• Non ci sono risultati.

Nella sfera del bosco: una lettura dinamica

I percorsi della poesia

4. Serraglio primaverile 1 La legge dell’ossimoro

4.5 Nella sfera del bosco: una lettura dinamica

Per addentrarci ulteriormente nel mondo poetico di Serraglio primaverile

quali conserva il senso di una fecondità invocata e non ottenuta: «With fretty chervil, look, and

fresh wind shakes / Them [… ] Mine, O thou lord of life, send my roots rain» (11-12; 14). Dal

secondo componimento, nel quale più forte è la tensione metapoetica, più serrato il confronto con la morte, proviene la metafora musicale delle umane viole («But man – […] What bass is our

viol for tragic tones?» The shepherd’s brow 4, 8), con la quale Hopkins designa l’indegna e bassa

corporeità della fine umana, inadatta a qualsiasi esito tragico, e nella quale forse Ortesta figura invece la poesia, rinviando simultaneamente a due punti distinti del Progetto: all’explicit, dove la figura femminile è esortata a trasformarsi in parole «senza più compagnia di fiati e viole» ([Trasfòrmati in parole] 2), e prima, attraverso l’aggiunta dell’ulteriore dettaglio musicale del basso continuo, alla figura della madre delirante ([Rovinando da una stanza all’altra] 1-2: «Rovinando da una stanza all’altra, si diceva / distratta da un basso continuo»). Certamente volta a simbolizzare la poesia è invece nel testo di Hopkins l’ultima immagine fatta propria da Ortesta, quella del riflettersi nei cucchiai: «And I that die these deaths, that feed this flame, / That… in smooth spoon’s spy life’s masque mirrored: tame» (12-13). Si cita da Hopkins 1987.

43  Il sostantivo «riflesso» che chiude la poesia (ma anche il ricorso alla terminologia musicale:

basso continuo, viole) riprende la conclusione della prima strofa dal precedente [Chi entra nel passato e chi ci sta], al quale risulta perfettamente accordato: «Chi entra nel passato e chi ci sta:

l’anima / da un altro mare vi prese posto irrequieta / ogni luce sognando nel di qua / sicura che dove è deve stare / per riflessa melodia» (vv. 1-5). Per una corretta interpretazione del v. 4 si torni al precedente [Ognuno sa cosa].

scegliamo una strada differente da quelle finora seguite: abbandoniamo quindi la ricostruzione paradigmatica dell’oggetto in favore della mimesi dell’esperien- za di lettura. Seguendo testo dopo testo il percorso della prima sezione del libro,

Nella sfera del bosco, sarà possibile osservare come il senso concretamente si

costruisca, per progressive aggiunte, spostamenti, aggiustamenti di tiro, nella direzione orizzontale e sintagmatica che è quella del libro prima composto e poi letto. Le poesie della prima sezione si susseguono secondo un calibratissimo gioco di conferme e smentite, coperture e rivelazioni, secondo un movimento complessivo che sotto l’apparente complicazione svela la presenza di un’inten- zione chiarificatrice e, appunto, costruttiva, che fa sì che ogni elemento dell’in-

ventio trovi nelle sue diverse configurazioni e nei legami che progressivamente

va intessendo con gli altri motivi il modo di crescere in intensità e di giungere a un’enunciazione più diretta della cosa a lui sottesa. L’intrecciarsi delle linee tematiche dominanti, dalla persona femminile alla primavera, dalla parola alla distruzione, dal mondo chiuso al vento infuocato che lo scuote, ci introduce con forza e piena evidenza nella situazione generale del Serraglio, che leggeremo

come libro definitivo e tardo nel senso di Said,44 inscritto nello spazio della mor-

te autoriale e non riconciliato con il tempo, un libro nel quale i conflitti propri della poetica implicita di Ortesta si generalizzano per farsi antinomia irriducibi- le che rimette in causa la possibilità stessa della poesia.

