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I percorsi della poesia

2. La nera costanza 1 Dal titolo al libro

2.3 Istigazione dolorosa

Uno dei segni più chiari della nuova postazione raggiunta dal soggetto è senza dubbio la natura relazionale assunta dal testo poetico, che si indirizza a destinatari precisi e testimonia una precisa volontà di confronto con l’altro da sé, manifestando un bisogno etico di ingiunzione e riconoscimento. La terza sezione della Costanza, dal titolo Istigazione dolorosa, è fitta di testi non titolati con dedica iniziale “criptata”, ovvero affidata alle sole iniziali. Si tratta con tutta

23  [Solo tua madre] 9-10.

24  [È più vecchio ha vissuto prima] 8-11. Si può pensare a Beckett e a quell’imperativo a resistere che, nonostante la deiezione in cui versa il soggetto, qua e là ancora fa capolino lungo il flusso enunciativo spezzato di Comment c’est: «non più questione di morire durante questo tempo un tempo enorme» (Beckett 1965 [1961], 11); «senza altre storie che le mie altri rumori che i miei altro silenzio che quello che devo rompere se non ne voglio più è così che devo resistere» (ivi, 15-16); «come resistere solo questo dico come resistere» (ivi, 19).

probabilità di componimenti destinati a poeti, dove l’imitazione si accompagna all’istigazione intesa come reciproco sollecitarsi di vissuti dolorosi trasposti in poesia. Lo suggerisce anzitutto l’unica dedica esplicita, per di più promossa a titolo del componimento, a Amelia Rosselli:

L’intenso paragone senza peso e senza fiamma fu lui a farmi d’ogni vece un’unica calma da fragile sorella dura e grande

dalle allungate gambe agli occhi di panna 5 nel franco viso dove i lumi caddero insinuando

: non mi toccare! Ma caddero al buio caldo e un nido si rifocillò da lunga fame e dopo della fame un bisbiglio acre fu per le sue braccia

10 e dopo della noia attorno attorno devastando i suoi versi scrisse l’amante

Quasi tutto, in questa poesia, si segnala come debito rosselliano, a comincia- re da alcuni sintagmi prelevati di peso dai primissimi testi di Variazioni belliche (1964) – la cui assoluta centralità nel canone poetico italiano di Ortesta abbiamo già ricordata: «l’intenso paragone» ([E poi si adatterà] 9), la «fragile sorella dura e grande» che riprende ed espande la «grande sorella» ([E poi si adatterà] 12), il «franco viso», che combina i «franchi visi» di [E poi si adatterà] 18, con il «franco riso» dell’incipitario [Roberto, chiama la mamma] 4. Riprese più generi- che riguardano la stessa scelta di un soggetto femminile, la libertà interpuntiva (v. 6 «: non mi toccare!») e l’andamento sintattico-testuale insieme fluido e sin- copato, che combina discontinuità, parallelismo e polisindeto. L’impaginato me- trico allude poi senz’altro al quadrato rosselliano, sulla cui disseminazione nel libro ritorneremo. Il testo si configura così come qualcosa a metà tra l’omaggio e il centone, in funzione, direi, di riconoscimento etico di un debito contratto.

Il funzionamento del testo dedicato a Rosselli ci autorizza a ipotizzare che anche le dediche cifrate nascondano poeti vicini a Ortesta negli anni tra il 1980 e il 1985: g. g., ad esempio, potrebbe essere Giovanni Giudici, amico e consiglie- re autorevole conosciuto in occasione del conferimento del Premio Viareggio Opera Prima al Bagno degli occhi, p. v. invece Patrizia Valduga, come sembrebbe tra l’altro testimoniare il dettaglio biografico dei «guanti di feltro» ([Vai dicendo

che avesti alla tua corte] 12). Il nome di Valduga ci conduce a quello di Raboni,

giunti al quale possiamo formulare due ulteriori ipotesi: che m. s. sia Mario San- tagostini, il quale nel 1981 pubblicava per la medesima Società di poesia editrice

per conto di Guanda del Bagno degli occhi il suo Come rosata linea;25 che s. c. sia

