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Strutture, temi e forme del libro

I percorsi della poesia

1. Il bagno degli occhi 1 La cornice

1.4 Strutture, temi e forme del libro

Il bagno degli occhi si compone di quattro sezioni: Il bagno degli occhi, Rac- conto di Diego, La passione della biografia e Parola stessa. Il titolo del libro è

anche quello della prima sezione e, come abbiamo visto, del suo sesto compo- nimento. Ciò significa, in termini di composizione del macrotesto, che il Bagno sceglie la strada della linearità di contro alla circolarità (imperfetta) che sarà propria delle tre raccolte successive, dove il titolo ricompare nell’ultima sezione. Il suo è invece un percorso potenzialmente aperto nella misura in cui non porta già inscritto nel titolo il proprio punto d’arrivo. Non dobbiamo però dimenticare che il primo nucleo del libro è costituito dal poemetto in prosa che dà il nome alla terza sezione. La Passione funge in questo senso da primo aggregatore di materiali testuali, come si vede dalla precoce aggiunta del Dialoghetto e forse anche dalla successiva esclusione degli altri testi editi nel biennio 1977-78. Pro- va ne sia il fatto che anche il terzo e ultimo testo della terza sezione, Sei pezzi

di paesini, si configura fin dalla testualità – un impianto drammatico a tre voci,

anonime, esattamente come nel Dialoghetto – e poi nei temi (castrazione ed ermafroditismo) come un’ulteriore poesia di accompagnamento al poemetto. È sufficiente dare uno sguardo ai titoli delle sezioni per capire come la bio-grafia del poemetto in qualche modo implichi e di conseguenza produca un “prima” e un “dopo”: una fase precedente, Il bagno degli occhi, dominata dal corpo e dai suoi scatti nevrotici (bio-), dove un violento dramma familiare si serve come mezzo espressivo di una lingua lesa e manomessa, e una fase successiva, Parola

stessa, incentrata sulla poesia come raggiunta capacità di distaccarsi in qualche

misura dal corpo isolando parzialmente l’atto creativo (-grafia). La passione del-

la biografia tiene insieme i due poli e garantisce la loro reversibilità all’interno

del libro, che in qualche modo si configura come un attraversamento linguisti- co della catastrofe teso a una liberazione che coincide con la poesia stessa, o

86Il componimento che nel libro manifesta in modo più evidente la possibilità di un’organizzazione ritmica del testo è Veglia, il quale mostra in primo luogo di possedere una struttura circolare: i vv. 1-3 e 33-34 sono tutti settenari di 2a 6a (il v. 4 aggiunge l’ictus di 4a): «Scordata dalla fame / nequisce in tutto il parto / il gallo che si strozza»; «e gli occhi se ne vanno / al ventre che ci doppia». La possibilità, per il lettore, di percepire tale anello ritmico, è legata alla presenza nel corpo della poesia di una ritmica fondata invece sull’iterazione dell’anfibraco; questa interessa in particolare, in modo più o meno perfetto ma comunque sempre evidente, i vv. 15-27. A completare il quadro, il falso parallelismo, decisamente più ritmico che sintattico, che lega tra loro i versi 13- 16: «il fuoco raschia le spalle strizzate / la fibula rasa ginocchia che intanto / le trecce nel fino tra brocche / le stringhe dei denti che scoppiano» (su quest’ultimo fenomeno cfr. infra, pp. 227-28).