I. [L’ombra di un mondo esterno]45 è il testo senza dubbio più opaco, a causa

della posizione incipitaria ma soprattutto della trama contraddittoria dei signi- ficati, la quale appare già nel primo periodo (vv. 1-4):

L’ombra di un mondo esterno si avvicina radice che dal ventre e dalla mente cresce nuda fraterna lingua

contro l’esperienza del giorno.

La predicazione iniziale è seguita da due apposizioni, così che si sovrappon- gono avvicinamento dell’ombra, crescita interna della radice e lingua nuda e fraterna che contrasta con l’esperienza del giorno. Sono presenti elementi inno- vativi come il mondo esterno, la radice che cresce e la «nuda fraterna lingua» (che dovremo tenere a mente), i quali però sono l’oggetto di una negazione sistematica: del mondo esterno non si avvicina che l’ombra, la radice cresce dai luoghi chiusi e materni per eccellenza, mente e ventre, mentre la lingua nuda e fraterna si rivela strumento consueto in virtù del suo contrastare con l’esperienza del giorno. È dunque all’insegna del doppio legame, della freudiana negazione che afferma (anche se qui si tratta piuttosto di un’affermazione ne- gata) che comincia il nostro viaggio. Il resto della poesia schiera altri elementi

44  Cfr. Said 2009 [2006].

riconducibili ai campi opposti del mondo interno e di quello esterno: dalla parte del primo le «costellazioni luminose e fredde», i «fiocchi di neve», il «campo azzurro» (cioè il cielo), la notte, «quiete e calma», il chiudersi della perfezione «assonnata e ferita»; con il secondo invece, in minoranza, gli «amori incerti» e le «bufere incandescenti».

II. [In un campo di fiori] Due sono le principali novità tematiche della secon- da poesia: la comparsa della bestia e la sua collocazione «nella sfera del bosco»; l’apparire della voce e del bambino, tra loro in una relazione ambigua che me- scola coincidenza e separazione. Tali acquisti determinano una riorganizzazione dei segni già apparsi: l’ombra e la ferita sono ora attributi della bestia, il campo azzurro del cielo diventa un campo di fiori, mentre la sfera del bosco assomma in sé l’elemento vegetale e quello della chiusura (perfezione, mente, ventre); il richiamo al bosco del Margine dei fossili, simbolo del groviglio inconscio e ma- terno, si lega alla perfezione astratta della sfera. Il rapporto tra la voce e il bam- bino è affidato a una strategia linguistica peculiare, che unisce parallelismo e ripetizione lessicale a un’accorta variazione di determinanti e deittici (vv. 8-12):

non è la voce di un bambino da quanto tempo ride o si lamenta non lo sa nessuno

questa è una voce di bambino che assiste al suo stupore46

La prima voce, anonima e atemporale, è, per ipotesi, quella della bestia (la solita terza persona femminile?) e non coincide con quella dell’io, infantile, im- pegnata a contemplare con straniato distacco il proprio intorpidimento (stupor). In questo contrasto vocale sta uno dei tanti segni trasparenti del combattimento interiore del soggetto, nel quale si fronteggiano intenzione luttuosa e coscienza del proprio inebetimento.

III. [Indecifrabile il colore ma lo scatto] La terza è una poesia tutta animale: in ordine, compaiono un essere alato che spicca il volo, il sudore dei cavalli e una bestia, che però non è quella già menzionata:

Indecifrabile il colore ma lo scatto del volo con lieve stridio

s’infigge nella mente. Sta in basso

di legno in un recinto ai piedi della collina 5 sventrata e bianca come latte tra le querce

laggiù in mezzo al sudore dei cavalli un’altra bestia, la terza.

