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OBBLIGO DI CONFORMARSI ALLE FONTI CONVENZIONALI EUROPEE, ARTICOLO 46 CEDU

6 LA RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE ANTE RIFORMA ORLANDO

1.1 OBBLIGO DI CONFORMARSI ALLE FONTI CONVENZIONALI EUROPEE, ARTICOLO 46 CEDU

Sull’ ordinamento nazionale grava l’obbligo di conformazione alle fonti convenzionali; stretto da un vincolo che può essere evinto nel combinato disposto degli articoli 1, 41 e 46 della CEDU, il quale disegna una vis

obbligandi che, seppur non giunga fino agli estremi effetti di annullamento

o di riforma del provvedimento nazionale censurato, comunque impone la rimozione degli effetti pregiudizievoli che dalla violazione accertata discendono.

Nello specifico, nel tessuto dell’articolo 46 si fa menzione di un obbligo per gli Stati firmatari di conformazione alle sentenze definitive della Corte nelle controversie di cui gli stessi sono parte, e nel 2 comma si riconosce al Comitato dei Ministri la funzione di controllo sull’esecuzione delle pronunce

205 Vedi: R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più Statocentrico, in R.E. Kostoris e A. Balsamo (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte Costituzionale, G. Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p 7. 206 Vedi: C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa configgenti, in << Giurisprudenza costituzionale >>, 2007, pp. 3518-3525.

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da parte delle autorità nazionali. Inoltre, nel momento in cui la Corte di Strasburgo riconosce l’avvenuta violazione convenzionale, la forza precettiva della pronuncia non si spinge fino all’individuazione in modo tassativo e vincolante degli strumenti che lo Stato è tenuto a prevedere per porre rimedio alla censurata violazione. Da tale punto di vista, l’adempimento all’obbligazione principale di risultato, discendente dall’accertamento operato dalla Corte dei diritti di una violazione delle libertà e delle garanzie consacrate dalla Cedu, ha come conseguenza l’imposizione alle autorità nazionali, in via discrezionale nel quomodo ma vincolante nell’an, di concrete misure volte a garantire la restitutio in

integrum. Perciò gli Stati, che pur mantengono tendenzialmente margini di

manovra nella cernita delle misure considerate più idonee ad adempiere all’obbligo di scopo, possono conformarsi alle sentenze di Strasburgo” purché tali misure siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della corte” e sempre” sotto la supervisione del Comitato dei Ministri”207.

Da tali premesse, diviene opportuno delineare adesso il contenuto dell’obbligo volto all’esecuzione delle sentenze. Perciò l’interprete non può che prima facie essere guidato dal dettato normativo e dall’interpretazione formale delle norme, e dunque dagli articoli 41 e 46 della Convenzione europea, in veste di punti di riferimento della materia. In questi articoli, l’impiego di terminologie quali “controversie “(art 46) e di “parte lesa” (art 41) spingono verso la considerazione che la forza precettiva delle decisioni della Corte di Strasburgo non possa dispiegare effetti se non in relazione alla soluzione specifica delle singole controversie che giungono al suo esame, in conformità con la morfologia dell’organo sovrannazionale: ovvero nell’essere giudice del caso concreto.

Da tale lettura si evince che le sentenze della Corte europea non sono dotate di diretta esecutorietà negli ordinamenti nazionali, dal momento che promuovono effetti meramente dichiarativi e non hanno la potenzialità di

207Vedi: Corte edu, Grande camera ricorsi nn.392221/98 e 41963/98, 13.7.200, Scozzari e Giunta c. Italia

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annullare l’atto che ha, nello specifico, determinato la violazione, ma che dalle stesse ne possa derivare una facoltà discrezionale per lo stato membro per quanto attiene all’ adempimento.

Partendo da questa impostazione, è sicuro che il dictum di Strasburgo, in

itinere del riscontro della violazione di un diritto fondamentale della persona,

si pronunci dispiegando effetti erga omnes nei riguardi dello stesso stato parte della controversia, che ha originato la condanna, costituendo essi “una proiezione necessaria degli effetti inter partes della sentenza”208.

Sulla base di tale orientamento non vi è adempimento senza selezione delle misure generali necessarie a prevenire ulteriori violazioni in analoghe situazioni209, così come qualora emergano violazioni ripetitive e strutturali.

