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I CASI DI RINNOVAZIONE FUORI DALL’ART 603 C.P.P.

6 LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE ANTE RIFORMA ORLANDO

6.2 I CASI DI RINNOVAZIONE FUORI DALL’ART 603 C.P.P.

All’interno del codice di procedura penale è possibile rintracciare altre ipotesi di istruttoria dibattimentale in appello187, diverse da quelle

disciplinate nell’art 603 c.p.p., pur rimanendo, quest’ultimo, riferimento primo della suddetta disciplina. Il riferimento è ai meccanismi previsti nel giudizio di rinvio, nella rinnovazione di atti viziati da nullità non sanati e di integrazione probatoria nel giudizio abbreviato in appello.

Il primo caso si prospetta come un possibile esito conseguente l’esercizio del ricorso in Cassazione ex art. 606 c.p.p.: il giudice di legittimità potrà, sempre che il ricorso sia giudicato ammissibile, pronunciare annullamento ai soli effetti civili o senza rinvio, altrimenti potrà promuovere giudizio di rinvio ex art 623 c.p.p.. Qualora il magistrato opti per quest’ultima soluzione, tale atto azionerà un ulteriore grado per mezzo del giudizio rescissorio (ricorrendo al magistrato competente secondo le indicazioni dell’art 623 codice di rito penale) che si svolgerà nel rispetto dei parametri dell’art 627 c.p.p.. Il giudice quindi avrà le stesse facoltà di colui che ha emesso la sentenza annullata, salvo i limiti previsti dalla legge. Nella specifica ipotesi di annullamento di una sentenza di appello, la rinnovazione istruttoria potrà essere disposta dal giudice, qualora le parti lo richiedano, per assumere prove rilevanti per la decisione. Non sarà possibile, invece, ottenere qualsiasi apporto conoscitivo ex officio iudicis188. Con riguardo ai

187 Vedi: Cass penale. Sez.Un.930/1999

188 Vedi: C. Fiorio, Funzioni, caratteristiche ed ipotesi del giudizio d’appello, in Le impugnazioni penali, op cit, pag 351

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presupposti per l’esperibilità, contrariamente al 603 c.p.p., non vi sono distinzioni tra le distinte categorie di prove nuove; infatti sarà sufficiente una valutazione di rilevanza ai fini della decisione189.

Il secondo caso analizzabile riguarda le facoltà previste nell’art 604 c.p.p. riguardanti il giudice d’appello qualora si imbatta in questioni di nullità. Il quinto comma del citato articolo si riferisce alle nullità in via residuale che (“altre nullità “, fuori da quelle circoscritte per espresso rinvio dell’articolo), se non sanate, potranno comportare per il giudice ad quem la disposizione di rinnovazione degli atti nulli o dichiarata la nullità potrà decidere nel merito sulla base di una valutazione dell’atto come non fornente elementi necessari al giudizio. La Corte di cassazione ha riconosciuto come il giudice possa ordinare rinnovazione degli atti nulli se la sentenza di primo grado è affetta da invalidità indicate negli articoli 179 e 180 c.p.p., mentre ha escluso l’esperimento del ricorso in presenza di prove inutilizzabili in quanto illegittimamente acquisite, come per la presenza di divieti di lettura190.

Infine è possibile citare, come caso di rinnovazione fuori dal 603 c.p.p., nel contesto dei procedimenti speciali, l’integrazione probatoria prevista nel giudizio abbreviato di appello: tema oggetto di discussioni dottrinali. Il casus

belli è rintracciabile nel rinvio dell’art 443 c.p.p. all’art. 599 c.p.p. in materia

di appello in camera di consiglio: circa la facoltà di ottenere istruttoria dibattimentale o se la scelta del rito abbreviato debba essere considerata come un’implicita rinuncia alla stessa. La riforma del 1999 con legge Carotti ha eliminato il consenso del pm e riconosciuto la possibilità del giudice di assumere d’ufficio elementi necessari ai fini della decisione, mutando così la precedente natura di giudizio” allo stato degli atti”. Questi esempi, descriventi una dimensione non circoscritta della rinnovazione all’art 603 c.p.p., confermano come le prove debbano essere qualificate come rilevanti, necessarie per essere chiavi d’accesso per un’estensione probatoria.