25  Nel 1978 una sua silloge era già uscita nel trentaseisemo dei «Quaderni della Fenice». Santagostini condivide inoltre con Ortesta la colloborazione a «Il Foglio. Notizie di poesia a cura della Società di poesia», sul quale recensisce tempestivamente Il bagno degli occhi (Santagostini

Silvana Colonna, traduttrice di Poe e poetessa in proprio con all’attivo, ancora

per la Società di poesia, la raccolta L’orientamento lontano (Milano, 1984).26 Si

tratta, con l’eccezione di Giudici, di autori che fanno parte dell’entourage mila- nese di Raboni, decisivo per la prima fase della traiettoria di Ortesta nel campo poetico dell’epoca.27

Che il rapporto di amicizia e sodalizio poetico tra Ortesta e Giudici sia inten- so all’altezza della Costanza ci è testimoniato, oltre che dall’eventuale dedica a g. g., da due fatti esterni alla Nera costanza: l’introduzione di Giudici alla scelta di testi ortestiani (il primo nucleo finito della Costanza) ospitata nell’«Almanacco

1980).

26  A mo’ di suggestione, per l’eco irresistibile che le parole riverberano sulla poesia di Ortesta, si legga questo estratto dalla nota non firmata che accompagna il volume di Colonna, probabilmente di Maurizio Cucchi (sua la presentazione dell’autrice): «Da parte di Silvana Colonna, nessuna condiscendenza nei confronti del lettore. Difficile ravvisare con esattezza l’identità di questi testi, impossibile tracciare una pur vaga mappa delle loro probabili ascendenze. É una poesia dalla controllata eppure necessaria reticenza, quella che si sviluppa in questa sua prima raccolta organica. Una poesia in sé perfettamente compiuta, elegante nello stile, che nell’apparente freddezza o indifferenza del tono e della pronuncia cela solo parzialmente la tremante, trepida sensibilità della propria autentica natura. Ed è così che, dalla superficie senza esibite increspature del suo verso, Silvana Colonna attrae, coinvolge un po’ misteriosamente l’interlocutore; e lo fa certo in modo sottile, nella flebilità irrinunciabile, quasi fisica della sua voce, che sempre la sorregge nella registrazione di emozioni e battiti minimi e nondimeno profondi, di improvvisi tuffi al cuore, di ossessioni continue eppure appena trapelanti. In questo modo si svolge, con puntiglio, con precisione, con insistita cura e attenzione dei dettagli, la delicatissima trama del suo discorso, nel pudore di un tocco che sa produrre elementi di essenziale, limpida grazia». Oltre alle numerosissime somiglianze che già a uno sguardo superficiale emergono tra la poesia di Ortesta e quella di Colonna, l’incipit della poesia di Ortesta aperta dalla dedica a s. c., [Bambina

misconosciuta], richiama due testi di L’orientamento lontano: «eppure ci tiravamo dietro anche

allora / una morte bambina / che non faceva paura / oggi ha braccine sottili giunture mobili / grandezza quasi naturale» (Il pointer, 3-7); «si avvicina nuotando / e tira fuori il becco / e la peluria bianchina / la tartarughina / aspetta che gridi / continua a continuare / occhietti divaricati sulla sponda del letto / il corto abisso sotto graziosissimo / certo che stanno ballando / mi sembrano alte e leggere le ossa di zucchero / e battono il tempo / e non sbagliano mai» (Per una bambina). 27  La stessa prima moglie di Raboni, l’architetto Bianca Bottero, figura tra i partecipanti al seminario francese su Charles Ledoux e la sua Saline Royale di Arc-et-Senans che fu l’occasione alla base della stesura delle Cinque poesie per C. N. Ledoux a Arc et Senans, incluse nella quarta sezione della