più debolmente con la riappropriazione di codici linguistici condivisi. I rapporti quantitativi tra le sezioni permettono però di chiarire come l’enfasi sulla pro- gressione e sul passaggio dal negativo al positivo debba restare in fin dei conti assai moderata: i 20 testi della prima sezione e i 3 testi (ma di quanto maggiore lunghezza) della terza hanno ben altra mole dei cinque più cinque della seconda e della quarta. E la stessa scelta del titolo, accordandosi al maggior peso della prima sezione, chiarisce come le vicende della prima sezione debbano essere considerate nell’orizzonte dell’intero libro. La trama discontinua su cui però concretamente il libro si regge deriva anche dall’equilibrio dinamico, cioè con- flittuale, tra le sezioni: se della prima e della quarta abbiamo già detto quanto basta, uno sguardo alle parti centrali accresce le informazioni significative in nostro possesso. Il Racconto di Diego è una piccola suite composta di cinque bre- vissime poesie anepigrafe numerate (I-V). Ciò che il titolo, con l’ambiguità non riducibile del suo genitivo, vuole segnalare non è tanto una testualità narrativa compiutamente realizzata quanto piuttosto l’azione di una volontà narrativa e oggettivante, che mira alla dicibilità di un frammento di esperienza individuale concreta, forse addirittura autobiografica. Ne fa fede la presenza dei soli referen- ti unici del libro (che non siano quelli letterari del Sentiero nel cuore della casa: Charles, la Defayis),87 Diego e la città di Brema, unitamente all’incipit che rifiuta

la sequenzialità onirica per porsi coscientemente al di fuori di essa: «fra giugno e ottobre hanno luogo / alcuni sogni» (I 1-2). Rispetto alla sezione successiva, il contrasto è evidentissimo: la brevità si oppone all’ampiezza, la volontà narrati-

va al flusso verbale pseudo-narrativo, la presenza paterna88 a quella materna, la

storia individuale all’anonima e impersonale vita biologica.

La polarità del bagno degli occhi e della parola si traduce nel libro in una corrispondente polarità linguistica e formale della lingua destrutturata e della lingua poetica, entrambe separate dalla lingua d’uso ma in direzioni opposte. Sebbene, come già detto, la prima sezione sia senza dubbio più propensa al di- sordine e la quarta all’ordine, i due poli tendono nella raccolta non solo a dif- ferenziarsi ma anche – e molecolarmente assai più spesso – a integrarsi negli stessi testi, dando luogo a innumerevoli formazioni miste. Si tratta di un con- flitto ma anche di una convergenza nel segno della neutralizzazione del vissuto doloroso che preme alle porte della poesia. L’esito estremo è da ritrovare nella coalescenza di più funzioni in un medesimo procedimento, come accade con l’alterazione dell’ordo verborum e l’insistenza ritmica e fonica, dove non è mai

87  Su cui cfr. infra, pp. 324-25.

88  Racconto di Diego V 1-4: «Le guglie posate sulla bocca il bell’uccello / le unghie sfrega bianche al dolce padre / che a Brema svenne in alto sulla torre / dove erano bambini tra il colonnato». E si noti la paronomasia guglie-unghie in principio di verso che sostituisce un’ipotetica rima e mostra l’azione sottesa delle somiglianze foniche.

possibile separare del tutto l’intenzione confusiva da quella nobilitante.89

Come già suggerito dalla lettura del testo omonimo, Il bagno degli occhi si caratterizza rispetto ai libri successivi per l’ampiezza della sperimentazione sul lessico, condotta parallelamente su due terreni distanti – polo alto e polo basso – che però spesso vengono a integrarsi, sovrapporsi o slittare uno nell’altro. Il lessico alto, aulico-letterario, (lagrimoso, appellare, paventare, bucolico, antelu-

cano, sperso, prego, astringere, crespa, coturno, peplo, gemmato) giunge fino ai

latinismi crudi (capere, nequire); ma si veda, per entrare subito nel vivo, come il contesto possa mutare il senso di tali occorrenze: «quando l’occhio più si sfascia

paventando / passo di mamma e porta spalancata» (Pizia 17-18), dove il timbro

solenne di paventare si unisce all’espressionismo di sfasciarsi e alla qualità in- fantile di mamma (alla fusione collabora l’omogeneità metrico-ritmica di una coppia versale perfettamente scalata: endecasillabo crescente di 3a 5a 7a 11a ed

endecasillabo di 1a 4a 6a 10a); «Ogni anno ovata nella selva / poppa minaccia a

terra – acqua», dove il tecnicismo botanico ovato90 si amalgama con l’aulici-

smo selva e con il toscanismo, che qui varrà piuttosto da segno corporeo-infan-

tile, poppa;91 «ne cape cibo la liquida fessura» (Veglia 29, che arieggia il prece-

dente 6: «si ciba carni tenere lisciando») e ancora, dallo stesso componimento, l’uso anomalo e slittante tra le due occorrenze di nequire (nel secondo caso forse sostantivato), che certo non vale ’non potere’, è usato nel primo caso transiti- vamente e va ricondotto piuttosto al derivato nequizia, ’malvagità, iniquità’ ma anche ’concupiscenza, bramosia sfrenata’:

