6 LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE ANTE RIFORMA ORLANDO
3.8 IL QUADRO DERIVANTE DALLA CONFERMA DELLA SENTENZA DASGUPTA: LE CRITICITA’
L’aver rinnovato a Sezioni Unite un tema espresso nell’ annualità precedente dalla stessa Corte nel caso Dasgupta, ha senza dubbio attribuito forza alle previgenti argomentazione, consolidando così l’orientamento sposato dalla prima pronuncia. Tuttavia, nonostante la condivisione riscontrata, essendosi la Corte avvicinata ad una tematica ad ampio respiro, persistono alcune incertezze legate alla morfologia che andrebbe così ad assumere il giudizio di secondo grado.
Quest’ultimo, assumendo i connotati di un nuovo giudizio, così come emerso dall’impostazione innovatrice, dovrebbe essere dotato di oralità e immediatezza, e questi presupposti porterebbero, prime facie, a generare la problematica della demarcazione dei confini che le prove decisive dovrebbero assumere, in funzione della possibile sottoposizione a riassunzione.
L’argomento in questione ha suscitato le attenzioni della Corte nella pronuncia del 2016423, scindendo la decisività delle prove negate (per cui è
possibile avvalersi del rimedio previsto nell’articolo 606 c.p.p. alla lettera d)),da quella attribuibile a prove assunte in primo grado determinanti per l’esito assolutorio e che, se espunte dal materiale probatorio del giudice
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d’appello, si rivelano idonee ad incidere sulla conclusione in secondo grado424.A tal fine, la qualifica di prova decisive così descritta assumerebbe
confini molto più flessibili, potendo al più accostarsi ad un mero criterio utilitaristico. Dalla condivisione di tale visione, potrebbe rientrare nella classe descritta ogni materiale probatorio funzionale al giudice di primo grado, utile al suo convincimento di propendere per una pronuncia di proscioglimento. Da tale angolo visuale si motiva la scelta della sentenza Dasgupta di considerare, tra quelle dipinte come decisive, le prove dichiarative che non hanno per nulla assunto valore per il giudice a quo, o quantomeno hanno ricevuto comunque limitata attenzione, ma che, nell’analisi del giudice ad quem, acquisiscono centralità al fine di pronunciare condanna; anche se ciò possa avvenire non in via autonoma ma con il supporto di ulteriore compendio probatorio.
Le ampie maglie che connotano la decisività secondo la suddetta impostazione, determinano conseguenze negli ingranaggi dell’articolo 603 c.p.p. per ricorsi avversi al proscioglimento. La stringente gerarchia dei presupposti per l’ammissibilità probatoria in appello, che risiede nel dettato del primo e terzo comma dell’articolo, lascia il posto agli schemi del secondo, propensi a rinviare ai filtri previsti in primo grado425. Nella pratica,
il rischio di una censura dinnanzi alla Corte di legittimità, dovrebbe spingere il giudice d’appello a propendere per la rinnovazione: sia da un lato perché stimolato dalle richieste dell’appellante, sia dall’altro nella prognosi di una conclusione che si prospetta peggiorativa per l’imputato426.
Un’ulteriore aspetto critico che può essere presentato alla luce del quadro descritto, risiede nel riconoscere sempre come violata la motivazione, per il solo fatto che il giudice sia in difetto nel tener fede all’obbligo di rinnovare. E’ possibile infatti sostenere che il ribaltamento di una sentenza assolutoria in primo grado in assenza di rinnovazione, non compromette
424 Vedi: Cass. penale., Sez. Un.17684/2016, per le quali la sentenza Dasgupta esclude che la violazione di norme processuali possa essere la via per ricorrere al giudice di legittimità secondo la lettera c) del 606 c.p.p.
425 Nel richiamo al primo comma dell’articolo 495 insito nel secondo comma del 603 c.p.p. 426 Vedi: H. Belluta e L. Luparia, Ragionevole dubbio e prima condanna in appello: solo la rinnovazione ci salverà?, op cit, pag 5
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necessariamente l’integrità della motivazione, in quanto, in relazione alla pronuncia di condanna, il costrutto logico-motivazionale delle ragioni a fondamento del dispositivo potrà comunque presentarsi privo di lacune, di elementi contraddittori e illogici427.Mancata rinnovazione e vizio di
motivazioni non sono da considerarsi, quindi, necessariamente posti in rapporto causa-effetto. Il difetto insito nella non attivazione della disciplina del 603 c.p.p. assumerebbe più i toni del difetto di istaurazione di contraddittorio, che non di un vizio di motivazione428
Per le prove diverse da quelle aventi natura dichiarativa, la Corte di cassazione ha assunto una posizione simmetrica alla giurisprudenza europea429: per saggiare l’attendibilità delle prove dichiarative è necessario
propendere verso il dovere di rinnovazione, ciò però non esclude, nell’ottica di garantire un fair trial, che talvolta possa essere opportuno prevederlo anche per prove aventi diversa natura.