189 Vedi F. Peroni, L’istruzione dibattimentale, op cit, pag 201. L’Autore ritiene, anche se non espressamente previsto, operante il criterio della “non manifesta superfluità”, in aggiunta alla rilevanza. Invero, la sua ratio si presta ad una possibile estensione anche al giudizio di rinvio 190 Vedi: Cass. Penale, III sez, 3.8.2000, Iodice, in ANPP, 2001, 441

68 CAPITOLO III

IL DIBATTITO EUROPEO E INTERNO

Sommario:1 La norma convenzionale nella gerarchia delle fonti. 1.1 Obbligo di conformarsi alle fonti convenzionali europee, articolo 46 cedu. 2 I principi della giurisprudenza europea. 2.1 Il caso Dan c. Moldavia 2.2 La sentenza Hanu c. Romania. 2.3 Le pronunce più recenti della Corte edu. 2.4 La sentenza Lorefice c. Italia. 3 Il percorso ricettivo dei principi europei nell’ordinamento italiano prima dell’avvento di Dan c. Moldavia. 3.1 Il timido recepimento domestico del principio di diritto espresso dalla sentenza Dan c. Moldavia. 3.2 La giurisprudenza nazionale sulla rinnovazione: le motivazioni alla recente attenzione giurisprudenziale. 3.3 La sentenza Dasgupta. 3.4 I principi di diritto riscontrabili nella sentenza. 3.5 L’incertezza del valore dell’intervento. 3.6 I dubbi permangono a seguito della sentenza Dasgupta: la 47015 del 2016. 3.7 La sentenza Patalano. 3.8 Il quadro

derivante dalla conferma della sentenza Dasgupta: le criticità.

1 LA NORMA CONVENZIONALE NELLA GERARCHIA DELLE FONTI La forza precettiva delle sentenze della Corte europea e il derivante obbligo di conformarsi incombente sugli Stati parte comporta necessariamente un’analisi della teorica delle fonti, dato che la tutela dei diritti e delle garanzie fondamentali enunciate su carta dalla Convenzione è condizionata in concreto dalla portata obbligante che tali fonti assumono nell’ordinamento ed in relazione alle altre fonti dell’ordinamento nazionale. Ciò detto, è da premettere che, entro la prospettiva della teorica delle fonti, si delinea infatti la scissione tra la sfera sostanziale su cui la CEDU si appoggia, quale il terreno costituzionale, e l’atto formale con cui la Convenzione è stata introdotta nel nostro ordinamento, da riconoscersi invece in un ordine di esecuzione posto nella legge di autorizzazione alla ratifica, avente rango di

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legge ordinaria. In questa visione i rapporti tra sistema sovranazionale e diritto interno hanno subito un cambiamento che può essere descritto, per fini organizzativi, in tre diverse fasi: la prima, nella quale la Convenzione è stata qualifica ed applicata attribuendone natura di legge ordinaria, quella centrale, in cui la giurisprudenza e la dottrina, seppur nel medesimo sistema di fonti, hanno interpretato la CEDU nella modalità capace di garantirne una operatività più esaustiva; infine, a seguito della formulazione della legge costituzionale 3/2001, le norme convenzionali hanno assunto la veste di norme interposte, da considerarsi subordinate alla legge fondamentale e sovraordinate alla fonte primaria191. Prima facie, perciò, la CEDU fu in via

condivisa celebrata come fonte primaria, presentata nell’ordinamento interno per effetto della legge 4 agosto 1955n°848; fonte di diritto primaria, in quanto i rapporti intersistemici furono definiti condividendo l’impostazione dualistica, da cui ne deriva che le fonti del diritto internazionale non possano spiegare effetti giuridicamente vincolanti in difetto di una trasposizione nel diritto interno, ed a seguito di esecuzione, venga loro riconosciuto il medesimo rango dell’atto di recepimento192.

Considerando il contenuto assiologico che emerge dalla Convenzione rispetto ai comuni trattati internazionali, così come tenendo conto della simmetria a livello contenutistico e tematico con la Costituzione, in dottrina193 si è riscontrata la necessità di garantire alla stessa una copertura

191Vedi: M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, in R.E. Kostoris e A. Balsamo (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte Costituzionale, G. Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p. 36.

