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Nuove ipotesi sul macrotesto

I percorsi della poesia

3. Nel progetto di un freddo perenne 1 Persona

3.5 Nuove ipotesi sul macrotesto

È giunto il tempo di ritornare all’ipotesi giudiciana di un assetto poematico o narrativo del macrotesto. I dati raccolti finora suggeriscono di adottare un approccio cauto, per così dire di compromesso: il Progetto è un libro la cui strut- turazione si situa a metà tra il lirico e il poematico, che ospita al proprio interno coppie o serie testuali narrative ma che non può essere definito narrativo nel suo complesso (certo non come tipologia testuale oggettivabile in una serie di fatti linguistici), per la mancanza di una chiara consequenzialità diegetica e la

presenza, al contrario, di alterazioni e ritorni imprevisti26 che fanno venire in

mente il disordine temporale programmatico cui Mallarmé voleva riportare la propria Erodiade (che tra l’altro ci ricorda di considerare l’azione, mai venuta meno, del metodo onirico):

La scena non illustra che l’idea, non un’azione effettiva, in un connubio (da cui procede il Sogno) vizioso ma sacro, tra il desiderio e il suo compimento, la perpetrazione e il suo ricordo: qui anticipando, là rimemorando, al futuro, al passato, sotto una falsa apparenza di presente.27

26  È sufficiente a tale riguardo considerare un terzetto di testi contigui collocato nella zona finale della prima sezione. In [Lanciata a fulminarsi nei suoi giorni] la persona femminile «se ne muore» (v. 2), ma subito dopo nello stesso testo il lettore deve chiedersi se sia lo stesso soggetto o un altro a riformarsi: 3-4 «di nuovo quella neve carne / e colore si è formata». Il successivo [Non

sollevammo il corpo] dà per avvenuta la morte di lei e inscena la sua sepoltura al passato: 1-3 «Non

sollevammo il corpo né gli occhi spalancati / le chiudemmo per renderla alla terra / in un’amara lingua di basso fondale». L’ancora successivo [Tutto comunque è qui], col tono risolutivo o conclusivo che ne caratterizza l’attacco, ripassa nuovamente al presente, stavolta identificato con forza nel tempo dell’enunciazione poetica: 2 «in queste pause gonfie e incomplete». Il soggetto femminile è ancora al centro della scena nella seconda strofa, viva e vegeta, turbata dalla «vista di un lombrico / che sporge la testa» (vv. 6-7) e impegnata a fronteggiare un dolore (11 «zoppicando con attenzione»; 13 «forse sapendo di nuovi attacchi di paralisi») che in un punto è qualificato, in modo davvero enigmatico, come quello del parto: 10 «ma tra i lamenti delle doglie».

27  L’affermazione di Mallarmé, proveniente da Crayonné au Théâtre, Mimique (a proposito di un’opera di Paul Margueritte), è citata da Luciana Frezza (Frezza 1966, 197) nel suo commento ai frammenti di Erodiade. Secondo lo studioso australiano Gardner Davies il piano generale delle

Noces d’Hérodiade avrebbe inizialmente previsto «un Prélude, che sostituiva l’Ouverture ancienne;

la Scène dialogata, in cui viene evocata la personalità dell’eroina; la Scène intermediaire, alla fine della quale Erodiade chiede che le sia portata la testa del Battista; il Cantique de Saint Jean, inno intonato dal santo al momento del supplizio; un Monologue, che espone “il perché della crisi” e un Finale» (Ortesta 1985c, 78-79). Pare però che Mallarmé, non soddisfatto del disegno, avesse maturato l’intenzione di alterare l’ordine cronologico delle parti per «abolire la nozione del tempo» (Frezza 1966, 197).

