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La procedura di infrazione della Commissio ne della Comunità europea contro lo Stato

1.2 (segue): Nel frattempo la riforma organica delle procedure concorsuali.

2) Ove invece si disponga per l’applicazione degli artt 3 e

1.3. La procedura di infrazione della Commissio ne della Comunità europea contro lo Stato

italiano. L’art 19 quater l. 20 novembre

2009, n. 166.

Nella versione originaria dell’art 47, co.5, l. n. 428/1990, il legislatore esentava dall’ applicazione dell’art. 2112 c.c. i trasferimenti che riguardassero << aziende dichiarate in stato di

crisi aziendale accertata dal CIPI (ex art. 2, comma 5, lett. c,

della l. n. 675/1977), ovvero imprese nei confronti delle quali vi fosse stata dichiarazione di fallimento, ovvero omologazione

di concordato preventivo consistente nella cessione di beni, ov-

vero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta ammini-

strativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordina- ria quando la continuazione non fosse stata disposta ovvero ces-

sata>>. In questi casi, e ove fosse stato raggiunto un accordo per il mantenimento anche parziale dell’occupazione, non si ap- plicavano le disposizioni dell’art. 2112 c.c., salve << le condi-

zioni ( di lavoro) di miglior favore >> che fossero state stabi-

lite dall’accordo concluso in sede di esame congiunto (che avreb- be anche potuto prevedere che parte del personale ritenuto ecce-

dentario rimanesse alle dipendenze del cedente). L’anzidetta disciplina nazionale,( con cui il legislatore,

nell’obiettivo del mantenimento, per quanto possibile,

dell’occupazione, aveva concesso di sacrificare tutte o parte delle tutele che l’art. 2112 c.c.) apprestando a favore dei lavo- ratori le garanzie tipiche, anche nel caso di trasferimento di aziende il cui << stato di crisi fosse stato accertato in via am- ministrativa >>, (e quindi soggette a procedure tecnicamente non finalizzate alla liquidazione dei beni dell’impresa) finiva per risultare in contrasto:

1. sia con la precedente direttiva 77/187/CEE (che pure l’art. 47, della l. n. 428/1990, intendeva recepire nel nostro ordinamento) la quale, nell’attribuire ai lavoratori il << diritto di passare automaticamente >> alle dipendenze dell’acquirente e di <<conservare tut- ti i diritti maturati >> in dipendenza del rapporto di lavoro, non conteneva alcuna disposizione che consen- tisse di derogare alle tutele previste per i lavorato- ri, in caso di trasferimento di azienda, salva peral- tro la possibilità per gli Stati membri di prevedere disposizioni più favorevoli per i lavoratori;

2. sia con i più flessibili orientamenti del giudice co- munitario, che già prima dell’entrata in vigore della

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l. n. 428/1990 aveva riconosciuto la possibilità di <<non applicare la direttiva>> 77/187/CEE solo nel ca- so di trasferimento di azienda in cui il cedente fosse sottoposto a procedure di fallimento ovvero a procedu- re destinate a concludersi con la liquidazione dei be- ni dell’impresa (C. Giust. 7 febbraio 1985, causa C- 135/83), e che anche successivamente all’entrata in vigore della l. n. 428/1990 avrebbe affermato (C. Giust. 7 dicembre 1995, causa C-472/93) che nei casi di trasferimento d’azienda di cui fosse stato accerta- to in via amministrativa lo stato di crisi dovesse in- vece applicarsi la direttiva 77/187/CEE, tenuto conto di come il relativo procedimento risultasse finalizza- to << non alla liquidazione dell’impresa>>, ma <<a fa- vorire la prosecuzione della sua attività nella pro- spettiva di una futura ripresa>>.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza comunitaria, la quale, nel silenzio serbato dall'originaria direttiva n. 187 del 1977, ha stabilito che rientrano nel campo di applicazione della diret- tiva i trasferimenti effettuati nell'ambito di imprese sottoposte a procedure concorsuali che perseguono <<finalità di salvaguardia del patrimonio del debitore e di prosecuzione dell'attività di impresa>>153. In tale contesto, al fine di decidere sull'applica-

bilità della direttiva, criterio determinante da seguire è, quin- di, quello dell'<<obiettivo perseguito dal procedimento di ammis-

sione alla procedura>> fallimentare o ad analoga procedura con-

corsuale, per cui la direttiva si applica allorché, nell'ambito

delle leggi che disciplinano l'amministrazione straordinaria, è stato deciso il proseguimento dell'attività di impresa154. La

stessa giurisprudenza comunitaria ha confermato successivamente il proprio orientamento, con riguardo, in particolare, all'ipote- si dell'impresa sottoposta al provvedimento di cassa integrazioni guadagni straordinaria, individuata dall'art. 47, co.5 , della L.

