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Il trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi Le garanzie dei lavoratori tra diritto

dell’azienda >> e la tutela dei rappor ti di lavoro

1.1. Il trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi Le garanzie dei lavoratori tra diritto

comunitario e diritto nazionale.

Il diritto del lavoro si è interessato alle ricadute sui rapporti di lavoro delle vicende dell’impresa, elaborando una specifica

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M.L.Valluri, Studio sull’oggetto del trasferimento ai fini dell’applicazione del nuovo art 2112 c.c., pag.606.

130 G.Santoro Passarelli, Impresa e lavoro, I, in Trattato di diritto priva- to,Torino,2004,420.

131 Cass.,22 luglio 2002,n.10701, in Dejure; Cass.,23 luglio 2002,n.10761, in De- jure.

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rete protettiva. Infatti, il diritto dei lavoratori a mantenere l’occupazione, anche in caso di << mutamento della titolarità

dell’impresa >>132 , era già sancito nelle norme consuetudinarie

inserite nei contratti-tipo delle Camere di Commercio, e venne ripreso anche nella dichiarazione XVIII della Carta del Lavoro. Un ruolo significativo, nella strategia protettiva, fu ricoperto dalla legge sull'impiego privato (art. 11, r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825) prevedendo che, nell’ipotesi di << cessione o di trasformazione in qualsiasi modo di una ditta>>, la <<nuova dit- ta>>, ove non intendesse assumere l’impiegato, dovrebbe, nei con- fronti di quest’ultimo, essere <<tenuta all’osservanza degli ob- blighi gravanti>> per effetto della legge sul precedente datore di lavoro <<come se avvenisse il licenziamento>>. Si prevedeva, dunque, che ove il datore subentrante intendesse optare per il licenziamento degli addetti, avrebbe dovuto rispettare l’obbligo del preavviso. Detto in altri termini, il legislatore era inter- venuto nella prospettiva di impedire che potesse essere turbata, o addirittura troncata, l'esistenza dei rapporti di lavoro per il solo fatto che si verificasse una modificazione soggettiva della titolarità aziendale; ciò in quanto <<l'intento legislativo ... aveva una preminente importanza a favore del lavoratore, cui ten-

deva ad assicurare la conservazione del posto>>133.

L’ ordinamento ha dedicato un'attenzione particolare e una rego- lamentazione specifica ai riflessi della vicenda traslativa sui rapporti individuali di lavoro, interessando col passare del tem- po, in misura sempre più consistente, le relazioni sindacali. La disciplina contenuta nell'originaria stesura dell'art. 2112 c.c., quale espressione del complessivo impianto codicistico contenuto nel libro quinto, sotto l'unico titolo <<Del lavoro>>, e della scelta di regolamentare le ricadute sulle situazioni soggettive dei lavoratori al verificarsi della più importante e complessa modificazione dell'attività imprenditoriale, implicava una lettu- ra ispirata all'assetto garantistico predisposto, nell'area della subordinazione, dall'ordinamento lavoristico nazionale. I profili della tutela erano sostanzialmente orientati in due direzioni: il riconoscimento al lavoratore del diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’acquirente e altresì la conservazione dei diritti e dell'anzianità acquisita, a meno che l’alienante- imprenditore non avesse <<dato disdetta in tempo utile>>; la pre- visione della responsabilità solidale fra quest'ultimo e l'acqui- rente per i crediti che il lavoratore aveva maturato al momento della modificazione soggettiva, e sul presupposto che fossero co- nosciuti o conoscibili attraverso le scritture aziendali o il li- bretto di lavoro. Il suddetto assetto normativo sembrava confer- mare l’antica idea secondo cui << i servizi degli operai (aveva-

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O.Mazzotta, Diritto del lavoro, Trattato di diritto privato,Milano,2013, pag301.