Nel caso di Ortesta sarà opportuno parlare, più che di primato dell’Idea, di dominio di un’istanza critica e meditativa, metapoetica nel senso più intimo ed esistenziale che tale aggettivo può assumere, la quale subordina gli eventi rap- presentati all’inchiesta condotta sul proprio mondo interiore e verbale. Come in parte già detto, diversi elementi fanno resistenza all’ipotesi di un’organizza- zione lirica pura, tra cui l’assenza di titoli e di eserghi, indice di una diminuita autonomia del singolo testo, e la maggiore compattezza strutturale dovuta alla ripartizione in tre parti. La collocazione strategica dei testi ripresi dalla Costan-

za, inoltre, aiuta il lettore a percepire lo svilupparsi di una curva semantica

lungo il libro: al Margine spetta di indicare la continuità con i paesaggi poetici già attraversati, a Persona invece di dichiarare le nuove sfide della poesia, a [Da una corsa per gli orizzonti più chiari] e [Resta girata dalla parte opposta] il compito di renderle evidenti mostrando come il nuovo contesto determini una necessaria risemantizzazione dei vecchi testi (nel primo, l’io è meno distante di prima dalla gente scura e sicura, nel secondo lei si allontana dalla presenza sim- bolica dell’intenzione luttuosa per avvicinarsi alla figura di una donna in carne e ossa). Un ultimo segnale di una progressione forte del discorso è rinvenibile nella distribuzione dei testi in base alle dimensioni e nell’andamento del discor- so diretto, ovvero nella progressiva crescita dei moduli drammatici e correlata emersione di una nuova voce femminile in funzione di controcanto a quella dell’io. Quest’ultimo elemento in particolare, se messo in relazione con la tema- tizzazione “critica” della poesia, consente di individuare una curva unitaria dei significati dall’inizio alla fine del libro, in una sorta di approfondimento medita- tivo che scava a partire da alcune ipotesi problematizzanti: perché è necessario scrivere e che cosa rimane fuori dalla poesia? Quale natura hanno le persone convocate sulla scena del testo?

Quanto invece alla presenza di sacche di narratività e continuità testuale vera e propria oltre la singola poesia, possiamo dire qualcosa a partire dai lega- mi linguistici e semantici fra testi contigui. La novità del Progetto consiste infatti in questo, che accanto ai soliti legami statici consistenti nella perpetuazione di certi elementi semantici (isotopie), ne compaiono di dinamici, affidati a una fenomenologia degli attacchi aperti che combina isotopie, connettivi e tempi verbali. La continuazione del discorso può assumere forma dialettica quando affidata a un nesso avversativo associato ad una continuità di tema-soggetto sintattico e/o di significato: per il primo tipo si può citare il transito dell’essere alato da [Viene dopo anni di guai] a [Ma sei perdesse la testa e scoppiando], dove il ma segnala più che un contrasto uno scatto del pensiero che si separa dal resoconto dei fatti per interrogarsi su altri esiti possibili; per il secondo invece [Puoi vederne le tracce]-[Mai però ci sono tracce o forme], dove la presenza delle tracce di lei è contrapposta all’assenza delle orme di uomini e animali. L’attac-

co può essere aperto più classicamente nel segno della successione temporale, come avviene in [Poi dici che ti si nutre il cuore] e [Poi si pungolava lentamente] tramite l’impiego del connettivo oppure nella coppia [Venne nella carne e aspettò

bocconi]-[Comincia forte adesso e alto], dove al ritorno delle figure della madre

e del padre si aggiunge il transito temporale dal passato remoto al presente, con esplicitazione del tempo trascorso (4-5 «a colpi di rostro padre e madre / si disputavano la sua anima» > 1-2 «[…] adesso / a vent’anni dalla morte del pa- dre»). Una forma ancora diversa di legame progressivo è infine quella che fa ri- corso alla ripresa variata dell’incipit: «Restare in posa è più forte di lei / fa fatica a pensare che non sarà / così per sempre» > «Fa fatica ma ci resta per sempre»; una più blanda, infine, quella che sfrutta la sola isotopia, come tra l’explicit di [Tutto comunque è qui] e l’inizio del successivo [Può avere udito il tonfo]: 12-13 «si è girata anche lei dalla tua parte / forse sapendo di nuovi attacchi di paralisi» > 1-2 «Può avere udito il tonfo, la gola abbandonarsi, / le gambe bianche che scompaiono».