Sembra opportuno, nell’avanzare dell’analisi, porre l’accento su quei casi in cui le fonti di prova non possano proprio essere riascoltate o sia comunque preferibile non farlo: ciò può verificarsi qualora il sopravvenire di morte, infermità o diversa ragione non ne consenta ulteriore assunzione. E’ sempre da ricercare nel contenuto della sentenza Dasgupta la disposizione aderente al punto: dal principio di non procedere ad overtourning del giudizio assolutorio ex actis anche in questi scenari, alla possibilità, se il giudice d’appello certifica l’esistenza di tali condizioni, di decidere sulla base delle preesistenti dichiarazioni. Questa riflessione, non essendo stata espressa in modo chiaro e univoco, ha comunque destato perplessità nella
427 Vedi: H. Belluta e L. Luparia, op cit, pag 5
428 Una lettura esclusa dalla stessa Corte a Sezioni Unite nel caso Dasgupta, ferma nel considerare la lettera c) del 606 inidonea alla tutela dell’imputato
429 C.Eur, 28.02.2017, Manoli c. Moldavia, pag 5. La Corte europea ha enunciato il principio: «an appellate court is called upon to examine a case as to the facts and the law and to make a full assessment of the question of the applicant’s guilt or innocence, it cannot, as matter of fair trial, properly determine those issues without a direct assessment of the evidence» (qualora una corte d’appello sia investita della competenza ad esaminare un caso sia in fatto che in diritto compiendo una piena valutazione del quesito di colpevolezza o innocenza, non potrà, in veste di un problema di giusto processo, affrontare queste tematiche in via esaustiva senza una diretta valutazione della prova)
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giurisprudenza di merito430.Se il contraddittorio nella fase formativa della
prova può descriversi come la norma da doversi rispettare, vi possono tuttavia essere eccezioni, ovvero quelle che trovano sede nel 5 comma dell’articolo 111 della Carta Costituzionale.
Un aspetto spinoso della questione è riscontrabile nell’ulteriore escussione di un teste vulnerabile, se la posizione dello stesso è aggravata dall’essere vittima del reato, per cui fermo restante il principio, è possibile che il giudice effettui:” la valutazione circa l’indefettibile necessità di sottoporre il soggetto
debole, sia pure con le opportune cautele, ad un ulteriore stress al fine di saggiare la fondatezza dell’impugnazione proposta avverso sentenza assolutoria”431.In questo difficile bilanciamento di interessi il giudice ha
solamente due elementi da tenere in considerazione. Infatti può essere guidato dal criterio della non deducibilità allo stato degli atti che fa da impulso al fine di ammettere riassunzione, ma deve anche tenere in considerazione il pericolo di censura della propria decisione, che si può prospettare qualora opti per non riassumere o non possa essere correttamente argomentata la scelta di non escutere le fonti di prova già sentite in primo grado.
La soluzione che può emergere come più opportuna432 sembrerebbe
ricondurre alla doverosa ripetizione della disciplina che, in questi confini, è prevista in primo grado: dalle modalità di audizione, funzionali ad una maggiore tutela per l’esaminato, ad un più fitto filtro di ammissibilità della prova, come disposto dall’articolo 190 bis del c.p.p. in direzione della persona offesa in circostanze particolarmente vulnerabili.
Un elemento coadiuvante per il magistrato, atto a selezionare l’interesse da ritenere prevalente nel momento in cui si trovi a soppesare quelli in gioco, può rintracciarsi nella direttiva numero 29 del 2012 a livello europeo.
