CAPITOLO 3: IL SISTEMA DEI PRONOMI PERSONALI
3.7 I dati sull’acquisizione tipica e atipica
I pronomi clitici hanno sempre costituito un complesso oggetto di indagine, ne è una testimonianza la vasta letteratura sviluppatasi in questo ambito. Per quanto riguarda i risultati ottenuti dalle ricerche sull’acquisizione della lingua francese come L1, Clark (1985) è il primo ad affermare che i pronomi clitici oggetto appaiono più tardi rispetto ai pronomi clitici soggetto. Anche Hamann et al. (1996) e Jakubowicz et al. (1997) hanno individuato un ritardo dei pronomi clitici complemento (oggetto diretto e oggetto indiretto) rispetto ai pronomi soggetto (v. anche Friedemann, 1992; Hamann e Belletti, 2006; Tuller et al., 2011). I dati che sono stati raccolti da studi recenti (Friedemann, 1992; Hamann et al., 1996; Jakubowicz e al., 1996) affermano che, nonostante i pronomi clitici oggetto appaiano in ritardo rispetto ai pronomi soggetto, essi subiscono una sorta di accelerazione circa sei mesi dopo la prima comparsa dai clitici soggetto. In altre lingue romanze, come in italiano e in spagnolo, i pronomi clitici oggetto appaiono invece nelle produzioni dei bambini molto prima rispetto a quanto è stato osservato nei bambini francesi. Infatti, se si considerano le tempistiche del processo di acquisizione di queste lingue, i pronomi clitici oggetto appaiono nei bambini italiani nello stesso periodo in cui appaiono i pronomi clitici soggetto nei bambini francesi, nonostante siano prodotti raramente (Guasti, 1992).
Precedentemente è stato affermato che i dati raccolti relativi alla comparsa dei clitici in età precoce e alla mancanza di errori di posizionamento sono dati rilevanti, in quanto forniscono una prova inconfutabile del fatto che nella grammatica dei bambini siano comprese fin da subito le proiezioni funzionali oltre a quelle lessicali. Infatti, se i bambini francesi collocano correttamente i clitici soggetto nella posizione preverbale solo nei contesti in cui è presente un verbo di modo finito, ciò si spiega con il fatto che essi sono in grado di distinguere i verbi finiti da quelli infiniti (Hamann e Powers, 2000). Questo dimostra che i bambini sono in grado di applicare il movimento del verbo flesso da V° a I° e che per loro è accessibile una proiezione
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funzionale nella parte alta della frase, fuori dal VP. Anche Guasti (1992) afferma che il corretto posizionamento dei pronomi clitici indica che i bambini italiani sono in grado di distinguere le strutture finite da quelle infinitive. Un altro aspetto rilevante è fornito dallo status di testa D° dei clitici oggetto. La loro presenza e il loro corretto collocamento all’interno della struttura frasale testimonia la presenza dell’intero sistema del DP nella grammatica infantile.
Nei paragrafi precedenti è stato detto che i bambini a sviluppo tipico (TD) iniziano a produrre occasionalmente i pronomi clitici oggetto all’età di circa 2 anni e li omettono opzionalmente fino ai 4 anni. Lo studio di Tuller et al. (2011), che ha indagato la produzione dei pronomi clitici accusativi in tre situazioni di diversa gravità di compromissione dello sviluppo linguistico (DSL, ipoacusia medio-moderata ed epilessia rolandica), ha evidenziato un’asimmetria tra le forme accusative, da una parte, e le forme nominative e riflessive, dall’altra. È stato affermato che i pronomi nominativi, a differenza degli accusativi, non danno origine ad un ordine non canonico della frase, e che i clitici riflessivi non appaiono problematici, poiché il loro referente è presente nel dominio locale. Secondo Tuller et al. (2011), la scarsa produzione dei pronomi clitici oggetto diretto persiste anche oltre l’adolescenza, indipendentemente dal grado di atipicità dello sviluppo del linguaggio. Particolarmente problematici sono risultati i pronomi clitici accusativi di 3.a persona. Questo sembrerebbe essere dovuto al fatto che il pronome clitico accusativo di 3.a persona è caratterizzato da proprietà