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no) tratto più… alla cosa ed opera attorno cui si presta(va)no che non alla persona del padrone>>134; idea che, nell’ordinamento

corporativo, aveva condotto alla teorizzazione della spersonaliz-

zazione ed oggettivizzazione dell’impresa, con la conseguente ri-

costruzione dell’inerenza del rapporto di lavoro all’azienda, più che alla persona dell’imprenditore. In un’ottica sistematica l’art 2112 c.c. dava luogo ad un’ipotesi di successione ex lege negli <<effetti giuridici>> del contratto di lavoro, in qualche modo similare alla fattispecie di cui all’art 2558 c.c., secondo cui, <<se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che ” non abbiano carattere personale “ >>. Le due dispo- sizioni, tuttavia, si discostano, tra l’altro, profondamente, per il carattere dispositivo della previsione commercialistica ed, invece, imperativo ed inderogabile della norma lavoristica135. Ed

in particolare, di per sé la disposizione in esame costituisce deroga alla disciplina generale dei contratti, ex art. 1406 c.c., visto che il trasferimento del contratto preesistente (sempreché trattasi di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite, perché altrimenti avrebbe dovuto parlarsi di debiti o crediti <<puri>> relativi all’azienda ceduta) avviene automatica-

mente, cioè indipendentemente dal consenso del contraente ceduto,

sottendendo questa, la tipica ratio di evitare un’interruzione dell’attività produttiva. Al tempo stesso, limitatamente ai <<contratti che rivestono carattere personale >> quale, appunto, il contratto di lavoro, il legislatore introduce << un’ eccezione alla deroga >> della disciplina generale dei contratti, disponen- do, in ossequio con la lettura sistematica dell’art 2112 c.c., la

continuità del rapporto di lavoro con il cessionario. Un limite della normativa di tutela derivava, altresì, dalla cir-

costanza di collocarsi all’interno di un orizzonte normativo che garantiva al datore di lavoro una libertà di recesso. Ne derivava logicamente che l’alienante poteva procedere al licenziamento di tutti i dipendenti nel rispetto dei termini di preavviso, tale essendo pacificamente il significato dell’espressione << disdetta

in tempo utile >>. A questo punto, un’accentuazione dei profili

garantistici fu assicurata, alla vicenda de quo, dall’entrata in vigore della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Si affermò il principio per cui il trasferimento non poteva co- stituire un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, salvo che ad esso non si accompagnasse una ristrutturazione organizza- tiva136.

Da detta disamina, in particolare, mancavano sufficienti elemen- ti per definire la nozione di <<azienda>> e il concetto di <<tra-

134 O.Mazzotta, opera supra cit.,pag. 302. 135

Pizzoferrato, La nozione giuslavoristica di trasferimento di azienda fra di-

ritto comunitario e diritto interno, cit., 429 ss 136

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sferimento>>, con la conseguenza che è stato necessario un co- stante impegno della dottrina e della giurisprudenza per delinea- re il campo di applicazione della disciplina. Ma, al di là della carenza di argomenti esegetici, nell'area specifica del rapporto individuale di lavoro appare indubitabile la presenza, e la per- manenza nel tempo, di un <<blocco protettivo forte>>137, che af-

fonda le sue radici nella legislazione del primo quarto di questo secolo e che ha fatto registrare un suo consistente rafforzamento con l'entrata in vigore della su accennata legge n. 604 del 1966 e dello Statuto dei Lavoratori, dove si rimarca, appunto,

l’aspetto garantistico della <<continuità del rapporto di lavo- ro>> e della <<responsabilità solidale>> del venditore e acqui- rente per i crediti maturati dai singoli lavoratori. Introdotto il regime vincolistico diventava necessario coordinarne la disci- plina con quella parte dell'art. 2112 c.c. che, nello stabilire la continuità del rapporto, faceva salva la <<disdetta in tempo utile>>. Senza contrasti, il recesso è stato considerato valido soltanto in presenza delle <<cause legittime>> previste dalla legge del 1966, alle quali è stato escluso, come suddetto, che potesse essere ricondotta la vicenda traslativa in sé considera- ta.

La prospettiva del legislatore, ancorata alle <<strutture solenni del codice civile>>, pur se integrate dalla legislazione succes- siva appena richiamata, e la sua dimensione ispiratrice <<tarata esclusivamente a misura dell'interesse individuale del singolo prestatore di lavoro>>138, si è rivelata insufficiente a descrive-

re l'intreccio delle questioni che si sono convogliate intorno alla fattispecie <<trasferimento d'azienda>>, perché le caratte- ristiche del sistema produttivo, dell'esercizio dell'impresa e del mercato del lavoro sono andate nel tempo modificandosi assu-

mendo articolazioni, anche giuridicamente, complesse. La disciplina predisposta per le vicende riguardanti l'imprendi-