430 Corte Appello Bologna, II Sez, 7.04.2017, n2129. La pronuncia della Seconda Sezione della corte di appello ha ritenuto interpretabile il dictum del caso Dasgupta scindendolo: da un lato il principio, operante come regola di riassunzione di fonti dichiarative in caso di ribaltamento, e dall’altro nelle possibili eccezioni, come il teste vulnerabile che può essere sottoposto a vittimizzazione secondaria 431 Dettato estrapolato dalla sentenza Dasgupta, Cass., Sez. Un., 28.4.2016
432 Secondo la posizione assunta da H. Belluta e L. Luparia, Ragionevole dubbio e prima condanna in appello: solo la rinnovazione ci salverà?, op cit, pag 7
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Quest’ultima si dirige a riconoscere come scopo prevalente la protezione delle vittime del reato, considerando il processo sia come apparato giudiziario che come sede del confronto con l’accusato.
145 CAPITOLO IV
LA C.D. RIFORMA ORLANDO: SPUNTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI SULL’INTERVENTO DEL LEGISLATORE
Sommario: 1 Premessa. 2 Gli apporti della c.d. Riforma Orlando al sistema delle impugnazioni. 2.1 Il nuovo comma 3 bis dell’articolo 603 c.p.p. 3 L’atteggiamento giurisprudenziale nei riguardi della nuova formulazione dell’articolo 603 c.p.p.: la sentenza Marchetta. 3.1 Riflessioni (critiche) in merito all’orientamento della sentenza Marchetta. 3.2 Nuovamente l’intervento delle Sezioni Unite sulla disciplina della rinnovazione: il caso Troise. 3.3 In attesa della pronuncia della Consulta in merito alla nuova norma sulla rinnovazione istruttoria: la Corte di appello di Trento solleva questione di legittimità costituzionale. 4 Le riflessioni dottrinali sull’apporto della c.d. Riforma Orlando in materia di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
1 PREMESSA
Dai tempi dell’introduzione del codice Vassalli ad oggi, il Legislatore non ha promosso un drastico cambiamento del sistema delle impugnazioni penali. Questa affermazione è condivisibile se si tiene conto anche del ridimensionamento subito dalla c.d. legge Pecorella433 per mano della
Consulta434. Per cui, partendo dal 1988 è necessario giungere sino ai giorni
nostri per ricercare un ampio sforzo normativo e questo è senz’altro individuabile nella c.d. legge Orlando435, ovvero un unico articolo con ben
novantacinque commi, che intervengono sull’intero sistema penale, con norme immediatamente efficaci e diverse deleghe.
433 Legge 20.02.2006, n46
434 Corte cost n26/2007, Corte cost 320/2007, Corte cost 85/2008 435 Legge 23.06.2017, n103
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Si tratta di una riforma che innova significativamente anche il sistema della impugnazione, modificando la struttura dell’appello e che, soprattutto, ai fini della ricerca in atto, innesta, mediante il comma 58, nel corpo dell’art 603 c.p.p. una prescrizione inedita, il nuovo comma 3bis. Perciò, alla fine, si è deciso di metter mano alla disciplina dell’appello, rimasta fino a tale momento ancorata alle indicazioni del 1988, supportando un’idea di riforma esistente già all’indomani del varo del codice Vassalli: invero, sin dall’entrata in vigore del codice, erano emerse riflessioni critiche in merito alla decisione del Legislatore di mantenere sostanzialmente inalterato l’assetto del mezzo, analogo al precedente modello436.
Il cambiamento è stato apportato mediante un’opera complessa, figlia di due anni e mezzo di lavori parlamentari, ove, alla fine, è nato il disegno di legge n:4368, per mezzo dell’accorpamento in un unico testo di tre progetti di legge già approvati dalla Camera (Atti Camera nn. 2798, 2150 e 1129) e di una pluralità di proposte di legge di iniziativa parlamentare437. In merito
ai campi toccati dalla riforma, si registra l’intervento sulla materia penale sostanziale, con disposizioni introduttive di modifiche dirette al codice penale (commi 1-15), nonché con una delega per l’adozione di decreti legislativi per la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati e delle misure di sicurezza personali e per il riordino di alcuni settori del codice penale (commi 17-18) e per mezzo di una delega per l’adozione di un decreto legislativo in materia di casellario giudiziale (commi 18-19). Con riguardo alla materia penitenziaria, vi è un’articolata delega che recepisce in larga parte il lavoro fatto dagli Stati generali dell’esecuzione penale (commi 82, 85 e 86). Come detto precedentemente, preme comunque ribadire che la porzione centrale della manovra (commi 21-84) investe le dinamiche del processo penale.
