6 LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE ANTE RIFORMA ORLANDO
2.3 LE PRONUNCE PIU’ RECENTI DELLA CORTE EDU
Contestualmente alla pronuncia Hanu c. Romania, la Corte Europea affronta il caso Kostecki c. Polonia274. In questo frangente la giurisprudenza
europea chiarisce che un requisito fondamentale del processo equo è il diritto di ogni accusato di esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni di quelli a carico davanti ad un giudice terzo e imparziale, deputato a recepire direttamente il bagaglio di conoscenze e la credibilità dei dichiaranti. Il predetto diritto deve essere assicurato all’accusato solo nei casi in cui le prove vengano prodotte in sua presenza e in pubblica udienza, in modo da assicurare il più ampio contraddittorio e “la mancata
escussione dei testimoni in dibattimento, sostituita dalla lettura delle dichiarazioni, è ammessa qualora tali prove in concreto non abbiano avuto un ruolo decisivo nella sentenza di condanna”275.Da tale principio è
possibile concludere che il difetto di contraddittorio in merito ad una prova orale possa essere consentito solo in talune eccezionali ipotesi, in quanto comprime ingiustamente il diritto a difesa, violando l’articolo 6 CEDU276.
273 “one of the requirements of a fair trial is the possibility for the accused to confront the witnesses
in the presence of a judge who must ultimately decide the case, because the judge's observations on the demeanour and credibility of a certain witness may have consequences for the accused".
274 Corte EDU, V sez, 4.06.2013, Kostecki c. Polonia
275 Citazione dalla pronuncia: Corte EDU, Kostecki c. Polonia 276 V. Comi: Il commento, op cit, pag 198 e 199
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Nella sentenza Kashlev c. Estonia277, analogamente agli altri casi
esaminati, la Corte d’Appello pronunciava condanna, nel caso di specie nei riguardi di un cittadino accusato del reato di lesioni gravi, ribaltando la pronuncia assolutoria di primo grado ritenendo credibili le testimonianze, senza procedere a diretto esame delle stesse. Divenuta irrevocabile la condanna, il ricorrente lamentava di fronte alla Corte di Strasburgo la violazione dell’art. 6, commi 1 e 3, lett. d), sostenendo di essere stato condannato in appello sulla base del medesimo materiale probatorio che aveva condotto all’assoluzione in primo grado, senza alcuna rinnovazione dell’attività istruttoria.
Secondo la Corte di Strasburgo emergevano nel caso impugnato, anzitutto, alcuni aspetti non controversi dello svolgimento processuale. Invero, la Corte rilevava che l’imputato, regolarmente presente alle udienze in primo grado, aveva volontariamente deciso di non presenziare di fronte al giudice del gravame. Allo stesso modo ancora, né l’imputato né il suo difensore avevano fatto richiesta di riesame dei testimoni nel giudizio d’appello. Infine, appariva chiaro che il diritto dell’imputato a confrontarsi con le fonti d’accusa fosse stato integralmente rispettato alla presenza del giudice a quo. Analizzando, così, le peculiarità del caso, la Corte europea afferma un principio cardine: non è possibile ravvisare nessun segnale che induca, nella controversia in esame, a ritenere presente una valutazione arbitraria o irragionevole degli elementi di prova a disposizione delle Corti nazionali. Contrariamente a ciò, nel procedimento a carico del ricorrente, si possono riscontrare garanzie processuali in grado di evitare l’arbitrio dell’autorità. Queste sono riscontrabili in quanto la Corte d’appello, in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte estone sul tema ha predisposto una motivazione “rafforzata”, motivando analiticamente i presupposti che giustificherebbero la revisione del verdetto assolutorio. La Corte di Strasburgo sottolinea come le differenti valutazioni tra gli organi giurisdizionali interni siano il risultato di un “differente approccio
complessivo alla vicenda fattuale sottesa al procedimento e, di
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conseguenza, agli apprezzamenti delle discrepanze e delle convergenze tra le dichiarazioni testimoniali”278. A ciò si aggiunge, secondo la Corte di
Strasburgo, che il ricorrente ha potuto impugnare la sentenza di fronte alla Corte suprema, ovvero l’organo giurisdizionale competente a valutare la coerenza e l’adeguatezza delle motivazioni addotte per giustificare la condanna emessa per la prima volta in appello. Infine, il riferimento a come sia proprio l’esistenza di “presidi”279 adeguati in quanto idonei a tutelare
l’imputato contro un’arbitraria valutazione delle prove e un’irragionevole ricostruzione dei fatti nella legislazione e nella giurisprudenza interna, a consentire di distinguere il presente caso dai precedenti in materia, in cui era stata dichiarata la violazione del dettato convenzionale.