3.6 «Un altro io un altro tu»: appunti sul problema dello sdoppiamento Tra i temi che si dipartono da Persona spicca per importanza e difficoltà interpretativa quello dello sdoppiamento. Il raddoppio identitario colpisce in

primis la terza persona femminile, ma non risparmia il soggetto, anch’esso chia-

mato a rispondere dell’ambiguità di ogni persona convocata sulla scena della poesia. Che il tema possegga una dimensione metapoetica è testimoniato dal suo associarsi col motivo della voce, come accade nel breve componimento che dà il titolo al presente paragrafo, tratto dalla prima sezione:

Ma se perdesse la testa e scoppiando in un oceano di piume a due a due un altro io un altro tu a dirsi addio ancora forti ma sempre più inesperti ritornando all’addio ci sarebbe la voce nel centro della paura

In quella che sembra essere un’ipotesi di svolgimento alternativo della si- tuazione generale del libro (lui e lei che si stanno allontanando per non ricon- giungersi più), l’accesso di lei alla follia e il venir meno degli uccelli (o di lei stessa figurata come un essere alato?) aprono la strada a due incarnazioni alter- native del personaggio lirico e della sua controparte femminile, entrambi tesi a un paradossale acquisto di inesperienza. L’abbandono dei ruoli consueti e il movimento verso la spontaneità vitale (l’inesperienza) darebbero luogo a una voce capace di situarsi nel centro esatto della paura, finalmente liberata dalla

necessità di rimanere a distanza di sicurezza dal nucleo traumatico che ne origi- na il movimento. Non più, quindi, «potenti / e nere pause» ([Forma una seconda

nebbia] 2-3), non più la consueta «rotta voce che le ore notturne / sommesse ti

consente» (vv. 5-6), ovvero la poesia che protegge il soggetto dall’insorgere dei pensieri angosciosi portatori d’insonnia, bensì una «vera voce» (v. 3).

L’enfasi sull’inesperienza, intesa positivamente come apertura vitale (nel

Serraglio il suo corrispettivo sarà l’inermità),28 si precisa all’inizio della seconda

sezione associandosi all’amore e al desiderio in [Questa furia di amante la la-

scia]. Nel testo è rappresentata l’interazione tra due figure femminili: la prima,

«pennuta» e «incapace di beffa e di abbandono» (portatrice di una carica lut- tuosa), nonostante la sua «furia di amante» e il paragone con il «musico esperto d’amore», è priva di vera conoscenza erotica: la sua furia la lascia a mani vuote, è portatrice di un «inganno» e priva di memoria («smemorata», «con memoria tenuta riversa e in disparte»). L’altra invece, «più antica», conosce davvero le leggi del desiderio e del corpo («sapiente delle inclinazioni amorose / del suo corpo»), ma il suo sapere consiste paradossalmente nel guadagnare l’inespe- rienza dell’eccesso: «facendosi presto / inesperta di ogni sfrenatezza». Il sapere del desiderio coincide dunque con la rinuncia al controllo e alla vigilanza, esat-

tamente l’opposto del congelamento volontario caro al soggetto.29

L’enfasi sull’amore (ma leggeremo ancora: sul desiderio) ritorna in due testi dell’ultima sezione, all’interno di strofe virgolettate che ospitano la voce di una donna in carne in ossa impegnata in un faticoso colloquio con il personaggio maschile: «l’attenzione il sangue di pensieri libertini / che solo per me stessa nutrivo» [«L’acqua precipitando] 20-21; «ma poi di notte o in una lunga pioggia / sento cose d’amore fino a spossarmi» [È di nuovo qui] 26-27. All’io che ostinato nella sua incomprensione le risponde: «non vuoi né provi più l’amore / di cui sai già ogni cosa» [«L’acqua precipitando] 55-56 – essa replicherà amara che «nem- meno qui parliamo in una sola lingua di me viva» (v. 62). La conoscenza erotica e l’opzione risoluta in favore del proprio desiderio sono gli attributi di un soggetto femminile di tipo nuovo, a tratti più realistico e meno simbolico, che nel Progetto