Perciò, la Corte europea, cominciando con la risoluzione numero 1226 del 2000 dell’assemblea parlamentare210, ha promosso una decisione

caratterizzata da una peculiare forza precettiva, che risponde al nome di sentenza pilota. Lo scopo dell’intervento innovativo risiede nella finalità di fornire un aiuto allo stato generante la violazione, optando per la misura più adatta a risolvere il problema strutturale interno, da un lato assicurando maggiore effettività alle garanzie convenzionali, dall’altro eludendo il ripetersi delle violazioni e, di conseguenza, la profìliferazione di ricorsi della stessa tipologia. Ciò comporta che in tali pronunce la Corte è tenuta a presentare nel dispositivo le misure generali che lo Stato deve attuare, in modo da attribuire ai giudici di Strasburgo la possibilità di imporre allo Stato convenuto l’obbligo di eliminare, fuori dal caso deciso, la violazione sistemica. Queste pronunce comprovano come la decisione interna sia inadatta per la presenza di anomalie strutturali, atte a pregiudicare il possibile godimento di diritti celebrati dalla carta convenzionale.

Per mezzo di questa prassi procedurale, la Corte europea riconosce a sé il potere di imporre agli Stati entità e tipologia delle misure strutturali da

208Vedi: M. Cartabia, La convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, in R.E. Kostoris e A. Balsamo, Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo << il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte costituzionale. op cit, pp33-66

209 Cfr: Corte edu, grande camera ricorsi nn.392221/98 e 41963/98, 13.7.200, Scozzari e Giunta c. Italia

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attuare, delimitando fortemente la discrezionalità di selezione degli Stati membri delle misure da adottare in caso di violazione accertata dal giudice dei diritti convenzionali. Muovendo dai margini della competenza contenziosa, l’individuazione di una violazione sistemica e sistematica prescinde dal singolo caso di specie per rivolgersi in direzione di questioni generali che, oltrepassando l’oggetto del petitum del ricorrente, si rivolge come referente principale, se non esclusivo, allo Stato.

Da questa nuova prospettiva, è possibile tracciare la conclusione: lo Stato membro responsabile della violazione, per adempiere all’obbligo di conformazione insito nell’art. 46 CEDU, non può più esclusivamente versare una somma di denaro a titolo di equa soddisfazione, ma deve impegnarsi a ricercare misure individuali volte a eliminare gli inadempimenti censurati dal giudice dei diritti; parimenti dovranno individuarsi soluzioni generali funzionali a prevenire violazioni analoghe a quelle oggetto di denuncia.211

2 I PRINCIPI DELLA GIURISPRUDENZA EUROPEA

Nella stagnante inerzia del Legislatore nazionale, le autentiche riforme “di sistema” del rito penale o, per lo meno, i suoi più significativi mutamenti, sono stati essenzialmente quelli formulati a livello di giurisprudenza di Strasburgo. Del resto, l’influenza della giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha spiegato effetti ad ampio respiro sull’ordinamento nazionale, ben al di là del tema della rinnovazione istruttoria in appello. Proprio per tale ragione, si è arrivati a sostenere che, senza la propulsione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, il rito italiano sarebbe condannato ad una stasi

211 In tale angolo visuale, v. già la Raccomandazione REC (2000)2 del 19 gennaio 2000 sulla necessità che gli Stati membri assicurino a livello di legislazione interna una restitutio in integrum per il soggetto la cui lesione in uno dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU sia stata accertata con decisione dei giudici di Strasburgo

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senza tempo: cristallizzato sia nei riguardi di appariscenti disarmonie di sistema, quanto a più circoscritte disfunzioni212.

Da tale premessa, non stupisce quindi che anche per la regolamentazione delle impugnazioni - e in particolare per l’appello – sia stata la giurisprudenza di Strasburgo il motore di possibili riforme interne; e ciò a maggior ragione dopo l’analizzato fallimento della strada tracciata dal Legislatore nazionale con la l. 20.2.2006, n. 46 (la cd. legge Pecorella), certificato dagli interventi demolitivi del Giudice delle leggi213.

Il tema della rinnovazione istruttoria ha così acquisito attualità, soprattutto giurisprudenziale, per effetto di una serie di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che, posta di fronte al ribaltamento di una sentenza di assoluzione, ha individuato come rifrazione necessitata del processo equo la rinnovazione del contatto diretto tra il giudice dell’impugnazione e la prova, censurandone l’omissione come violazione dell’art. 6 CEDU214.