192 Vedi: Corte costituzionale n 188 del 1980.

193 R. Quadri, Diritto Internazionale pubblico, A.Giuffrè, Milano, 1968; V. Petralia, Equo processo, giudicato nazionale e Convenzione, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2012; M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporto tra fonti, rapporto tra giurisdizioni, in R.Bin A. Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU: il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007; G. Sorrenti, La Cedu tra vecchie(sostanziali) e nuove (formali) ipotesi di copertura, in R.Bin A. Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU: il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007; T. Perassi, La Costituzione italiana e l’ordinamento internazionale, in <<Scritti giuridici>>, Vol.1, Milano, Giuffrè, 1958; A. La Pergola, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1961.

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costituzionale o il rango di fonte atipica al fine di eludere per la CEDU l’applicazione dei canoni di risoluzione delle antinomie fra norme di pari grado. Il riconoscimento di una copertura costituzionale avrebbe prodotto un rinvigorimento delle garanzie fondamentali, conferendo alle richieste della vittima un più ampio margine di difesa: tali da ricomprendere valutazione del giudice ordinario, controllo di costituzionalità e controllo successivo della Corte EDU. Puntualmente la specialità della fonte sovranazionale è stata enfatizzata da una isolata pronuncia della Consulta, nella quale il Giudice delle leggi ha indicato che le norme della Convenzione sono << norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria >>194. Diversi studi dottrinali hanno, invece,

affermato in via alternativa o cumulativa la copertura costituzionale su un parametro formale della Carta fondamentale, derivandone per le norme convenzionale rango superlegislativo, con il dispiegarsi di effetti sia riscontrabili nella prevalenza delle stesse sulle leggi interne contrastanti, che nell’ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale ove la Convenzione avrebbe assunto la veste di parametro interposto. Sono comunque emerse criticità e censure nei riguardi della suddetta lettura, tra le quali è possibile citare quella espressa dalla Professoressa Cartabia, nel sottolineare come l’apertura della Costituzione al riconoscimento di nuovi diritti tramite l’art. 2 Cost. determini il conferimento di una delega ai giudici esterni, atta a definire la struttura dei nuovi diritti, riformando radicalmente il quadro costituzionale: << per limitare la creatività dei giudici nazionali e della Corte costituzionale italiana si fa spazio, in realtà, all’attivismo delle Corti europee >>195.

Si sono imbattuti sulle riflessioni delle tesi incentrate sulla teorica delle fonti gli effetti rivoluzionari e modificati del riformato quadro costituzionale verificatosi con legge costituzionale 3/2001, che, con il nuovo testo

194 Vedi: Corte costituzionale, 19 gennaio 1993, n. 10.

195Vedi: M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporto tra fonti, rapporto tra giurisdizioni, op cit., p.11.

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delineato nell’art.117, sottopone la fruizione della potestà legislativa statale quanto quella regionale, al rispetto degli obblighi internazionali. Dall’intervento riformativo del Titolo V della Carta costituzionale, il Legislatore è conscio che l’ordinamento nazionale è posto in una fitta maglia di relazioni internazionali che influenzano la formulazione delle scelte interne, in quanto era opportuno comprendere la portata innovativa della stessa, idonea, potenzialmente capace di dispiegare effetti rilevanti nei rapporti tra diritto internazionale e ordinamento interno. Partendo dal dato sistemico della fonte della materia, è emerso che la posizione della norma, posta nel Titolo V, che è volto a regolare la ripartizione di competenze tra Stato ed enti locali, non sia incidente sulle relazioni tra ordinamento italiano e fonti internazionali, che, come in precedenza, troveranno regolamentazioni site negli articoli 10 e 11196197. E’ emersa

un’interpretazione più estensiva, nell’inerzia della giurisprudenza costituzionale, che riconosce, nel contenuto riformato, una norma volta a promuovere effetti non solo sul rapporto tra ordinamento statale e ordinamento regionale, ma anche sull’assetto delle fonti interne e sovranazionali. Ciò avrebbe avvicinato il sistema giuridico italiano verso la costituzione di un modello monistico, derivandone un automatico ingresso del diritto internazionale pattizio nell’ordinamento interno, linearmente con quanto previsto nell’art.10 Cost. per le norme internazionali generalmente riconosciute. Da questa estrema impostazione viene disposto un meccanismo di copertura formale, che non attribuisce il giusto rilievo alla diversità delle fonti pattizie alle quali sottopone l’esercizio della potestà legislativa e giunge a lidi più lontani di quanto necessario198: di contro la

Convenzione, in funzione del contenuto assiologico che la contraddistingue,

196Vedi: M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, op cit., p.47.