n. 428 del 1990 , ritenuta, infatti, incompatibile con il diritto

comunitario. A tale stregua, infatti, si sottolinea che lo stato

di crisi aziendale è oggetto di un provvedimento, il quale, lungi

dal tendere alla liquidazione dell'impresa, mira, al contrario, a

favorirne la prosecuzione dell'attività, nella prospettiva della sua futura ripresa. Inoltre la Corte precisa che, in questo caso,

contrariamente a quanto avviene nel fallimento, il procedimento

di accertamento dello stato di crisi aziendale non implica alcun controllo giudiziario o provvedimento di amministrazione del pa- trimonio dell'impresa, né sospensione dei pagamenti. Se la disap-

plicazione delle garanzie individuali assicurate dalla direttiva

153 cit. Corte di Giustizia CEE 7 febbraio 1985, Causa 135/83 154

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è possibile solo in presenza di procedure liquidative155, nelle

quali non sia stato deliberato il proseguimento dell'attività, è chiaro che il nostro diritto nazionale, laddove inserisce, in funzione derogatoria, il procedimento di ammissione alla Cigs, appare nettamente in contrasto con il diritto comunitario.156

In questo quadro, la direttiva 77/187/CEE risultava dapprima mo- dificata dal legislatore comunitario attraverso la direttiva 98/50/CE, e poi abrogata dalla direttiva 2001/23/CE (che per al- tro verso << consolidava >> la direttiva 98/50/CE) le cui dispo- sizioni, oltre a prevedere una serie di tutele e garanzie per i lavoratori interessati dal trasferimento d’azienda, ed in parti- colare che:

1. << i diritti e gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro in capo al cedente si trasferissero in capo al cessionario>> (art. 3.1, con previsione che è stata pacificamente interpretata come comprendente il diritto del lavoratore alla prosecuzione del rap- porto di lavoro con il cessionario);

2. che << il cedente potesse rimanere responsabile, <<accanto al ces- sionario>>, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e preesistenti al trasferimento>> (art. 3.2);

3. che il << cessionario fosse tenuto a rispettare le <<condizioni di lavoro risultanti dai contratti collettivi>> applicati dal cedente fino alla loro scadenza >>(art. 3.3)

4. e che il << trasferimento d’azienda non fosse di per sé motivo di licenziamento dei lavoratori, salva la praticabilità dei licenzia- menti per motivi economici, tecnici e organizzativi che comportas- sero variazioni sul piano dell’occupazione>>(art. 4);

contemplavano, altresì, la possibilità di non applicare il siste-

ma di garanzie come sopra apprestato a favore dei lavoratori

(art. 5), ove ricorressero alcune specifiche ipotesi di <<ampiez-

za derogatoria >> decrescente. In particolare:

1. la prima di dette ipotesi derogatorie (art. 5.1), applicabi- le nei casi di trasferimento di imprese in cui il << cedente fosse sottoposto a procedura fallimentare, o a una analoga procedura di insolvenza finalizzata alla liquidazione dei

beni del cedente, che si svolgano sotto il controllo di un’autorità pubblica competente, prevede che non si appli-

chino gli artt. 3 e 4 della direttiva (e quindi che i lavo- ratori interessati non passino alle dipendenze del cessiona-

155

G.P.Gogliettino, Politiche attive del lavoro e trasferimento di aziende in- solventi:De iure condendo,in Lav. nella Giur.,2015,5,450.

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tra l’altro la Corte di Cassazione, con sent. 21 marzo 2001, n. 4073, aveva puntualizzato come << la non conformità alla disciplina comunitaria non preclu-

deva l’applicazione della normativa interna, non avendo la prima efficacia di- retta nei rapporti tra i privati>>.

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rio). Sotto tale profilo può registrarsi la piena conformità del nostro diritto interno, laddove l' art. 47, quinto com-

ma, della L. n. 428 del 1990 individua la disapplicazione dell'art. 2112 c.c. in riferimento al fallimento e ad altre

nominate procedure concorsuali <<nel caso in cui la conti- nuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessa- ta>>.

