CAPITOLO 5: INTERVENTO DIDATTICO E RISULTATI SUCCESSIVI
5.3 Teorie di riferimento
5.3.1 Teorie sintattiche
Il presente trattamento è stato elaborato principalmente su tre teorie sintattiche fondamentali: la teoria della struttura argomentale dei verbi, la teoria tematica (Chomsky, 1981) e la teoria del movimento. Come si vedrà in seguito (par. 5.4), queste tre teorie hanno costituito la base di partenza per l’elaborazione di precedenti trattamenti somministrati a diverse popolazioni (Shapiro e Thompson, 1995, 2003, 2006; Levy e Friedmann, 2009; D’Ortenzio, 2015), i quali hanno ispirato il lavoro, oggetto del presente studio.
La struttura argomentale dei verbi
Si nota facilmente che non tutti i verbi sono uguali: alcuni devono essere accompagnati da un determinato numero di altri costituenti, mentre altri ne richiedono un numero diverso, più basso o più alto (Graffi e Scalise, 2013). Questo fatto è riconducibile al concetto di valenza verbale, ossia il numero di elementi richiesti obbligatoriamente dai vari verbi perché la frase in cui ricorrono sia ben formata. Tale elementi sono chiamati argomenti. I verbi stabiliscono quindi il numero e la natura degli argomenti necessari per dare un senso all’enunciato e ciò è determinato dalle loro proprietà semantiche, ossia dal tipo di processo che descrivono. Questo fenomeno è spiegato in termini di Principio di Proiezione (Chomsky, 1975, 1981; Haegeman, 1996): le proprietà lessicali del verbo si proiettano in sintassi, determinando il numero di argomenti obbligatori per risultare saturo in termini di valenza. Ciò pone in stretta relazione la teoria della struttura argomentale e la teoria tematica (Chomsky, 1981).
In italiano, come in tutte le lingue del mondo, i verbi si differenziano tra loro in base al numero di argomenti: ci sono verbi che richiedono soltanto un argomento, in questo caso il soggetto (“Gianni cammina”); verbi che oltre al soggetto necessitano la presenza di un altro argomento (“Gianni cattura il ladro”); verbi che richiedono tre argomenti (“Gianni dà un libro a Maria”) e, infine, verbi che non sono accompagnati da alcun argomento (“Piove”) (Graffi e Scalise, 2013).
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In base a quanto detto, si possono suddividere i verbi in ben quattro classi verbali dal punto di vista della valenza:
Verbi avalenti (o zerovalenti): verbi che non richiedono la realizzazione di alcun argomento. A questa classe appartengono, ad esempio, i verbi metereologici: piovere,
nevicare, grandinare, tuonare. In altre lingue, ad esempio l’inglese o il tedesco, questi
verbi sono accompagnati obbligatoriamente da un pronome neutro detto espletivo, il quale svolge il ruolo riempitivo della posizione strutturale dedicata normalmente al soggetto: “It rains” (inglese), “Es regnet” (tedesco).
Verbi monovalenti: sono i verbi che tradizionalmente vengono chiamati intransitivi. Questi assegnano un solo argomento, il quale svolge la funzione di soggetto dell’evento rappresentato: camminare, parlare, morire, arrivare, partire, ecc.
Verbi bivalenti: sono i verbi solitamente ascritti ai verbi transitivi. Questi richiedono la realizzazione di due argomenti che corrispondono al soggetto e all’oggetto diretto oppure indiretto. I verbi che richiedono come secondo argomento un oggetto diretto sono i verbi transitivi, mentre quelli che necessitano un complemento preposizionale sono i verbi intransitivi. Verbi bivalenti transitivi sono, ad esempio, catturare, compiere,
mangiare, comprare, ecc. Verbi bivalenti intransitivi sono, ad esempio, andare o abitare.
Verbi trivalenti: sono i verbi che necessitano di un terzo argomento, oltre al soggetto e al complemento diretto, e sono solitamente chiamati ditransitivi. Il terzo argomento è necessariamente un complemento indiretto introdotto da una preposizione: spedire,
dire, dare, donare, inviare o regalare.
Oltre agli argomenti obbligatoriamente richiesti dal verbo, possono essere inseriti degli argomenti facoltativi detti circostanziali. In assenza di questi ultimi la frase rimane ben formata proprio per la loro natura opzionale (1a), mentre in assenza degli argomenti obbligatori la frase non risulta più ben formata (1b):
1) a. (A mezzanotte), il poliziotto catturò il ladro (davanti alla casa gialla). b. A mezzanotte, *(il poliziotto) catturò *(il ladro) davanti alla casa gialla.
I circostanziali si distinguono ulteriormente dagli argomenti obbligatori per una maggiore libertà distribuzionale: essi possono apparire in posizioni diverse all’interno della frase senza creare effetti di agrammaticalità o alterazioni del senso della frase (Graffi e Scalise, 2013).