specifiche non presenti nei pronomi clitici oggetto diretto di 1.a e 2.a persona. Innanzitutto, esso è indipendente dai partecipanti del discorso: l’antecedente, con il quale il clitico è coindicizzato, è un referente fondamentalmente sintattico. Infatti, solo i pronomi di 1.a e 2.a persona sono “dipendenti” dal discorso, nel senso che sono strettamente legati all’atto comunicativo, rappresentando rispettivamente il parlante e il suo interlocutore. Tale differenza si riflette anche a livello morfologico, poiché i pronomi clitici di 3.a persona sono marcati sia per genere che per numero (lo, la, le, li), mentre i pronomi clitici di 1.a e 2.a persona sono marcati solo per numero (mi, ci,
ti, vi). Un altro importante aspetto è quello della non determinatezza dei pronomi clitici
accusativi di 3.a persona in termini di animatezza. Infatti, se le forme di 1.a e 2.a persona identificano per loro natura i partecipanti all’atto comunicativo, non possono denotare un entità non umana. La mancanza di contenuto lessicale dei pronomi clitici di 3.a persona e i tratti puramente funzionali, di cui sono portatori, determinano la deficiency categoriale che li caratterizza. L’indagine di Tuller et al. (2011) ha riscontrato una difficoltà di produzione dei pronomi clitici accusativi anche nei bambini a sviluppo tipico di 6 anni. Questo dato conferma il ritardo della comparsa e dell’acquisizione dei pronomi clitici accusativi rispetto alle forme nominative e riflessive, le quali vengono prodotte in percentuali alte già a 6 anni. Osservazioni
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simili sono state fatte anche in studi sull’acquisizione precoce di L2, sul bilinguismo e su bambini con DSL. In Hamann e Belletti (2006) è stato indagato lo status dei clitici pronominali in diversi contesti di acquisizione: in monolingui, in soggetti affetti da DSL, in bilingui, in bambini esposti precocemente ad una L2 e in adulti parlanti una L2. Lo studio ha individuato i vari tipi di errore tracciando le analogie e le differenze tra i diversi modi di acquisizione. Inoltre, un altro obiettivo perseguito è stato quello di analizzare i diversi stadi di acquisizione del sistema pronominale nei diversi modi sopra elencati. Ciò che è emerso è che errori di posizionamento sono commessi solo dagli apprendenti una L2 (bambini e adulti) e a volte nelle situazioni di bilinguismo. I monolingui e i bambini affetti da DSL non commettono errori di questo genere (v. anche Guasti, 1993/1994; Arosio et al., 2010) e tale comportamento è stato osservato anche nei soggetti sordi analizzati da Chesi (2006): i soggetti appartenenti a questi tre gruppi sperimentali tendono piuttosto ad omettere i pronomi clitici complemento o a sostituirli con dei DP. Gli errori di posizionamento sono quindi connessi alla coesistenza di sistemi grammaticali diversi che possono rendere accessibile un’analisi uniforme dei pronomi oggetto. Tali errori sono riconducibili all’interferenza che si verifica tra le due grammatiche nei casi di bilinguismo oppure al ruolo attivo della GU che rende usufruibili le differenti opzioni parametriche. Infatti, i bambini apprendenti una L2 in età precoce commettono errori di produzione del pronome clitico collocandolo in isolamento, dopo una preposizione oppure nella posizione canonica dell’oggetto. Questi tipi di errore non sono registrati negli adulti apprendenti una L2, per i quali si osservano altri pattern d’errore di posizionamento, oltre ad una maggiore frequenza dell’omissione. Il ritardo nell’acquisizione dei clitici complemento è stato registrato in tutti i modi di acquisizione indagati dallo studio, e Hamann e Belletti (2006) affermano che quanto osservato è dovuto alla complessità del sistema di derivazione, il quale è maggiormente articolato nel caso dei clitici rispetto anche alle altre classi di pronomi (Cardinaletti e Starke, 2000). Il ritardo dei pronomi clitici complemento si manifesta nella loro omissione in contesti obbligatori e ciò si verifica in tutte le modalità.