197Vedi: C. Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in <<Foro it.>>, 2001.

198Vedi: G. Sorrenti, La Cedu tra vecchie(sostanziali) e nuove (formali) ipotesi di copertura, in R. Bin A. Puggiotto, G. Brunelli e P. Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU:il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G. Giappichelli-Editore, Torino, 2007, p.241.

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nell’essere promotore di valori di civiltà giuridica e di diritti umani fondamentali, ha una vocazione costituzionale, che non si riscontra invece in altri trattati internazionali, non aventi medesima natura.

L’ultimo orientamento, prevalente in dottrina e che appare condiviso anche dal legislatore con la legge 131/2003, rivolto a spiegare il carattere innovativo dell’articolo modificato nella forza di contrastare abrogazione e modifica promosse da fonti primarie, da cui emerge, nel rispetto del principio pacta recepta sunt servanda, che il legislatore dovrà adattarsi e attribuire il rispetto dovuto ai trattati recepiti, non invece nella previsione di un passaggio dal piano legislativo a quello costituzionale delle fonti internazionali, né nel riconoscimento di una più incidente forza attiva. Da tale angolo visuale, ne deriva che, nel momento in cui una legge violi un trattato recepito, la disposizione in questione potrà essere sottoposta a sindacato finalizzato a verificare la legittimità costituzionale della stessa nei riguardi dell’art.117 Cost., e nel suddetto giudizio potranno essere funzionali, nella veste di norme interposte, le prescrizioni violate. Questa scelta esegetica consentirebbe dunque di posizionare le norme convenzionali in un rango interposto, da un lato riconoscendone una forza passiva superiore alle fonti primarie, dall’ altro un rilievo attivo meno incidente rispetto alle norme costituzionali. Un orientamento condivisibile sia in quanto conforme ai principi generali e alla teorica delle fonti, sia in ordine agli effetti della Convenzione sull’ordinamento italiano199. Non

essendo effettiva una costituzionalizzazione della Carta europea né attiva né passiva, si potrà giungere a quel margine di discrezionalità che sia la Convenzione sia la Corte riconoscono agli Stati, non individuando così un obbligo alla Corte costituzionale di tutelare i diritti fondamentali in conformità con la lettura offerta dalla giurisprudenza di Strasburgo. Da un lato, per mezzo di tale impostazione, è possibile riconoscere effetti più ampi, in quanto riconosce piena equiparazione tra obblighi internazionali, che Condorelli riteneva inammissibile, dall’altro effetti più stringenti, non

199Vedi: M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, op cit., p. 48.

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attribuendo attenzione al rilievo costituzionale della CEDU ed indicando una resistenza passiva rinforzata.

Con le sentenze gemelle n° 348 e n° 349 del 2007 la giurisprudenza costituzionale ha condiviso la tesi della natura interposta, ovvero pronunce relative alla legittimità di una legge che, contrapposta alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quantificava l’indennizzo in un importo minore al valore di mercato del bene nel caso in cui una persona fosse stata privata del diritto di proprietà. Il giudice di merito, non avendo facoltà né di applicare altre norme dell’ordinamento interno utili alla ponderazione dell’indennizzo né di disapplicare le norme nazionali confliggenti con gli obblighi convenzionali, ha sollevato la questione di legittimità. Il Giudice delle Leggi ha disposto che, se pur il parametro 117 Cost. non attribuisce rilievo costituzionale alle norme contenute in fonti internazionali pattizie oggetto di una legge di ratifica ed esecuzione, il riformato articolo vincola il legislatore a rispettare gli obblighi internazionali, da cui ne deriva che la disposizione contrastante comporti di per ciò solo una violazione mediata del precetto costituzionale200201. Attraverso le due pronunce gemelle la Consulta è così

giunta sia al riconoscimento della funzione di parametro agli obblighi internazionali contemplati dall’articolo 117, nel contesto in cui risiede il fondamento costituzionale della CEDU in via esclusiva, sia all’esplicita enunciazione di sottoposizione della legge ai vincoli sovranazionali con il corollario del potere-dovere in capo alla Corte costituzionale di annullare le norme contrastanti con le fonti interposte202.In conseguenza di ciò la Corte

costituzionale è in grado di sottrarre con efficacia generale dall’ordinamento

200 Vedi: M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei processi interpretativi, in R. Gambini e M. Salvadori (a cura di) Convenzione europea sui diritti dell’uomo: processo penale e garanzie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009, pag 23