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In conclusione, il modello frasale basato sul concetto di valenza verbale conferisce al verbo uno status di superiorità rispetto agli altri elementi frasali, in quanto esso è l’elemento centrale della frase e ne determina la struttura (Tesnière, 2001). La struttura frasale dipende quindi dalla struttura argomentale che stabilisce il numero di argomenti obbligatori e rende lecita la realizzazione di elementi circostanziali, i quali espandono la struttura.
La teoria tematica
Come è stato anticipato sopra, il verbo richiede un determinato numero di argomenti obbligatori per soddisfare le proprietà semantiche connesse alla propria entrata lessicale. Gli argomenti realizzati per un dato verbo svolgono quindi ruoli diversi tra loro, presentando ciascuno una diversa relazione semantica con il verbo stesso. A tal proposito, si riporta il seguente esempio:
2) Gianni mangia la pizza.
In (2) la struttura argomentale del verbo bivalente transitivo mangiare prevede la realizzazione obbligatoria di due argomenti: “Gianni” e “la pizza”. A questi due argomenti vengo assegnati
ruoli tematici (detti anche ruoli-θ) diversi: il primo NP riceve il ruolo di AGENTE, ovvero
l’entità animata che attiva e controlla l’evento, il secondo quello di TEMA, cioè l’entità coinvolta in maniera non attiva nell’evento determinato dall’agente. Ciò significa che il verbo assegna un ruolo tematico diverso a ciascun argomento realizzato (Haegeman, 1996). I ruoli tematici assegnati agli argomenti del verbo costituiscono la griglia tematica del verbo stesso e si pongono in stretto rapporto con il numero di argomenti compresi nella struttura argomentale. Questa relazione biunivoca tra argomenti e ruoli tematici è formulata nel Criterio Tematico di Chomsky (1981:36): “Ogni Argomento porta uno ed un solo Ruolo-θ, e ogni Ruolo-θ è assegnato ad uno ed un solo Argomento”. Il criterio è quindi composto da due principi: violandone uno dei due, la frase risulta agrammaticale:
3) *Gianni invia a Maria.
La frase in (3) risulta agrammaticale perché il verbo trivalente inviare richiede obbligatoriamente tre argomenti associati a tre ruoli distinti: AGENTE, TEMA e RICEVENTE. La frase realizza invece solo due argomenti obbligatori e ciò viola i principi del Criterio Tematico, in quanto si è costretti ad assegnare due ruoli tematici ad uno stesso argomento (“Gianni” o “a Maria”) oppure assegnare solo due ruoli tematici (AGENTE e RICEVENTE), escludendo il ruolo di TEMA. Infine, il Criterio Tematico si applica solo agli argomenti del verbo e non agli elementi circostanziali.
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Allo stato attuale della ricerca sono presenti opinioni contrastanti sul numero esatto dei ruoli tematici esistenti, ma si individua un accordo generale sull’esistenza di un numero minimo di ruoli-θ:
Agente: l’entità animata che attiva intenzionalmente e controlla l’evento;
Esperiente: l’entità animata che vive l’evento, provando uno stato psicologico, mentale o emotivo;
Tema: l’entità animata o inanimata coinvolta in maniera non attiva nell’evento;
Paziente: l’entità che subisce le conseguenze dell’evento attivato dall’agente, apportando delle modifiche alla propria natura iniziale;
Beneficiario: l’entità che trae beneficio dall’evento; Ricevente: l’entità verso la quale è indirizzato l’evento; Strumento: l’entità necessaria per eseguire l’evento;
Origine: il luogo d’origine o la condizione in cui nasce l’evento; Fine/Meta: il luogo o la condizione verso cui è proiettato l’evento; Locativo: il luogo in cui si svolge l’evento.
Il movimento sintattico
Il movimento è il meccanismo attraverso il quale un costituente della frase appare dislocato rispetto alla posizione in cui viene interpretato originariamente. Il fenomeno del movimento dà luogo ad ordini definiti marcati o non canonici, proprio perché l’ordine degli elementi che risulta a seguito dello spostamento di un costituente non corrisponde a quello di base, ossia non
marcato o canonico. Nel momento in cui un costituente si sposta, lascia una traccia (t) o una copia nella sua posizione d’origine, laddove viene saldato alla struttura e interpretato. Il
costituente mosso e la sua traccia sono legati da una catena. Questo legame rappresentato dalla catena è indispensabile, in quanto i ruoli tematici vengono assegnati prima dell’occorrenza di qualsiasi tipo di movimento (struttura profonda). Ciò vuol dire che l’assegnazione avviene all’interno della configurazione di base della frase, prima della derivazione. Una volta avvenuto il movimento sintattico (struttura superficiale), il ruolo tematico deve essere trasmesso al costituente mosso e ciò è possibile solo tramite la catena: la traccia trasmette il ruolo tematico all’elemento mosso tramite una catena coindicizzata (Haegeman, 1996).