Ebbene, l’analisi sulla lettura europea della rinnovazione istruttoria non può che avere riguardo alla pronuncia Dan c. Moldavia215: una “decisione pilota”216 della Corte di Strasburgo da cui si trae il principio di diritto che, qualora il giudice di secondo grado valuti una dichiarazione testimoniale in modo difforme dal precedente giudice, per riformare in peius una sentenza assolutoria, debba necessariamente rinnovare l’istruzione dibattimentale. Tuttavia, tale approdo giurisprudenziale costituisce l’apice di un dialogo giurisprudenziale che parte da molto più lontano.

Già da precedenti sentenze europee è infatti possibile estrapolare principi innovativi in ambito di rinnovazione. La più risalente riguarda il caso Ekbatani c. Svezia217, in cui si afferma un principio ancillare ma altrettanto

212 Vedi: P. Gaeta, Condanna in appello e rinnovazione del dibattimento, in libro dell’anno di diritto 2014, Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/condanna-in-appello-e-rinnovazione-del- dibattimento_(Il-Libro-dell%27anno-del-Diritto)/ pag 1

213 Vedi: P. Gaeta: Condanna in appello e rinnovazione del dibattimento, ibidem

214 S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, in Penale contemporaneo, https://www.penalecontemporaneo.it/foto/4062DPC_Trim_3- 4_2014.pdf#page=245&view=Fit , pag 240

215 Corte EDU, III sez, 5.07.2011, Dan v. Moldavia

216 A.A. Marandola Introduzione (commento alla normativa) in Diritto penale e processo, 12/2014, Supplemento 4

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nodale per la rinnovazione istruttoria, ovvero il diritto dell’uomo all’udienza pubblica. In questa pronuncia, la giurisprudenza sovranazionale ha messo in luce il diritto alla rinnovazione del contatto diretto tra giudice e prova come estrinsecazione del diritto all’udienza pubblica nel giudizio d’impugnazione. Infatti in tale sentenza i giudici di Strasburgo, chiamati a valutare la denegata fissazione dell’udienza d’appello all’imputato condannato in primo grado, hanno riconosciuto la sussistenza della denunciata violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU attraverso un duplice vaglio. L’amputazione dell’udienza è ritenuta inconciliabile con i canoni dell’equo processo poichè nell’ordinamento nazionale il giudice dell’impugnazione è funzionalmente investito del potere di esaminare il caso in fatto e in diritto; del resto, per tale ragione, l’oggetto in concreto devoluto alla cognizione del giudice di seconde cure concerne il giudizio di fatto sulla regiudicanda, nelle forme dell’integrale rivalutazione della responsabilità penale dell’imputato proclamatosi innocente. Ne deriva quindi un diritto difensivo alla rinnovazione della prova: se l’oggetto principale devoluto alla cognizione e decisione di un giudice d’appello, funzionalmente titolare del potere di esaminare il caso anche in fatto, è rappresentato dall’integrale valutazione della responsabilità dell’imputato “that question could not, as a matter of fair

trial, have been properly determined without a direct assessment of the evidence given in person by the applicant – who claimed that he had not committed the act alleged to constitute the criminal offence – and by the complainant”218219.

Da quanto descritto è possibile sostenere che la rilevante sentenza Dan c. Moldavia non sia l’unica che si pronunci sul tema in analisi e, a ciò, è consentito aggiungere che non abbia nemmeno un contenuto innovativo.

218La domanda non può, alla stregua di un problema di giusto processo, essere correttamente determinata senza una diretta assunzione della prova fornita dal richiedente, che ha sostenuto di non aver commesso fatto costituente reato, e dal querelante. Vedi: A. Saccucci, L’art. 6 della Convenzione di Roma e l ’applicazione delle garanzie del

giusto processo ai giudizi d ’impugnazione in Riv. it. dir proc. pen., 1999, p. 590 s., la Corte pone così «le premesse per una dipendenza funzionale del grado di garanzie da rispettare in appello dal tipo di doglianza sollevata in. quella sede».

219 S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, op cit, pag 242

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Invero, il dictum della Corte europea si allinea a quanto la stessa aveva già indicato nel caso Bricmont c. Belgio220 di un ventennio precedente.