Costanza. Il riconoscimento di altri dedicatari è più complesso, ma partendo dall’ipotesi forte che

si tratti di poeti attivi in quegli anni possiamo comunque avanzare alcune proposte. Per «d. p.» il nome che pare fare al caso nostro è quello di Delfina Provenzali (1920-2002), poetessa di origine siciliana, attiva a Milano anche come traduttrice specialmente per Vanni Scheiwiller, tra gli altri di Céline, Michaux e del Mallarmé della Dernière mode. Per le iniziali «a. g.» la biografia del poeta ci suggerisce il nome della psicanalista e critica letteraria Alessandra Ginzburg (1943), cui lo lega un rapporto d’amicizia, ma è restando sul panorama poetico coevo che possiamo formulare l’ipotesi più probabile: la dedicataria è quasi certamente Angela Giannitrapani (1925-2009), studiosa di letteratura angloamericana (tra gli altri di Beckett, Dylan Thomas e Faulkner) e poetessa, presente anche, insieme a Ortesta, sul n. 26 dei «Quaderni della Fenice», e autrice della raccolta Caro

umano percorso, pubblicata nel 1983 dalla Società di poesia e dall’editore Lampugnani Nigri grazie

dello Specchio» 11 (1983): «Elementi di stabilità e Amanti, due sequenze poe-

tiche»;28 la dichiarazione dello stesso Giudici, a margine di Salutz (1986), nella

quale egli afferma di dovere a una poesia della Costanza [Mort sont amdui], l’a-

dozione del termine provenzale midons.29 La nera costanza e Salutz condividono

infatti – si tratti di poligenesi o di parziale condivisione del processo compositi- vo che ha condotto alle due raccolte – la scelta di simbolizzare fantasmi e ferite

interne nella relazione amorosa asimmetrica della poesia cortese medievale.30

Più in generale, un’influenza di Giudici sembra riscontrabile a monte della Co-

28  L’undicesimo «Almanacco» mondadoriano ospita fra l’altro, oltre alle due sequenze ortestiane, un’anticipazione delle Lodi del corpo femminile, raccolta di blasons alla cui redazione ampliata in volume (Raboni 1984) parteciperà lo stesso Ortesta in veste di traduttore; è presente anche Silvana Colonna come traduttrice di due poemetti in prosa di Marguerite Yourcenar. Lo stesso Giudici presenta poi una scelta di poesie destinate a confluire l’anno successivo in Lume dei

tuoi misteri che significativamente s’intitola Poesie da una sequenza; facile allora sospettare che

proprio l’amico Giudici sia corresponsabile della decisione di Ortesta di dare alle stampe «due sequenze poetiche», ovvero di un investimento stilistico che ha per mira un organismo più ampio e complesso del testo singolo e che tradisce una nuova esigenza spaziale e “narrativa”, un’incipiente volontà poematica. Tanto che è lo stesso Giudici a introdurre le poesie dell’amico e ad esplicitare il proprio ruolo di testimone del processo creativo: «E con una lingua poetica, in lui, e

ancora in altre cose che sta scrivendo, che denuncia una nuova e gioiosa pienezza di parole/materia,

parole/frutto di cui nel pronunciarle la bocca quasi avverte la ricca polposità» (Giudici 1983, 341). La prima sequenza, Elementi di stabilità, corrisponde titolo compreso alla quarta sezione della

Costanza, della quale sono assenti, perché non ancora intervenuta l’occasione che farà da stimolo

alla composizione, le Cinque poesie per C. N. Ledoux a Arc et Senans. La seconda sequenza, Amanti, confluirà invece in parte (testi I-II e IV) nella quinta del libro, ma con inversione posizionale tra I ([Pronti a mangiarlo]) e II ([Giulietta il lume spegni]). Il quinto testo, [Con mani strappate

e piedi], diverrà il quinto della seconda sezione, il sesto (Disamore) il terzo della stessa sezione,