Le strutture sintattiche di una lingua presentano un grado di complessità variabile: esso dipende dal tipo di movimento coinvolto nella derivazione. I meccanismi di movimento sono quindi classificati in tre tipi a seconda della loro natura (Donati, 2008). La diversità delle varie
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tipologie di movimento deriva dalla categoria a cui appartiene il costituente mosso: una testa o una proiezione massimale. Infatti, si parla di movimento testa a testa (Head-to-head Movement) quando è una singola testa a spostarsi, mentre con movimento A (argomentale) e movimento A’ (A barra, non argomentale) ci si riferisce ai movimenti che coinvolgono proiezioni massimali.
Primo tipo di movimento: il movimento testa a testa
Questo tipo di movimento è responsabile dello spostamento del clitico (Belletti, 1999). Nel capitolo 3 è stata ampiamente discussa la natura ridotta del clitico rispetto agli altri tipi di pronomi e agli NP pieni. Infatti, il clitico è una testa a tutti gli effetti, essendo una proforma della testa N. Esso viene originato in posizione interna al VP, ove viene interpretato, e viene poi spostato verso la testa I che ospita la flessione verbale. Giunto in questa posizione, riceve il ruolo tematico del verbo dalla sua traccia, attraverso la catena coindicizzata. Il tipo di movimento testa a testa che coinvolge il clitico è chiamato aggiunzione, in quanto il clitico si “attacca” al verbo flesso o all’ausiliare, contando come un’unità morfologica inseparabile. A scopo illustrativo, si propone di seguito un esempio di derivazione del clitico (4):
4) Gianni mangia la mela. Gianni la mangia <la>.
La rappresentazione strutturale della frase in (4) è la seguente:
Per ragioni di completezza, si passa ad una breve descrizione dei movimenti di proiezioni massimali, nonostante il trattamento presentato in questa sede si sia concentrato esplicitamente solo sul movimento testa a testa dei pronomi clitici.
Secondo tipo di movimento: il movimento A (argomentale)
Questa categoria di spostamento riguarda i casi in cui una proiezione massimale, ossia un intero sintagma (XP), si sposta dalla posizione in cui riceve ruolo tematico (all’interno del VP) alla
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posizione in cui riceve il Caso. Questo vuol dire che il movimento è scaturito dall’esigenza di soddisfare i tratti di Caso prevista dalla condizione grammaticale del Filtro di Caso: ogni NP esplicito, ossia fonologicamente realizzato, deve ricevere un Caso (Haegeman, 1996).
In questa tipologia di movimento A si possono individuare:
Il movimento dell’NP soggetto di un verbo attivo transitivo o intransitivo inergativo da Spec,VP a Spec,IP;
Il movimento dell’NP soggetto di un verbo intransitivo inaccusativo dalla posizione di complemento di VP a Spec,IP;
Il movimento dell’NP soggetto di un verbo passivo dalla posizione di complemento di VP a Spec, IP;
Il movimento dell’NP soggetto di una frase incassata alla posizione Spec,IP di un verbo a sollevamento.
Terzo tipo di movimento: il movimento A’ (non argomentale)
Questo tipo di movimento non avviene per ragioni legate all’esigenza di assegnazione di Caso e la posizione di atterraggio (“landing site”) dell’elemento mosso non è una posizione argomentale, perciò è detto non argomentale. In questi casi si ottiene una relazione a distanza tra la traccia e il costituente mosso più lunga rispetto a quella derivante da un movimento di tipo A o da un movimento testa a testa. La posizione di arrivo non è quindi Spec,IP ma è il CP, ossia il sintagma del complementatore. Tale posizione costituisce la periferia sinistra della frase (Rizzi, 1997). Il CP rappresenta la parte più alta nell’albero sintattico e, proprio per la sua posizione, svolge una funzione legata al modo in cui le informazioni vengono presentate. Il CP è definito layer per la sua natura stratificata di proiezioni funzionali gerarchicamente ordinate, necessarie per una corretta interpretazione della frase sulla base delle intenzioni del parlante. Il movimento A’ è dunque motivato da ragioni interpretative e intonazionali, non sintattiche. Un esempio di frasi derivate tramite movimento A’ sono:
Frasi interrogative:
o Quale gallina becca il pulcino? Frasi relative:
o Il pulcino che la gallina becca.
Frasi topicalizzate con pronome clitico di ripresa (Clitic Left Dislocation): o I leoni, il pinguino li colpisce forte.
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o IL PULCINO becca la gallina, non il topo! Frasi scisse:
o È la MUCCA a fermare il maiale!
In una frase relativa, ad esempio, l’elemento mosso può essere il soggetto o l’oggetto appartenente alla frase incassata introdotta dal complementatore che. L’elemento mosso riceve il ruolo tematico grazie alla catena che lo lega alla traccia lasciata nel sito di interpretazione. Di seguito si riportano gli esempi già esposti nel capitolo 4 (par. 4.8.3):
RS: I bambini che __ colpiscono i topi
[DP I bambini] [CP che [IP [DP <i bambini>] colpiscono i topi]]
RO: I bambini che i topi colpiscono __
[DP I bambini] [CP che [IP i topi colpiscono [DP <i bambini>]]]