tore <<sano>> e <<in bonis>> ha dovuto rapportarsi alle vicende connesse con l'emergenza e la crisi, nel cui contesto sono state introdotte una serie di normative finalizzate alla <<conservazio- ne dei comparti produttivi>>, anche nel caso di conclamata insol- venza, e alla <<conservazione dei posti di lavoro>>139. Due pro-

spettive che hanno implicato l'adattamento delle regole imperati- ve, disincentivanti per l'imprenditore orientato a investire per il risanamento dell'azienda, attraverso l'adozione di un <<regime

derogatorio della continuità del rapporto>> (e diritti da essa

derivanti) stabilita nell'art. 2112 c.c., che ha attenuato le ga-

137 G. Villani, Trasferimento d'azienda, in COMMERCIALE, 2000. 138

G.Villani, opera supra cit.

139 P.Lambertucci, Il trasferimento di azienda in crisi, in Lavoro nella Giur., 2010, 11 - Allegato 1, 67 (commento alla normativa)

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ranzie individuali140. A partire dalla seconda metà degli anni

settanta, in un panorama generale di recessione economica, si era accreditata la tendenza ad apprestare una <<strumentazione>> per governare l'ammodernamento dell'apparato industriale italiano. In detto contesto, quale regolamentazione << protettiva dei mercati

del lavoro interni di imprese in difficoltà >>141 si era sviluppa-

ta la menzionata legislazione derogatoria dell'art. 2112 c.c.. Con essa sono state introdotte disposizioni, collocabili nell'al- veo della deregolazione controllata, caratterizzate dalla <<di-

sapplicazione o allentamento procedurale di norme garantistiche a seguito della cosiddetta dichiarazione di crisi aziendale>>142.

Si consideri che il r.d. 16 marzo 1942 n. 267, c.d. legge falli- mentare , regolamentava esclusivamente il fenomeno della <<deco- zione>> quale estremità dello sviluppo patologico della crisi di impresa. Un’impostazione netta alla materia fallimentare: garan- tire il supremo interesse dei creditori accentrando la gestione della procedura nelle mani dei giudici. La procedura principe era il fallimento: l’impresa decotta doveva essere eliminata dal tes- suto economico, attraverso la liquidazione del patrimonio azien- dale e la distribuzione ai creditori nel rispetto delle regole della par condicio143. Al contempo nella piattaforma giuslavorista

erano rinvenibili altri parametri normativi. In particolare la L. n. 675/1977 che, recante << Provvedimenti per il coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo del settore >>, ha istituito un apposito Comitato di Ministri per il coordinamento della politica industriale (CI- PI), tra le cui competenze, ai sensi dell’art 2, co.5,lett. c), << su richiesta del Ministro del Lavoro accerta … (il CIPI) ac-

certa la sussistenza, ai fini della corresponsione del trattamen- to previsto dall'articolo 2 della legge 5 novembre 1968, n.

1115,(cioè dell’intervento della CIGS) di specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in rela-

zione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione

produttiva del settore>>.

Questo per dire che, prima dell’introduzione nella legge falli- mentare del c.d. concordato preventivo, ex artt. 160 e ss., avve- nuta ad opera della legge 24 maggio 1903 n. 197, l’imprenditore che versasse in un generalizzato <<stato di crisi>> non rientrava tecnicamente nella fattispecie tipica della procedura liquidato- ria principe, in quanto la situazione patrimoniale dell’azienda,

140 A.Caiafa ,Trasferimento dell'impresa nelle procedure concorsuali, in Falli- mento,2003,9,1008

141 O.Mazzotta, opera supra cit, da Digesto delle discipline privatistiche: Se- zione commerciale, Volume 1,2000,pag 787.

142 vedi opera supra cit.

143 E.Abbate, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei de- biti dopo la riforma introdotta dal “decreto sviluppo”,2013, in

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pur in dissesto, non era irreversibile tale da prospettare con- crete possibilità di recupero. Nel 1903 l’istituto della morato- ria fallimentare , che non aveva dato buona prova, venne sosti- tuito con il concordato preventivo la cui funzione doveva essere quella di consentire una <<sistemazione amichevole di un dissesto

commerciale sostituita alla dichiarazione di fallimento>>. Il

concordato si configurava quindi come un <<beneficio>> per il de- bitore meritevole, <<onesto ma sfortunato>>, con l’effetto di de- terminare una esenzione dal fallimento.