conservando il titolo del 1983. Non sarà invece incluso in volume il terzo testo: «Vicino al fiume con pugni dolorosi / mentre la terra piccoli cespi e pane chiaro ingrassa / con lunghi mantelli tutti si gettano lasciando / per ancorarsi piano di notte fuori da tempesta». Le varianti sono nel complesso assai poche e concentrate soprattutto nei testi primo e quarto della seconda sequenza: di [Pronti a mangiarlo] spiccano gli interventi di semplificazione preposizionale (2 «nelle piccole stanze» > «in piccole stanze»; 4 «dal decubito» > «da decubiti», con assolutizzante passaggio al plurale), mentre in [Virginia ha avuto genio] si tratta soprattutto di redistribuzione metrica ai vv. 1-5 e 9-10 e scorciatura sintattica: 1-5 «Virginia ha avuto genio e calmo compagno / se di follia tace è / perché avendo visto tutti / i riccioli / poi li ha mangiati» > 1-4 «Virginia ha avuto genio / e calmo compagno se di follia tace / perché avendo visto tutti i riccioli / poi se li è mangiati». 29  «Di Midons in particolare mi sento debitore al poeta ed amico Cosimo Ortesta, a una poesia del quale (ancora inedita) l’ho col suo consenso “rubato”» (dalla Nota autoriale a Salutz riportata da Rodolfo Zucco nell’Apparato critico di Giudici 2000, 1624).

30  Andrebbe dimostrato, ma è assai probabile che su questo punto Ortesta sia stato sollecitato dall’antologia La poesia dell’antica Provenza (Guanda, 1984), nella cui introduzione il curatore Giuseppe Sansone insiste a più riprese sul «riserbo e le segretezze, l’evanescenza e l’impermeabilità» (Sansone 1984, 8) che contraddistinguono la lirica trobadorica, e in particolare sul fatto che la fin amor abbia tra i suoi capisaldi l’impossibilità di nominare direttamente l’amata: «la condizione amorosa richiede, e pour cause, il massimo di segretezza; deve esistere, anzi può esistere, solo in quanto intesa celata ad ognuno. […] La dama elogiata nel canto allora non deve essere indicata per nome, ma tramite un epiteto affettivo, con un soprannome d’amorosa lode, sì da riconoscersi nella poesia a lei dedicata» (ivi, 18-19).

stanza, ovvero del momento in cui realmente viene a definirsi il sistema stilisti-

co e tematico di Ortesta, nelle motivazioni che conducono Ortesta a rinunciare alla destrutturazione linguistica in favore delle possibilità di «straniamento con-

trollato»31 concesse a quella lingua seconda incistata nella lingua nazionale che

è la lingua della tradizione poetica: in virtù della sua natura separata, allusiva e iper-connotativa, nonché della sua facoltà a porsi come luogo di coesistenza e contaminazione tra conscio e inconscio, logica distintiva diurna e logica confu-

siva notturna,32 questa lingua altra può essere rivolta contro quella ferita e quel

desiderio mai del tutto dicibili che rappresentano, tanto per Ortesta quanto per Giudici, il centro inevitabile del discorso poetico.

Ciò che cambia, nel passaggio dal primo al secondo libro, forse anche per effetto di una parziale revisione del quadro teorico che presiedeva all’esordio, è la modalità dell’avvicinamento all’oggetto inavvicinabile che costituisce il cen- tro gravitazionale della poesia. Il Bagno tentava un approccio frontale, mirando a un contatto diretto che, portando il linguaggio a collassare, facesse emergere dalle sue fratture la cosa. Il tentativo della Costanza è piuttosto quello della deli- mitazione di un perimetro indicativo, utilizzando tecniche moderate di strania- mento linguistico per dire la cosa senza dirla, facendo segno da lontano a ciò che non può essere nominato. A questo mutamento d’indirizzo dobbiamo però collegare anche una differenza di sguardo o, se si vuole, un diverso inquadra- mento temporale delle misteriose ferite cui tende la parola poetica. Se nel Bagno la vita è sempre presentificata, colta nella dimensione bruciante e attimale dello choc, nella Costanza ci troviamo al cospetto di uno sguardo da lontano che della vita osserva le forme residuali depositate nella pietra e nel ghiaccio; il che signi- fica da un lato fare del passato un passato, guadagnando una maggiore distanza dalla quale contemplare le catastrofi della storia individuale, dall’altro guardare con più attenzione alle conseguenze permanenti dei traumi fondativi (la condi- zione perennemente luttuosa del soggetto). Alla base di un simile mutamento di assetti risiede infine l’esigenza, nuova o più forte di prima, di esorcizzare la mor- te. Ortesta approda a un’impostazione direi antropologica e rituale del problema della poesia, che prevede la mimesi del negativo in forme codificate, restando all’interno dei limiti previsti dai codici comunicativi condivisi. Vedremo come spetti al Margine dei fossili instaurare una volta per tutte questo orizzonte. Ma ascoltiamo, prima di passare ad altro, le parole sapienti di Giudici:

31  Dal Bianco 2019 [1987], 18. L’espressione è tratta dal Manifesto di un classicismo pubblicato sul n. 1 della rivista padovana «Scarto minimo».

32  Come sapeva benissimo già il traduttore di Mallarmé: «In questo sfiorarsi e intrecciarsi di due mondi – quello degli oggetti interni, impenetrabili nella loro muta sintassi, e quello degli oggetti esterni, che posano nell’articolarsi di una langue riconosciuta – nasce il linguaggio poetico di Mallarmé che, introducendo la logica del sogno nel linguaggio comune, ne rende inscindibili i nessi e le articolazioni, violati i rispettivi domini» (Ortesta 1980b, 8).

Egli sa quanto infida possa essere la parola che pretende di illustrare, rappresentare; sa che la poesia (come precisò per primo e molti anni fa ormai I. A. Richards) deve, piuttosto che dire, essere. E tanto più forte sarà l’emozione quanto più il poeta (in poesie come queste) riuscirà a disciplinarla, a contenerla in un’espressione essenziale; anche troppo strazianti sono del resto le tragedie che questo mondo pur mineralizzato dichiara a chi sappia intenderlo: […].33

2.4 Disamore

Il centro tematico della Costanza, abbiamo già avuto modo di dirlo, consiste in una relazione duale nella quale s’intrecciano amore e dolore, cura e violenza,

in un continuo sbilanciamento degli affetti ora per difetto ora per eccesso.34 Un

assetto sentimentale così altamente problematico corrisponde, nei fatti, a una pervasiva negazione dell’amore che assoceremo per un verso alla pulsionalità bloccata che governa il libro alimentato dalla nera costanza, per l’altro all’Edipo irrisolto. Il discorso amoroso cela allora altri oggetti, a cominciare dall’aggressi- vità e dall’odio, alludendo a un desiderio sempre represso e deviato, convertito in passione distruttiva e mortuaria. Un sentimento al ribasso è imputato tanto al personaggio lirico, incapace di superare la circolarità del narcisismo secon- dario, quanto a lei, il cui atteggiamento sdegnoso e respingente molto deve al prototipo letterario dell’Erodiade mallarmeana, figura di principessa altera e vergine inaccessibile, la cui bellezza assoluta è funzione del suo negarsi a ogni

contatto.35 A tale figura di donna astratta e intangibile è da legare la comparsa

di nuovi attributi femminili quali la regalità e la divinità36 così come la duplice

enfasi portata sulla nudità e sulla preziosità del vestiario e degli accessori.37 Le

33  Giudici 1983, 340.

34  [Pronti a mangiarlo] 1-4 «Pronti a mangiarlo patiscono la sete / in piccole stanze / che per troppo amore / dai decubiti restano ulcerate»; [voragini voragini che volete?] 1-2 «voragini voragini che volete? / odio che mi ferì – non le ferite»; Persona 7 «in me persona non amata»; l’intero

Disamore, che dà il titolo al presente paragrafo; La pasqua rosata 1-2 «La turbata negligenza, un

desiderio smodato / a primavera porta crolli poi serpenti alati», 9-10 «non per altro signore / che per desìo»; Canzone per il suo compleanno 4-5 «e già soffre il mio petto chiuso / addolcendo un amore caduto, le ore risparmiate».