2. La seconda ipotesi derogatoria (art. 5.2), applicabile in caso di trasferimento di imprese sottoposte a una procedura di insolvenza (indipendentemente dal fatto che questa fosse

finalizzata alla liquidazione dei beni del cedente) ed a

condizione che la stessa intervenga sotto il controllo di

un’autorità pubblica competente, prevede invece che uno Sta-

to membro possa disporre in due direzioni:

- che gli << obblighi del cedente derivanti dal rapporto di lavoro non siano trasferiti al ces- sionario, a condizione che sia garantita ai la- voratori una protezione almeno equivalente a quella prevista dalla direttiva 80/97/CEE per il caso di insolvenza del cedente (art. 5.2 lett. a)>>,

e/o

- che il cedente o il cessionario ed i rappresen- tanti dei lavoratori possano convenire di <<mo-

dificare le condizioni di lavoro>> di questi

ultimi, al fine salvaguardare le opportunità

occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa (art. 5.2 lett. b).

La terza ipotesi derogatoria (art. 5.3), applicabile nel caso in cui l’impresa coinvolta nella vicenda traslativa versi in una si- tuazione di <<grave crisi economica>> quale definita dal diritto nazionale, purché << dichiarata da un’autorità pubblica competen-

te e aperta al controllo giudiziario >> (e sempreché le relative

disposizioni siano già in vigore nel diritto nazionale alla data del 17 luglio 1998), prevede infine che uno Stato membro possa disporre nei termini di cui all’art. 5.2, lett. b) .

Tenuto conto di come la direttiva 2001/23/CE prevedesse all’art. 5 la possibilità di derogare alle garanzie apprestate, dai suoi artt. 3 e 4, a favore dei lavoratori, risulta comprensibile come in dottrina si fosse ritenuto che essa avesse sanato il <<contra- sto>> che si era venuto in precedenza a creare tra la previsione con cui l’art. 47, comma 5, della l. n. 428/1990 (che consentiva, in specifici casi dallo stesso contemplati, di <<non applicare>> le disposizioni di cui all’art. 2112 c.c., i cui principi risul-

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tavano sostanzialmente riprodotti dagli artt. 3 e 4 della diret- tiva 2001/23/CE) e la direttiva 77/187/CEE (che invece, come già segnalato, non contemplava alcuna possibilità di deroga al siste- ma di garanzie e tutele da essa previste a favore dei lavorato- ri). Alcuni autori157 avevano peraltro avanzato dubbi sulla con-

formità della legislazione nazionale rispetto alla legislazione comunitaria, non tanto con riguardo alle fattispecie derogatorie, quanto piuttosto in relazione << all’ampiezza della deroga con- cessa dall’ordinamento italiano in caso di procedure di insolven- za non finalizzate alla liquidazione dei beni dell’impresa ovvero di procedure amministrative di accertamento dello stato di crisi aziendale >>. Tali dubbi158 erano stati peraltro superati dalla

dottrina in considerazione della <<finalità di salvaguardia dell’occupazione cui risultava ispirata la direttiva>>, nonché della coerente necessità di attribuire alle rappresentanze sinda- cali la possibilità di <<mediare>> tra la tutela dei diritti in- dividuali dei singoli lavoratori e le necessità di garantire la sopravvivenza dell’impresa159.

Procedendo, comunque, in ordine, occorre interrogarsi, in primo luogo, se l'ipotesi individuata dal nostro diritto interno (prov- vedimento di ammissione alla Cigs) possa rientrare, sul piano tecnico - giuridico, nell'ambito della procedura di insolvenza, aperta nei confronti del datore di lavoro (cedente) inadempiente e posta sotto il controllo di un'autorità pubblica competente, di cui all'art. 5, paragrafo 2, della direttiva comunitaria. Sotto tale profilo, se il trattamento di Cigs può (rectius: poteva, vi- sta l’abrogazione di detto istituto per le procedure concorsuali) essere concesso in ipotesi di fallimento o procedure concorsuali individuate nominativamente dal legislatore ( art. 3 della L. n.

223 del 1991), tuttavia l'ipotesi della causa integrabile della

<<crisi aziendale di particolare rilevanza sociale>> (ex art. 2,

quinto comma, L. 675 del 1977) non può equipararsi alle procedure

di insolvenza disciplinate dal diritto interno, anche perché la giurisprudenza comunitaria ha puntualizzato che il provvedimento di ammissione alla Cigs non implica alcun controllo giudiziario o provvedimento di amministrazione del patrimonio dell'impresa, né sospensione dei pagamenti.