Scordata dalla fame

nequisce in tutto il parto

il gallo che si strozza. […]

ohi piedi di sego il tutto si scora bevendo alla fontana

narcosi tagliata

nequiste di figli!

(Veglia 1-3; 17-21)

Nel polo basso del lessico rientrano poi le voci disfemiche e basso-corpo- ree (ingropparsi, fottio, ingrifarsi, penetrare, fallo) ma anche le tracce di un uso linguistico che si adegua alla regressione infantile (moscacieca, pappa), mentre connotati in senso tanto infantile quanto affettivo sono gli alterati (zampetta,

89  Cfr. infra, pp. 217-22.

90  Non è l’unico: mallo, filodendro.

frutticino, corpicino, belvina, tubicino). La violenza e l’intensità dei processi che

agiscono i corpi lungo tutto il libro sono affidate a un’ampia gamma di voci verbali espressionistiche (strozzare, sfondare, slacciare (il collo), spezzare, rom-

pere, scrocchiare, stridere, staccare (la testa), polverizzare, addentare (una rovina), raschiare (le spalle), strizzare, scoppiare (detto delle stringhe dei denti), frangere

(le unghie), frugare (il lobo), sfogliare (le ascelle), accoltellare, crepare, sgorgare,

sbattere, schiantare, sfasciare), dando l’avvio a una linea lessicale assai longeva

nell’opera dell’autore e assai produttiva anche nel traduttore.92 Il ripiegare del-

la ragione comporta una destrutturazione e successiva ristrutturazione su basi

autonome del lessico, con possibilità di neoformazioni (madressa,93 gomitolarsi,

nettuno (agg., detto di erba), fino alla semplice alterazione morfologica di quandi

per quando,94 rinversato per riversato, insanguato per insanguinato) e compo-

sti (visolupo, luce-raccolto, a piedingiù, a capingiù). Non si contano le iuncturae incongrue a causa di un trattamento anomalo delle valenze verbali (Pizia 12 «appena il vento s’è soffiato»; Veglia 8 «Qui s’è l’impiglio in tenerezza») o di semplice incoerenza semantica (Veglia 14 «la fibula rasa ginocchia che intanto»; [Nave con sigilli] 16 «Il copricapo s’affolla all’ingiù»).

Nel Bagno la sintassi è oggetto di un déreglement sistematico che poggia su precise basi teorico-riflessive e mira alla cancellazione del tessuto connettivo del testo così da potervi instaurare in una certa misura il dominio della logica onirica:

2 — La sintassi si sciolse, liquame che vedo nervatura vasca profonda e calma.

2 — (la funzione del sogno su piani molto più ampi) La sintassi è penosa nelle precisazioni.

(Dialoghetto greco 37-38; 66-67)

Si tratterà anzitutto di ottenere connessioni sufficientemente fluide, rever- sibili ed estendibili, garantendo la circolazione delle immagini e la libertà nei loro accostamenti e separazioni. Per questo si rende necessario lo scioglimento delle sintassi, «penosa» nel suo dover associare e dissociare fra loro, in modo tendenzialmente univoco, parole e sintagmi. Si obliterano dunque gli elementi di raccordo (determinanti, preposizioni, congiunzioni) oppure se ne fa un uso incongruo: Pizia 29 «alla sua stanza in bel tacendo decapitata»; Veglia 4-6 «Dal freddo a mani di sfascio / su turbe di colline e prato / si ciba carni tenere liscian- do»; Banda 9-11 «dolesi questa dolesi l’altra / d’oggi in quasi a faccia piena / zer- bini di cocco schiaffi tazze». Tale cancellazione si combina con la rinuncia alla virgola e all’intero comparto interpuntivo, le frequenti mosse di redistribuzione