Nondimeno, dalla celebre pronuncia della Corte europea Dan c. Moldavia è possibile rintracciare il principio che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. Inoltre si riconosce che la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate. Infine, nel caso in cui, quindi, la corte d’appello, ribaltando l’assoluzione da parte del tribunale di primo grado, condanni l’imputato e gli infligga una pena, ciò non può avvenire, ai fini di una corretta applicazione dei canoni dell’equo processo, senza una diretta valutazione delle prove fornite dai testimoni a carico.

Tali principi trovavano già in precedenza sede nella decisione Bricmont c. Belgio. In tale pronuncia si riteneva “infringed221” il diritto garantito dal § 3 dell’art. 6 CEDU nell’ipotesi di mancata assunzione del teste nel giudizio di appello concluso con una reformatio dell’assoluzione di prime cure. Quest’effetto si verificava perché tale ipotesi, secondo la Corte, refluiva tra quelle «exceptional circumstances222» che non rendevano discrezionale ma necessaria l’escussione del teste in appello223.

Si tratta di un principio che la Corte affermerà in modo esplicito attraverso la pronuncia Costantinescu c. Romania 224. Da quest’ultima sentenza è

ricavabile che la Corte d’appello, la cui giurisdizione non sia di sola legittimità, allorquando ribalti il giudizio di assoluzione di primo grado, non

220 Corte EDU, 7.06.1989, Bricmont c. Belgio 221 Violato

222 Eccezionali circostanze

223La Corte, nel caso Bricmont, ha aperto un varco al sindacato del giudizio domestico sull’ammissione della prova in termini di compatibilità con i principi del processo equo: ciò è avvenuto in un campo, quale la discrezionalità circa l’ammissione probatorio del giudice nazionale, tradizionalmente proibito al giudice di Strasburgo. «il incombe en principe au juge national de

décider de la nécessité ou opportunité de citer un témoin [...], des circonstances exceptionnelles pourraient conduire la Cour à conclure à l ’incompatibilité avec l ’article 6 de la non-audition d ’une personne comme témoin»

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può omettere, per motivi di equità del processo, “l’apprezzamento diretto

delle testimonianze” ed, in primis, ciò è riferibile all’interrogatorio dello

stesso imputato225226.

Nei riguardi della tematica dell’ammissione probatoria, la Corte europea ha avuto modo di focalizzare l’attenzione sulla “prova nuova”, sia in quanto incremento conoscitivo, funzionale alla ricerca della verità, sia con specifico riferimento ai rimedi processuali227. Più in profondità, è sul versante delle

impugnazioni che, il tema della “prova nuova”, ha avuto maggior elaborazione, seppur quantitativamente minore228. Nel caso Destrehem c.

Francia229, la Corte ha disposto che la condanna in appello integra una

violazione dell’art 6 ss 1 e 3 lettera d) Cedu quando emessa sulla base di mera rivalutazione contraria delle deposizioni a discarico rese in primo grado e senza accogliere la richiesta difensiva di nuova escussione testimoniale, rivolta a imputato assolto in primo grado.

Il dictum della Corte fa leva su quanto espresso dal già citato caso Bricmont c. Belgio: “per quanto al giudice nazionale sia riconosciuto il potere di

decidere sull’opportunità di citare un testimone […] delle circostanze eccezionali potrebbero condurre la Corte a concludere che la mancata audizione di un testimone possa integrare una violazione dell’articolo 6 Cedu”230. Da tale premessa, dato che in appello la condanna del ricorrente

era stata fondata su una diversa interpretazione delle testimonianze assunte in primo grado, ma senza escutere nuovamente i testimoni, benché la loro ammissione fosse stata richiesta dalla difesa, la Corte europea, “con

un canone argomentativo dal forte valore evocativo destinato ad affermarsi

225 Principio che sarà condiviso da altre pronunce: Corte EDU,15.03.2003 Sigurþór Arnarsson c.

Islanda, Corte EDU, 18.05.2004 Destrehem c. Francia e Corte Edu,8.03.2007 Danila c. Romania

226 P. Gaeta, Condanna in appello e rinnovazione del dibattimento, in libro dell’anno di diritto 2014, op cit, pag 1

227 C. Fiorio, Il diritto al controllo e la riforma della sentenza di assoluzione, in Regole europee e processo penale, A. Gaito e D. Chinnici, Cedam, Trento,2016, pag 258

228 C. Fiorio, Il diritto al controllo e la riforma della sentenza di assoluzione, op cit, pag 258 229 Corte EDU, II sez, 18.05.2004, Destrehem c. Francia

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anche oltre i confini convenzionali231”, ha ritenuto che il ricorrente non avesse goduto delle garanzie del processo equo.