Con sentenza dell’11 giugno 2009,( causa, C-561/07) la Corte di giustizia, decidendo su un ricorso con cui la Commissione delle

157 Fabbri, Trasferimento di azienda in crisi: disciplina nazionale e comunita- ria, in Dir. prat. lav., 2013, 2, 86.

158 che in buona sostanza prendevano spunto dalla considerazione di come in detti casi l’art. 47, comma 5, della l. n. 428/1990, finisse per ammettere che attra- verso l’accordo potesse derogare alla <<trasmissione automatica dei rapporti di lavoro in capo al cessionario>>, mentre l’art. 5.3 della direttiva 2001/23/CE consentiva soltanto la <<modificazione in peius delle condizioni di lavoro dei lavoratori passati alle dipendenze del cessionario>>.

159 Pizzoferrato, Il trasferimento d'azienda nelle imprese in crisi, in QL, Il trasferimento d'azienda, 2004, 155;

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Comunità europee aveva obiettato, con specifico riferimento ai casi di <<crisi aziendale>> (accertati ai sensi dell’art. 2, com- ma 5, lett. c, della l. n. 675/1997), che la << disapplicazione

dell’art. 2112 c.c. >> prevista dall’art. 47, commi 5 e 6, della

l. n. 428/1990, non rispettasse i diritti riconosciuti ai lavora- tori dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23/CE (le cui garan- zie, come rilevato nella pronuncia della Corte, risultano <<tra- sposte>> nella disposizione di cui all’art. 2112 c.c.), e che quindi lo Stato italiano era venuto meno agli obblighi derivanti- gli dalla direttiva medesima. A fronte delle argomentazioni difensive con cui lo Stato Italia- no, pur non contestando che in caso di accertato stato di crisi dell’impresa la disapplicazione dell’art. 2112 c.c. prevista dall’47, commi 5 e 6, della l. n. 428/1990, finisse per non dare attuazione delle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della diret- tiva 2001/23/CE, aveva sostenuto la <<legittimità di tale disap- plicazione in funzione della derogabilità delle correlate garan- zie prevista dalla stessa direttiva >>. La Corte di giustizia ha osservato come il legislatore comunitario non abbia mancato di prevedere espressamente casi in cui << ha voluto escludere

l’applicazione degli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23>> (come emerge dalla lettera stessa dell’art. 5, n. 1 della Direttiva cit.), ed in particolare che la disapplicazione dell’art. 2112 c.c., portata dall’art. 47, commi 5 e 6, della l. n. 428/1990, non potesse trovare fondamento nella disposizione di cui all’art. 5.3 della direttiva. Tale disposizione, infatti, ha osservato la Corte, <<autorizza gli Stati membri a prevedere che le condizioni

di lavoro possano essere modificate per salvaguardare le opportu- nità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa >>,

mentre <<è pacifico che l’art. 47, quinto comma, della l. n. 428/1990 priva puramente e semplicemente i lavoratori (uti singu-

li), in caso di trasferimento di un’impresa di cui sia stato ac-

certato lo stato di crisi, delle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della Direttiva 2001/23 e non si limita, di conseguenza, ad una modifica delle condizioni di lavoro quale è autorizzata dall’art. 5, n. 3, della Direttiva 2001/23 >>. Avuto infine ri- guardo alla circostanza per cui l’applicazione dell’art. 5.3 del- la direttiva 2001/23/CE è subordinata alla possibilità del << controllo giudiziario della procedura di accertamento dello stato di crisi aziendale >>, la Corte ha respinto la precisazione dello Stato italiano secondo cui <<le parti hanno il diritto di adire l’autorità giudiziaria competente nell’ipotesi di mancato rispet- to della procedura prevista>>, osservando che <<tale diritto non può essere considerato come costitutivo del controllo giudiziario previsto dall’articolo citato, dal momento che quest’ultimo pre- suppone un controllo costante dell’impresa dichiarata in situa- zione di grave crisi economica da parte del giudice competente>>.

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Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha quindi accolto il ricorso della Commissione delle Comunità europee ed ha rileva- to che << mantenendo in vigore le disposizioni di cui all’art.