Nello studio di Arosio et al. (2010) è stato indagato il deficit linguistico in soggetti affetti da DSL. Gli autori hanno esaminato in particolare gli aspetti relativi alla morfosintassi e alla pragmatica basandosi sulla teoria della modularità del linguaggio (Curtiss, 2010) al fine di determinare la possibile causa delle difficoltà mostrate dal gruppo sperimentale nella produzione dei pronomi clitici oggetto italiani. Anche in Arosio et al. (2010) si afferma che la produzione dei clitici in italiano presuppone una competenza linguistica elevata. Arosio et al. (2010) ipotizzano che la scarsa performance dei bambini con DSL nella produzione dei clitici oggetto diretto dipenda dalla complessità delle operazioni morfosintattiche che essi richiedono.
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Infine, se si considerano i dati ricavati dallo studio di Arosio et al. (2010), si nota che i clitici riflessivi non creano le stesse problematiche manifestate in presenza dei clitici accusativi. Infatti, i bambini affetti da DSL testati in Arosio et al. (2010) producono correttamente l’85% dei pronomi clitici riflessivi.
Il lavoro di Chesi (2006) è un’analisi quantitativa e qualitativa delle produzioni non standard di un gruppo di 13 soggetti sordi gravi e profondi di età compresa tra i 6 e i 17 anni (diagnosticati entro il terzo anno di vita) ad un test di produzione orale e scritta. Chesi (2006) ha osservato che le costruzioni con i pronomi clitici oggetto diretto sono praticamente assenti e le omissioni avvengono essenzialmente in posizione proclitica. I pronomi clitici oggetto sono omessi in percentuale più alta (66%) rispetto agli articoli (9%), nonostante il loro equivalente status fonologico e articolatorio a livello labiale. Nonostante i soggetti ipoacusici preferiscano ripetere l’oggetto lessicalizzato, quando producono i pronomi clitici non commettono errori di posizionamento.
Le difficoltà dei bambini sordi nell’area della morfosintassi, in particolare nella produzione dei pronomi clitici, sono confermate anche dal lavoro di Guasti et al. (2012), il cui studio è dedicato allo sviluppo del linguaggio in bambini sordi parlanti italiano con impianto cocleare (IC). L’indagine in Guasti et al. (2012) ha preso in considerazione gli effetti di possibili predittori della performance di tali soggetti: l’età di impianto, l’area del linguaggio investigata (lessico, fonologia, morfosintassi, semantica o pragmatica) e i tratti tipologici della lingua target. L’età di impianto era già stata individuata da studi precedenti come fattore cruciale nel determinare la variabilità osservata nelle performance di bambini impiantati a diverse età, ma Guasti et al. (2012) affermano che i diversi effetti delle età di impianto riportati in letteratura dipendono dal task specifico e dalla componente linguistica investigata per determinare tali effetti. Infatti, il lavoro di Guasti et al. (2012) individua per bambini impiantati tra 1 e i 3 anni un effetto dell’età di impianto solo nell’area della morfosintassi, ma non nelle altre aree del linguaggio. Ciò si pone in linea con quanto discusso dagli autori sull’acquisizione di una L2, la quale è caratterizzata da diversi periodi sensibili che riguardano le diverse abilità linguistiche. Tale affermazione prevede, quindi, diverse età di impianto critiche, ciascuna per una determinata area linguistica, al pari dei diversi periodi sensibili che scandiscono l’acquisizione di una L2. In altre parole, l’età di esposizione alla lingua verbale ha diversi effetti in base all’area indagata. Infine, Guasti et al. (2012) osservano che le proprietà tipologiche della lingua target possono predire l’acquisizione del linguaggio, in quanto la sequenza delle fasi di acquisizione nei bambini con IC non sono le stesse in tutte le lingue: sebbene alcuni aspetti morfosintattici
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mostrino un ritardo rispetto all’età anagrafica dei soggetti, l’acquisizione delle flessioni nominali e verbali dei bambini con IC parlanti italiano è probabilmente più veloce rispetto a quella di bambini con IC che sono esposti a lingue povere dal punto di vista morfologico, come l’inglese. In conclusione, il comportamento linguistico dei bambini con IC testati da Guasti et al. (2012) rispetta lo stesso trend dei bambini normo-udenti di pari età linguistica, suggerendo che un impianto precoce, entro i 4 anni d’età, è compatibile con un pattern di sviluppo simile a quello dei bambini normo-udenti.