92  Cfr. infra, pp. 279, 305.

93  Forse esemplato sul precedente deessa di Pasqua 1975, 4 (cfr. supra, pp. 57-58). 94  Ma c’è il rischio che si tratti di un semplice refuso.

sintattica e un uso volutamente depistante dei tagli versali, ma anche con una certa predilezione per la frase nominale, per dare luogo a strutture sintattiche deboli e poco perspicue, capaci di proiettare legami logici spesso solo ipotetici e fluttuanti. Si veda un primo esempio ([Apri le porte dopo cena] 6-11):

Spogliata piangi

torre giù nera cera vergine giardino in una sola trascinata nei capelli imberbe più grande sempre e toccata

La seconda e ultima strofa di [Apri le porte dopocena] è sintatticamente pa- rallela alla prima, della quale riprende il non precisato soggetto femminile di

seconda persona singolare e il tempo presente.95 L’apertura è affidata a un par-

ticipio in funzione predicativa, cui segue il predicato verbale all’indicativo pre- sente, a sua volta seguito dal probabile soggetto, «torre». A esso è bruscamente accostato un avverbio di luogo, «giù», collocato in una posizione incongrua che rende impossibile identificare l’elemento che esso modifica. Il successivo sintagma nominale «nera cera» sarebbe apposizione di «torre», ma è palese il legame di dipendenza o derivazione fonica tra i due elementi lessicali che lo compongono. L’aggettivo seguente, «vergine», può dipendere da «cera» come da «giardino», ma tanto l’assenza di punteggiatura quanto il taglio metrico rendono impossibile un’attribuzione certa. Il sintagma preposizionale «in una sola» è invece semanticamente sospeso a causa dell’assenza di un sostantivo ed a esso fa seguito una serie di sintagmi aggettivali e avverbiali altrettanto aggettanti sul vuoto, che il lettore deve forzatamente riconnettere all’iniziale «torre». In sintesi, l’opacità dell’insieme è dovuta a fattori diversi quali l’assen- za d’interpunzione, la scelta dei tagli metrici, la violazione dei normali ordini sintattici, un certo eccesso nominale e aggettivale unito alla qualità assoluta dei sostantivi. Quest’ultima combinazione di elementi ritorna in diverse sequenze del Dialoghetto greco:

2 — (Fusto foglie spine, della stessa sostanza). Fiori. Chioschi Fioriti. Pergole.

[…]

Fottii colpi d’ala trame squamate scamiciati picchi ed ombre in terra in progress parla parlate. Parleremo.

(Dialoghetto greco 60-61; 75-76)

Il primo distico tratto dal Dialoghetto greco (60-61) combina due diversi tipi

95  [Apri le porte dopo cena] 1-5: «Apri le porte dopo cena / in amore tutta di foglie sbattendo / sanguisughe accostate ai tuoi piedi / dappertutto a schiantare nell’erba / visolupo che viene».

di enunciato nominale: nel primo il valore predicativo è affidato a un sintagma preposizionale («della stessa sostanza»), nel secondo invece è necessario ipo- tizzare un predicato che denoti l’esistenza del soggetto o la constatazione della sua esistenza (c’è, si vede). Conta però soprattutto che in entrambi i casi la voce ricorra a serie di sintagmi nominali assoluti e al plurale, giustapposti in un caso per semplice contatto e nell’altro tramite il ricorso al punto fermo; il punto fermo così utilizzato come l’impiego della parentesi valgono poi come segni di discontinuità testuale. Il secondo distico (75-76) ospita invece una serie di voca- tivi, anch’essa non punteggiata e più disomogenea sul piano semantico, anche per l’azione di un’associazione fonica («trame squamate scamiciati»), conclusa da una coppia di imperativi. Anche in questo caso al punto spetta di istituire bruscamente una discontinuità sul piano testuale, stavolta di tipo enunciativo, ovvero un passaggio di locutore: all’allocuzione dell’io segue infatti la risposta, rapida e inattesa, delle entità sollecitate.