28  [Queste nutrici] 12-14 «luna senza viso oh vecchiezza / vuole indifesa ascoltare / il crepitio tenue della nostra carne»; [Misteriosa obbediente è uno stupore] 1-2 «Misteriosa obbediente è uno stupore / che si spegne inerme impurità».

29  Giocato in parte sugli stessi temi è un successivo testo della seconda sezione, [Le tue tribù di

desideri], che si apre su una contrapposizione tra un tu desiderante e l’io che invece vorrebbe

tornare a confinarsi nello spazio domestico (i due si trovano all’aperto, spettatori, con le bestie, di una misteriosa scena di caccia o sacrificio): 1-4 «Le tue tribù di desideri / mi stanno insultando / mentre per me sarebbe meglio / tornare a casa». Il ritorno del desiderio alla fine della poesia, in associazione con una vittima la cui identità rimane sconosciuta (potrebbe anche trattarsi dell’io stesso, dando così luogo a una disposizione chiastica delle persone tra inizio e fine del testo), tratteggia una struttura circolare: 12-15 «e la vittima avanza / come sempre senza più un desiderio / ma poi ti cancelli e nella linea del sonno / con te la disperdi».

si distacca faticosamente dalla terza persona femminile fantasmatica e luttuosa alla quale il lettore è uso fin dai tempi del Bagno. Tale divaricazione in atto tra la persona ficta e la persona di carne emerge nel libro, lo abbiamo già visto, tra le maglie del discorso metapoetico sulla voce e sul racconto e poi nelle partiture drammatiche che fanno spazio, sul piano dell’enunciazione, alla vera voce di lei. L’aumento di realismo che investe la figura femminile trova ulteriore sostegno nell’insistenza con cui è tematizzata la debolezza della figura femminile, afflit-

ta da malattia e vecchiaia30. Queste immagini si ricongiungono direttamente al

tema dello sdoppiamento in quegli episodi nei quali la persona femminile, al-

trove qualificata come folle,31 appare vittima di una scissione del proprio sé che

sembra rimandare all’insorgenza di vere e proprie crisi psicotiche: Rovinando da una stanza all’altra, si diceva

distratta da un basso continuo

«non discutiamo più – a differenza di te fedele notte e giorno sobbalzo m’ingarbuglio intenta solo a incenerirmi32

sempre sorpresa intirizzendo

se nell’occhio o nell’aria poche piume vacillano sul nero»

La donna, una cui possibile identificazione con la figura materna è suggerita dal dettaglio musicale del basso continuo (su questo torneremo), impegnata in una deriva rovinosa all’interno di uno spazio chiuso, casa o clinica, si rivolge a una presenza annidata dentro di sé: è quest’altra a essere costante, mentre pro-

30  [Perduta al proprio grembo] 7 «lenta come un cancro e troppo in alto forse»; [Deve muoversi il

meno possibile] 19-20 «questo vento cieco / dalle sue terminazioni nervose con nodi sussurrati»;

