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CAPITOLO II : ADOZIONE E OMOGENITORIALITÀ: LA

11. Il particolare caso della maternità surrogata

11.1 Introduzione al problema: la giurisprudenza italiana

Ivi, 86 e ss.

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Ivi, BELELLI, A. (2016), 1823

La maternità surrogata è al centro di un acceso dibattito giuridico. In questa sede non si tratta di considerare la legittimità di tale pratica, considerata in astratto, ma di valutarla in rapporto al tema di questo lavoro.

Con i termini “maternità per sostituzione”, “surrogazione di

maternità”, “maternità surrogata”, e il dispregiativo “utero in affitto”,

si fa riferimento a una serie di fattispecie in cui una donna (c.d. madre surrogata o gestazionale), accetta di portare a termine una gravidanza e partorire un bambino per una parte comittente; parliamo pertanto di un vero e proprio contratto di gestazione per altri. A seconda della provenienza del materiale genetico, si distingue tra maternità surrogata tradizionale, in cui la donna che realizza la gravidanza fornisce anche l’ovocita (c.d. surrogazione totale), da quella puramente gestazionale (c.d. surrogazione parziale), in cui la madre surrogata riceve l’ovulo fecondato di un’altra donna, che può essere sia la madre committente che una terza donatrice; a sua volta, il gamete maschile potrà provenire dal padre committente o da un terzo donatore. Tale fenomeno può quindi coinvolgere da un minimo di tre ad un massimo di cinque soggetti, che intesseranno un legame genetico o affettivo - sociale con il nascituro . 198

Fino al 2004, tale ipotesi non era contemplata nella legislazione italiana, finché, attraverso la legge n. 40 del 2004 il Parlamento ha legiferato in materia di procreazione medicalmente assistita, prevedendo espressamente all’art. 12, comma sesto, il divieto di riscorso alla surrogazione di maternità e una correlata sanzione penale molto pesante . 199

Nel caso della gestazione per altri, intervengono ben tre ipotetiche madri:

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quella biologica, quella naturale o gestazionale e quella sociale, che cresce effettivamente il bambino. A riguardo si veda CECCHETTI, C., I nuovi

modelli genitoriali, in giudicedonna.it, 2016, II, 1 e ss. Disponibile presso:

http://www.giudicedonna.it/2016/numero-due/articoli/Cecchetti.pdf. URL consultato il 25 Maggio 2016

L’art 12, comma 6, l. 40/2004 recita : “Chiunque, in qualsiasi forma,

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realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Per comprendere le problematicità relative al fenomeno considerato, risulta utile innanzitutto fare riferimento alla sentenza n. 162 del 2014 della Corte Costituzionale. L’oggetto di tale sentenza è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 - che vietava la fecondazione di tipo eterologo anche qualora fosse stata diagnosticata una causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili - in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost., nonché agli artt. 8 e 14 CEDU . 200

La Consulta riconosce la presenza di “plurime esigenze costituzionali” in materia di PMA, dalla quale deriva la necessità di ponderare con attenzione gli interessi in gioco. In tale ottica rileva infatti, da un lato, la tutela dell’embrione, che non è assoluta, poiché deve fare i conti, dall’altro lato, con la tutela della procreazione come aspetto della salute fisica e psichica. La Corte constata che la disposizione oggetto di censura impedisce alle coppie che non siano affette da sterilità o infertilità irreversibile di ricorrere alla tecnica della PMA; ciononostante, tale divieto non sembra derivare da alcun obbligo pattizio, né tantomeno si riscontra un adeguato fondamento costituzionale . Al contrario, la scelta di formare una famiglia è 201

ampiamente tutelata dagli artt. 2, 3 e 31 Cost. oltre che dall’art. 8 CEDU, costituendo espressione della fondamentale libertà di autodeterminarsi, in special modo nell’ambito della propria vita privata e familiare.

Ne consegue che il desiderio di avere un figlio concerne la sfera più intima della persona, e risulta per questo incoercibile laddove non vulneri altri valori costituzionali. Nel caso di specie, la Corte rileva che la “tutela delle esigenze di procreazione” precedentemente citata - fine peraltro al quale è preordinata la legge del 2004 - debba cedere in

Per quanto riguarda la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU, la questione si

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ricollega alla sentenza SH c. Italia della Corte di Strasburgo. Tale recente pronuncia sembrerebbe porre un ulteriore tassello verso la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di ricorso alla fecondazione eterologa previsto all’art. 4, comma 3 della legge del 2004. Inoltre, tale sentenza sembrerebbe per i rimettenti aver confermato la riconducibilità del diritto in esame all’art. 8 della CEDU. In tal senso, il diritto di identità e di autodeterminazione della coppia in ordine alla propria genitorialità sarebbe leso dal divieto di accesso ad un certo tipo di fecondazione anche quando, come nel caso di specie, essa sia indispensabile.