Il soggetto del volo non è identificabile, ma quest’ultimo è un evento im- provviso e violento (indecifrabile, scatto, stridio) che lascia traccia nella mente.47

46  Per qualche appunto su questa e altre figure iterative si rimanda infra, pp. 233-35.

L’uso di un lessico espressionistico e crudo (scatto, stridio, infiggersi, sventrata) segnala un incremento di dynamis e tensione che trova il suo apice nel secondo periodo, dove assistiamo alla posposizione del tema testuale (la bestia) e alla sua connotazione prolettica nel segno, insieme, della violenza (sventrata), della sessualità (sudore dei cavalli) e della maternità (latte). La scelta di un costrutto sintattico ascendente, ottenuto tramite l’inversione di soggetto e predicato, oltre che iconico della tensione, è funzionale a mettere in risalto l’incoerenza almeno parziale dell’attributo «terza». Non essendovi alcuna seconda bestia, il lettore ha due possibilità a disposizione per sanare l’incongruenza: a) supporre che la prima sia la perfezione assonnata e ferita (I) e la seconda la bestia egualmente ferita (II); b) supporre che la prima sia la bestia ferita (II) e la seconda l’essere alato dei vv. 1-3. Nonostante l’isotopia del ferimento, poi intensificato (sventra-

ta), prema a favore di (a), è evidente come la strategia autoriale miri a escludere

una soluzione certa.

IV. [Uno vicino all’altro a formare un cerchio giallo] La scena successiva oltre che mentale pare essere memoriale, forse un barlume di memoria involontaria, un riaffioramento d’infanzia:

Uno vicino all’altro a formare un cerchio giallo rovescio del sole nascosto

dal fiore che oscilla nella mente in un frammento nella veste di giovane donna.

Tale scatto della memoria, se di questo si tratta, trova un supporto lingui- stico adeguato nella costruzione nominale il cui referente affidato alla coppia dei pronomi indefiniti soggetto non è rintracciabile («Uno vicino all’altro»). Si tratterà magari di un cerchio di fiori gialli, forse collocato nel campo di fiori di II, la cui chiusura e perfezione rimandano a varie figure già apparse tra cui la sfera e il recinto; questo cerchio dorato è speculare al cerchio dorato dell’astro sola- re, oggetto reale del quale rappresenta la negazione mentale, all’interno di un

quadro che sembra serbare più di qualche souvenir mallarmeano.48 Il luogo del

fiore è la mente, e all’interno di essa un frammento nella veste di una giovane donna. Al di là della depistante e un poco vertiginosa trama delle preposizioni inclusive incassate una nell’altra (nella, in, nella), il termine del percorso è in questo vestito di donna giovane (la figura materna oggetto degli andirivieni della memoria involontaria?): un dettaglio finalmente realistico nel quale un primo circuito di simboli femminili (la perfezione, la bestia) trova forse il modo

[Non è un mondo in riposo] e XVIII [La riconosce], e trova in XV [Scrivere dentro un mondo oscuro] un forte supporto all’interpretazione.

48  Per un’ipotesi di relazione intertestuale di questo testo con Prose (pour Des Esseintes) di Mallarmé, cfr. infra pp. 290-91.

di avvicinarsi all’oggetto reale.

V. [Oggi ha un nome diverso] Coerente, in senso contrastivo, con lo spa- zio memoriale aperto dal testo precedente, è l’enfasi sull’oggi che apre, sempre all’insegna di un soggetto femminile, stavolta non specificato, la poesia seguen- te:

Oggi ha un nome diverso ma è lei non ha dimenticato la sua origine senza uno scopo senza desideri sta nel cuore della luce

5 ingombra di erba nera. Dillo, stanno umiliando le tue calme ali mostruose

e dall’alto una schiuma nebbia si riversa soffice lingua comune.