Nei riguardi del rispetto di oralità e immediatezza nel giudizio di appello può essere analizzato il caso Graviano232.Nel suddetto caso la Corte ha

affermato che: “un elemento importante di un processo equo è anche la

possibilità per l’imputato di confrontarsi con il suo testimone alla presenza del giudice che dovrebbe da ultimo emettere una decisione; tale regola è una garanzia poiché le osservazioni dei giudici riguardo al comportamento e all’attendibilità di un testimone possono avere delle conseguenze per l’imputato. Pertanto, il cambiamento della composizione del Tribunale dopo l’audizione di un testimone decisivo comporta normalmente una nuova audizione di quest’ultimo”233.

Da quanto detto è possibile recepire che la regola della immediatezza si fonda, secondo l’opinione dei giudici di Strasburgo,” sulla ritenuta necessità

–non normativa, né epistemologica, né concettualmente argomentata –di assicurare all’istinto percettivo del giudice la possibilità di trarre elementi di convincimento, basandosi sulle “osservazioni” circa il comportamento e l’attendibilità del testimone234. Si tratterebbe di un quid per nulla analogo al diritto delle parti di formare la prova in contraddittorio, ma che si rivolgerebbe esclusivamente alla figura del magistrato, nella fase valutativa delle risultanze della prova acquisite. Invero è come se il sistema riconoscesse come inespressa causa di incompatibilità per inidoneità del giudice, l’ipotesi di discrepanza della persona che ha raccolto la prova e chi è chiamato ad apprezzarne i risultati: ciò richiederebbe scelte di sistemi processuali che non possono essere delineate dalla stessa CEDU, dovendole considerare come opzioni rimesse ai singoli Stati aderenti, senza che vi sia un’espressa previsione convenzionale in merito235. Tuttavia, come

231 S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, op cit, pag 243

232 Corte EDU, 10.2.2005, Graviano c. Italia

233 Vedi:Corte EDU, 9.07.2002 P.K. c. Finlandia, Corte EDU, 9.03.2004 Pitkänen c. Finlandia e Corte EDU, 9.12.2003 Milan c. Italia

234 A. Macchia, Le novità dell’appello: rinnovazione dell’appello, concordato dei motivi, in penale contemporaneo, https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1544-macchia2017b.pdf , pag 4 235 A. Macchia, Le novità dell’appello: rinnovazione dell’appello, concordato dei motivi, Ibidem

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il contenuto della stessa sentenza Graviano indica, tale principio non è da intendere assoluto in quanto, nel caso in questione erano presenti “circostanze particolari che giustificano un’eccezione al principio dell’oralità

del dibattimento e al principio dell’immutabilità del giudice”, considerando

però anche l’assunto secondo il quale i diritti della difesa devono ritenersi limitati «in modo incompatibile con le garanzia dell’art. 6 quando una

condanna si basa, unicamente o in misura determinante, sulle deposizioni di un testimone che l’imputato non ha avuto la possibilità di interrogare o di far interrogare né nella fase istruttoria né durante il dibattimento”236.

Il principio di immediatezza ed il conseguente obbligo di rinnovare nei casi in cui muti il giudice, non può essere elevato, nemmeno nel giudizio di prime cure, al rango di regola costituzionalmente o convenzionalmente imposta. Quantomeno ciò non può essere espresso nei termini radicali e senza deroghe che sono stati attribuiti a quel principio nelle sue concrete applicazioni. Partendo da siffatto ragionamento, risulterebbe ulteriormente più complesso giustificarne l’applicazione nel giudizio di seconde cure, rispetto al quale l’acquisizione probatoria, che rappresenta un evento eccezionale, si riferisce, di regola, alla nuova assunzione di persone già esaminate nel contraddittorio di primo grado, “rendendo dunque per lo

meno sfocate quelle esigenze di tipo, per così dire, percettivo che la stessa CEDU ha additato a fondamento del principio”237.