[Viene dopo anni di guai] 4 «dolce e senile nei gesti cancellando»; [Tutto comunque è qui] 10-14 «ma tra i lamenti delle doglie / zoppicando con attenzione / si è girata anche lei dalla tua parte / forse sapendo di nuovi attacchi di paralisi»; [Può avere udito il tonfo] 1 «Può avere udito il tonfo, la gola abbandonarsi»; [Ne ha pieno il sangue e il cervello] 9-11 «anche prendere sonno come in quelle notti / quando aveva già l’occhio tutto in ombra / che morso dal gelo a casa la trascina viva»; [Chi è l’altra che cammina accanto?] 3 «cascava morta all’età di quarant’anni», 9-10 «come tremava poi quando mangiando a passi corti / non respirava lei che è straniera»; [I capelli come

vecchi nidi] 1 «I capelli come vecchi nidi»; [Una dopo l’altra – mi disse] 3-4 «e con occhi spenti

fissata su un bastone / dipinta e spaventata verso me avanzava».

31  [Ma se lei perdesse la testa e scoppiando] 1 «Ma se lei perdesse la testa e scoppiando»; [In un

cupo abitacolo] 4 «rossa e perduta dal vento che le soffia nella mente»; [Chi è l’altra che cammina accanto?] 6-7 «con cuffioni ricchissimi condotta pazzamente / in vecchiaia»; [Poi si pungolava lentamente] «Poi si pungolava lentamente dentro il sogno / tappandosi le orecchie gli occhi / fuori

da tutto quello schianto / e sprofondava soltanto nell’occhio appassionato / senza altra lesione continuando / il rimescolio tra sé e il suo lato della notte»; [Comincia forte adesso e alto] 3-4 «non più pianoforte né cembalo / di madre delirante»; [È di nuovo qui] 21-22 «“ma qui ti piace? Lo posso immaginare… / l’asilo è il tuo posto giusto…”».

32  «Lanciata a fulminarsi nei suoi giorni / spolpata in un cesto se ne muore / di nuovo quella neve carne / e colore si è formata».

prie della donna sono una caotica variabilità e la tendenza all’autodistruzione,33

ma anche la sorpresa che la coglie quando esseri alati e connotati luttuosamente si manifestano.34

La morte sembra personalizzarsi nel passaggio dalla Costanza al Progetto e diventare ciò che la colpisce. Come tale occorre ovunque nel libro, dandosi in configurazioni tanto realistiche quanto simboliche. A dominare sono però chiaramente queste seconde, e la scomparsa è allora quella dell’essere alato, oppure di un’imbarcazione nella quale sembra essere ripresa, dopo un periodo di latenza, la materna «nave con sigilli» del Bagno. Proprio la barca è l’oggetto dell’unica, onirica scena di sepoltura presente in tutto Ortesta ([Non sollevam-

mo il corpo]),35 e il tempo successivo alla scomparsa ritorna, con figurazione

paradossale, nella contemplazione che l’essere femminile fa post-mortem del proprio «respiro finalmente sotterrato» ([Puoi vederne le tracce] 3). Tra le ri- sorse tematiche più innovative del Progetto rientra invece senz’altro la vita, un motivo che ritorna con insistenza e che ancora riguarda, anche se stavolta non esclusivamente, soprattutto lei. A differenza della sua morte la sua vita pare in- serirsi senza eccessive titubanze nella maggiore disponibilità realistica visibile nel terzo libro: una vita reale si affaccia sulla scena e cerca e trova, seppure solo

per fragmenta, per rapidi affioramenti subito contraddetti, uno spazio per essere

enunciata. Essa si associa con l’«ingenuità che cresce dalla sua persona viva» ([È di nuovo qui] 86) ed è sottoposta alle oscillazioni che contraddistinguono la verità alternativa a quella dell’io che il soggetto femminile qua e là arriva ad enunciare: 88 «in auge o in disgrazia la sua verità». Insieme con il passaggio temporale, si contrappone alla fissità e all’immobilità che pure appartengono a lei, forse soprattutto per volontà dell’io, e consente la separazione tra due figure altrove coincidenti: la «fredda nutrice […] bianca in altra specie di bosco» e co- lei che la accarezza e che ne è invasa nelle proprie «viscere di viva» ([«L’acqua

precipitando] 14-17).