Quel minimo tocco di realismo sul quale si era chiusa IV cede il passo a una nuova deriva simbolica: il ritratto di lei ha tratti luttuosi (nel senso proprio della pulsione di morte) e lugubri, nei quali ha parte una natura oscura, ctonia, di pro- babile ascendenza baudelairiana: «senza uno scopo senza desideri», «ingombra di erba nera». Ha cambiato nome, ma si tratta di un mutamento superficiale e ciò che di lei è più caratteristico è guarda caso la costanza: è sempre lei e «non ha dimenticato la sua origine» (la serie di traumi che l’ha generata?). La poesia è nettamente bipartita attraverso il taglio strofico, al quale si associa un cambio di soggetto e d’argomento: l’allusione all’albatros delle Fleurs du mal ha il merito di riportare il tema linguistico (I) a un nucleo metapoetico e chiama in scena, attraverso l’uso di un tu autoriflessivo, il poeta stesso, che dichiara la propria sopraggiunta marginalità. Egli è spettatore dell’avvento di una lingua soffice e comune: se questi attributi ricordano, con la loro relativa euforia, quelli di nuda e fraterna già comparsi (I), più minacciosa appare ora la lingua, nella sua natura

di «schiuma nebbia» che tutto ricopre, annullando le differenze.49 Senza dimen-

ticare che nel Progetto le potenti e nere pause della poesia possono manifestarsi come nebbia.

49  Se certo la prima radice di questo tema (difficoltà, impossibilità e fine della poesia) è interna, biografica, da collegare pertanto alla condizione senile del soggetto e al procedere inevitabile dei suoi interrogativi circa le funzioni della poesia, l’umiliazione inflitta all’idioletto autoriale e al socioletto poetico riecheggia una dichiarazione autoriale degli stessi anni relativa allo stato sociale della poesia: «La marginalità, anzi la sparizione, imposta alla poesia dal mercato editoriale e dagli attuali e universalmente accettati modelli culturali rende molto difficile o quantomeno irrilevante (almeno a me così sembra) qualsiasi giustificazione e storicizzazione del proprio lavoro da parte di un poeta» (risposta alla domanda «Perché scrivi poesie?», in Ortesta 2001c).

VI. [Dolce è la vita – dicono],50 VII. [Dille anche del suo pericolo]51 I testi sesto

e settimo presentano somiglianze tali da suggerire l’opportunità di un’analisi congiunta. Entrambi si aprono ponendo in rilievo l’atto del dire: la voce un po’ stereotipata, ma forse nel giusto, degli altri («dicono») riprende senz’altro la lingua comune di V, contrapponendosi alla voce dell’io, che come in V esorta sé stesso a parlare (ne è spia il ritorno dell’imperativo in attacco di verso: «Dillo» > «Dille»), stavolta per avvisare la terza persona femminile di ciò che la mi- naccia. La posizione discorsiva dell’io è dunque equidistante tra gli altri (forse

i compagni mai frequentati o la gente sicura di altri testi vicini e lontani)52 e

il soggetto femminile, i cui tratti sono quelli luttuosi già apparsi in V («chiusa

alla pietà degli uomini / sorda a ogni richiamo / vedova53 soffre di parole» VII

4-6), ai quali aggiungeremo il volo, ora attribuito a lei: «Fluttua dopo un lungo volo […] Adesso è a casa, protetta nel suo nido» VI 4-6. Quattro acquisti però sono ancora più rilevanti: l’indebolimento e il pericolo che la minacciano, la sua coincidenza con la voce, il suo associarsi alle presenze animali e vegetali, il suo movimento a ritroso. Vediamo come gli ultimi tre concretamente s’intrecciano in VII 7-16:

contemplando la natura paziente sua compagna. Vicini al sonno degli uomini – lei lo sa bene – stanno le piante e gli animali

10 ma dolore e disprezzo finché l’orgoglio la sostiene ancora una volta

in una scossa ostinata

spinta su spinta in un mucchio 15 di sorda memoria per amore di ricordo

la fanno ancora voce, risonanza.