47, commi 5 e 6, della l. n. 428/1990, in caso di <<crisi azien- dale>> a norma dell’art. 2, quinto comma, lett. c), della l. n.

675/1977, in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori

dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4, nonché dall’art. 4 della Direttiva 2001/23 non sono garantiti nel caso di trasferimento di

un’azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repub-

blica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in

forza di tale Direttiva>>.

A questo punto, per dare esecuzione, nel diritto interno, alla sentenza di condanna della Corte di giustizia è intervenuto il legislatore che, in primo luogo, ha eliminato, dall'art. 47, co. 5, il riferimento all'azienda destinataria del trattamento di Cigs per crisi aziendale ai fini della disapplicazione dell'art.

2112 c.c. e, in secondo luogo, ha introdotto, nel corpo del det-

tato normativo del 1990, un comma 4 bis, con riferimento agli ac- cordi sindacali stipulati in occasione del trasferimento di aziende per le quali sia stato accertato lo stato di crisi azien- dale (con concessione della Cigs) ovvero sia stata disposta l'am- ministrazione straordinaria, (ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999,

n. 270 ), in caso di continuazione o di mancata cessazione

dell'attività ( art. 19 quater, L. n. 166 del 2009). In tali ipo-

tesi si stabilisce che, in presenza di un accordo sindacale volto al mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, << l'art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo>> c.d. flessibilizzazione dell’art. 2112 c.c.(art. 19 quater, lett. a, L. cit.). Sicuramente la disposi- zione ora introdotta è molto chiara, laddove non adotta la limpi- da formula comunitaria che circoscrive l'area applicativa

dell'accordo sindacale alle <<modifiche delle condizioni di lavo- ro>>, ma utilizza un lessico ambiguo, che forse intende lasciare alle parti stipulanti una libertà di ampliare l'ambito di <<ap- plicazione>> dell'art. 2112 c.c. al di là dei confini disegnati dal legislatore comunitario. In altri termini, può avanzarsi il dubbio se attraverso l’ astrattezza del medesimo si apra lo spa- zio per una sostanziale <<disapplicazione>> dell'art. 2112 del civile. Viceversa, preme ribadire che la direttiva comunitaria autorizza solo <<le modifiche delle condizioni di lavoro intese a salvaguardare le opportunità occupazionali>> e non consente, per- tanto, il venir meno al principio di continuità del rapporto (presso il cessionario), sia pure governato (presso quest'ultimo) da un <<alleggerimento>> delle tutele individuali, in ragione, appunto, della <<crisi>> dell'impresa (art. 5, paragrafo 2, lett. b, della direttiva).

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Allo stesso modo deve essere interpretata la disciplina di rifor- ma della legge fallimentare , la quale, nell'art. 105, terzo com- ma, prevede che, nell'ambito delle consultazioni sindacali rela- tive al trasferimento d'azienda, il curatore, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e le << ulteriori modifiche consentite dalle norme vigenti>>. Inoltre, si stabilisce che, salva diversa convenzione, è esclusa la re- sponsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento (art. 105, quinto comma)160.

Infine, la retrocessione al fallimento di aziende o rami di aziende non comporta, per espresso dettato normativo, la respon- sabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retro- cessione, in deroga a quanto previsto dagli artt. 2112 e 2560

c.c. (art. 104 bis, sesto comma).

Le disposizioni contenute nella legge fallimentare , in materia di affitto e vendita di azienda nelle procedure concorsuali, nel complesso equilibro che intende realizzare tra esigenze liquida- torie dell'attivo ed interessi dei creditori, può condurre alla conclusione che la salvaguardia del valore produttivo dell'impre-

sa viene a sacrificare la tutela dei lavoratori coinvolti. Tutta-

via, il sacrificio dei diritti dei lavoratori può essere espres- samente previsto dal legislatore comunitario esclusivamente nell'ambito delle procedure c.d. liquidative (art. 5, primo para- grafo, direttiva n. 23 del 2001 e art. 47, quinto comma, L. n.

428 del 1990), rimanendo consentito, alla legislazione degli Sta-

ti membri e nel casi di altre procedure di insolvenza, di preve- dere modifiche alle condizioni di lavoro, nella garanzia, comun- que, della continuità occupazionale (art. 5, secondo paragrafo, lett. b, della direttiva).

Una prima quaestio avanzata dalla dottrina161, in presenza del

<<nuovo>> art. 47, comma 4 bis, è in merito alla necessaria <<an-