Tale ragionamento ha portato la Corte di Strasburgo a considerare che nel procedimento penale nei confronti del ricorrente non vi fosse stata alcuna violazione dell’art.6, commi 1 e 3, lett. d) della Convenzione, sia pur in assenza di una totale condivisione del collegio, comprovata dall’emissione di una dissenting opinion.
Il dictum della Corte nel caso Kashlev c. Estonia non è stato pienamente condiviso280. Infatti, in uno stringente arco temporale, la stessa Corte dei
diritti dell’uomo con la sentenza Lazu c. Moldavia281 ha sposato la tesi
opposta. Nel caso di specie l’iter si connata di un elemento distintivo: la condanna per la prima volta in appello era sì stata pronunciata, ma a seguito di giudizio di rinvio, in quanto nelle fasi iniziali del procedimento l’imputato aveva ottenuto esito liberatorio in primo e secondo grado. Quindi la Corte, chiamata a pronunciarsi in merito ai principi dell’equo processo, ha accertato che nel caso di specie vi fosse stata una violazione dell’art. 6, comma 1, CEDU, e che, nello specifico, fosse stato leso il diritto di difesa del ricorrente, essendosi la condanna basata esclusivamente sul materiale
278 A. Macchia, Le novità dell’appello: rinnovazione dell’appello, concordato sui motivi, op cit, pag 10
279 A. Macchia, Le novità in appello: rinnovazione dell’appello, concordato sui motivi, ibidem 280 In termini più recenti, tale orientamento è stato condiviso da: Corte EDU, IV sez, 27.06.2017 Chiper c. Romania. La Corte precisa che, malgrado sia avvenuto il riapprezzamento delle dichiarazioni testimoniali senza procedere ad una nuova diretta audizione, tale fatto non costituisce violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione:
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probatorio presente nel fascicolo senza che i giudici del secondo grado d’appello avessero provveduto a procedere al riesame dei testi d’accusa. E’ possibile concludere che questi discordanti pronunce della giurisprudenza europea diano origini ad una “confusione sotto il cielo”282,
che non consente di ritenere consolidato “il rapsodico incedere”283 della
giurisprudenza della CEDU;
Infine merita di essere citata la sentenza Asatryan c. Armenia284, in quanto
animata da un’esigenza di rinnovazione istruttoria a più ampio respiro rispetto al caso Dan c. Moldavia. Se infatti, in quest’ultimo caso l’attenzione era risposta a prova connotabili come “solely” o “mainly”, per la più recente pronuncia non rileva la vis probatoria degli elementi di prova su cui il giudice possa fondare decisione. Infatti nella stessa si afferma che il diritto all’equo processo è violato quando la difesa dell’accusato non è posta nelle condizioni di poter quantomeno interloquire su tutti gli elementi di prova che possono essere impiegati dal giudice per decidere il merito della
regiudicanda, a prescindere dalla loro forza probatoria, essendo sufficiente
la loro rilevanza e utilizzabilità ai fini del giudizio285. Perciò la Corte ha
riscontrato una infrazione dell’art. 6, par 1 e 3 lettera (d. della CEDU.