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Atteggiamenti e valor

3. Identità nazionale e identità europea

3.2 L’identità europea

3.2.3 Identità europea e cosmopolitismo

Per la presente ricerca risulta utile analizzare, oltre alle sopramenzionate criticità relative all’individuazione di elementi storici dell’identità europea, anche l’interpretazione in chiave post-nazionale e cosmopolitica53 elaborata su

questo tema da Delanty (1995, 2006; Delanty e Rumford, 2005). Tale

52 L’iniziativa del Consiglio d’Europa “Debates on European Identity” (2013-2014) si inserisce proprio all’interno di questo dibattito proponendo una serie di incontri con esponenti della politica e della ricerca accademica per trattare i temi delle radici storiche dell’Europa, delle caratteristiche peculiari dell’Europa di oggi e delle modalità per promuovere l’integrazione e l’identità europea.

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interpretazione ha esercitato un notevole influsso sul dibattito relativo alle identità multiple e in particolare alle caratteristiche di quella europea54.

Secondo Delanty l’identità dell’Europa può esistere a vari livelli. In primo luogo essa può essere considerata come un’identità personale: secondo questa impostazione i singoli individui si riconoscerebbero nella cultura o nelle politiche europee. Questo tuttavia non presuppone che esista un’identità europea collettiva che, come è stato evidenziato, non deriva dalla somma di identità individuali ma dall’esistenza di un particolare gruppo sociale o sistema istituzionale che esprime una comprensione di sé esplicita e comune55. A

questi due tipi di identità, individuale e collettiva, deve essere aggiunta quella che Delanty definisce “l’identità sociale europea”, le cui basi possono essere individuate nei modelli culturali in cui vengono espresse nuove forme di comprensione e di riconoscimento di sé. Tali modelli fanno riferimento a un’ampia gamma di filosofie politiche, ideali e movimenti che hanno caratterizzato la modernità europea e quindi sono del tutto indipendenti dalla cultura politica dell’Unione e delle sue istituzioni56.

Sulla base di queste premesse, l’identità europea è per Delanty e Rumford (2005) un’identità sociale cosmopolita piuttosto che un’identità collettiva sovra-nazionale (ispirata all’idea di Stato-nazione del XIX secolo) oppure un’identità ufficiale dell’Unione Europea, in tensione con quelle nazionali. In quanto identità sociale cosmopolita, l’identità europea è una forma di

54 Il discorso di Alnaes al Consiglio d’Europa (2013), ad esempio, conferma l’importanza della prospettiva cosmopolitica come elemento caratterizzante l’identità europea. Egli infatti ha sostenuto come l’impegno verso i diritti umani e la loro protezione nella vita quotidiana, elementi tipici del cosmopolitismo, siano da considerare come gli aspetti fondamentali dell’essere europeo.

55 Delanty e Rumford a questo proposito registrano un sostanziale aumento del numero delle identità europee personali all’interno delle società in Europa, mentre rilevano una minore evidenza dell’esistenza di una identità europea collettiva.

56 L’aspirazione alla giustizia sociale, sentimento che ha poi portato alla nascita del welfare state del XX

secolo, ad esempio, è ciò che in primo luogo ha animato molti dei più importanti movimenti nella moderna Europa. Essa rappresenta probabilmente l’eredità politica che più la caratterizza, soprattutto se la si confronta con gli Stati Uniti.

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comprensione di sé post-nazionale, che si esprime all’interno ma anche al di là delle identità nazionali attraverso nuove forme di lealtà, memoria e dialogo57.

L’essere europeo, quindi, non si riferisce a una questione né di cultura né di politica, ma è l’espressione di un preciso orientamento nei confronti del mondo rappresentato dallo spirito cosmopolita. In questo senso Delanty sostiene che gli europei “are citizens with a world outlook” (2006, p.76). Secondo questa definizione, un europeo riconosce i cittadini degli altri Paesi come propri simili, riconosce le diversità insite nel mondo di oggi e cerca di comprenderle. Essere un cosmopolita è dunque una disposizione caratterizzata da una relazione riflessiva nei confronti della propria identità. Tale riflessività, nel caso di quella europea, non può essere stabile ma è in continuo mutamento e comporta la presa di coscienza che non esiste né un’identità di base né un fittizio mito del “popolo” europeo. Essere europeo non significa identificarsi con l’Europa oppure avere un’identità comune comparabile a quella nazionale. Essere europeo significa semplicemente riconoscere che viviamo in un mondo che non appartiene a nessun popolo in particolare.

Il cosmopolitismo rappresenta per Delanty e Rumford (2005) la prospettiva più adatta per studiare le trasformazioni sociali in Europa58, rispetto ad una

visione più tradizionale, basata sullo Stato-nazione, punto di riferimento di

57In questo Delanty e Rumford si avvalgono delle tesi di Habermas (1998) secondo cui l’identità di una

società post-nazionale può basarsi solo su forme culturali di condivisione di alcuni principi di base e su di un patriottismo limitato all’identificazione con la costituzione, piuttosto che con un determinato territorio o Stato ed un’unica eredità culturale. È ciò che il filosofo definisce constitutional patriotism, un’identità che si fonda su principi costituzionali e non su di un insieme particolare di valori politici. Habermas sostiene che nessuna società può prescindere dalle forze critiche e riflessive presenti nelle culture moderne. Le sue tesi pongono l’attenzione quindi non sulla ricerca di una identità culturale comune o di base ma sull’importanza dell’esame critico, della comprensione di sé in chiave trasformativa.