La disciplina del trasferimento dell'azienda, in ragione della prospettiva di predisporre supporti normativi idonei a consentire il superamento della crisi, si arricchisce così di una serie di interventi mirati. Si è allora cominciato a ragionare in termini di <<discipline>> del trasferimento d'azienda144 per comprendere

le numerose, e sovente diverse, situazioni nelle quali era neces- sario applicare la tutela. Quale conseguenza dell'allargamento della visuale nella quale poteva verificarsi la fattispecie tra- slativa considerata dal legislatore ha preso corpo l'esigenza di coinvolgimento dell'autonomia collettiva, <<sotto il cui control- lo>>, e <<a condizione del cui assenso>>, risulta possibile al- lentare le strette maglie della tutela delle situazioni soggetti- ve individuali. Lo stereotipo delle novità legislative può essere considerato l'art. 1, legge n. 215 del 1978,(recante Norme per agevolare la mobilità dei lavoratori e norme in materia di cassa integrazione guadagni) laddove si legge che, soltanto per le <<imprese in crisi>>, è possibile escludere la continuità del

rapporto di lavoro con l'acquirente, garantita dall'art. 2112 c.c., se in sede di consultazione ed esame congiunto con le orga- nizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sia stato rag-

giunto un accordo circa il trasferimento dell'azienda.

Ripercorrendo itinerari argomentativi della più accreditata dot- trina civilistica si perviene così ad affermare il consolidamento di un << microsistema dell'impresa in crisi>> che risponde a lo-

giche diverse dal modello tracciato dal codice civile145.

Parallelamente all'evoluzione degli assetti interni all'ordina- mento italiano si è sviluppata una normativa comunitaria basata sull'art. 100 ( << Riavvicinamento delle legislazioni>>) del Trattato di Roma (1957)laddove, preso atto che esistono differen- ze di disciplina fra gli Stati membri quanto all'entità della protezione accordata ai lavoratori coinvolti in una vicenda di trasferimento d'impresa, si assume che le ricadute <<possono ri-

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Cosio, Discipline del trasferimento d'azienda, cit., Cap.I.

145 Romei, Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell'azienda, cit., pag. 212- 213.

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percuotersi direttamente sul funzionamento del mercato comune>>. Viene così adottata la Direttiva n. 77/187/CEE del 14-2-1977, ri- guardante i <<trasferimenti d'imprese, di stabilimenti o di parti

di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione >> , che siano ubicate nel territorio

della Comunità.

Seguono, nell'arco di cinque anni, altre due Direttive, quella del 9-10-1978, dir. n. 78/855/CEE e quella del 17-12-1982, dir. n. 82/891/CEE, rispettivamente in materia di fusioni e scissioni di società, che per quanto riguarda la protezione dei diritti dei lavoratori rimandano al contenuto di quella precedente n. 187 del 1977.

La direttiva sul trasferimento d'imprese impone agli ordinamenti nazionali di adeguarsi a due principi: uno finalizzato a <<pro- teggere gli interessi dei singoli lavoratori>> facoltizzando i legislatori nazionali ad allargare l'ambito delle garanzie attra- verso la previsione della <<responsabilità solidale del cedente e cessionario>>; l'altro finalizzato a realizzare, attraverso la <<procedimentalizzazione della vicenda traslativa>>, la <<parte- cipazione e il controllo delle rappresentanze dei lavoratori>>. Il processo di conformazione è stato lungo e difficoltoso146 ed ha

visto anche una condanna della Repubblica italiana da parte della Corte di Giustizia (10-07-1986, C-235/84), dichiarandola inadem- piente agli obblighi comunitari di dare attuazione alla direttiva in tutte le situazioni in cui i lavoratori vengono coinvolti in trasferimenti di azienda e non soltanto nel caso di crisi di im- presa. L'attuazione della direttiva è avvenuta con l'art. 47 del- la legge comunitaria, l. 19 dicembre 1990, n. 428. Con essa il nostro legislatore, dovendo adempiere agli obblighi comunitari, ha tratto <<l'occasione per ammodernare ovvero per tentare di ra- zionalizzare la disciplina interna, vuoi nella parte toccata dal- la direttiva ma non oggetto di censure da parte della Corte di giustizia, vuoi nella parte non toccata da essa>>. La Corte di Giustizia, con la sentenza 7 febbraio 1985, causa n. 135/83,