436 M. Ceresa Gastaldo: La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative, in Diritto penale contemporaneo, https://www.penalecontemporaneo.it/upload/7241-ceresa- gastaldodpctrim317.pdf , pag 164
437 M.Gialuz, A. Cabiale e J. Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in Diritto penalecontemporaneo,https://www.penalecontemporaneo.it/pdfviewer/?file=%2Ffoto%2FDPC_ Riv_Trim_3_17.pdf#page=182 , pag 174
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2 GLI APPORTI DELLA C.D. RIFORMA ORLANDO AL SISTEMA DELLE IMPUGNAZIONI
Uno dei settori di intervento più ambiziosi e articolati della riforma è senza dubbio rappresentato dalla materia delle impugnazioni, sulla quale il Legislatore è intervenuto con l’intento di promuovere finalità semplificatrici e deflative438, anche se poi, come vedremo, non del tutto concretizzate.
L’opera di restyling dell’appello può essere distinta in due diversi aspetti: modifiche incidenti sulla struttura del mezzo e interventi sul funzionamento del giudizio di secondo grado. All’interno della prima specie può essere inclusa la nuova formulazione dell’articolo 581 c.p.p., potendosi, nella medesima, tra l’altro leggere una relazione di continuità con l’articolo 546 c.p.p.439. Invero, alla richiesta di un maggior sforzo motivazionale per
l’organo giudicante, riscontrabile nell’ultimo articolo citato, si affianca la pretesa di una più attenta formulazione dell’atto di appello per l’imputato: infatti l’“enunciazione specifica” investe ora tutti gli elementi dell’impugnazione, e quindi non solamente le ragioni in diritto e gli elementi in fatto sulle quali il ricorso si fonda.
Peraltro tale aspetto riformatore è assistito dalla sanzione, particolarmente gravosa per la parte ricorrente, dell’inammissibilità, di tal che lo stesso produrrà - verosimilmente - nella prassi forense significativi e penetranti effetti, primo fra tutti quelli deflattivi. Infatti il vizio dell’inammissibilità si manifesterà ogni qual volta che il ricorso sia in difetto di anche uno solo dei presupposti indicati dall’art. 581 c.p.p., promuovendo così ulteriori ipotesi di inammissibilità che si aggiungono ai casi generali indicati nell’articolo 591 c.p.p.
Particolarmente interessante si rivela la novella nella parte in cui impone all’impugnante un onere assertivo e motivazionale sui profili probatori della decisione di cui invoca la riforma: il ricorrente è infatti attualmente tenuto ad
438 M. Gialuz, A. Cabiale e J. Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, op cit, pag 186
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enunciare in modo specifico le proprie doglianze relative ai dati conoscitivi asseritamente travisati, ignorati, o inesistenti, ed esplicitare, con la medesima trasparenza, le proprie richieste in merito all’acquisizione di nuove prove, o alla riacquisizione di quelle già esperite440.
All’ampliamento degli oneri per l’imputato è possibile attribuire “un valore
pedagogico, volto a imprimere maggiore rigore nel controllo sul rispetto dei requisiti minimi dell’atto di impugnazione”441. Se si adottasse una interpretazione formalistica della disposizione, e dunque valorizzando anche aspetti topografici come la collocazione della norma tra le disposizioni generali, l’estensione dei suddetti requisiti richiesti sarebbe da riconoscere con riguardo all’interezza dei mezzi di impugnazione, tuttavia appare più opportuno, in un’ottica restrittiva, destinarla al solo appello. Potrebbe oltretutto prospettarsi che, in futuro, visto l’impegno tecnico- giuridico che oggi si richiede per l’enunciazione dei requisiti, la presentazione dell’atto di impugnazione di merito passi nelle mani del solo difensore. Invero, si tratterebbe di dinamiche che già attualmente, per mezzo della riforma dell’art. 571 c.p.p., sono riconosciute a livello ordinamentale in relazione al ricorso per Cassazione, in quanto lo stesso non è più suscettivo di proposizione personale da parte dell’imputato442.
