme concorsuali sull'insuccesso del con- cordato (per mancata approvazione dei creditori o mancata omologa o per inadempimento) è indubbio che l'accesso il più possibile tempestivo alla misura d'integrazione salariale sia strategico per il buon esito del concordato stesso. Vero insomma che que- st'ultimo dev'essere allestito quando la crisi non sia troppo avanzata; ma il risparmio dei costi a cui provvede la CIGS rimane prezioso per liberare immediate risorse a favore innanzitutto della finanza interinale e concordataria e poi della continuità.

In conclusione, nel bilanciamento tra l’interesse del ceto credi- torio al <<miglior soddisfacimento>>, e quello della conservazio- ne dell’occupazione, in caso di impresa in crisi, il diritto co- munitario ha rivestito un ruolo determinante, e, nello specifico

la giurisprudenza della Corte di Giustizia. Schematizzando, con la suddetta sentenza di condanna C. Giust. 11

giugno 2009, C-561/07, la Corte ha imposto una distinzione di trattamento giuridico:

- da un lato l’impresa che, pur assoggettata al regime concor- suale, può essere ri-collocata sul mercato perché mantiene la propria attitudine produttiva e la capacità occupaziona- le;

e

- dall’altro l’impresa insolvente e avviata definitivamente alla liquidazione sotto il controllo dell’autorità giudizia- ria. Solo in quest’ultimo caso, coerentemente con la norma- tiva europea, può essere autorizzato una <<flessibilizzazio-

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2.

Il diritto fallimentare: prospettiva liqui-