La nuova disponibilità realistica del Progetto non si comprende per sé sola,

33  Una simile opposizione tra costanza e variabilità (direi quella propria del normale decorso esistenziale) ritorna nel passaggio già citato di [«L’acqua precipitando]: 18-26 «Ho imparato a starmene tranquilla ma chi / racconterà la storia di un’altra timidezza / l’attenzione il sangue di pensieri libertini / che solo per me stessa nutrivo? / Ho finto di esser cieca e mi scoppia la testa / sapendomi infelice addormentata / sempre uguale – se amo un Altro che è lontano – / e ho una casa un nome ed ebbi / padre e madre».

34  Più sfumato è il caso di un testo di poco precedente, [Bramando il puro latte], dove l’agitazione connessa alla vista della propria ombra potrebbe riferirsi anch’essa a uno sdoppiamento allucinatorio: «Bramando il puro latte / umida fu agitata / perché chinata aveva visto la più bella / fra tutte la sua ombra».

35  [Non sollevammo il corpo] «Non sollevamo il corpo né gli occhi spalancati / le chiudemmo per renderla alla terra / in un’amara lingua di basso fondale. / Restò incagliata la bocca raggrumata di conchiglie / e i piedi di marmo / là dove un brivido ci corse nel sangue / un dio instancabile sapendo che sempre casto / subito vivi ci avrebbe ingoiato».

ma soltanto se messa in relazione con la simbolicità ancora fortissima e pervasi- va dei referenti convocati nel libro. La lettura di Persona aveva suggerito, in vir- tù dello spessore etimologico del termine, una possibile duplicità ontologica di entrambe le figure femminili. La collocazione del testo nel Progetto sembra av- valorare tale ipotesi, trattandosi dell’incipit di una sezione, la terza, nella quella una figura femminile prende ripetutamente la parola tramite inserti di discorso diretto che divengono sempre più lunghi. Ciò accade già nel testo immediata- mente successivo, [«contenta che non sia venuto?»], dove il ritorno del verbo par-

lare rende palese la continuità con Persona (3 «l’altra parlò di un dolore reale»).

È dunque proprio l’altra a parlare, la figura cosiddetta poetica, il fantasma della poesia, ed è lecito ipotizzare che sarà sempre lei a prendere la parola anche nei testi successivi. Ciò che colpisce maggiormente è però la divaricazione interna della figura, nella quale convivono tratti chiaramente simbolici, incompatibili con qualsiasi ritratto realistico di donna, amante o madre, e tratti invece più re- alistici, relativi soprattutto alla sua inquietudine per il destino che l’io ha voluto imporle e alla presenza di accenni alla vita, al passare del tempo e alle sue vicen- de biografiche. Le due metà non stanno però sullo stesso piano, i tratti simbolici essendo appannaggio del discorso dell’io, nel quale lei compare oggettivata alla terza persona, mentre i segni dell’inquietudine sono tutti interni alle battute di lei, dando l’impressione, quindi, di uno sfalsamento tra l’autorappresentazione di lei e la rappresentazione che se ne fa il personaggio lirico. Prova ne sia il fatto che la persona femminile manifesta perplessità rispetto al proprio stato di quie- te, del quale riconosce a tratti la natura fittizia, artificiale,36 mentre il soggetto,

all’opposto, insiste ripetutamente su un’effettiva immobilità di lei.37 Come se

ciò non bastasse, la strofa finale di [«contenta che non sia venuto?»] (vv. 32-39) esibisce attraverso la sua trama di iterazioni rovesciate la presa d’atto, da parte di lei stessa, della propria identità duplice e sdoppiata:

«sono io non è la mia anima

a contare i mesi, gli anni, il rifiuto feroce – celeste banchetto che da te mi svena –

36  [«contenta che non sia venuto?»] 17-20 «ma qui resto / costretta in questa faccia di medusa