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CAPITOLO 2: LA SORDITÀ

2.10 I metodi riabilitativi

Nel 95% dei casi un bambino sordo nasce in una famiglia di udenti, mentre solo il 5% dei bambini sordi appartiene ad un nucleo familiare che comprende al suo interno almeno un componente sordo (Caselli, Maragna e Volterra 2006). Alla luce dei suddetti dati, si capisce chiaramente che il background linguistico e familiare dei genitori dei bambini affetti da sordità influisce fortemente sulla scelta del metodo riabilitativo. Generalmente, i figli sordi nati da genitori sordi seguono percorsi diversi dai bambini sordi nati da genitori udenti, soprattutto se i genitori sordi sono segnanti. Infatti, in quest’ultimo caso ai bambini non è preclusa la possibilità di sviluppare il linguaggio in modo tipico, naturale e spontaneo, proprio perché sono esposti fin dalla nascita ad una lingua naturale che viaggia nel canale visivo-gestuale integro. Solitamente i bambini sordi figli di genitori udenti intraprendono la strada della protesizzazione e della riabilitazione logopedica per poter apprendere il linguaggio verbale. Ciò non esclude che anche i figli sordi di genitori sordi vengano indirizzati verso questo percorso. Tale scelta è motivata dal fatto di poter garantire al proprio figlio ipoacusico un’integrazione nel mondo degli udenti in termini di autonomia cognitiva, comunicativa e relazionale. Il trattamento logopedico di riabilitazione deve essere delineato sulla base di un’attenta valutazione di tutte le funzioni linguistiche e non, in modo tale da stilare un quadro completo del paziente. Infatti, esistono una serie di fattori che condizionano la prognosi linguistica e sociale di un soggetto: oltre a considerare i fattori audiologici, come il tipo e il grado di sordità, è necessario valutare i fattori

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intrinseci, ovvero il livello cognitivo, il carattere, la personalità, lo stile di apprendimento, l’eventuale concomitanza di altri handicap o patologie associati, e i fattori estrinseci, cioè il livello socio-culturale della famiglia, il grado di accettazione del deficit e la disponibilità alla collaborazione attiva nei programmi di riabilitazione (Croatto, Croatto Accordi, Bronte 2002). Tutti questi elementi sono di fatto variabili rilevanti che spesso condizionano il risultato terapeutico. I metodi di riabilitazione di un soggetto sordo sono principalmente quattro: il metodo oralista, il metodo bimodale, l’insegnamento della lingua dei segni e l’educazione bilingue.

 Il metodo oralista, riconosciuto inizialmente come unico metodo ufficiale in occasione del Congresso di Milano nel 1880, non si avvale del supporto manuale ed esclude totalmente qualsiasi uso dei segni nell’educazione al linguaggio. Tale metodo si affida interamente alla modalità acustico-verbale basando l’intervento su un training puramente acustico per mezzo delle protesi e degli impianti cocleari e sulla stimolazione della percezione uditiva. Quindi, l’unico sistema comunicativo di riferimento per l’educazione del bambino sordo è la lingua orale. Nonostante ciò, i sostenitori del metodo orale permettono l’uso di strategie visive quali la labiolettura, la lettura e la scrittura precoci (Caselli, Maragna e Volterra 2006). Alcune correnti di pensiero oralista accettano l’uso di forme gestuali di supporto al parlato come la dattilologia o il Cued

Speech. Quest’ultimo è stato ideato per aiutare il bambino nella lettura labiale e prevede

l’uso di particolari configurazioni della mano che viene posta accanto alla bocca. Bisogna notare però che la rigida esclusione di gesti e segni dalla comunicazione limita fortemente l’interazione tra il bambino sordo e gli udenti che lo circondano, a causa dei tempi lunghi di apprendimento che il linguaggio verbale richiede (Caselli, Maragna e Volterra 2006).

 Il metodo bimodale sembra essere una buona soluzione per la facilitazione degli scambi comunicativi fra bambino e adulto. Inoltre, tale metodo garantisce al bambino un accesso ai contenuti espressi linguisticamente proprio perché è basato sull’uso della doppia modalità, acustico-verbale e visivo-gestuale. In questo modo vengono offerti al bambino gli strumenti necessari per conoscere, apprendere e comunicare. In altre parole, l’utilizzo della modalità visivo-gestuale integra nel bambino è importante per evitare che da un ritardo nell’apprendimento della lingua vocale, derivino problemi cognitivi e relazionali (Caselli, Maragna e Volterra 2006). La bimodalità consiste nel parlare e segnare contemporaneamente, ponendo i segni in una sequenza conforme alla struttura sintattica della lingua parlata. L’utilizzo dell’italiano parlato insieme ai segni assume