La vicinanza tra lei e le presenze naturali nel segno del sonno contrasta

esplicitamente54 con il successivo movimento, del quale spicca la tensione in-

50  «Dolce è la vita – dicono – / ma lei s’indebolisce giovane superba / il seno acerbo la fronte serena. / Fluttua dopo un lungo volo / voce divorziata dalla mente. / Adesso è a casa, protetta nel suo nido».

51  «Dille anche del suo pericolo: / da dove esso proviene e come / potrebbe cambiare il suo stato felice / se chiusa alla pietà degli uomini / sorda a ogni richiamo / vedova soffre di parole» (vv. 1-6). 52  Si veda, nello stesso Serraglio, [Malandata è la casa che lui ama] 4 «gli amici ad uno ad uno scomparsi»; nella Costanza, [Da una corsa per gli orizzonti più chiari] 1-3 «Da una corsa per gli orizzonti più chiari / macchiandosi le dita / gente bruna senz’ombra di rosso alle guance»; [Non

timido ma di freddo cuore] 1-2 «Non timido ma di freddo cuore / abbandona i suoi compagni e non

li nomina mai»; nella Passione della biografia, [In trono e in penombra] 10-11 «Ma solo una cosa continuamente / chiede: i compagni perduti».

53  Inevitabile che il pensiero corra alla figura materna, secondo la direzione indicata dal Progetto, [Comincia forte adesso e alto] 2: «a vent’anni dalla morte del padre».

54  L’attacco su congiunzione avversativa del v. 10 riprende il v. 2 di VI («ma lei s’indebolisce giovane superba»), dove oggetto della relazione di opposizione erano dolcezza della vita e

tonativa dovuta al lungo arco che si tende tra soggetto e predicato: «ma dolore e disprezzo […] la fanno ancora voce, risonanza» (sintassi della tensione, dun- que, come già a III 3-7). Almeno tre sono le costellazioni di attributi capace di rendere il personaggio femminile una voce, che identificheremo come quella di una poesia alimentata dalla nera costanza: la galassia etica “à la Hérodiade” che comprende superbia, orgoglio, dolore e disprezzo; le linee semantiche congiunte della continuità temporale e dell’ostinazione («dopo un lungo volo»»; «finché l’orgoglio la sostiene / ancora una volta / in una scossa ostinata»); il movimento a ritroso, verso l’interno o verso il profondo, «in un mucchio / di sorda me- moria per amore di ricordo», proprio di una freccia che tende inesorabilmente al passato (ricorderemo: IV 3 «del fiore che oscilla nella mente»; V 2 «non ha dimenticato la propria origine»). Questa voce che insiste ostinata a rimestare nel passato è ben consapevole (essendo la stessa poesia) che piante e animali possono farsi figure o simboli del sonno umano, emblemi di regressione e difesa

nei quali contenere la morte.55 Anche il lettore di Ortesta «lo sa bene» e ha così

modo di capire come qui sia in atto un’oggettivazione del proprio mondo poeti- co nel suo complesso ai fini, ci sembra, di una presa di distanza.

VIII. [Verso dove lo sai?] Con i suoi 19 versi, l’ottavo componimento è il più lungo della serie; va subito detto, però, che altri sono i motivi che ne fanno una sorta di centro o perno dell’intera sequenza. Ecco apparire la primavera, che fa il suo ingresso nel libro dopo la menzione del titolo:

Verso dove lo sai?

Non c’è direzione: solo fronde e perfetti boccioli dal prato al selciato

freddi come luce di primavera 5 verdi nel cespuglio agitato dal vento

impercettibilmente variegato nel sonno

La prima strofa chiarisce però subito, in modo esplicito («Non c’è direzio- ne») e implicitamente attraverso la disseminazione dei soliti elementi (perfetti,

freddi, sonno), che non si deve fare l’errore di contrapporre la primavera all’in-

verno. Osservata dal momento che precede la fioritura, essa non è che uno stato

indebolimento di lei che non abbandona il proprio sdegnoso narcisismo.