Come si è cominciato a vedere, al tentativo di smagliare la sintassi si ac- compagna l’adozione di una testualità debole e instabile, dove la coerenza e

la riconoscibilità dei referenti appaiono continuamente messe in questione.96

Sono frequenti nel Bagno «segni pronominali di tipo anaforico destituiti di an- tecedenti […], e, in genere, forme deittiche […] riferite a enti non direttamente

riconoscibili neanche nello svolgimento tematico del discorso successivo».97 Se

i deittici di tempo sono quasi del tutto assenti, quelli spaziali sono oggetto di un’enfasi ambigua per il fatto che il luogo dell’enunciazione su cui s’insiste è condannato a restare irriconoscibile: ancóra Giocasta 35-36 «qui ti bagno e t’oscuro / mentre t’impicchi al davanzale»; Veglia 8 «Qui s’è l’impiglio in tene- rezza»; [Affondi, mi nasci nella casa] 10-14 «Qui t’annidi / tagliata nelle tempie / brocca colmata. Terrapieno. // (ma lì stai mano pesante / letto stretto al petto?)»;

Racconto di Diego IV 1 «ci sta una mano col cristallo rosso»; Le chimere 12-14

«– ma qui? – / al ramo si sfrenano le pupille / dove il drappo si è saldato». Per quanto riguarda invece le anafore destituite di antecedente, è sufficiente ripor- tare la parte centrale del secondo anello della sequenza Racconto di Diego: II 3-7 «il lino innanzi al fiume / le sta dietro se è / di pietra e fonda nell’abbraccio // il panico la sfrena / s’afferra: guarda, muore!». Per interpretare correttamente quest’ultimo fenomeno è necessario però riferirsi all’impianto rappresentativo

96  L’analisi della testualità si conforma al modello messo a punto da Testa 2003 in un contributo sul macrotesto poetico novecentesco italiano che identifica due principali famiglie di libri, una prima monumentale e devota all’unità, una seconda invece aperta al divenire e alla molteplicità della vita e dell’esperienza del mondo. In questo secondo gruppo, a sua volta bipartito, Testa colloca libri come Gli strumenti umani e Il muro della terra. Essi condividono con alcuni libri più recenti di De Angelis, Viviani e Greppi il ricorso a un patrimonio di «fenomeni responsabili di forti effetti di dissimetria e discontinuità» (ivi, 113). Alcuni di essi sono poi stati ripresi da Zublena 2009 nel tentativo di definire gli assetti testuali delle recentissime scritture di ricerca.

del Bagno, libro che poggia – fin dalla dedica «per mia madre» – su una terza persona femminile dall’identità plurima e fluttuante. O meglio: gli attributi che la definiscono permangono i medesimi di testo in testo (soggetto e per lo più oggetto di azioni violente; provvista di una corporeità dolorante e spezzata; per l’io minacciosa e desiderata) mentre le sue identificazioni sono variabili, ed essa è di volta in volta madre, biografia, ospite, volpe, Pizia, Giocasta, «nave con si- gilli», ecc. Si viene così a configurare una situazione macrotestuale in bilico tra continuità e discontinuità, corrispondente alla volontà autoriale di non fissare la persona femminile come concreta e individuata presenza e di manifestarne invece appieno la natura di potenza o fantasma. A essa rinviano i numerosi soggetti sottintesi e proforme prive di antecedente (ad esempio, oltre al caso già visto, in Veglia e [Per farle un salasso mi chiama]), mentre altre volte quest’ul- timo è recuperabile nel titolo (Pizia, ancóra Giocasta, L’ospite se ne va, Volpe, La

passione della biografia).98 Se lo statuto referenziale della figura femminile è vo-

lutamente incerto, un’analoga irriconoscibilità interessa il nome proprio: quel Diego a cui è intitolata la seconda sezione non è infatti mai presentato o descrit- to né nominato altrove, cosicché il suo referente non può essere recuperato dal lettore. «Quello che è normalmente un segno linguistico di particolare eloquen- za – nucleo di sapere, indice di massima motivazione, portatore in un implicito abbozzo di descrizione – diviene frattura, effetto di discontinuità, macchia di si- lenzio: un dire pieno e netto che si fa non detto».99 Il repertorio delle crepe aper-