35  Un testo in particolare, [Catturata e ferita nel suo palazzo], si dimostra vicinissimo all’archetipo mallarmeano: «Catturata e ferita nel suo palazzo / gli accoliti la lavano e la nutrono / facendola svagare con musica e danza // per mettersi in viaggio talvolta si allontana / chiusa tra nere fenditure indietro / fino alla pubertà le porte sbarra // col sangue si lava le cosce / poi rovescia le acque fino alle ginocchia» (cfr. comunque infra, pp. 329-30). E a Erodiade è vicina per alterigia e freddezza la Bellezza che Baudelaire personifica in un’immane figura femminile ne La Beauté, per l’analisi della quale cfr. infra, pp. 262-64.

36  [Introdotte dall’alto in sale profonde] 4-5 «nelle aguzze cappelle alla dea / che simula partenze o scena di partenza».

37  Esemplare per ricchezza di ornamenti è la sequenza numerata 1-4) posta in chiusura della terza sezione: [Fusciacche tra diademi] 1-3 «Fusciacche tra diademi / anelli guanti mele d’oro / dardi

figure femminili incluse nel libro devono in ogni caso la loro riconoscibilità a fattori più funzionali che referenziali: i due tipi principali sono da questo punto di vista quello dell’amata e quello della madre, tra loro embricati per la comune facoltà di distanziare e respingere quell’io che è insieme figlio e amante.

Quando il sentimento amoroso non è negato, esso compare sotto il segno dell’esagerazione, finendo per coincidere con la morte tragica dei due protago- nisti. È questo il senso della ripresa della vicenda di Tristano e Isotta, e in essa della celebre, potente immagine del viluppo inestricabile degli amanti morti in un abbraccio finale, convocata nel testo attraverso una citazione in corsivo pro- mossa a titolo del testo fondamentale della sesta sezione: Mort sont amdui et

sans autre confort.38 L’apparizione di Tristano e Isotta ci introduce a un acquisto

tematico già accennato ovvero la riattualizzazione degli schemi dell’amore cor- tese e più in generale dell’immaginario medievale, cavalleresco e cortigiano. A cominciare dal testo già citato, si rintracciano spie lessicali provenzali e cortesi (10 «gilos oh gilos di trappola e caccia»; 25-26 «le orme del drudo fuggitivo / midons spia malandrina»). Nella stessa costellazione, la cui rilevanza emer- ge nella parte finale del libro, rientrano i seguenti fenomeni: l’uso di poetismi tradizionali (La pasqua rosata 7-9 «ma in altro giardino / all’aura un collo può ferirsi / non per altro signore / che per desìo»); la tematizzazione di referenti cortigiani (La ricreazione del paggio, A morte in braccio 17 «come tenero paggio eccitato»; [Vai dicendo che avesti alla tua corte]; Si commuove 7 «la nobile stirpe tradisce»); il ricorso alle maiuscole in funzione assolutizzante ([voragini voragi-

ni che volete?] 8 «La Dama mia incenerita»; Disamore 9-10 «splendida Signora

che suda freddo e scende / in ostentata comunione con i morti»; [L’ardore strin-

se] 5 «dell’Amato reclinato»); la stessa presenza di un componimento dedicato

a un pittore rinascimentale, Andreino dal Castagno, che ospita voci e giunture arcaizzanti quali «L’inceppata brama», «a mirabile castigo», «letizia», «panni», «rapito da grande pestilenza».

Un’ulteriore diramazione dell’immaginario medievale-cortese è costituita

e lacci», 6-7 «di seta si vestiva / lei celebre penitente»; [incapace di alzarsi] 5-6 «nella vestaglia damascata / bambina schiena tartara»; [la più comune] 6 «poi un bel vestito chiedeva»; altrove si trovano percalle, merletto, gessato, vesticciuola, ventaglio, mantello.

38  Il titolo riprende un passo del Tristan en prose che narra la morte degli amanti. In questa versione della storia, la morte di Tristano è causata da una ferita inferta dalla mano di re Marco. Giunta al suo capezzale, Isotta, quando egli è ormai in punto di morte, chiede di morire con lui. A