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forme di comunicazione diverse, ossia l’Italiano Segnato (IS) e l’Italiano Segnato

Esatto (ISE). Entrambi sono sistemi gestuali che utilizzano il lessico della LIS (Lingua

dei Segni Italiana) e che seguono la struttura sintattica dell’italiano. Ciò che differenzia l’ISE dall’IS è che il primo codice adopera la dattilologia o altri evidenziatori manuali per esplicitare visivamente quelle parti grammaticali dell’italiano che in LIS non trovano un segno corrispondente: articoli, pronomi, alcune preposizioni, la terminazione del nome per esprimere il genere e il numero, o del verbo per evidenziare la persona o il tempo. Grazie al supporto della dattilologia il bambino è guidato nella percezione della morfologia libera e legata, la quale è difficile da percepire in lettura labiale perché consta di elementi brevi, atoni e privi di significato. La scelta tra i due codici comunicativi è dettata dagli obiettivi sui cui lavora il/la logopedista in un determinato momento. Generalmente, si ricorre all’ISE in situazioni limitate per correggere il bambino o dirigere la sua attenzione su questi aspetti specifici della lingua vocale. Se invece l’intento è quello di privilegiare la comprensione globale di un messaggio si utilizza l’Italiano Segnato. È importante non dimenticare che l’ISE è un codice artificiale e non una lingua naturale, perciò privo di regole pragmatiche, lessicali e morfosintattiche. Nonostante le differenze descritte poc’anzi, il metodo bimodale e quello oralista condividono l’obiettivo di portare il bambino ad una buona competenza nella lingua vocale, perciò in entrambi i metodi si pone il focus sull’educazione e l’allenamento acustico-verbale (Caselli, Maragna e Volterra 2006).

 La lingua dei segni può rappresentare un “metodo riabilitativo” alternativo. La lingua segnata è acquisita con molta facilità proprio perché si serve del canale visivo-gestuale integro nel bambino sordo. L’acquisizione precoce della lingua dei segni offre al bambino la possibilità di costruirsi una competenza linguistica nel rispetto dei tempi previsti dallo sviluppo tipico proprio perché essa rappresenta una lingua naturale e non un codice linguistico artificiale come l’IS o l’ISE. La LIS, come qualsiasi altra lingua dei segni del mondo, è dotata di una grammatica propria, regolata dai principi universali e dalle scelte parametriche. Inoltre, la LIS in campo riabilitativo rende possibile una trasmissione adeguata di contenuti e conoscenze tipici dell’età e dello sviluppo cognitivo e relazionale del bambino. Tuttavia, la lingua dei segni, intesa come metodo di educazione al linguaggio del bambino sordo, non riesce a garantire al paziente una reale integrazione con la società udente.

 L’educazione bilingue pone le proprie basi sui risultati di numerose ricerche condotte sullo sviluppo del linguaggio di bambini udenti e sordi (cfr. par. 1.4.1). Diversi autori

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affermano che le fasi, i processi e i tempi di acquisizione della lingua dei segni e della lingua vocale sono sostanzialmente gli stessi. Ciò dimostra l’esistenza in tutti i bambini di una equipotenzialità tra le due modalità nelle prime fasi di sviluppo. La situazione muta quando il bambino, che deve acquisire sia una lingua dei segni sia una lingua parlata, è sordo: i due codici si ritrovano in una condizione di disparità, in quanto la lingua dei segni può essere acquisita in maniera meno artificiale e meno faticosa rispetto a quella parlata. Tale vantaggio della lingua segnata è dovuto proprio al canale in cui viaggia, ossia quello integro. I vantaggi di un’educazione bilingue sono rappresentati proprio dalla funzione svolta dai segni: essi non inibiscono lo sviluppo vocale, anzi servono da supporto alla lingua parlata (Caselli, Maragna e Volterra 2006). Un’ulteriore conferma è fornita da Grosjean (1992, 2003), il quale afferma che una completa competenza cognitiva, comunicativa e sociale possa essere raggiunta solamente attraverso un’educazione bilingue precoce del bambino sordo. Nell’ottica di Grosjean l’acquisizione della lingua dei segni deve precedere assolutamente quella di una qualsiasi lingua orale. La situazione presente in Italia, condivide parzialmente tale pensiero, poiché è prevista un’esposizione simultanea ad entrambe le lingue.

In conclusione, Caselli, Maragna e Volterra (2006) ritengono che la strada del bilinguismo sia la via più naturale ed “ecologica” per educare il bambino sordo al linguaggio. Le autrici suggeriscono un graduale passaggio dal segno alla parola, affinché l’apprendimento della lingua vocale avvenga in un contesto comunicativo più autentico, in sintonia con i tempi del bambino.

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