Abels, ha statuito che << la direttiva non trova applicazione al

caso dei trasferimenti di un’impresa in una situazione in cui il cedente è stato dichiarato fallito >>. A tale conclusione è giun-

ta interpretandone sia la lettera, perché la direttiva non men-

ziona le procedure concorsuali tra i presupposti per la sua ap- plicazione, sia la ratio: lo scopo della direttiva, consistente

nella volontà di impedire che la ristrutturazione nell’ambito del mercato comune si effettui a danno dei lavoratori di imprese coinvolte, potrebbe essere frustrato dall’applicazione delle nor-

146 Magnani, Disposizioni in tema di trasferimento di azienda, Note introduttive, in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 1992, 628.

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me della direttiva in caso di trasferimenti di impresa avvenuti nell’ambito di procedure fallimentari di tipo liquidatorio. L’art 47, l.n. 428/1990 è altresì intervenuto nella modifica dell’art 2112 c.c., recante <<trasferimento d’azienda>>, ribaden- do le direttive guida della continuità del rapporto di lavoro con il cessionario e della responsabilità solidale tra cedente e ces- sionario. Il contesto di cui all’art 2112 c.c. è sempre quello di una cessione di azienda di un’impresa in bonis.

Quindi, sebbene la direttiva nulla abbia disposto in tal senso, in realtà, l’art 47, co. 5, della l. 428/1990, si è spinto oltre i confini delineati dal legislatore comunitario. Questo ha previ- sto una serie di ipotesi, quali essenzialmente <<lo stato di cri-

si>> dell’azienda o dell’unità produttive dell’impresa, così come

accertato dal CIPI, ex l.n. 675/1977, e quello di <<insolvenza>>, il ricorrere delle quali rende possibile la deroga alle disposi- zioni di cui all’art 2112 c.c. in presenza di un accordo con le organizzazioni sindacali. Il legislatore italiano ha anticipato il contenuto della direttiva europea successiva, modificativa di quella del 1977, cioè la direttiva 29 giugno 1998, n. 98/50.

La legge del 1990, n. 428, introduce fondamentalmente una nuova disciplina, in termini di raccordo o di bilanciamento di interes- si contrapposti di cui sono espressione le due diverse branche del diritto coinvolte, del lavoro da un lato e fallimentare dall’altro. Si delinea un binario normativo speciale, il cui spi- rito è quello di comprimere le tutele dei lavoratori per agevola- re la circolazione del patrimonio aziendale, versando questa in una particolare condizione di dissesto, ove la cessione consenta la salvaguardia almeno parziale dei livelli occupazionali, subor- dinando, in ogni caso, l’affievolimento dello statuto protettivo dei lavoratori al raggiungimento di un accordo con le rappresen- tanze sindacali. Si trattava quindi di disapplicare le garanzie di cui all’art 2112 c.c. nei confronti dei lavoratori occupati nell’azienda ceduta .

Sostanzialmente il legislatore nazionale per la disapplicazione del sistema di cui all’art 2112 c.c. aveva assimilato l’ipotesi della crisi di impresa ai casi di procedure concorsuali con fina- lità liquidatorie, cioè destinate a concludersi, ancorché medio

tempore fosse stato disposto l’esercizio provvisorio, con la ces-

sione dei complessi aziendali e non con la loro ristrutturazione.

Il nostro diritto interno ha osservato per una lunga stagione l'incalzare della giurisprudenza della Corte di giustizia, co- stantemente impegnata a fissare le <<coordinate applicative>> della direttiva n. 77/187/CEE traendo dai singoli ordinamenti dell'Unione Europea gli spunti per soluzioni interpretative capa- ci di cogliere le dinamiche delle realtà economiche e di svilup-

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po, nella logica sovranazionale indicata dall'art. 100 del Trat- tato e nel rispetto della ratio ispiratrice della direttiva mede- sima. Sono da segnalare, infatti alcune decisioni (di condanna degli stati membri), dalle quali sono scaturite alcune precisa- zioni in ordine al concetto di <<trasferimento>> e, più ancora, in ordine alla <<entità economica>> da assumere quale oggetto