55  La vicinanza tematica e cronologica consente di ipotizzare, più che una singolare coincidenza, una diretta influenza del Fortini senile di Composita solvantur (1994) e delle postume Poesie inedite (1997), dove alla piccola natura è esplicitamente affidata la medesima funzione simbolica, insieme materna, regressiva e mortuaria: il rimando è alle due quartine di Le piccole piante… «Con le foreste riposerò e le erbe sfinite, / vinte innumerabili armate che mi difendono» (vv. 7-8), poi glossate nelle due quartine di Mi hanno spiegato…: «Mi hanno spiegato che le bestie e l’erbe, / cieche o modeste o vinte o assopite / o in sé raccolte, dimesse, sfinite, / rapprese nei miei versi, // sono una madre di me stesso, immagini / di sonno e di custodia. / Ma ormai sonno non ho, non ho custodia. / E tutto ancora farà male, madre». Si cita rispettivamente da Fortini 1994, 8 e Fortini 1997, 29.

di latenza o incubazione, e richiede l’azione di un soggetto che ne interpreti o determini l’orientamento. Se l’io, come abbiamo visto, si dichiara incapace di incanalare la natura verso la rinascita, così non è per la terza persona femminile, il cui movimento non potrà che rivolgersi all’indietro – fuor di metafora, verso l’inverno e il passato (vv. 7-10):

sul tronco stringendo le cosce balbetta adolescente in un alito dolce fiore dentro fiore retrocede balbetta a una scia di neve caduta nell’acqua

Questi versi sintetizzano molto di quanto già sapevamo su di lei: la vergi- nità mallarmeana, il balbettio (la voce) e il movimento a ritroso (direttamente dal precedente VII), la gioventù (da VI e da VII), il nesso con la neve; legato a quest’ultimo, il fiore che conferma la sua natura di oggetto mentale o ideale di ascendenza mallarmeana («fiore dentro fiore», che di IV riprende anche la ver- tigine inclusiva). Il seguito insiste sul conflitto tra l’io e la persona femminile, indicando una situazione che è insieme irrisolta e sbilanciata a favore dell’istan- za luttuosa. Testimonia in questo senso la ripresa della domanda di partenza all’inizio e a metà della terza strofa, con consueta bipartizione oppositiva di un segmento testuale. Prima è la volta dell’io, il cui discorso però s’interrompe bru- scamente per lasciare spazio a una serie di immagini naturali ambigue e perciò incapaci di indicare con chiarezza una direzione (vv. 11-14):

Verso dove lo sai –

il collo della margherita il docile verme sopra il viola rampicante

che s’affaccia sopra il letto del torrente56

Con ben altra forza si comporta lei, istanza luttuosa e insieme fittizia della poesia (vv. 15-19):

verso dove lo sa lei

che retrocede tra sorella e sorella vigile al dolore rifiutandosi al canto serrate le ali

immaginato il calore di un bocciolo

Oltre alla ripetizione del verbo-chiave («retrocede»), tutto in questo ritratto dice volontà, ostinazione, fermo autocontrollo; tradiscono il sottotesto metapo-

56  La specificità realistica della margherita potrebbe contrapporsi alla genericità simbolica del fiore, ma è pur vero che nemmeno lei è fiorita, tant’è che se ne menziona solo il collo; stessa ambiguità per il verme, simbolo lubraniano di morte e scrittura ma anche esemplare di una vitalità basica, primitiva, di una tensione alla vita, come appare in questo punto del Progetto: «La sgomenta la vista di un lombrico / che sporge la testa, il tenero sforzo / del sottobosco nell’odore / in vista della luce» [Tutto comunque è qui] 6-9.

etico il rifiuto del canto (al quale corrisponde la scelta del balbettio) e il calore solo «immaginato» del bocciolo.

IX. [Fai molto male] La nona poesia s’indirizza a un tu che non è quello autoriflessivo del testo precedente (violando così l’attesa naturale di una corefe-