201E’ possibile sottolineare che il riconoscimento dell’efficacia della giurisprudenza di Strasburgo nell’ordinamento interno sia avvenuta per via giurisprudenziale; la Corte costituzionale, conferendo rango interposto alle fonti CEDU, giunge ad una esplicita attribuzione dei risvolti della Corte EDU, dal momento che le norme convenzionali sono espressione di quell’interpretazione che delle stesse viene effettuata dalla Corte di Strasburgo. Invero ciò comporta una autolegittimazione, essendo una Corte a conferire legittimazione ad un’altra Corte.

202 Vedi: V. Sciarabba, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in <<Giurisprudenza costituzionale>>, 2007, pp. 3579-3591.

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una normativa comportante una violazione convenzionale strutturale, adempiendo così agli obblighi imposti alle Alte parti dagli articoli 41 e 46 CEDU, in quanto l’adesione alle decisioni della Corte di Strasburgo non richiede il ristabilirsi della situazione previgente e il risarcimento del danno per il ricorrente, ma l’adempimento di misure generali finalizzate alla prevenzione circa nuove violazioni. Sotto questo profili, la Convenzione europea amplia e conferisce contenuto alla previsione costituzionale senza, però, essere essa stessa una fonte di vertice, ma riscontrando, invece, applicazione in relazione alle norme sub-costituzionali, che consentono di rendere concreto un precetto che << si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono avere >>203.Dall’opera

dei giudici costituzionali è stato formulato e modellato un parametro costituzionale che, per mezzo di << un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente >>204, esprime un autonomo

recinto di operatività se confrontato a quello descritto negli artt. 10 e 11, contemporaneamente colmando una lacuna strutturale dell’ordinamento per cui, nello status quo ante riforma del 2001, non era consentito utilizzare come parametro di costituzionalità una norma internazionale fuori dalle ipotesi di applicabilità dei due articoli contenuti fra i principi fondamentali. Attribuire natura di norma interposta alla fonte convenzionale, comporta per il giudice ordinario, nei casi in cui si profili un eventuale contrasto tra questa e una norma nazionale, di usufruire di qualsivoglia strumento interpretativo per raggiugere una soluzione ermeneutica in linea con gli obblighi previsti a livello internazionale; a ciò si aggiunge, nei casi in cui non sia possibile addivenire ad una ricostruzione conforme, che il giudice a quo è tenuto a censurare la suddetta incompatibilità sollevando questione di legittimità costituzionale. Incaricato della questione, sia pur nella condizione di non poter istaurare un sindacato sull’interpretazione giurisprudenziale dei giudici di Strasburgo, il giudice delle leggi analizza la compatibilità della norma convenzionale alla luce di altri parametri costituzionali ai quali, in

203 Cfr: Corte costituzionale, 22.10.2007, n. 348. 204 Cfr: Corte costituzionale 24.10.2007, n°349.

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relazione alla posizione infra-Costituzionale, è sottoposta205; questa

impostazione appare necessaria nel momento in cui, in caso contrario, si presenterebbe il paradosso di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma primaria contrastante con un’altra fonte sub- costituzionale, a sua volta in contrasto con la Legge fondamentale. La Corte non fa sua la nozione di norma interposta, sulla base dell’impossibilità di definire una categoria unitaria e sistematica a fronte dell’eterogeneità delle fonti, ma ciò che risulta rilevante è la funzionalità della fonte ad assumere le sembianze di parametro nel giudizio di legittimità e, in quanto scelta che si impone sul trattamento giurisdizionale conseguente, per rendere concreti “gli obblighi internazionali” che vincolano la potestà legislativa206.

1.1 OBBLIGO DI CONFORMARSI ALLE FONTI CONVENZIONALI