58 Il ritorno agli ideali cosmopoliti è dovuto, come è stato già messo in evidenza nelle sezioni precedenti, agli effetti messi in atto dalla globalizzazione, che ha obbligato lo Stato-nazionale a rinegoziare il proprio spazio nell’ordine mondiale. A questo va associato un crescente incremento dell’importanza dei movimenti sociali transnazionali, di forme di cittadinanza post-nazionali, di identificazioni politiche multiple e la nascita di una società civile globale che ha portato all’esplorazione di nuove modalità di interpretazione dell’appartenenza politica e del ruolo che gli individui, le comunità, le organizzazioni e gli Stati-nazionali rivestono nell’ordinamento politico mondiale. Vedi supra paragrafo 2.4.1.

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tanti studi sull’Unione. Questo perché la teoria cosmopolitica instaura un nuovo tipo di relazione tra l’individuo e la società e contribuisce alla creazione di una coscienza globale attraverso le categorie dei diritti umani, del riconoscimento della molteplicità delle comunità a cui appartengono gli individui e delle scelte pluralistiche di appartenenza. Ad essa fanno riferimento concetti quali la tolleranza, il rispetto e l’analisi delle differenze in una società pluralistica che riflette le identità multiple che ogni individuo ha in sé.

La teoria cosmopolitica secondo Delanty e Rumford (2005) permette di comprendere l’Europa in modalità differenti, che non si riferiscono all’immaginario nazionale. Questa interpretazione offre tre vantaggi principali. In primo luogo consente di inserire l’Europa in relazione al mondo e quindi ai fenomeni della globalizzazione. Come conseguenza di ciò, risulta inutile cercare forme specifiche e uniche di identità e cultura europea. Essere europeo significa far parte del mondo e riconoscere in questo che non esiste alcuna essenza primaria alla base di alcun popolo. In secondo luogo, la prospettiva cosmopolita non considera il cambiamento sociale di per sé pericoloso. Negli studi sociali tradizionali, invece, il cambiamento sociale viene percepito come una destabilizzazione, che deve essere combattuta attraverso il ripristino di un ordine sociale associato a una comunità nazionale coesa. In ultima istanza, il cosmopolitismo permette la creazione di nuove forme di connessione, attraverso le quali l’Europa diviene uno spazio in cui gli individui percepiscono la storia, la società e le identità in modalità del tutto diverse, generando nuove relazioni e norme di giustizia sociale. Per poter interpretare l’identità europea in chiave cosmopolitica, dunque, è necessario abbandonare la ricerca di una supposta appartenenza all’Europa primaria e comune a tutti.

L’esistenza di una cultura interconnessa all’Europa partirebbe dunque per Delanty e Rumford (2005) proprio da una relazione riflessiva con la propria identità e si fonderebbe sui valori politici presenti all’interno di una nascente sfera pubblica europea, interessata ad occuparsi di alcuni temi ben precisi quali

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ad esempio l’ambientalismo, il pacifismo e la solidarietà transnazionale. Per i sociologi britannici, infatti, se l’identità si manifesta attraverso la comunicazione, non è necessaria la formazione di un unico popolo ma di spazi discorsivi. Questa idea dialogica dell’Europa sembra accordarsi con una teoria della democrazia come forma di potere comunicativo. Per l’Unione Europea, dunque, la sfida per il futuro non risiede secondo Delanty nello stabilizzare il suo ordine costituzionale in una identità collettiva di base o onnicomprensiva, come auspica Smith (1992) con la sua definizione di “famiglia di culture”, ma di creare spazi per la comunicazione.

Le teorie cosmopolitiche hanno notevolmente influenzato il dibattitto sull’identità europea e rappresentano, nella loro negazione di ogni particolarismo e appartenenza nazionale, un’interpretazione estremamente funzionale per risolvere la complessa e intricata questione del senso di appartenenza all’Europa. Non mancano, però, le critiche a questo tipo di interpretazione. Smith (1992), in particolare, ne mette in evidenza forse il limite fondamentale e cioè l’impossibilità, per qualsiasi cultura cosmopolitica moderna, di essere costruita al di fuori delle culture nazionali. Tali culture presentano al loro interno diversi elementi disaggreganti, in quanto legate a uno specifico popolo, a un determinato spazio geografico e periodo storico. Sono, in ultima analisi, strettamente connesse alle identità storiche. Questi elementi sono fondamentalmente in antitesi con le ideologie alla base del cosmopolitismo e in questo è ravvisabile quello che Smith chiama “the paradox of any project for a global culture” (ivi, p. 67): secondo questo paradosso le fondamenta della cultura globale risiedono in elementi particolaristici, legati alla propria storia e identità nazionale, che tale cultura sta tentando di sostituire con altri più aperti e cosmopolitici.

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3.2.4 La ricerca empirica sul rapporto tra identità nazionale e identità