Si rimanda al par. 5 della sentenza C. Cost, n. 162/2014.

determinate occasioni nel bilanciamento con altri principi costituzionali quali quelli appena enunciati, laddove i convincimenti di carattere etico non possono imporre un divieto assoluto di procreare per specifiche categorie di soggetti. Inoltre, bisogna tenere conto anche del diritto alla salute ex art. 32 Cost, comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica: in tal senso negare l’accesso alla PMA eterologa ad alcuni individui potrebbe incidere negativamente sulla salute della coppia nel suo complesso.

Pertanto la Corte, all’esito di un test di ragionevolezza e di proporzionalità, stabilisce che il divieto previsto all’art. 4, comma 3 della legge del 2004 è costituzionalmente illegittimo, poiché lede la libertà fondamentale di determinate coppie di formare una famiglia con dei figli, senza peraltro fornire un’adeguata giustificazione in relazione alle esigenze di tutela del nato, le quali restano secondo il giudice di legittimità congruamente garantite.

Risulta infine di particolare interesse un passaggio della sentenza, nella quale si accusa la disciplina di irrazionalità nel regolamentare gli effetti della PMA eterologa praticata all’estero, laddove realizza “un

ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi” . 202

In effetti, è stato proprio tale contesto a spingere numerose coppie, eterosessuali ed omosessuali, a ricorrere a tali pratiche in Paesi nei quali esse sono ammesse, ed in seguito alle quali lo Stato straniero riconosce l’atto legittimo di nascita del bambino e la genitorialità in capo ai committenti.

Tuttavia, tali soggetti incontrano un limite nel tornare in Italia, poiché gli ufficiali di stato civile tendono a rifiutare la richiesta di trascrizione

Corte Costituzionale, sent. n. 162/2014, par. 13. Disponibile presso:http://

202

www.giurcost.org/decisioni/2014/0162s-14.html URL consultato il 13 Giugno 2017.

nel registro di atti del genere, in virtù di un’asserita contrarietà all’ordine pubblico interno . 203

Sul tema è di particolare interesse anche la sentenza della Corte di Cassazione, n. 24001 del 2014, nella quale è stata negata, per contrarietà con l’ordine pubblico, la trascrizione di un certificato di nascita formato in Ucraina, dove risultavano genitori l’uomo e la donna committenti, che non avevano però alcun legame genetico con il bambino, e che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata nel Paese straniero. Tutto ha inizio nel 2012, quando il Tribunale per i minorenni di Brescia dichiara lo stato di adottabilità del minore, dopo aver accertato l’assenza di legami genetici tra il bambino nato in Ucraina e la coppia. In effetti, il giudice ritiene che il certificato di nascita straniero non sia trascrivibile in Italia, poiché contrario all’ordine pubblico e al divieto di maternità surrogata previsto dalla legge n. 40/2004; ne deriva la mancanza di uno status di figlio legittimo in capo al bambino, cui consegue la constatazione dello stato di abbandono dello stesso e la pronuncia di adottabilità. A seguito del rigetto dell’appello, i genitori propongono ricorso per Cassazione, sostenendo che il divieto di surrogazione debba essere valutato non tanto in un’ottica di ordine pubblico interno, ma piuttosto di ordine internazionale, il quale tutela in particolare il principio del best interest

of the child. La Corte ritiene al contrario che, pur essendo necessario

considerare “i valori condivisi della comunità internazionale”, ciò non significa escludere i principi ed i valori propri, “purché fondamentali

ed irrinunciabili” . A suo parere, infatti, il divieto di ricorso alla 204 maternità surrogata è sicuramente di ordine pubblico, come suggerito dalla previsione di una sanzione penale ad esso correlata. Inoltre, entrano in considerazione alcuni diritti fondamentali, che compongono quel nucleo duro al quale già si era accennato in riferimento alla sentenza della stessa Corte, n. 19599/2016 . D’altronde la Corte non 205

Nel caso specifico della gestazione per altri, si richiama alla contrarietà di

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tale istituto ad alcuni valori interni fondamentali, quali la tutela della donna e dei bambini, al fine di evitarne il traffico, il commercio e l’abbandono.

Corte di Cassazione, sent. n. 24001/2014, pag. 13.

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Per ulteriori considerazioni a riguardo, si rimanda al paragrafo 8 di questo

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ritiene nemmeno leso il preminente interesse del minore, che risulta al contrario maggiormente tutelato nell’ambito delle disciplina dell’adozione, che non in una situazione di genitorialità disgiunta dal legame biologico e che deriva da un mero accordo tra le parti. Allo stesso modo, non sembra opportuno nemmeno il riferimento operato dai ricorrenti alle pronunce Mennesson e Labassee, poiché in esse la Corte Edu ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento ai singoli Stati membri, essendo le decisioni dei giudici italiani coerenti con tale margine.