te nella testualità conta poi «incipit stranianti che fanno del testo una sequenza poggiata su una sorta di vuoto linguistico»100 (Pizia 1-2 «gli stessi ginocchi della

cara moscacieca se durante il sogno / nel volo si svegliava»; [Si sarebbe pianta

la scomparsa?]; Banda 1 «ruppero i due sipari sulla banda»)101, il «montaggio di

segmenti testuali semanticamente estranei tra loro»102 (Veglia 17-21 «ohi piedi

di sego / il tutto si scora bevendo / alla fontana / narcosi tagliata // nequiste di

figli!») e l’«interruzione del discorso […] con un brusco e immotivato taglio»103

98  Il legame forte tra titolo e testo arriva in un caso a farsi vera e propria dipendenza sintattica:

Stanze a memoria 1 «di cui parlate ricoperta».

99  Testa 2003, 117. Un analogo destino tocca ad alcuni nomi propri inclusi nella Nera costanza: Giulietta, Virginia, Pamino; mentre, sempre nella Costanza, il nome di Olga trova riscontro in una delle note finali, dove però l’autore non rinuncia a condire la sua descrizione di elementi figurali: «Olga è un cane samoiedo, orfana precoce svagata ballerina» (Ortesta 1985a, 121). Più interessante per noi è il caso di Pamino, per il fatto che il testo in questione [gli squarci disegnati, i

diluvi cupi] esce in una prima versione su «Alfabeta» nel 1980 (Ortesta 1980e) con il titolo Il gatto Pamino, poi eliminato così da ottenere precisamente quell’irrecuperabilità del referente di cui

andiamo discorrendo. La menzione dello stesso gatto è in una risposta di Ortesta a D’Orrico 1986. 100  Testa 2003, 115.

101  Negli ultimi due casi il testo inizia con un verso isolato, lasciando l’enunciato iniziale sospeso nel vuoto anche graficamente.

102  Zublena 2009. 103  Ibid.

(la mano svolta di bocca 1-4 «1 – la mano svolta di bocca / sfiorata dietro d’uccel- lo / arrivando inghiottita / intorno ma no»). Un effetto brusco di discontinuità può scaturire da una compaginazione anomala dei tempi verbali (Pizia 10-12 «sopra il terrapieno il palmo scava le sue mosse, e le sue noci / dentro il bosco fanno garze lacrimose e vollero dormire / appena il vento s’è soffiato e non re- stava»; [Hai dormito la notte] 7-9 «ti mischi a darmi sibarita / e perdi l’astro e la memoria / tu cadavere dalle radici ed io caddi») così come delle voci ([Nave

con sigilli] 8 «gusto gusto di caviglia: “Fermo, t’imbarchi?”»; [Si sarebbe pianta la scomparsa?] 4-5 «(tirate le cortine per non dire: / – è fermento accendersi di

straforo –»), giungendo fino a sequenze dove non è possibile determinare se le sorgenti enunciative siano una o più d’una ([Nave con sigilli] 14-17 «Smossa, nero delle mie pietre si potrebbe? / Ti stupisce? / Il copricapo s’affolla all’ingiù / non mi fascia le gambe»). L’interruzione improvvisa del dire soggettivo a opera

di misteriosi altri si apparenta al frequente insorgere di «enunciati patemici»104

capaci di aumentare improvvisamente la forza illocutoria del discorso: Veglia 17 «ohi piedi di sego», 25 «mi vedi? ne parli?»; [che finisca] 1 «che finisca»; Banda 2 «Approfitta! Smarrisci! Approfitta!». Venendo ad altro, l’investimento sulla testualità comprende infine un’ampia disponibilità a sperimentare con diverse

tipologie testuali (adottando moduli narrativi e soprattutto drammatici,105 però

piegati ad esigenze risolutamente antirealistiche; ricorrendo all’elenco nume-