Un ulteriore significativo cambiamento strutturale è stato apportato dalla riforma all’articolo 428 c.p.p., la quale ha disposto l’appellabilità delle sentenze di non luogo a procedere, prima solamente oggetto di possibile ricorso in Cassazione. Un’opera che si inserisce nel più ampio disegno di circoscrivere la facoltà soggettiva e oggettiva di impugnare, finalizzata ad alleggerire la mole di lavoro della Corte di legittimità, altrimenti a rischio paralisi443. L’immediata conseguenza che è lecito attendersi sarà il
derivante sovraccarico di attività in appello, generato, oltre che dal
440 M. Gialuz, A. Cabiale e J. Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, op cit, pag 187
441 A. Marandola, A proposito della specificità dei motivi d ’appello, in Parola alla difesa, 2016, n. 1, p. 18.
442 E. Lorenzetto, L’appello nell’età della restaurazione, op cit, pag 2279 443 E. Lorenzetto, L’appello nell’età della restaurazione, ibidem
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cambiamento descritto, anche dall’abrogazione dell’art. 625 ter c.p.p. con la conseguente attribuzione della competenza per la rescissione del giudicato alle Corti di seconde cure. Inoltre, posto che la sentenza di non luogo a procedere in appello è comunque suscettibile di impugnazione innanzi alla Corte di legittimità, non appare propriamente scongiurato il rischio di un’eccessiva competenza per la Suprema Corte. Invero il comma 3 bis del nuovo 428 c.p.p. consente comunque il ricorso in Cassazione, ma adesso come rimedio operante in una fase successiva: infatti il medesimo sarà esperibile avverso la sentenza di non luogo a procedere confermata in appello, tuttavia sembrerebbe allo stesso modo estendibile anche a quelle di riforma. In merito ai soggetti legittimati a ricorrere, se da un lato non vi è alterazione per imputato e P.M. (nella duplice veste di procuratore della Repubblica e generale), si è invece proceduto ad escludere la persona offesa costituita parte civile: originariamente in grado di avvalersi del rimedio ex art 606 c.p.p., oggi, di contro, le è stata negata tale facoltà. La motivazione, che anima questa scelta ostativa, è da ricercare nella seguente convinzione: la statuizione di una sentenza di non luogo a procedere non ha risvolti extrapenali. Lo svolgimento in camera di consiglio, a norma dell’art 127 c.p.p., precedentemente richiesto nell’impugnazione di tale sentenza in Cassazione, si impone ancora oggi, anche se di fronte alle Corti di merito.
Anche per quanto concerne la scelta di aver predisposto reclamo e non più ricorso in Cassazione, al fine di opporsi al provvedimento di archiviazione
ex art 410 bis c.p.p., è possibile cogliere nuovamente la volontà del
Legislatore di alleggerire le attività in sede di legittimità. Questo cambiamento produce rilevanti conseguenze per la persona offesa: quest’ultima potrà, avvalendosi dei “nuovi strumenti”, appellare la sentenza di non luogo a procedere viziata da nullità prevista nel 7 comma dell’art 419 c.p.p. così come presentare reclamo contro il provvedimento di archiviazione ex art 410 bis. Tuttavia, la suddetta parte, non potrà avvalersi, in nessuno dei due casi, dell’impugnazione di legittimità: né avverso l’ordinanza che decide il reclamo, né nei riguardi della sentenza che ha
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confermato la decisione di non luogo a procedere a seguito dell’appello dalla stessa proposto. E’ evidente la compresenza di più interessi in gioco, ovvero da un lato un’adeguata tutela degli interessi della parte civile e dall’altro la salvaguardia della fluidità del procedimento. Così come è lampante quale tra i due, il Legislatore, abbia ritenuto più meritevole di attenzioni.
Merita adesso, invece, soffermarsi sui cambiamenti che hanno inciso sul funzionamento del giudizio di secondo grado. La modifica più rilevante in materia di appello concerne la reintroduzione del cd. concordato anche con rinuncia ai motivi di appello. Viene infatti inserito un nuovo art. 599-bis c.p.p. che si riallaccia alla vecchia disciplina contenuta nell’art. 599 c.p.p.. E’ stato introdotto poi nell’art. 602 c.p.p. un nuovo comma 1-bis, riprendendo l’originario comma 2 dell’art. 602 c.p.p., al fine di adeguare la disciplina del dibattimento in appello al cambiamento apportato: infatti, nel descrivere l’andamento del procedimento, è stato necessario aggiungere: “se le parti
richiedono concordemente l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell’articolo 599-bis, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo”. Alla
manovra, volta a reintrodurre un istituto che aveva dato buona prova di sé444, sia pur con innovazioni finalizzate a rispondere alle critiche che ne
avevano comportato la soppressione445, è da riconoscere un “evidente intento deflativo”446. Il secondo comma dell’articolo 599 bis del codice di rito
apporta innovazioni rispetto alla versione precedente dell’istituto: infatti predispone l’inedita scelta di circoscrivere l’ambito di applicazione del nuovo
444 M. Gialuz, A. Cabiale e J. Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, op cit, pag